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Capitolo 1 La valutazione della performance dei Fondi Comuni d’Investimento: Le misure aggiustate per il rischio

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Capitolo 1

La valutazione della performance dei Fondi Comuni

d’Investimento: Le misure aggiustate per il rischio

Il processo di valutazione della performance di un fondo comune di investimento rientra a pieno titolo nell‟ambito dei processi di analisi congiunta di rendimento e rischio. La misurazione del rendimento stand alone non può essere, in un contesto rischioso, sufficiente termine di valutazione della bontà della gestione e del ritorno di un investimento finanziario; è necessario tenere in considerazione, a priori, il rischio assunto con l‟investimento effettuato e, a posteriori, l‟effettiva rischiosità delle scelte di portafoglio effettuate del gestore. In base all‟ipotesi di avversione al rischio, esiste una relazione positiva tra il valore atteso dei rendimenti di un investimento ed il rischio assunto con esso, vale a dire che il rendimento atteso di un portafoglio di investimenti è progressivamente più elevato quanto più alto è il livello di rischio assunto dal gestore del portafoglio in cui è stato investito il capitale. Ma la scelta di attività maggiormente rischiose pone l‟investimento di fronte all‟occorrenza eventuale di perdite progressivamente più consistenti. Così se un fondo comune ottiene rendimenti inferiori in media, ma ciononostante riesce ad avere una profittabilità superiore durante recessioni o in condizioni di mercato ribassista, allora fornisce una forma di assicurazione a coloro che investono in esso. Con lo stesso criterio,

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performance superiori quando il mercato è rialzista non hanno lo stesso valore di quelle ottenute in condizioni di mercato ribassista.

Le capacità manageriali non possono essere valutate facendo riferimento ai semplici rendimenti lordi del fondo commune. Anche gestori molto capaci possono incorrere in rendimenti negativi durante periodi in cui il mercato perde molto valore. Allo stesso modo, anche pessimi gestori sono in grado di ottenere elevati rendimenti quando il mercato cresce in modo sostenuto. La misurazione della performance deve per questo tenere in considerazione un benchmark che rifletta i rendimenti di altri investimenti comparabili1. A tal fine sono state proposte diverse misure di performance aggiustate per il rischio (RAP), le quali permettono di mettere in relazione il rendimento ottenuto con il rischio affrontato2.

In questo capitolo verranno presentati gli strumenti di analisi che occorre impiegare per studiare la performance dei fondi comuni d‟investimento. In una prima parte sono introdotte le misure di rendimento e le misure di rischio associate ai fondi, nella seconda parte si presentano le misure RAP di uso comune per la valutazione della performance di singoli fondi o dell‟industria dei fondi di investimento nel suo complesso, nella terza parte si introduce il tema della scelta del benchmark, spiegando le conseguenze di questa scelta sui risultati dell‟analisi condotta.

1 Blake e Timmerman, 2003. 2

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1.1 Misure di rendimento e Misure di rischio

Rendimento

Nella misurazione dei rendimenti è opportuno distinguere fra rendimenti lordi (i.e., rendimenti calcolati prima delle commissioni di gestione) e rendimenti netti (i.e., rendimenti calcolati dopo le commissioni di gestione). Chiaramente gli investitori sono interessati ai rendimenti netti, che rappresentano il reale ritorno che essi hanno avuto dal loro investimento nel fondo comune. Ciò nonostante, i rendimenti netti sono influenzati dal livello delle commissioni di gestione, che rappresentano il prezzo cui il servizio di gestione di portafogli è offerto: potrebbe quindi verificarsi che i migliori (peggiori) siano semplicemente i fondi che paghino minori (maggiori) commissioni di gestione. Per questo, la valutazione delle strategie d‟investimento dei gestori deve essere compiuta sulla base dei rendimenti lordi, che rappresentano il risultato realizzato dal servizio di gestione3. Qualora l‟analisi sia rivolta ad individuare strategie profittevoli o comportamenti ottimali di selezione dei portafogli sarà necessario impiegare i rendimenti netti, che rappresentano il risultato finale dell‟investimento.

Il rendimento di un fondo viene calcolato come rapporto fra variazione del Valore delle Attività Netto (NAV4) del fondo nel periodo considerato, più tutti i flussi di capitale intercorsi nel periodo in oggetto5, e il Valore delle Attività Netto

3 Cesari e Panetta (2000)

4 NAV è l‟acronimo americano per Net Asset Value, e si traduce correttamente con Valore delle Attività

Netto. Per quanto riguarda i fondi comuni di investimento, rappresenta il valore ottenuto dalla differenza tra il totale degli investimenti e le passività del fondo, e cioè dal valore dei titoli in portafoglio comprensivo dei ratei d'interesse sulle cedole meno i debiti imputabili al fondo comune.

5 I FCI aperti sono soggetti a continui flussi e deflussi di capitale come conseguenza della sottoscrizione e

del riscatto di quote. Inoltre, poiché i FCI possono essere distinti in base al criterio di gestione dei proventi (Si distingue fra fondi ad accumulazione e fondi a distribuzione dei proventi), alle scadenze stabilite il patrimonio del fondo risulterà inferiore dell‟ammontare reso.L‟impiego della formula proposta, nel caso in cui non si tenessero in dovuto conto i flussi di capitale gestito in ogni periodo, avrebbe come conseguenza una misura del rendimento distorta, verso l‟alto in caso di un afflusso netto nell‟intervallo di tempo considerato, verso il basso in caso di un deflusso netto.

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iniziale. Per questo il rendimento mensile6 di un fondo può essere espresso dalla formula:

Dove Rt è il rendimento del periodo, NAVt è il valore delle attività netto alla

chiusura dell‟ultimo giorno di mercato del mese, NAVt-1 è il valore delle attività

netto del fondo alla chiusura dell‟ultimo giorno di mercato del mese precedente e DIVt è la risultante di tutti i flussi percepiti e distribuiti dal fondo nel periodo di

interesse.

La composizione di rendimenti su più periodi richiede particolare attenzione. Volendo calcolare, ad esempio, il rendimento trimestrale di un fondo a partire dai rendimenti mensili è necessario ricavare il tasso di rendimento mensile che avrebbe prodotto il rendimento cumulativo totale ottenuto in quel periodo. Quest‟ultimo non può essere rappresentato dalla media aritmetica dei rendimenti mensili per un certo periodo di tempo, ma, tenendo in considerazione gli strumenti della capitalizzazione composta, si calcola con la media geometrica dei rendimenti mensili:

Dove R è la media geometrica dei rendimenti di ogni sottoperiodo, per un periodo di T mesi.

L‟impiego di questo approccio per il calcolo dei rendimenti è di primaria importanza perché, rispetto al metodo aritmetico permette di effettuare il confronto fra i rendimenti ottenuti fra i fondi, a prescindere dal capitale realmente investito.

6 Abbiamo preso come esempio i rendimenti mensili, ma la formula può essere utilizzata per il calcolo dei

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Rischio

In finanza è difficile individuare una sola misura ottima di rischio da applicare ad una tipologia di investimento particolare quella della sottoscrizione di quote di un fondo comune, perché la misurazione migliore dovrà dipendere dal fatto che il fondo comune sia un investimento isolato o sia parte di un più ampio portafoglio di titoli.

In generale per rischio si intende la possibilità di ottenere da un investimento un rendimento diverso da quello atteso. In questi termini è possibile ottenere una misura del rischio dell‟investimento misurandone la variabilità dei rendimenti (passati) e ipotizzando che la variabilità sia costante nel tempo. Questa misura è usualmente identificata con lo scarto quadratico medio dei rendimenti:

In cui è lo scarto quadratico medio, o volatilità del fondo; è la media dei rendimenti ottenuti dal fondo durante il periodo di osservazione; Rt è il

rendimento da t-1 a t, e T è il numero di sottoperiodi in computo. Per costruzione, lo scarto quadratico medio si manifesta con valori positivi; tanto più è alto, quanto più ampi sono gli scostamenti realizzati dal rendimento medio e tanto più elevata è la misura di rischio.

