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Grazie a Shokri, Daria, Monica e Bruno. A loro dedico questo lavoro.

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Academic year: 2021

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Grazie a Shokri, Daria, Monica e Bruno. A loro dedico questo lavoro.

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Introduzione ... pag. 3

Capitolo I.

L’oggetto del contendere ... pag. 6 I.1 Breve excursus storico ... pag. 6

Capitolo II.

Le questioni sul tavolo dei negoziati ... pag. 16 II.1 L’acqua ... pag. 16 II.2 La terra ... pag. 18 II.3 La sicurezza ... pag. 20 II.4 L’opinione pubblica ... pag. 22

Capitolo III.

I negoziati dal 1991 al 1995 ... pag. 24 III.1 Le negoziazioni bilaterali del 1991-92 ... pag. 24 III.2 Le negoziazioni bilaterali del 1993-95 ... pag. 26

Capitolo IV.

Dalla ripresa dei negoziati al fallimento (1999-2000) ... pag. 31 IV.1 L’apertura di Barak ... pag. 31 IV.2 L’interruzione dei negoziati e la morte di Asad ... pag. 33 Conclusioni. L’arrivo di Bashar, il ruolo di Erdogan, e l’apertura di

Obama ... pag. 35

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Introduzione

Questo lavoro vuole essere un contributo ad approfondire la storia recente delle relazioni diplomatiche tra Siria e Israele a partire dagli anni novanta fino ai giorni nostri.

La Siria si è sempre considerata “il cuore dell’arabismo”1, il centro del nazionalismo arabo e della lotta contro il sionismo, conquistando una forte indipendenza sul piano internazionale nel periodo in cui Hafiz Al-Asad2 fu al potere. Asad emerse come leader del Partito Socialista della

Resurrezione Araba, il “Baath”3

Nei riguardi di Israele, Hafiz Al-Asad ha perseguito una politica inflessibile e senza compromessi, con l’obiettivo di riottenere le alture del Golan e risolvere la questione palestinese; la successione di Bashar Al-Asad ha sancito una sostanziale continuità con le politiche del padre. La Siria, infatti, è con il Libano, il solo paese confinante a non avere ancora firmato alcun trattato di pace con Israele.

, nato in Siria agli inizi degli anni quaranta, tuttora la principale forza di governo. L’ideologia baathista mirava proprio alla creazione di un singolo Stato arabo unificato e indipendente dal dominio straniero con lo slogan “Unità, Libertà, Socialismo”.

1

M. Galletti, Storia della Siria Contemporanea, Milano, Bompiani, 2006, pag. 137. 2

E’ la corretta traslitterazione dall’arabo del più comunemente diffuso “Hafez Al-Assad”. 3

Cfr. J. Galvani, Syria and the Baath Party, Washington, Middle East Research and Information Project, 1974, MERIP Reports No. 25 pp. 3-16.

(4)

Gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo attivo di mediatori e di arbitri nel lungo processo di avvicinamento siriano-israeliano: l’amministrazione di George Bush, con il congresso di Madrid, e quella Clinton, con i negoziati durante gli anni novanta, erano quasi riuscite a far raggiungere un accordo, sulla base delle richieste siriane del totale ritiro israeliano dalle alture del Golan occupate da Israele nella guerra del ’67. Dal 2001, l’amministrazione di George W. Bush, accusando la Siria di sostenere il terrorismo, ha invece esercitato per tutto il suo mandato pesanti pressioni diplomatiche al fine di rovesciare il sistema baathista per rimpiazzarlo con un regime più accondiscende alle strategie statunitensi e israeliane. Dal 2008, con l’avvento dell’amministrazione Obama, l’approccio degli USA nelle relazioni con il mondo islamico e i paesi arabi è cambiato. In particolare, lo scenario che si prospetta (dopo il discorso di Obama all’università del Cairo) è di una nuova fase di dialogo, sebbene la vittoria della destra di Netanhyau in Israele rappresenti un problema per una ripresa delle negoziazioni con Damasco.

Il motivo principale per cui ho scelto di trattare questo argomento è il profondo interesse che ho per la Siria, rafforzato dalla mia permanenza nel paese per alcune settimane nella seconda metà di dicembre 2007. Ho potuto constatare come in Siria moltissimi edifici pubblici espongano

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sempre accanto alla bandiera siriana quella palestinese. I rapporti con i palestinesi sono, infatti, particolarmente stretti e condizionano la politica regionale degli altri paesi arabi: in Siria vivono circa 400.000 palestinesi, godono degli stessi diritti dei cittadini siriani e a loro volta sono soggetti ai medesimi controlli; possono entrare nell’esercito, nel pubblico impiego, nelle scuole e al lavoro. La questione palestinese è quindi strettamente legata alle negoziazioni fra Siria e Israele.