Questa semplice misura di rischio è stata oggetto di critica7 per due motivi principali. Da un punto di vista teorico, l‟impiego dello scarto quadratico medio come misura confrontabile di rischio presuppone che i rendimenti siano

7 Così Markowitz (1952): “Since an investor worries about underperformance rather than

overperformance, semideviation is more appropriate measure of investor's risk than variance.”, introducendo il tema dell‟importanza attribuita a rendimenti inferiori alle attese rispetto a quelli superiori da parte degli investitori.

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distribuiti normalmente; da un punto di vista pratico poi lo scarto quadratico medio presuppone che per gli investitori rendimenti sopra la media abbiano la stessa rilevanza dei rendimenti inferiori. Si può però osservare che le distribuzioni dei rendimenti finanziari sono tipicamente leptocurtiche, ovvero hanno la particolarità di mostrare code spesse rispetto alla distribuzione normale, e cioè di manifestarsi in valori estremi con maggiore probabilità rispetto alle probabilità che verrebbero assegnate a tali eventi da una distribuzione normale (detta mesocurtica); inoltre, diversamente da una distribuzione simmetrica, i rendimenti finanziari si distribuiscono usualmente con asimmetria positiva, con la coda positiva più lunga della coda negativa.

Dal punto di vista pratico, poi, è stato opinato che l‟investitore tipicamente avverso al rischio intenderebbe per rischio esclusivamente la probabilità di ottenere rendimenti inferiori a quelli attesi, ed i rendimenti superiori alla media non andrebbero tenuti in gran considerazione, perché aventi il mero valore di opportunità: una misura del rischio simmetrica sarebbe quindi per più di un motivo insufficiente ad individuare correttamente il rischio dell‟investimento. A questo ultimo filone di critiche alcuni ricercatori hanno risposto proponendo misure di rischio di tipo downside, quali la semivarianza inferiore8, il downside risk9, che applicano lo stesso strumento di tipo statistico, ma implementano un concetto di rischio diverso, essenzialmente, il rischio di avere rendimenti inferiori a quelli medi, o sotto una soglia limite, attesi. Queste misure, nonostante forniscano un‟informazione integrativa e più puntuale, restano comunque fortemente correlate allo scarto quadratico medio e spesso, in un confronto tra opportunità di investimento, sono tali da fornire graduatorie di rischiosità pressoché identiche a quest‟ultimo.

Le differenze maggiori si osservano quando le distribuzioni delle serie dei rendimenti che si vogliono valutare sono caratterizzate da coefficienti molto

8 La semivarianza inferiore dei rendimenti è la misura dello scarto quadratico medio dei rendimenti

inferiori alla media

9

Il downside risk (DSR) esprime la distribuzione delle sole variazioni negative (rendimenti inferiori) rispetto a un prefissato tasso di rendimento soglia: con se < e se >

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diversi di asimmetria e curtosi. Si prendano ad esempio due serie storiche con stessa media e varianza; in base alla deviazione standard, le due serie avrebbero lo stesso ordinamento su una graduatoria ideale, ma se una delle due avesse una forte asimmetria positiva, in base al down side risk l‟ordinamento segnalerebbe prima la serie asimmetrica e dopo la serie simmetrica.

La varianza dei rendimenti di un portafoglio di due o più titoli è uguale alla somma pesata delle varianze dei titoli più due volte le covarianze fra i rendimenti. Perciò la presenza di covarianza fra i rendimenti significa che in un portafoglio, le volatilità dei singoli asset non sono più sufficienti misure del rischio combinato nel portafoglio. In base a questa considerazione la moderna teoria del portafoglio (MPT) propone un approccio diverso, incentrato sulle caratteristiche del rischio finanziario. Il rischio di un investimento finanziario origina da due tipologie di fonti: rischi diversificabili, cioè rischi assunti in virtù dell‟esposizione a rischi individuali, la cui entità può essere ridotta attraverso la diversificazione dell‟investimento, e rischi sistematici, intrinseci alla natura dell‟investimento e quindi assunti indistintamente, qualsiasi allocazione finanziaria venga fatta del portafoglio. Secondo questa teoria il rischio maggiormente rilevante che dovrebbe essere considerato e per il quale l'investitore viene compensato non è quello complessivo, dato dalla somma del rischio diversificabile e del rischio sistematico, ma solamente quest‟ultimo, noto come rischio di mercato, rappresentato dal coefficiente denominato beta:

Dove rappresenta la covarianza fra i rendimenti del fondo e i rendimenti del mercato, e è la varianza dei rendimenti del mercato. Il beta di un portafoglio indica la sensibilità di questo alle oscillazioni dell‟indice di mercato che si è scelto come riferimento. Il valore di riferimento per l‟interpretazione del coefficiente di beta è 1; quando un portafoglio presenta beta unitario, vuol dire

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che i rendimenti si manifestano con le stesse modalità dei rendimenti dell‟indice di mercato prescelto; se il beta è maggiore di uno, ci si può attendere dal titolo rendimenti maggiori del premio del mercato (in media), ma considerata la maggiore volatilità di questi rendimenti, è anche maggiormente probabile l‟eventualità di conseguire maggiori perdite. Vale il discorso contrario se il beta del fondo è minore di 1.

La scelta fra i due metodi di calcolo del rischio è estremamente rilevante, perché indirizza il successivo processo di valutazione della performance su due percorsi distinti, e dipende essenzialmente dalla composizione del portafoglio dell‟osservatore.

Se la partecipazione nel fondo comune rappresenta una piccola parte all‟interno del portafoglio dell‟investitore, allora il beta è una misura appropriata della performance del fondo, dato che il contributo al rischio dell‟intero portafoglio dipende da quanto rischio di mercato apporta il fondo ed è per questo che occorre controllare l‟esposizione al rischio di mercato.

Altrimenti, se la partecipazione detenuta nel fondo comune rappresenta una gran parte o l‟intero portafoglio dell‟investitore, la misura di rischio maggiormente appropriata è la deviazione standard dei rendimenti del fondo la quale include sia il rischio di mercato che il rischio idiosincratico.

1.2 Risk-adjusted Performance

È‟ impossibile dal punto di vista logico scegliere una misura di performance come standard unico, poiché ciascuna misura è adeguata a uno scopo particolare e orientata da un particolare punto di vista; perciò sembra ragionevole utilizzare indicatori denominati misure di risk-adjusted performance (RAP), i quali sintetizzano in un indice sia una misura di rendimento sia una di rischio.

Attraverso l'utilizzo delle misure RAP il confronto tra i vari prodotti risulta semplificato, dato che tutta l'informazione necessaria a valutare in base al

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trade-off rendimento-rischio il fondo di investimento è racchiusa in un numero. Il fondo con la misura RAP più elevata risulta il migliore, dato che si è collocato sulla migliore posizione nell'ambito della relazione esistente tra rendimento e rischio.

Così come per le misure di rischio, esistono diverse misure RAP ed ognuna di queste è più o meno appropriata per la valutazione della performance in base alle esigenze di chi effettivamente sta svolgendo questa misurazione.

In questo capitolo si presentano le più note misure RAP, cercando di inquadrare il campo operativo in cui sono inquadrabili.

1.2.1 Gli Indici di Sharpe, Treynor e Sortino

La forma più intuitiva di aggiustamento del rendimento consiste nel rapporto fra una misura di rendimento e la misura di rischio corrispondente. Questo approccio consente solitamente di ottenere la misura desiderata con un facile ed rapido calcolo, con il vantaggio di fornire immediatamente la possibilità di un confronto uno ad uno fra i fondi cui viene applicato.

Lo Sharpe Ratio

La misura di redditività corretta per il rischio più nota in assoluto è l‟indice di Sharpe, proposto da William Sharpe nel 1966. La ragione della sua notorietà risiede essenzialmente nella massima semplicità di calcolo, poiché richiede solo il calcolo dei rendimenti periodici e dello scarto quadratico medio di questi. Lo Sharpe ratio è espresso dal rapporto fra rendimento in eccesso rispetto al rendimento privo di rischio e la volatilità dei rendimenti.

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Dove è il rendimento del titolo o portafoglio finanziario, è il rendimento di

un titolo privo di rischio, è lo scarto quadratico medio dei rendimenti. L‟indice di Sharpe misura quanto extra-rendimento ha fornito l'investimento per ogni unità di rischio assunta nell‟allocazione del patrimonio; nel confronto fra fondi, si deve ritenere preferibile quello che ha raggiunto il valore più alto di misura di rischio.

L‟indice di Sharpe utilizza come misura di rischio la volatilità totale dei rendimenti, prende per ciò in considerazione il rischio totale dell‟investimento. Per questa caratteristica, l‟indice di Sharpe è uno strumento idoneo per la valutazione della performance nel caso in cui l‟investimento non sia diversificato.

Il Treynor Ratio

Qualora invece il portafoglio risulti efficientemente diversificato, il rischio dell‟investimento risulta modificato per effetto della covarianza fra gli asset detenuti. In questo contesto, risulta opportuno impiegare una misura analoga alla precedente, proposta da Treynor, che utilizza per rettificare i rendimenti esclusivamente il rischio sistematico, espresso dal beta.

Il Treynor ratio è definito dal seguente rapporto:

Dove è il rendimento del fondo, è il rendimento di un titolo privo di rischio e è il beta del fondo rispetto ad un opportuno benchmark o indice di mercato.

Questa misura di RAP esprime la performance del fondo secondo lo stesso principio logico della misura di Sharpe, indica cioé quanto extra-rendimento l'investimento ha fornito per ogni unità di rischio sistematico aggiuntivo assunta

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dal fondo, ed anche in questo caso è preferibile il fondo che ha ottenuto una misura più elevata.

Il Sortino Ratio

Un terzo indice, di pubblicazione più recente, è quello proposto da Sortino (1994). L‟obiettivo dell‟indice è di fornire una misura della capacità della gestione di creare extrarendimenti rispetto ad un rendimento minimo accettabile (o MAR10), o rendimento-obiettivo, tenendo in considerazione esclusivamente il downside risk, che a sua volta è calcolato come deviazione standard degli scostamenti negativi tra il rendimento del fondo ed il MAR. Analiticamente, è espresso dalla formula:

Dove indica il rendimento minimo accettabile richiesto dall‟investitore e è il downside risk, cioè la volatilità dei rendimenti inferiori al MAR. Le motivazioni che hanno portato all‟individuazione di questa misura scaturiscono da due punti di criticità legati alla misurazione della performance:

Un corretto approccio alla valutazione della performance richiede di tenere in considerazione il rendimento minimo che l‟investitore si attende dall‟investimento, e non esclusivamente il rendimento privo di rischio;

La reale percezione del rischio da parte degli investitori non si rivolge ai rendimenti realizzati superiori alle attese, ma si concentra esclusivamente sui rendimenti non desiderati, vale a dire, quelli inferiori al MAR.

10 Il Minimum Acceptable Return, può ben essere il rendimento risk-free, ma non esclude che possa

essere espresso con un qualsiasi benchmark statico (per esempio, rendimento annuo del 6 %) o dinamico (per esempio, il rendimento dell‟Euribor 6 mesi, nello stesso periodo)

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Nella prassi, lo Sharpe Ratio è la misura di performance aggiustata per il rischio più frequentemente impiegata come strumento informativo. Questo perché, facendo riferimento alla redditività ed alla rischiosità dell‟investimento a se stante, risulta un‟informazione che può essere trasmessa più facilmente a tutti i potenziali risparmiatori. L‟impiego del Treynor Ratio come strumento informativo è meno usuale perché presuppone l‟individuazione del parametro di riferimento per ogni fondo, e/o della serie dei rendimenti del portafoglio per ogni cliente. L‟indice di Sortino è stato introdotto solo recentemente nel panorama delle misure di RAP e tuttora è raramente noto ai non addetti ai lavori. La complessità relativa di calcolo dell‟indice però hanno sfavorito ad oggi l‟utilizzazione e probabilmente graverà sulla sua diffusione futura.

1.2.2 L’alfa di Jensen

Sulla base della formulazione del Capital Asset Pricing Model (CAPM), Jensen propose nel 1967 un modello capace di cogliere un aspetto rilevante della performance: l‟effetto dell‟attività del gestore, ed in particolare quello conseguente alla scelta dei titoli su cui investire il capitale gestito.

Il CAPM è un modello di equilibrio secondo il quale il valore atteso dei rendimenti di un portafoglio di titoli è uguale al tasso di rendimento privo di rischio più il risk premium moltiplicato per il beta del fondo, ovvero il rischio sistematico del suo portafoglio:

Dove le tilde caratterizzano variabili casuali, è il tasso di interesse privo di

rischio uniperiodale, è il beta associato al fondo j e rappresenta il rendimento atteso uniperiodale del “portafoglio di mercato”.

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Assumendo che il CAPM sia verificato, si può stabilire che:

In cui, invece dei valori attesi dei rendimenti sono inseriti i rendimenti realizzati nel periodo t, ed è una variabile casuale indipendente, distribuita

normalmente e con valore atteso uguale a zero. Con questa impostazione, i ritorni realizzati da un portafoglio possono essere espressi come funzione lineare del beta del portafoglio, del premio per il rischio realizzato sul mercato ed di un termine erratico il cui valore atteso è zero.

Se il manager è in grado di scegliere i titoli migliori secondo un criterio non casuale, fra i titoli del mercato (ad esempio, come conseguenza delle informazioni in suo esclusivo possesso, o in base a capacità di valutazione ed elaborazione differenti, e migliori, degli altri investitori) l‟effetto sulla regressione di questo modello sarà di ottenere in media . È possibile

cogliere questa maggior capacità, l‟extra rendimento dovuto al gestore utilizzando il modello di regressione:

Dove dovrebbe nuovamente avere , e dovrebbe essere serialmente

indipendente.

Un alfa positivo indica che i criteri di gestione del portafoglio del manager aggiungono valore al fondo, mentre un alfa negativo caratterizza un gestore dalle scarse capacità la cui attività riduce la redditività del fondo.

L‟alfa è una misura RAP perché individua la redditività del fondo tenendo in conto l‟esposizione al rischio del fondo (tramite il coefficiente beta). Percui se un fondo comune di investimento ottiene un elevato rendimento medio non per le capacità del manager, ma semplicemente perché questi ha caricato il portafoglio

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di un elevato livello di rischio (elevato beta), ciò non sarà compreso nell‟alfa di Jensen.

Questa misura risk-adjusted si discosta dalle altre già citate perché non esprime la profittabilità del gestore in termini di rendimento per unità di rischio, ma cogliendo la redditività come extra performance rispetto ad un fattore di rischio, quantifica, rispetto ai rendimenti ottenuti, la capacità “personale” del gestore di generare quei rendimenti al di là di quelli legittimamente attesi in base all‟esposizione al fattore di rischio individuato.

Il CAPM, in quanto modello matematico, si fonda su un set di ipotesi concernenti la dinamica dei mercati finanziari. La validità del modello è stata oggetto di verifica fin dalla sua introduzione, con risultati alterni, talvolta decisamente favorevoli, talora contrastati e contrastanti, sulla sua correttezza. Dalle numerose critiche che ne sono scaturite ancora oggi non si è arrivati ad una soluzione decisiva, sebbene siano stati presentati modelli alternativi di pricing, fra cui spiccano per importanza i modelli multifattoriali derivati dalla Arbitrage Pricing Theory (APT) di Ross (1977).