Per quanto concerne le fonti cui ho attinto per la stesura del lavoro, la documentazione reperibile in Italia sull’argomento è piuttosto limitata: i libri pubblicati dopo la seconda metà degli anni novanta sono pochissimi e, perciò, mi sono dovuto affidare principalmente a saggi ed articoli di autori stranieri.

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Cap. I. L’oggetto del contendere I.1 Breve excursus storico

Spesso non si presta sufficientemente attenzione al fatto che il controllo dell’acqua è uno dei fattori principali del conflitto arabo-israeliano. A partire dagli anni cinquanta, si aggravò il contenzioso idrico tra Siria e Israele.

Prima della terza guerra arabo-israeliana, la frontiera siriano-israeliana seguiva la riva orientale del lago di Tiberiade, il Giordano, il lago Hula e gli affluenti a monte del lago; l’armistizio aveva trasformato queste terre contese in zone smilitarizzate. Nella prima metà degli anni cinquanta, Israele iniziò due importanti progetti di sviluppo – il drenaggio del lago Hula e il mutato percorso di parte delle acque del fiume Giordano. Entrambi si trovavano nella zona smilitarizzata. La Siria intimò a Israele di non proseguire i lavori poiché le zone non erano sotto la sovranità israeliana e i progetti avrebbero dato vantaggi economici e militari violando lo status delle zone. Israele ne reclamava la sovranità e pretendeva che l’armistizio non precludesse i lavori di sviluppo civile dell’area. Per questa ragione si sono moltiplicati gli incidenti, soprattutto a partire dal 19624

4

M. Galletti, op. cit., pag. 96. .

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Il 5 giugno 1967, Israele attaccò Egitto, Giordania e Siria. L’aviazione israeliana penetrò nei territori dei tre Stati distruggendo 416 aerei di cui 60 siriani5. Dopo aver acquisito il dominio totale dei cieli, attaccò l’esercito siriano con truppe elitrasportate sulle alture del Golan, che i siriani avevano trasformato in una roccaforte, e che costituirono il più conteso campo di battaglia tra i due eserciti. Le truppe siriane ebbero la peggio non potendo contare sull’appoggio aereo. Lo stesso governo contribuì alla perdita del capoluogo di Kuneitra annunciandone la caduta prima dell’occupazione. Probabilmente, sperava che l’annuncio avrebbe indotto le potenze a imporre un cessate il fuoco con Israele prima della caduta della città. Ebbe invece l’effetto opposto. Credendosi circondati, soldati e ufficiali fuggirono e dopo sei ore gli israeliani entrarono nella città (10 giugno) senza trovare resistenza6

Damasco era sotto il tiro dei cannoni dell’artiglieria israeliana installati su questo territorio che domina la piana della capitale siriana. Fu occupata anche la riva orientale del lago Tiberiade. Da allora, gli israeliani ne sfruttano le acque per produrre energia elettrica e per l’irrigazione.

.

La perdita del Golan fu un disastro per i siriani. Da allora il suo recupero è l’obiettivo primario. I siriani ebbero molte perdite. Molti civili

5

M. Galletti, op. cit., pag. 96. 6

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fuggirono dai luoghi dei combattimenti. Centomila siriani furono espulsi successivamente dagli israeliani. Le forze occupanti distrussero villaggi, interruppero gli approvvigionamenti di acqua e minacciarono gli abitanti. Fu impedito il ritorno dei profughi. Di fatto, solo i residenti drusi poterono restare. Furono incoraggiati invece gli insediamenti ebraici per rendere permanente la presenza israeliana.

Il governo siriano adottò una politica molto ferma di rifiuto di ogni compromesso con Israele e di cooperazione con gli «Stati reazionari»7

Nel marzo 1972, la Siria compì un passo politico molto importante, con l’accettazione della risoluzione delle Nazioni Unite n. 242, mentre Israele continuò ad ignorare tutte le risoluzioni dell’Onu che ne chiedevano il ritiro. La situazione era molto pesante con attacchi terroristici da entrambe le parti e una profonda frustrazione in tutto il mondo arabo.

come l’Arabia Saudita e altri. Rigettò la risoluzione 242 del 22 novembre 1967 del Consiglio di Sicurezza che chiedeva il totale ritiro degli israeliani dai territori occupati nel 1967, la fine dello stato di belligeranza tra gli Stati arabi ed Israele e a restituzione dei diritti ai palestinesi (però non definiti).

7

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L’obiettivo di recuperare militarmente le alture del Golan spinse il governo siriano a migliorare i rapporti con l’Egitto e soprattutto con la Giordania, con la quale si erano inaspriti dopo la repressione antipalestinese scatenata dal governo di Amman nel 1970. Damasco rafforzò il proprio potenziale militare, grazie anche a un accordo con l’Unione Sovietica.