Nonostante da un punto di vista pratico il CAPM abbia da subito raccolto numerosi consensi, la prima, sostanziale, critica alla sua validità, supera la correttezza formale matematica, ed aggredisce la bontà del modello da un punto di vista logico. Il punto fu sollevato per la prima volta da Roll (1977)11 in quella che oggi è famosa come Roll‟s critique; Roll afferma12

che: “(a) Nessuna verifica corretta e non ambigua della teoria è stata presentata in letteratura, e che (b) non c‟è possibilità in pratica che una verifica d‟ipotesi possa essere portata a termine con successo in futuro”. Egli sostiene che la teoria su cui si fonda il modello è equivalente ad affermare che il portafoglio di mercato è efficiente in un sistema media-varianza e, quindi, quando portafogli che includono solo un campione

11 Roll, R., 1977, "A Critique of the Asset's Pricing Theory's Tests: Part I," Journal of Financial

Economics 4, 129-176

12 "(a) No correct and unambiguous test of the theory has appeared in the literature, and (b) there is

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delle attività investibili sono impiegati come proxy del vero portafoglio di mercato, non si verifica realmente la validità del CAPM, ma si tradurrebbe di fatto in un test sull'appartenenza alla frontiera efficiente della particolare proxy del portafoglio di mercato utilizzata. Poiché il fatto che la proxy appartenga o meno alla frontiera efficiente poco o nulla dice sul portafoglio di mercato in sé, il CAPM non può essere oggetto di verifica empirica.

Una seconda critica sostanziale, capace di toccare la validità del modello nella pratica, è stata portata da Fama e French (1992,1993), i quali riescono ad individuare portafogli ad investimento zero caratterizzati da rendimento positivo, in base a strategie di investimento oggettivo e replicabili. Questo risultato si scontra con il CAPM perché individua in questi fattori13, diversi dal rischio di mercato, elementi rilevanti per il calcolo del prezzo corretto di un asset finanziario. Un modello di asset pricing fondato sul solo fattore rischio di mercato risulta insufficiente ai fini di una corretta valutazione.

Nello stesso periodo, Jegadeesh e Titman (1993) individuano un ulteriore fattore di rischio da tenere in considerazione nei modelli di pricing, questo fattore può essere colto dal momentum nei prezzi, ovvero la direzionalità del valore attribuito dal mercato agli asset. Gli autori, come Fama e French, sono in grado di costruire portafogli di titoli azionari ad investimento zero sulla base di strategie “momentum-based14” che realizzano stabilmente rendimenti positivi15.

13

(1) La dimensione delle imprese e, (2) il rapporto valore di libro - valore di mercato dei titoli azionari.

14 Una strategia momentum-based prevede l‟individuazione dei titoli che hanno ottenuto i migliori ed i

peggiori rendimenti sul mercato, quindi acquista un portafoglio di migliori e vende un portafoglio dei peggiori. Il momentum è un riferimento al momento di inerzia, per il quale, i titoli con i migliori rendimenti tenderebbero a mantenersi tali per un periodo di tempo abbastanza lungo, e viceversa per i titoli con i peggiori rendimenti.

15 Il fattore “momentum” si è rivelato il più stabile nel tempo, come dimostra una successiva

pubblicazione di Jegadeesh (2000) in cui rileva la perdurante validità del fattore di rischio come elemento capace di generare rendimenti positivi in portafogli opportunamente costruiti secondo le medesime strategie di investimento della prima pubblicazione.

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1.2.3 Regressioni multi-fattoriali

L‟introduzione nella prassi finanziaria delle regressioni multifattoriali come modelli di pricing risale all‟ articolo di Ross (1976) nel quale l‟autore presenta la Arbitrage Pricing Theory. Questa teoria sostiene che i rendimenti attesi di un titolo finanziario possano essere modellati come funzione lineare di una serie di fattori macroeconomici o di indici di mercato, dove la sensibilità al cambiamento in ogni fattore è rappresentata da uno specifico coefficiente beta. Il CAPM può essere considerato un caso particolare di questa teoria in cui l‟intera dinamica del prezzo del titolo finanziario può essere spiegata in base alle variazioni di un solo fattore esplicativo, l‟indice di mercato.

Il grande vantaggio delle regressioni multivariate risiede nella possibilità di individuare, nello studio dei fondi comuni di investimento, fattori chiave di successo o insuccesso. Allo stesso tempo, ai modelli multifattoriali può essere applicato il costrutto logico dell‟alfa di Jensen e per questo si può rilevare quanta parte del rendimento in eccesso del fondo è il risultato della gestione e quanta risulta dalle sole caratteristiche di posizionamento16 del fondo.

Sulla base delle critiche e anomalie del CAPM sono stati individuati diversi modelli multifattoriali, i quali prendono spunto dal primo modello di questo tipo, il modello di regressione multivariato a tre fattori di Fama e French (1993):

In cui è il rendimento in eccesso del portafoglio del fondo rispetto al

rendimento privo di rischio; è il risk premium, [ ]; è la

differenza di rendimento tra due portafogli, uno composto da titoli a bassa capitalizzazione ed uno costituito da titoli ad alta capitalizzazione (SMB, small minus big); Similmente è la differenza tra il rendimento di un portafoglio

16

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composto da titoli con alto BE/ME (titoli value) e il rendimento di un portafoglio di titoli con basso BE/ME (titoli growth) (HML, high minus low).

Carhart (1997) sulla base del precedente modello, ma tenendo conto del risultato evidenziato da Jegadeesh e Titman propone un modello a 4 fattori:

In cui è il rendimento di un portafoglio zero investment, long sui titoli azionari che hanno ottenuto i migliori rendimenti e short sui titoli con rendimento peggiore nell‟anno t-1.

Anche Elton et al.(1996) impiegano un modello a quattro fattori, ma questo differisce dal modello di Carhart in quanto introduce un indice obbligazionario fra i fattori di rischio. Essi constatano che che il portafoglio detenuto dai fondi comuni azionari non è praticamente mai investito interamente in titoli azionari, ma che una porzione del patrimonio è abitualmente investita in titoli obbligazionari o in strumenti di liquidità. Per questo essi ritengono opportuno inserire nel modello, come quarto fattore esplicativo, il rendimento in eccesso di un indice obbligazionario rispetto al rendimento risk-free:

In cui, , , sono i fattori del modello di Fama e French, mentre

rappresenta il rendimento in eccesso del fondo rispetto ad un indice obbligazionario.

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1.3 Il ruolo del benchmark

Da un punto di vista normativo, il benchmark è il parametro oggettivo di riferimento per la valutazione dell‟attività del fondo. Costituisce, in primo luogo, uno strumento di informazione all‟investitore circa le componenti, ed i rispettivi pesi, mediamente detenute nel portafoglio del fondo comune. Questo termine di riferimento permette di cogliere, a priori, il profilo di rischio dell‟investimento e le opportunità di mercato cui il fondo si rivolge, e consente a posteriori di effettuare una valutazione della qualità della gestione sia in termini di redditività sia in termini di rischiosità. Il benchmark dichiarato dal fondo fornisce al gestore una struttura di riferimento cui attenersi, salve le scontate scelte strategiche di investimento. Nella valutazione a posteriori, risulterà decisamente semplice verificare come le scelte del gestore abbiano allontanato, ed in quale direzione, i rendimenti del fondo dai rendimenti del benchmark. Quanto più questi saranno distanti gli uni dagli altri, tanto più le scelte del gestore avranno influito sui risultati finali, e tanto più ampio sarà favorevole o sfavorevole il giudizio degli investitori.

Nel campo della ricerca sulla misurazione della performance, invece, con “benchmark” ci si riferisce usualmente al portafoglio di titoli impiegato per le stime della performance attraverso modelli fattoriali. Il dibattito sulle caratteristiche di questo portafoglio e sulle qualità e criticità legate a questa scelta è stato vivace e ha portato nel corso del tempo a differenti posizioni.

Le conclusioni dei primi ricercatori che hanno affrontato il tema suggerirebbero che procedure alternative di aggiustamento per il rischio portino a minime differenza nelle misure di performance. Stambaugh (1982)17 mostrò che la scelta di differenti proxy di mercato comporta minime differenze sul CAPM. Anche Roll (1979)18 riscontrò che tre differenti proxy di mercato portavano a misure di performance quasi identiche su portafogli casuali e che l‟aggiustamento per il

17 Robert F. Stambaugh, “On the Exclusion of Assets from tests of two Parameter Model”, Journal of

Financial Economics 10 (1982), 235-268

18 Richard W. Roll, “Sensitivity of Performance Measurement to Index Choice: Commonly-Used

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rischio risultante forniva lo stesso tipo di ordinamento rispetto all‟ordinamento ottenuto senza alcun aggiustamento.