L’attacco a sorpresa contro Israele fu lanciato simultaneamente il 6 ottobre 1973 dalla Siria sul fronte del Golan e dall’Egitto sul fronte del canale di Suez. In Siria, presero parte all’offensiva due divisioni blindate e tre divisioni di fanteria, 900 carri armati; erano appoggiati da 3.000 soldati marocchini e 10.000 combattenti dell’Esercito di liberazione della Palestina, nonché da contingenti iracheni con oltre 15.000 uomini e 250 carri armati8

L’iniziale successo arabo nella quarta guerra arabo-israeliana fu bloccato dalla controffensiva israeliana, che superò le linee del cessate il fuoco del 1967. L’avanzata israeliana fu fermata a Sassa, a 39 km da Damasco dalle prime linee offensive che proteggevano la città. Sul Golan iniziò una guerra di posizione, con il supporto delle truppe saudite, kuwaitiane, giordane e di altre due divisioni corazzate irachene.

. Unità elitrasportate puntarono contro le posizioni israeliane sul monte Hermon.

8

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La Siria non raggiunse l’obiettivo di riprendere il controllo di quegli altopiani strategicamente importanti perduti nel 1967, parzialmente riconquistati e nuovamente perduti nella guerra del 1973. Gli israeliani occuparono una zona supplementare di 510 kmq a nord-ovest delle linee del giugno 1967. Le perdite siriane furono enormi: 7700 vittime, la distruzione di 1200 dei 2500 carri armati impegnati nel Golan. Fu annientata l’economia siriana con danni valutati a 1800 milioni di dollari nell’aprile 19749

La Siria iniziò con grandi reticenze un faticoso negoziato che si concluse con la firma di un accordo a Ginevra, il 31 maggio 1974, nel quadro della conferenza di pace. Asad accettò le risoluzioni dell’Onu n. 242 e n. 338, considerate la base per una soluzione pacifica, e aderì ai termini dell’accordo di disimpegno nel Golan. La maggior parte delle alture del Golan rimase sotto il controllo di Israele, ma il negoziato segnò il ritorno di Kuneitra ai siriani.

.

L’accordo siriano-israeliano non era un accordo di pace, ma costituiva un passo verso una pace durevole, in base alla risoluzione n. 338 del Consiglio di Sicurezza. Fu ristabilito il cessate il fuoco costantemente violato della fine della guerra “di ottobre”. Le clausole prevedevano l’evacuazione parziale dei territori siriani occupati, in particolare di

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quell’area di 510 kmq conquistata dagli israeliani. Fu così creata una zona tampone smilitarizzata, che fu di fatto raddoppiata con una zona in cui vi sarebbe stata una limitazione alla dislocazione di armamenti. Inoltre, fu prevista la presenza di 1.200 uomini delle Nazioni Unite per controllare l’applicazione degli accordi.

Fallirono, però, i successivi tentativi siriani per un ulteriore ritiro israeliano dal Golan, che, oltre ad avere posizione strategica importante, perché domina la vallata della Galilea, è una ricca regione per l’allevamento e le colture. Israele continuava l’occupazione di tre colline strategiche a sud-ovest di Kuneitra: Tall Abul Nida, Tall Iran e Tall Tanniha, contrariamente al desiderio di Damasco che ancora oggi chiede che le truppe israeliane si ritirino e che queste siano poste sotto il controllo dell’Onu.

Quindicimila drusi abitano in quattro agglomerati: Majdal-Shams, Masada, Bukata ed Ein Kuniya. Gli abitanti hanno mantenuto la cittadinanza siriana e, a differenza dei 70.000 correligionari che risiedono in Galilea, non votano alle elezioni politiche e non compiono il servizio militare nell’esercito israeliano10

10

Una situazione ben diversa è quella del villaggio di Ghaiar, vicina alla frontiera libanese, dove 1800 abitanti alawiti hanno preso la cittadinanza israeliana al momento dell’annessione del Golan. In M. Galletti, op. cit., pag. 100.

. Nella “Valle delle grida”, tuttora i membri di famiglie divise dall’occupazione si parlano ogni

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venerdì attraverso il confine con il megafono, mantenendo così i contatti nonostante questi decenni di separazione.

La profonda solidarietà che unisce il popolo siriano a quello palestinese impedisce a Damasco di seguire la strategia egiziana. Henry Kissinger avrebbe così fotografato questa situazione: «Nel mondo arabo non ci può

essere guerra senza l’Egitto, né pace senza la Siria»11

La tensione con Israele si riacutizzò nel dicembre 1981 per la decisione della Knesset – il parlamento israeliano – di annettere ufficialmente l’area del Golan. Damasco considerò l’annessione «una dichiarazione di guerra e l’abolizione del cessate il fuoco»

. In questa situazione, con un Egitto militarmente neutralizzato, senza la partecipazione siriana non ci può essere una soluzione pacifica per l’area mediorientale, ma al contempo la Siria da sola non può entrare in guerra contro Israele.