L‟idea che le le misure di RAP siano insensibili alla scelta del benchmark è stata però contrastata in un pluricitato articolo di Lehmann e Modest (1987) i quali mettono a confronto la consistenza di differenti misure di performance APT (di cui il CAPM è l‟espressione più semplificata). Essi rilevano in primo luogo come gli alfa medi siano considerevolmente dipendenti dal numero di titoli inserito nel portafoglio; poi notano che la correlazione intertemporale fra le misure di performance è soggetta a notevoli variazioni al mutare della numerosità del portafoglio; infine, utilizzando un modello di pricing APT e diversi benchmark nel CAPM notano come gli alfa medi risultino sostanzialmente diversi ed in particolare molto minori quelli dell‟APT.

Nell‟analisi empirica della tesi si terranno in considerazione queste considerazioni riguardanti la scelta del benchmark. Per questo motivo, tutte le analisi verranno svolte impiegando almeno due distinte misure di RAP, ed impiegando, laddove richiesto almeno due indici di mercato per la costruzione della serie storica del premio per il rischio.

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Capitolo 2

Performance persistence e la Efficient Market Hypotesis

Le particolari condizioni di operatività dei fondi comuni di investimento19 rendono questa tipologia di attività di investimento l‟oggetto di osservazione più vicino all‟investitore razionale che gli studiosi siano in grado di individuare sul mercato20. Le scelte dei gestori di questi prodotti di investimento, sia da un punto di vista reddituale/performance, sia da un punto di vista comportamentale, sono periodicamente impiegate per la verifica della validità del CAPM come modello di equilibrio, e/o per la verifica dell‟ipotesi di efficienza dei mercati finanziari.

2.1 La Efficient market Hypotesis (EMH)

Quando ci si riferisce a mercati finanziari efficienti, ci si riferisce sostanzialmente ad una condizione del mercato finanziario per cui i prezzi (ed i rendimenti) delle attività finanziarie risultano dall‟incontro di domanda e offerta su mercati concorrenziali, popolati da investitori razionali. Questi investitori razionali sono in grado di assimilare rapidamente qualsiasi informazione

19

La gestione professionale di portafogli di grandi dimensioni, estremamente diversificati, nonché il ruolo di investitore istituzionale.

20 Volendo essere più precisi, l‟attività più vicina all‟investitore razionale è l‟attività degli “hedge fund”.

L‟attività di questa tipologia di investimento è però scarsamente soggetta a vincoli informativi, per cui seguirne le scelte di investimento risulta difficile, spesso incompleto e forzatamente discontinuo.

(21)

rilevante per la determinazione dei prezzi e dei rendimenti e modificano i prezzi di conseguenza. Per questo motivo, nessun investitore ha un vantaggio rispetto agli altri nell‟acquisire le informazioni e ne consegue che non ci dovrebbero essere opportunità di rendimenti in eccesso oltre alla remunerazione equa per l‟investimento in un titolo rischioso.

Su questa base si assume che tutte le informazioni presenti e passate siano incorporate subito nei prezzi correnti, e che la deriva dei prezzi dovrebbe essere causata esclusivamente da nuove informazioni (news).

Poichè, per definizione, le news non sono prevedibili, allora i cambiamenti dei prezzi (cioè i rendimenti) dovrebbero essere imprevedibili: nessuna informazione relativa al tempo t o precedente dovrebbe aiutare a migliorare la previsione dei rendimenti fatta da ciascun individuo. Si possono riassumere le idee di base dell‟EMH in:

(i) Ogni investitore agisce come se avesse un modello di determinazione dei rendimenti (prezzi) di equilibrio;

(ii) Gli investitori usano tutte le informazioni rilevanti allo stesso modo per calcolare i rendimenti di equilibrio. Gli errori di previsione (e i rendimenti in eccesso) sono imprevedibili date le informazioni al momento della previsione; (iii) Gli investitori non posson ottenere utili in eccesso ripetuti.

La visione che il rendimento di un titolo finanziario sia determinato da scelte di agenti razionali in un mercato competitivo e che i rendimenti di equilibrio riflettano tutte le informazioni disponibili al pubblico è condivisa tra gli economisti. Tale ipotesi però ha due importanti implicazioni per gli investitori dei mercati finanziari:

I) l‟investitore dovrebbe semplicemente adottare una politica di investimento uniperiodale di tipo“buy and hold”,

II) gli analisti dovrebbero limitarsi a suggerire come diversificare in modo da approssimare il più possibile il portafoglio di mercato.

Questo tipo di comportamento appare sostanzialmente disatteso dalla realtà dei fatti, in cui si osservano in modo continuo dinamiche di tipo speculativo, e da ciò

(22)

scaturisce una forte motivazione da parte degli studiosi per effettuare verifiche della EMH.

Una seconda motivazione decisamente importante è legata al fatto che nella EMH si assume come valido un modello capace di individuare il rendimento equo di un titolo finanziario. Poiché verificare la validità della EMH richiede di verificare i rendimenti sulla base di un modello di equilibrio, e successivamente di controllare se ci si discosta in modo significativo dai rendimenti realizzati, una verifica dell‟EMH consiste essenzialmente in una verifica congiunta della validità del modello e dell‟efficienza.

Esistono tre forme universalmente riconosciute di efficient market hypothesis: efficienza in forma debole, efficienza in forma semi-forte ed efficienza in forma forte, ognuna delle quali implica differenti interpretazioni su come efettivamente operi il mercato.

Efficienza in forma debole

I prezzi correntemente osservati sul mercato contengono tutte le informazioni disponibili nel passato, e che nel passato sono state ricomprese nel prezzo di allora. Conseguenza di questa ipotesi è che le tendenze recenti o di lungo termine del prezzo di un titolo finanziario, non danno possibilità di predire quelli futuri e a scegliere su quali titoli finanziari puntare.

In un mercato efficiente in forma debole, non è possibile realizzare extrarendimenti e, di conseguenza, le strategie di trading non possono procurare extraprofitti.

Efficienza in forma semi-forte

La forma semi-forte di efficienza implica che i prezzi si adeguano rapidamente e correttamente alla diffusione di nuove informazioni Prezzi correnti riflettono dati su prezzi passati ed incorporano tutte le informazioni correnti e prospettiche. La

(23)

verifica di questa forma di efficienza si basa sulla considerazione che gli investitori non dovrebbero essere in grado di ottenere profitti costantemente „anomali‟ sulla base di informazioni di pubblico dominio.

Efficienza in forma forte

Si ha efficienza in forma forte quando i prezzi sono tali da scontare, oltre alle informazioni attinenti ai precedenti gradi di efficienza, anche quelle che non diventano pubbliche, e che restano nelle mani di pochissime persone (gli insider21), impedendo anche a questi ultimi di battere il mercato. si verifica efficienza informativa in forma forte quando l‟insieme delle informazioni sintetizzate dal prezzo corrente è costituito dalle informazioni storiche dei prezzi, della informazioni pubbliche e della informazioni private.

2.2 Misure di persistenza

Lo studio della performance persistence si rivolge a verificare la forma semi-forte di efficienza del mercato; nel caso dei fondi comuni di investimento, consiste essenzialmente nel verificare la capacità dei fondi di ottenere rendimenti stabili nel tempo, tali da far si che si posizionino, rispetto al complesso dei fondi, stabilmente o nelle prime o nelle ultime posizioni. Come accennato in precedenza le implicazioni seguenti ai risultati di questo tipo di indagine sono estremamente rilevanti poiché riguardano la EMH22, e, di conseguenza, gran

21 Una definizione restrittiva di “insider” fa riferimento solo ai dirigenti e amministratori di un‟impresa;

una più larga considera anche l‟esistenza di un rapporto fiduciario con l‟impresa. In questa accezione possono essere insider anche i banchieri, i consulenti, i clienti importanti, ecc… E‟ controverso se debbano essere considerati come insider solo le persone fisiche o anche le società.