12

. Nel Golan, d’altronde, erano stati favoriti numerosi insediamenti ebraici, malgrado le proteste della popolazione drusa. Fu offerta ai 18.000 drusi la cittadinanza israeliana, ma solo 400 l’accettarono. La resistenza drusa si espresse, dopo l’arresto di quattro esponenti religiosi, con lo sciopero di 13.000 drusi, la chiusura di negozi, scuole e industrie13

11

M. Galletti, op. cit., pag. 100.

.

12

Ibidem. 13

(13)

La reazione israeliana non si fece attendere. Nell’aprile 1982, le truppe israeliane occuparono i villaggi, imposero il coprifuoco e le carte di identità israeliane. Coloro che rifiutavano di aprire la porta ebbero le finestre divelte e le carte di identità gettate dentro i locali. Al grido «noi siamo siriani»14

Dalla perdita del Golan, la politica estera siriana è dominata dalla necessità di fissare una strategia credibile per riottenere il territorio occupato. Damasco ha così intrapreso una strada intermedia tra coloro che vogliono giungere a una soluzione politica e coloro che rigettano i negoziati per una questione di principio.

i documenti furono tirati dietro ai soldati che si ritiravano. Malgrado la resistenza passiva, l’annessione proseguì.

Dalla seconda metà degli anni settanta, la contrapposizione israelo-siriana si è poi allargata al Libano, con una serie di azioni che culminarono nell’operazione “Pace in Galilea”. Da allora, Siria e Israele evitano una contrapposizione frontale diretta trasferendo il loro contrasto nel conflitto libanese.

Per Asad, la pace onorevole passava per la restituzione del Golan e doveva scaturire da un negoziato globale arabo-israeliano sulla base di una parità strategica. Questa parità esigeva il sostegno incondizionato sovietico, l’intesa con Giordania, Egitto e Iraq, in concertazione con

14

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l’OLP e il disimpegno militare in Libano. Questa strategia fu definitivamente vanificata dal dissolvimento dell’Unione Sovietica nel 1991 e dal successo dei movimenti islamisti palestinesi in Israele e nei territori occupati, su tutti Hamas15

Ancor prima della fine dell’URSS, però, la Siria sviluppò alla fine del 1988 una duplice strategia. Da un lato, intendeva proseguire la costruzione di una credibile forza militare e l’alleanza con l’Iran, come deterrente da attacchi israeliani e iracheni, negoziare un accordo politico con Israele da una posizione di relativa forza militare, mantenere il controllo siriano in Libano, rilanciare l’influenza sulla Giordania e tra i palestinesi. Dall’altro, intraprendeva un percorso di avvicinamento a Egitto, Arabia Saudita e Stati Uniti, per ottenere il sostegno diplomatico e finanziario americano, e potersi così integrare in una pragmatica alleanza interaraba che avrebbe vanificato la minaccia irachena, accettando in cambio la partecipazione al processo di pace voluto dal Cairo e soprattutto da Washington.

.

15

Nata nel 1987 come movimento di resistenza all’occupazione israeliana, Hamas è un'organizzazione palestinese di ispirazione religiosa islamica, di carattere politico, militare e sociale; è passata

attraverso la guerriglia e gli attentati suicidi, si è opposta all’autorità di Yasser Arafat, è sopravvissuta all’eliminazione fisica di gran parte dei suoi dirigenti. Nel 2006 è arrivata al governo dell’ANP, democraticamente eletta dalla maggioranza dei palestinesi. Cfr. P. Caridi, Hamas. Che cos'è e cosa

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16

16

Jan de Jong, Golan Heights 1923-2008, Washington, Foundation for Middle East Peace, 2008, FMEP Reports Vol. 18 n°4, http://www.fmep.org/reports/archive/vol.-18/vol.-18-no.-4/map-golan-heights-1923-2008.

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Cap. II. Le questioni sul tavolo dei negoziati II.1. L’acqua

La questione della sovranità e quindi dello sfruttamento delle acque è, come detto, l’aspetto senza dubbio più importante dell’oggetto del contendere fra Israele e Siria. Il trattato anglo-francese del 1923 aveva tracciato il confine tra Siria e Palestina in maniera tale che il fiume Giordano, il suo affluente principale e il lago di Tiberiade fossero nel territorio del mandato inglese. Tuttavia, il trattato non intaccava il diritto alla pesca e alla navigazione per gli abitanti siriani.

Nel 1948 la Siria conquistò la costa nord-est del lago Tiberiade, la costa est del fiume Giordano a nord del lago e una piccola parte della riva ovest del fiume. Le dispute successive furono risolte dall’istituzione di zone smilitarizzate sul confine.