22 La prima definizione di mercato efficiente (EMH) (“A market is efficient with respect to information

set t it is impossibile to make economic profits by trading on the basis of information set t”, Roberts

(24)

parte della teoria che spiega le dinamiche dei mercati finanziari. Nel proseguio di questo capitolo si presenteranno i metodi utilizzati in letteratura per osservare il grado di persistenza nei rendimenti dei fondi, mentre si rinvia al quarto capitolo una descrizione più estesa degli strumenti che saranno impiegati nell‟analisi condotta.

Poiché esistono molte differenti misure di persistenza è opportuno procedere ad una preliminare differenziazione di queste. In primo luogo queste si dividono tra]metodologie a due periodi e metodologie multiperiodo. Nel primo caso, il computo viene svolto su due periodi consecutivi, siano ad esempio mesi, mentre nel secondo caso le misure sono calcolate su più periodi consecutivi. Le metodologie statistiche che impiegano una cornice basata su modelli biperiodali possono ulteriormente essere distinte fra quelle che prevedono un approccio parametrico e quelle che presentano un approccio non parametrico. A questa ultima categoria appartengono i cross-product ratio test e il chi-quadro test basati su tavole di contingenza, il rank information coefficient test, lo Spearman‟s rank correlation test ed il test di Hurst. L‟approccio parametrico prevede invece l‟impiego di una regressione lineare. La metodologia statistica multiperiodale prevede l‟impiego del test di Kolmogorov/Smirnov.

2.2.1 Test non parametrici

La metodologia sicuramente più semplice ed intuitiva sfrutta tavole di contingenza, in cui i fondi sono distribuiti fra vincenti e perdenti. Questo tipo di verifiche prevede che venga svolto un confronto fra le redditività dei fondi nei due periodi consecutivi di cui si hanno a disposizione i dati; in ogni periodo, si considerano tutti i fondi attivi alla fine del precedente intervallo di tempo e si costruisce una tavola di contingenza di winners e losers, nella quale un fondo è definito winner se la misura di performance è più grande della mediana della

Granger e Timmermann 2003) seguiti all‟introduzione di nuovi modelli di pricing e all‟incrementata capacità di calcolo per l‟analisi del mercato finanziario.

(25)

performance di tutti i fondi in quel periodo, altrimenti si definisce loser. Si ha stabilità di posizionamento per quei fondi che sono winner in entrambi i periodi, e si denotano con WW, o che sono loser in entrambi i periodi, denotati con LL. In modo simile, winner in un primo periodo e loser nel secondo sono denotati WL, e

LW nel caso opposto.

Questa struttura permette di utilizzare il Cross-product ratio test ed il Pearson’s

T-test per verificare la presenza di persistenza.

Cross Product Ratio test

Il Cross Product Ratio (CPR) test23 evidenzia il rapporto fra i fondi che mostrano performance persistence ed i fondi che invece non ne sono caratterizzati.

,

il CPR è uguale ad 1 nell‟ipotesi nulla di nessuna persistenza, questo caso vuol dire che ognuna delle quattro categorie in cui sono stati divisi i fondi, WW, WL, LW, LL, rappresenta numericamente il 25% di tutti i fondi.

La significatività statistica del CPR può essere verificata impiegando lo scarto quadratico medio del logaritmo naturale del CPR. La statistica Z risultante è il rapporto tra il logaritmo naturale del CPR e scarto quadratico medio del logaritmo naturale dell‟indicatore.

Essendo corrispondente ad una distribuzione normale standard, un valore maggiore di 1.96 (2.58) indica persistenza ad un livello di confidenza del 5% (1%).

23

(26)

Pearson’s T-test

Come supporto alla verifica dell‟ipotesi precedente, o come metodologia di calcolo alternativa, si può impostare il test non parametrico di Pearson24 anch‟esso basato sul numero di Winner e Loser. La distribuzione osservata delle categorie WW,WL,LW e LL viene messa a confronto con la distribuzione attesa nel caso in cui non vi sia alcuna persistenza. La statistica è:

Dove:

Nel calcolo di D1, D2, D3 e D4, il pedice T indica il numero teorico di fondi che apparterrebbero a ciascun raggruppamento sotto l‟ipotesi che vi sia assenza di persistenza. La statistica segue una distribuzione con un grado di libertà, percui un valore di maggiore di 3.84 (6.64) è indice di persistenza ad un

livello di confidenza del 5% (1%).

Casarin et al. (2002) impiegano la stessa metodologia ridefinendo “Winner”25 i fondi che abbiano ottenuto un rendimento26 superiore al 75-esimo percentile della

24

Park, J. M., and J. C. Staum: Performance Persistence in the Alternative Investment Industry, Working Paper, December 1998.

25 I fondi che ottengono un rendimento inferiore al 75-esimo percentile vengono definiti losers. In questo

caso le distribuzioni teoriche D1, D2, D3 e D4 assumono valori diversi fra loro(nella versione standard, D1=D2=D3=D4= 1/4*N) per corrispondere alla distribuzione ipotetica di persistenza nulla

26

Questo test può essere impiegato su qualsiasi misura di rendimento aggiustata per il rischio. L‟impiego di una misura di rendimento semplice avrebbe sarebbe distorta verso i fondi con un profilo di rischio/rendimento incrementando la probabilità degli eventi estremi, ovvero la performance persistence o la reverting performance. In ogni caso alterando la reale stabilità nelle graduatorie dei rendimentidel campione.

(27)

graduatoria dei rendimenti dei fondi. Il test impiega la stessa statistica della versione standard, modificando opportunamente le distribuzioni teoriche in assenza di persistenza.

Rank Information Coefficient test

Il rank information coefficient 27 (RIC) misura la correlazione tra il valore di una variabile data nel periodo 1 ed il suo valore nel periodo 2. La significatività statistica del RIC può essere verificata con la statistica T di Fisher:

dove N è il numero di rendimenti dell‟i-esimo fondo. Questa statistica corrisponde alla distribuzione T percui un valore maggiore di 1.96 (2.58) indica persistenza ad un livello di confidenza del 5% (1%).

Spearman’s Rank Correlation test

Il Rank Correlation test di Spearman sfrutta le graduatorie di redditività stilate su periodi successivi non sovrapposti. In caso di persistenza, i fondi migliori manifestano la tendenza a mantenere lo stesso posizionamento nelle graduatorie di due periodi consecutivi, il coefficiente di correlazione dovrebbe essere vicino ad 1, mentre una correlazione pari a zero è indice di assenza di persistenza.

27 Herzberg, M. M., and H. A. Mozes (2003): The Persistence of Hedge Fund Risk: Evidence and

(28)

Dove è la differenza fra la posizione in graduatoria ottenuta nel primo periodo di osservazione e la posizione ottenuta nel secondo periodo di osservazione ed è il numero di fondi in analisi. La significatività statistica del coefficiente di correlazione di Spearman può essere valutata tenendo in considerazione la statistica T di Fischer descritta in precedenza.

Il Rank Information Coefficient e lo Spearman Correlation test come strumento di indagine offrono un‟alternativa alla metodologica “Winner vs Loser”, ma sono soggetti a distorsioni nei risultati presentati in presenza di distribuzioni anomale dei rendimenti calcolati. Per questo, è stato proposto il test dell‟esponente di Hurst.

Hurst Exponent

L‟Hurst Exponent è un metodo non parametrico che ha il vantaggio di non essere vincolato da assunzioni sulla distribuzione dei rendimenti. Questa metodologia evidenzia se un trend (positivo o negativo) persiste o è mean reverting. L‟esponente di Hurst è calcolato con

Dove è il range ottenuto come differenza tra il massimo ed il minimo della sommatoria cumulata degli scarti dalla media delle osservazioni del campione considerato, e è la deviazione standard delle osservazioni del campione della serie storica in esame. L‟esponente di Hurst permette di distinguere una serie di dati la cui struttura è governata da un processo casuale da una in cui tale processo non si può definire propriamente di tipo random walk. Un valore tra 0 e 0,5 indica un comportamento di tipo reversal mentre un valore tra 0,5 e 1 indica persistenza nei rendimenti. Per verificare la significatività dell‟esponente

(29)

osservato si può calcolare la statistica T utilizzando lo scarto quadratico medio annualizzato ( ).