Il colonnello Husni Zaim, salito al potere con un colpo di stato a Damasco, offrì una serie di concessioni al primo ministro israeliano Ben-Gurion in cambio dell’accesso permanente insieme ad Israele alle acque del Giordano e del Tiberiade. La risposta del ministro degli esteri israeliano Moshe Sharett non lasciava, però, spazio ad aperture:

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«vogliamo tenere queste acque all’interno del territorio dello Stato e non vogliamo fare della Siria un partner» 17

Negli anni cinquanta Israele avviò un progetto di sviluppo civile in una parte delle aree smilitarizzate con il drenaggio del lago Hula e mutando il percorso delle acque del fiume Giordano. La Siria intimò di non proseguire questi lavori perché avrebbero portato vantaggi militari ad Israele violando lo status di quelle zone. Da qui si sono moltiplicati gli incidenti a partire dal 1962

.

18

Il mutato percorso del fiume Giordano verso il deserto del Negev fu giustificato per scopi agricoli. La Siria in risposta cercò di deviare a monte gli affluenti dei fiumi Hatzbani e Banias, provocando raid israeliani che distrussero le installazioni siriane, fra cui l’abbattimento di una diga alla vigilia del terzo conflitto arabo-israeliano

.

19

Il 10 giugno del 1967 fu tracciato un nuovo confine in seguito all’esito della guerra e da allora la situazione è rimasta invariata.

.

Un precedente importante fu generato in questo periodo, determinante per le successive negoziazioni tra Siria e Israele: durante i diciannove anni che la Siria aveva avuto accesso al fiume Giordano e al lago di

17

J. Slater, Lost Opportunities for peace in the Arab-Israeli Conflict: Israel and Syria, 1948-2001, Cambridge, The MIT Press, 2002, pag. 87.

18

M. Galletti, op. cit., pag. 96. 19

(18)

Tiberiade, non si impegnò a pompare l’acqua da nessuno dei due bacini20

Ultimamente, a causa della scarsità crescente di acqua nella regione, la questione è giunta ad un punto cruciale, ma allo stesso tempo molto vicina ad una soluzione.

.

Per Israele lo sfruttamento delle acque nel Golan rimane vitale per l’approvvigionamento idrico da cui trae insieme a Gaza e Cisgiordania il 40% del suo fabbisogno21. Per la Siria, la sovranità sulle acque del Tiberiade si inserisce nel contesto più ampio di riconquista delle alture del Golan: è una questione di orgoglio nazionale e riottenerle significherebbe riappropriarsi dei territori persi nel ’67. Questo è dimostrato dai diciannove anni di stazionamento sulla costa orientale senza aver mai usufruito delle acque del Giordano e del Tiberiade. E’ il sentimento nazionale a prevalere sulla politica estera e altre soluzioni percorribili come la costruzione di un acquedotto dalla Turchia, ricca di risorse idriche, non sono prese seriamente in considerazione.

II.2. La terra

La contesa territoriale fra Israele e Siria è strettamente legata a quella delle acque. Durante le negoziazioni immediatamente successive alla

20

J. Slater, op. cit., pag. 88. 21

(19)

prima guerra arabo-israeliana del 1948, Israele esigeva che linee dell’armistizio riflettessero l’esito del conflitto, richiesta che andava oltre la ripartizione territoriale effettuata dalle Nazioni Unite22

Dopo un periodo di relativa tregua, nel 1951 Israele tentò di risolvere unilateralmente la questione della sovranità, espellendo gli abitanti siriani dalle zone smilitarizzate, e causando una serie di conflitti a fuoco con l’esercito siriano che si protrassero per gli anni successivi. Nel dicembre 1955, sulla costa est, cinquanta soldati siriani furono uccisi in una operazione militare sotto la guida dell’ufficiale Ariel Sharon

. La Siria rifiutò di ritirarsi entro i confini del 1923, e così nel luglio 1949 fu approvata una soluzione di compromesso creando tre zone smilitarizzate (DMZ, De-Militarized Zones) nei territori contesi situati rispettivamente a nord, centro e sud della linea del cessate il fuoco. Con il ritorno alla vita normale in queste zone – sotto il controllo delle Nazioni Unite – la questione della sovranità politica sarebbe stata rimandata ad un futuro accordo che avrebbe rimpiazzato l’armistizio.

23

Il tentativo di riconquistare le terre del Golan con la forza fu definitivamente abbandonato dopo le sconfitte arabe del ’67 e del ’73; e nel 1981, come detto, questo territorio fu ufficialmente annesso da Israele. Da allora la situazione è rimasta invariata.

.

22

J. Slater, op. cit., pag. 86. 23

(20)

II.3. La sicurezza

La questione della sicurezza è forse il punto più stridente nelle relazioni fra Israele e Siria; anche dopo gli armistizi delle guerre arabo-israeliane, non sono mai terminati gli incidenti e i conflitti a fuoco sul confine. La regione montuosa del Golan costituisce, infatti, un ottimo avamposto strategico a cui il governo israeliano non è disposto a rinunciare; se questo garantisce in un certo senso la sicurezza per Israele, ma non si può dire altrettanto per la Siria, la cui capitale si trova a poche decine di kilometri di distanza.