Essendo corrispondente ad una distribuzione t, un valore maggiore di 1.96 (2.58) indica persistenza significativa ad un livello di confidenza del 5% (1%).

2.2.2 Verifica di persistenza parametrica

Come strumento di indagine le regressioni à la Jensen possono essere impiegate anche per lo studio della performance persistence. La procedura base si sviluppa in tre passaggi: il periodo di osservazione deve essere diviso in due intervalli temporali consecutivi e di eguale ampiezza; il secondo passaggio prevede di calcolare gli alfa dei fondi osservabili per il primo e per il secondo periodo, ottenendo una coppia di alfa per ogni fondo di investimento, quindi si regrediscono gli alfa del secondo periodo sugli alfa del primo, e si osserva il coefficiente angolare della retta di regressione28. Un coefficiente angolare positivo, e significativo, permette di rifiutare l‟ipotesi nulla in base alla quale non vi sia persistenza della redditività ed evidenzia in questo caso che la performance passata si colloca in relazione positiva con la performance futura. In egual modo, ma con significato opposto, un coefficiente negativo implicherebbe un reversal29 della performance fra il primo periodo di osservazione ed il seguente.

Ciò nonostante, Grinblatt e Titman (1992) rilevano che la procedura standard per il calcolo della statistica t per il coefficiente angolare di una regressione sull‟indistinta popolazione dei fondi è una statistica che non è realmente t-distribuita. Questo avviene perché un gran numero di fondi mantengono portafogli simili e per questo hanno residui di regressione fortemente correlati.

28 La regressione lineare è ottenuta con il metodo dei minimi quadrati ordinari.

29 Con reversal ci si riferisce correntemente nel linguaggio anglosassone all‟inversione di un trend tra un

(30)

Per superare questo bias gli autori propongono di utilizzare un test t alternativo, derivato dalla procedura time-series introdotta da Fama e MacBeth (1973). Si definisce αi il rendimento in eccesso dell‟i-esimo fondo calcolato rispetto al rendimento medio in eccesso di tutti i fondi nel campione nel primo periodo. Per costruzione, la somma degli αi è uguale a zero, per cui un portafoglio costruito con pesi proporzionali agli αi ha costo zero. Si considerino adesso, per i rendimenti dei fondi nel secondo periodo temporale, le seguenti medie pesate:

Dove è il t-esimo rendimento del i-esimo fondo e è la varianza dei rendimenti in eccesso dei fondi calcolata nel primo periodo, moltiplicata per il numero dei fondi.

Poiché ogni fondo è pesato sul rapporto , si può osservare che la serie

storica , così costruita, rappresenta il rendimento di un portafoglio a costo

zero dei fondi disponibili (nel secondo periodo). Regredendo questa serie storica sul medesimo benchmark impiegato per ricavare gli alfa con la procedura standard, l‟intercetta ottenuta dalla regressione è algebricamente identica al coefficiente angolare, calcolato con il metodo dei minimi quadrati, ottenuto con la regressione degli alfa del secondo periodo sugli alfa del primo periodo. Tuttavia, differentemente dalla statistica t stimata con la regressione cross-section, la statistica t generata con la regressione time-series non è distorta sotto l‟ipotesi nulla che i residui siano normalmente ed indipendentemente distribuiti.

2.1.3 Il test di Kolmogorov/Smirnov

Quando l‟abbondanza di dati lo consente, è possibile utilizzare per la verifica della persistenza il test di Kolmogorov-Smirnov. Il Kolmogorov/Smirnov

(31)

ad un approccio multiperiodale, e consente di ottenere attraverso un singolo test, di ottenere risultati più robusti sulla eventuale persistenza nelle graduatorie. Applicativamente, la metodologia non diverge molto dalla procedura prevista per il test di Pearson e del CPR. In ogni periodo va rilevata la collocazione di ciascun fondo in modo tale da avere una definizione di Winner o Loser per ogni periodo compreso nel test, quindi si applica la statistica del test.

In un test su tre periodi, per l‟ipotesi nulla di assenza di correlazione, la probabilità teorica di ogni manifestazione è un ottavo. Utilizzando questo test nella versione che prevede la ripartizione in due campioni della popolazione, come per i test già visti, si verifica l‟ipotesi che la distribuzione osservata sia statisticamente differente dalla distribuzione teorica che si avrebbe in assenza di

persistenza. Un valore di KS maggiore di indica persistenza

significativa ad un livello di confidenza del 5% (1%).

Dove è il numero totale di fondi nel campione. Questa metodologia, più delle altre, richiede

(32)

Capitolo 3

Il Survivorship bias

Quando un fondo cessa di essere negoziato, sia perché oggetto di fusione con un altro fondo, sia perché liquidato, sia, ancora, perché abbia cambiato denominazione, le informazioni finanziarie (valore delle quote, rendimenti, commissioni, volumi, patrimonio) che lo hanno caratterizzato non sono più rintracciabili dopo un breve lasso di tempo. Questo fenomeno avviene perchè le società che forniscono raccolte di dati finanziari, eliminano tali informazioni in quanto non più utili agli investitori, i quali sono comprensibilmente interessati ai soli fondi che rappresentano un reale possibilità di investimento. In letteratura questo tipo di fenomeno è stato individuato già ai primordi della letteratura sui fondi comuni di investimento, definendo le conseguenze dovute alla perdita di questo tipo di informazioni con la denominazione di survivorship bias.

La valutazione della performance aggregata di un settore industriale non può però prescindere dall‟analisi della redditività di tutti gli attori di quell‟industria, salvo incorrere in una distorsione, la cui entità può essere considerevole, dei risultati osservati. Ma costruire, a ritroso nel tempo, un database non distorto può dimostrarsi estremamente difficoltoso, stanti il minimo interesse dei gestori30 a

30 Poiché non vi sarebbe ragione per la cessazione della gestione di un fondo florido, con tutta probabilità

la pubblicazione di questi dati avrebbe come conseguenza la riduzione della valutazione complessiva delle qualità e capacità di gestione riconosciute al manager

(33)

fornire questo genere di informazioni e lo scarso interesse31 della generalità degli investitori privati per studi riguardanti strumenti di investimento non più disponibili.

Sotto un altro punto di vista, un corretto approccio all‟analisi quantitativa e alle verifiche di ipotesi sui dati a disposizione richiede che per ogni fondo siano disponibili un certo numero di rilevazioni storiche. In alcuni casi, ed in particolare negli studi che richiedono un confronto intertemporale fra campioni, ciò può comportare l‟esclusione di quei fondi per i quali non si hanno dati per un periodo di tempo sufficiente, o che a loro volta sono usciti dal campione. Anche in questo caso, i risultati osservati possono essere condizionati dalla mancata sopravvivenza di parte della popolazione dei fondi all‟interno dell‟intervallo di tempo preso in considerazione.

Il primo tipo di condizionamento è denominato survivor bias o end-of-sample

conditioning, e vi si può porre parziale rimedio incrociando i dati provenienti dal

numero più elevato possibile di fonti, o ancora cercando di ottenere quante più informazioni possibili fra quelle mancanti rivolgendosi direttamente all‟ex gestore (se ancora esistente) o alle società che hanno fornito informazioni finanziarie nel periodo storico di cui si cercano i dati.

Il secondo tipo di condizionamento, denominato look-ahead bias, ha soluzione più difficile e spesso non può essere escluso del tutto; nella prassi, la soluzione proposta più comunemente è quella di modificare la metodologia statistica al fine di ridurre al minimo la perdita di informazioni. Sono anche stati proposti metodi di correzione statistica32.

Gli effetti del survivorship bias possono avere rilevanza notevole anche negli studi sulla performance persistence nei fondi comuni di investimento. L‟interesse di questo tipo di indagine verte sulla possibilità che un‟analisi compiuta su un

31 Una scelta di investimento consapevole in un fondo di investimento dovrebbe seguire anche un‟attenta

valutazione della società di gestione del risparmio cui è affidata l‟allocazione del patrimonio, e, quindi, le risorse conferite. Data le attuali norme sulla trasparenza, questo tipo di indagine in Italia, non è più proibitiva, ma si constata che l‟introduzione recente di queste norme, ha lasciato un velo di oscurità sugli anni precedenti. L‟introduzione fra gli obblighi informativi

32 Ter Horst, J.R., T.E. Nijman e M. Verbeek, Eliminating look-ahead bias in evaluating persistence in

(34)

campione distorto presenti risultati sostanzialmente differenti da quelli osservati per un campione non distorto. Si potrebbe presentare ad esempio il caso in cui, mentre il campione con bias mostri di persistenza di redditività, il campione completo non ne sia caratterizzato. Evidentemente, per le motivazioni accennate in precedenza, i due risultati hanno ripercussioni sostanzialmente differenti.

3.1 Cause di mortalità dei Fondi Comuni d’Investimento

In economia lo studio della mortalità è una materia di interesse trasversale e in continua evoluzione ed aggiornamento33. Questo tipo di indagine è rivolta ad individuare quali caratteristiche di un‟impresa, rispetto al settore industriale in cui opera, si dimostrino fattori esplicativi della cessazione dell‟attività. della stessa con maggiore probabilità; questo tipo di indagine ha fornito alcuni risultati, intuitivi e consolidati, per il mercato americano dei FCI, ma potrebbe essere interessante verificare questi risultati per il “giovane” mercato italiano. Si consideri a tal fine che fino al 1995, trascorsi dieci anni dall‟apertura del mercato, nonostante il forte incremento in termini numerici dei fondi attivi sulla piazza finanziaria italiana, Cesari e Panetta (2000) non rilevano alcuna mortalità nell‟industria e che in studi più recenti, seppur si accenni al fenomeno, questo non viene affrontato.

Tipicamente la scomparsa di un fondo comune di investimento è determinata dalla fusione in un altro fondo o dalla liquidazione; nella maggior parte dei casi, quindi, la scomparsa è conseguente ad una scelta deliberata di gestione, la quale presumibilmente è basata su un calcolo di profittabilità34.

33

Si vedano fra gli altri i più recenti: Bartelsman, E., S. Scarpetta e F. Schivardi, 2003, Comparative analysis of firm demographics and survival: micro-level evidence for the OECD countries, OECD Economic Department Working Papers No. 348; Cefis, E. e O. Marsili, 2004, A Matter of Life and Death: Innovation and Firm Survival, LEM Working Paper Series, 2005/1.

34 Considerato l‟elevato grado di concorrenza raggiunto dai mercati finanziari, si può imputare questa

scelta alla presenza (e all‟entità) della “domanda”. La domanda netta di quote in sottoscrizione determina la massa patrimoniale finale del fondo; poiché il profitto del gestore è strettamente legato al patrimonio totale gestito, se i riscatti superano le sottoscrizioni, e il patrimonio in attivo non è sufficientemente grande, il gestore può, a prescindere dalla redditività della gestione, non essere interessato a mantenere attivo il fondo.

(35)

Gli articoli di riferimento per questo tipo di indagine sono di Brown e Goetzmann (1995) e Carhart et al. (2002). In entrambi, vengono impiegati modelli probit per individuare l‟eventualità della scomparsa di un fondo come funzione di una specifica variabile.

Il più immediato dei fattori indagabili è la redditività. Data l‟importanza di questa come primo elemento di valutazione, ci si può attendere che esista una relazione negativa fra rendimenti ottenuti e la mortalità di un fondo. I risultati empirici ottenuti dagli autori citati confermano l‟ipotesi che rendimenti inferiori alla “concorrenza” aumentano la probabilità di un fondo di scomparire. Applicando modelli probit contenti i rendimenti ritardati, progressivamente, da uno a dieci anni, hanno permesso a Carhart di rilevare che i rendimenti relativi ai cinque anni precedenti ciascuna osservazione sono tutti statisticamente significativi e dello stesso segno, seppur con entità decrescente all‟aumentare del ritardo.

I rapporto dei costi di gestione rappresenta, nei risultati pubblicati, senza dubbio il secondo fattore in ordine di significatività statistica associato alla scomparsa di un fondo. I gestori dei fondi sostengono che i maggiori costi non riducono la performance perché rappresentano il prezzo pagato dai risparmiatori per ottenere prestazioni migliori; l‟evidenza empirica mostra invece che i fondi caratterizzati da costi di gestione hanno una probabilità più alta di essere tolti dal mercato. Questo risultato indica che la redditività della gestione non dipende dal costo sostenuto per il servizio. Ma anzi, tenendo presente che il fattore causa principale nella mortalità dei fondi è una scarsa redditività rispetto al settore, è probabile che i fondi con i più alti costi di gestione siano gli stessi che rendono meno. Considerata l‟importanza della performance, ci si potrebbe attendere che anche i flussi netti di patrimonio possano spiegare il successo di un fondo, sulla base della considerazione che i patrimoni dovrebbero fluire verso i fondi dalle prestazioni migliori. L‟evidenza empirica presenta una realtà che concorda solo debolmente con questa ipotesi: solo i flussi dell‟ultimo periodo precedente la scomparsa presentano un coefficiente diverso da zero che sia statisticamente significativo, coefficiente che d‟altro canto ha entità in valore assoluto molto inferiore rispetto a quelli ottenuti per gli altri fattori nel modello.

(36)

La dimensione relativa è infine l‟ultimo fattore per il quale i modelli probit hanno presentato coefficienti statisticamente diversi da zero. Un fondo più grande della media incorre nell‟evento della chiusura con minor probabilità; i gestori dei fondi percepiscono commissioni sulla base del patrimonio gestito e non solo sui rendimenti ottenuti dall‟attività di gestione, ne consegue che difficilmente un manager possa decidere di cessare l‟attività qualora si trovi ad amministrare una massa patrimoniale tale da ottenere introiti maggiori della concorrenza.

Fra le modalità di scomparsa di un fondo rientra senza dubbio la scelta dei gestori di modificare il nome o l‟oggetto di investimento del fondo. Questo fenomeno è stato oggetto di indagine in un articolo di Cooper et al. (2006), sulla spinta di un crescente interesse per i comportamenti irrazionali degli investitori di fronte alle scelte di investimento35. I risultati, possono essere riassunti come segue: i fondi tendono a modificare il proprio nome principalmente per sfruttare il magnetismo di una denominazione più vicina alle tendenze della domanda sul mercato36. Quando questo avviene, il fondo beneficia di afflussi extra rispetto ai flussi medi ottenuti prima del cambio di nome, mentre fra i fondi che, nello studio, hanno modificato il proprio nome in una denominazione che non collimi con le “tendenze” in atto, non si è osservato tale beneficio. Al contempo si rileva che al cambiamento di nome non consegue un miglioramento della redditività, la quale tende in verità ad essere inferiore a quella precedente il cambio di nome, né, spesso, consegue un reale cambiamento nelle caratteristiche del portafoglio. Gli autori proseguono lo studio con un‟indagine delle cause determinanti questa decisione; essi evidenziano che a compiere questo tipo di decisione sono principalmente fondi più vecchi della media, che presentano performance carenti

35 Goetzmann, Massa, and Rouwenhorst (2002), Behavioral factors in mutual fund flows, Working paper,

Yale School of Management; Hirshleifer, D. A., (2001), Investor psychology and asset pricing, Journal of Finance 56, 1533–

1597

36 Per comprendere meglio cosa si intende con tendenze della domanda, gli stessi autori citano un articolo

del Financial Times di Wine e Sullivan (2001) successivo allo scoppio della bolla speculativa:”Hundreds of U.S. mutual funds have altered their names this year to reflect the more sober mood of the markets— “New Economy” and “growth” are out, and “value” is definitely in.”

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