Nel 1974, un anno dopo la guerra del Kippur, Hafiz Al-Asad, salito al potere in Siria nel 1970 nella duplice veste di segretario nazionale del Baath, annunciò l’accettazione delle risoluzioni 242 e 338 delle Nazioni Unite, che prevedevano il ritorno dei territori occupati nel ’67 da Israele in cambio di un accordo di pace stabile e duraturo. Nelle negoziazioni trilaterali, Asad promise agli Stati Uniti la smilitarizzazione completa del Golan come impegno per dissipare le preoccupazioni di Israele sulla sicurezza.

Se la situazione nel Golan rimase stabile, le ostilità fra Israele e Siria ripresero agli inizi degli anni ottanta, durante la guerra civile libanese, prima sostenendo fazione opposte (cristiano-maroniti e gruppi

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palestinesi) fino ad arrivare allo scontro diretto in aria e a terra, nella capitale Beirut.

Per quello che riguarda il terrorismo, la Siria è considerata dagli Stati Uniti come un paese “sostenitore del terrorismo internazionale” in particolare nei confronti di Israele per il sostegno a gruppi come Hamas e Hizbullah, e più in generale alla guerriglia palestinese. Nel 1986, ad esempio, Nizar Hindawi sotto processo per il coinvolgimento nel fallito attentato dell’aprile di quell’anno contro un volo di linea Londra-Tel Aviv, chiamò in causa i servizi segreti siriani; nonostante le dichiarazioni di estraneità alla vicenda di Asad, fu dimostrato il coinvolgimento nell’affare Hindawi di alcuni settori del servizio di sicurezza siriano dell’aeronautica24

Nello stesso periodo, una sanguinosa catena di attentati dinamitardi scosse le principali città siriane causando la morte di almeno duecento persone

.

25

La sicurezza è dunque una questione sempre all’ordine del giorno nei rapporti tra Siria e Israele, e nessuno dei due paesi può dirsi di essere ; furono in molti a leggere dietro queste azioni la volontà di Tel Aviv e Washington di destabilizzare il regime siriano di Asad, che non esitò ad accusare Israele e Stati Uniti di “terrorismo di stato”.

24

L. Trombetta, Siria nel nuovo Medio Oriente, Roma, Editori Riuniti, 2004, pag. 195. 25

(22)

sufficientemente sicuro nonostante le relazioni siano sostanzialmente migliorate nel corso degli ultimi anni.

II.4. L’opinione pubblica

L’opinione pubblica israeliana è stata l’ago della bilancia che ha determinato in ultima analisi l’esito delle trattative negli anni novanta. Sono stati ben due i governi israeliani costretti a cedere alle pressioni popolari, prima Rabin nel 19993 e poi Barak nel 2000. In entrambi i casi, il governo israeliano dovette scegliere se firmare un accordo con la Siria o con i palestinesi, tenendo presente che l’opinione pubblica non avrebbe tollerato quella che di fatto sarebbe stata una doppia concessione a forze storicamente ostili. In più, la presenza dei coloni e quindi degli insediamenti israeliani sulle alture del Golan, rappresentano ancora oggi un ostacolo alla firma di un accordo di pace.

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26

26

Gli adesivi Ha'am im ha Golan (Il popolo è con il Golan) continuano ad essere largamente diffusi in Israele e rappresentano la campagna popolare contro il ritiro dalle alture del Golan. Da

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Cap. III. I negoziati dal 1991 dal 1995 III.1 Le negoziazioni bilaterali del 1991-92

Nella conferenza di Madrid dell’ottobre 1991, furono avviati tavoli separati di negoziazioni fra Israele, Siria, Libano e una delegazione Giordania-Palestinesi. Yitzhak Rabin, eletto nuovo primo ministro d’Israele nell’estate 1992, colse questa occasione preparata dall’amministrazione Bush per il raggiungimento di un accordo di pace stabile e duraturo con i paesi arabi, fra i quali in particolare la Siria. Rabin affermò per la prima volta nell’agosto 1992 la disponibilità israeliana ad applicare alle alture del Golan la risoluzione n. 242 delle Nazioni Unite27. Questa dichiarazione seguì al messaggio che Baker, il segretario di stato USA, inviò al primo ministro israeliano dopo una visita a Damasco: era convinto che Asad fosse pronto per un accordo di pace con Israele e l’amministrazione Bush era pronta per sottoscriverlo28

Due mesi più tardi le affermazioni del ministro degli esteri siriano confermarono quanto previsto: la Siria era pronta a firmare una “pace

; fino a quel momento, Rabin non credeva, però, che un accordo tra Siria e Israele comparabile a quello con l’Egitto di Sadat del 1979 fosse realizzabile.

27

M. Galletti, op. cit., pag. 102 28

I. Rabinovich, Damascus, Jerusalem, and Washington: the Syrian-Israeli Relationship as U.S

(25)

totale” con Israele in cambio di un ritiro completo dalle terre arabe occupate nel 1967. Secondo alcune interviste con ufficiali siriani, la “pace totale” significava non solo un accordo di non belligeranza, ma anche una piena collaborazione a livello diplomatico ed economico con Israele. Senza un’opzione militare perseguibile, Asad aveva deciso di puntare tutto sulla diplomazia per il recupero le alture del Golan: i piani per lo sviluppo economico siriano richiedevano, infatti, aiuti internazionali e investimenti, e la pace con Israele era una condizione necessaria per ottenere il sostegno degli Stati Uniti.

Quattro principali aspetti dovevano essere risolti: il ritorno delle alture del Golan in condizioni di sicurezza per la Siria; un accordo sulle risorse idriche del Golan; la delimitazione precisa del confine siriano-israeliano; i termini e i tempi del processo di normalizzazione diplomatico ed economico.

In circa due anni, dopo una serie di intense negoziazioni in segreto, fu prodotta una bozza di accordo che risolse la maggior parte delle differenze sulle suddette questioni e diminuì considerevolmente quelle che rimanevano29

29

J. Slater, op. cit., pag. 95.

. Secondo tale bozza, in un periodo dai tre ai cinque anni, Israele si sarebbe ritirato dalle alture del Golan alla linea del quattro giugno 1967, e una completa sovranità siriana sarebbe stata

(26)

ristabilita. In cambio, la Siria avrebbe accettato alla smilitarizzazione del Golan, un accordo per il comune sfruttamento delle acque, e una completa normalizzazione delle relazioni, in contemporanea al progressivo ritiro israeliano. La più importante concessione israeliana consisteva nel fatto che Rabin accettava il ritiro di Israele entro i confini del 1967, anziché insistere sui limiti del 1923, così da restituire nuovamente alla Siria l’accesso al lago di Tiberiade. Dopo numerose smentite su questa concessione cruciale, gli ufficiali israeliani confermarono quanto previsto dalla bozza di accordo alcuni anni dopo: il primo ministro Ehud Barak affermò, infatti, nel febbraio 2000 che Rabin aveva acconsentito a tale ritiro, considerato vincolante al suo mandato30.

III.1 Le negoziazioni bilaterali del 1993-95

Nel 1993, sebbene rimanessero da trattare alcuni dettagli, un accordo tra Siria e Israele era dunque a portata di mano. Tuttavia fallì nel concretizzarsi quando Rabin sospese il dialogo a causa delle pressioni dell’opinione pubblica israeliana, non disposta ad accettare simultaneamente un trattato di pace con i palestinesi (Oslo 1993) e uno con i siriani31

30

J. Slater, op. cit., pag. 95. .

31

(27)

La nuova amministrazione Clinton, subito dopo l’insediamento, si impegnò per la normalizzazione dell’area mediorientale, inizialmente preferendo la “pista” siriana a quella palestinese. La Siria era un’alleata stretta dell’Iran e consentiva a Teheran di mantenere la propria influenza nel sud del Libano attraverso il sostegno economico e politico fornito a Hizbullah in nome della “lotta popolare contro il sionismo”32

La preferenza americana alla “opzione Siria” fu rinforzata da ulteriori considerazioni. Il conflitto siriano-israeliano era più semplice e più facile da risolvere della disputa israelo-palestinese. A partire dal cambio di atteggiamento di Asad, pronto a firmare un accordo con Israele simile a quello di Sadat, il conflitto tra Siria e Israele poteva essere ridotto essenzialmente ad una disputa territoriale fra due Stati sovrani. Il contrasto con la Siria differiva perciò dalla disputa israelo-palestinese che era non solo territoriale, ma un vero e proprio scontro fra nazionalismi. La reputazione di Asad come duro negoziatore era solida tanto quanto quella nel mantenere gli accordi. Rispetto a Yasser Arafat e . Un accordo siriano-israeliano, accompagnato da una nuova relazione tra Washington e Damasco, avrebbe impedito all’Iran di mantenere il proprio ruolo in Libano, marginalizzando così la sua presenza nella regione.

32

(28)

all’OLP, Asad e la Siria sembravano perciò partner molto più attraenti per i negoziati con la mediazione degli Stati Uniti. Il raggiungimento di un accordo avrebbe d’altronde contribuito ulteriormente a tranquillizzare Hizbullah e a pacificare il confine tra Libano e Israele. L’aspettativa era l’allontanamento di Asad – dopo il conseguente miglioramento nel rapporto diplomatico con gli Stati Uniti – dall’Iran e la fine del sostegno a gruppi armati palestinesi e libanesi. In questa visione, era implicita la volontà di accettare la continuazione dell’egemonia siriana in Libano, una volontà condivisa dal governo Rabin33

Il calcolo di Rabin era simile a quello dell’amministrazione Clinton: durante il primo anno di governo, non fece una scelta precisa tra la “pista” siriana e quella palestinese, e preferì seguirle entrambe, cercando la prima opportunità e l’accordo migliore. Nell’agosto 1993, però, si ebbe la scelta: il canale segreto fra OLP e Israele ad Oslo produsse un’opportunità e una bozza d’accordo, mentre l’insistenza di Asad sul ritiro completo di Israele dal Golan come condizione preliminare ad ogni trattativa precluse ogni progresso con Damasco.

.

Tuttavia, Rabin non abbandonò la possibilità di un accordo con la Siria e “depositò” insieme al segretario di stato USA Warren Christopher una ipotetica volontà di ritiro dal Golan come parte di un accordo di pace

33

(29)

siriano-israeliano sul modello di quello con l’Egitto. Asad rispose con un altrettanto ipotetico “sì”, seppur con una lunga lista di riserve e condizioni (con una sua formula, “requisiti”34

Il dialogo riprese solo nel 1994 e Rabin aggiunse una nuova clausola: tutti gli accordi avrebbero dovuto essere ratificati dall’opinione pubblica israeliana tramite un referendum. Questo era un problema di non poco conto per Asad, perché significava potenzialmente che la Siria non avrebbe concluso nessuno accordo malgrado le dolorose concessioni ad Israele nel caso in cui il referendum lo avesse bocciato. Tuttavia Asad era deciso ad andare avanti.

). Rabin fu contrariato nella sostanza e nello stile dall’esercizio diplomatico siriano e preferì firmare gli accordi di Oslo e concludere il processo di pace con i palestinesi, anziché con la Siria.

Nell’estate del 1995, comunque, Rabin interruppe le negoziazioni ancora una volta, probabilmente perché l’opposizione interna al ritiro dalle alture del Golan stava crescendo e si ventilava l’ipotesi di elezioni anticipate.

In seguito all’assassinio di Rabin nel novembre 1995, Shimon Peres divenne primo ministro. Peres inizialmente decise di impegnarsi con i siriani più che con i palestinesi, proponendo ad Asad l’immediata ripresa

34

(30)

del dialogo. Asad rispose positivamente, e nelle successive negoziazioni sponsorizzate dagli Stati Uniti a Wye, nel Maryland, nei primi mesi del 1996, i siriani si dichiararono pronti a firmare non solo un trattato di normalizzazione dei rapporti economici e diplomatici, ma anche misure di sicurezza di ampia portata, se Israele avesse accettato di ritirare le sue forze all’interno dei confini pre-giugno 1967.

(31)

Cap. IV. Dalla ripresa dei negoziati al fallimento (1999-2000) IV.1 L’apertura di Barak

La formazione del nuovo governo israeliano guidato da Ehud Barak nel maggio 1999 determinò la ripresa dei negoziati con Damasco, ancora una vota tramite la mediazione del governo statunitense. Nel dicembre dello stesso anno, il ministro degli esteri siriano Faruq Al-Shara fu invitato alla Casa Bianca, e l’ambasciatore siriano a Washington, Walid Mu’Allim, fornì la sua collaborazione per le trattative35

Nel gennaio 2000, l’amministrazione Clinton presentò una bozza del trattato di pace a entrambi i paesi, esponendo le questioni dell’accordo e le rimanenti differenze. Il trattato avrebbe posto fine allo stato di guerra fra Israele e Siria e portato ad una completa normalizzazione delle relazioni diplomatiche ed economiche, includendo anche una cooperazione nel settore turistico.

. Nel gennaio 2000 ripresero gli incontri con gli israeliani a Shepherdtown (West Virginia), con la mediazione del governo statunitense. I siriani insistevano per il ritiro israeliano entro i confini del 4 giugno 1967, con la completa restituzione del Golan; gli israeliani volevano, invece, il controllo della riva nord-orientale del lago di Tiberiade, collegandosi così al problema delle risorse idriche e della sicurezza.

35

(32)

Sulla questione delle acque, i siriani erano pronti ad una soluzione definitiva, sebbene persistessero ancora delle differenze di interpretazione. Per gli israeliani, la condizione necessaria era «continuare ad assicurare ad Israele l’uso in termini di quantità e qualità di tutta l’acqua, sopra e sotto terra, nelle zone in cui fino ad ora hanno stazionato le forze israeliane»36

La Siria non aveva, però, intenzione di spingersi oltre queste concessioni, sostenendo semplicemente che la questione delle acque doveva «basarsi sui principi internazionali»

: Israele, cioè, dopo il ritiro, voleva l’assicurazione che avrebbe continuato a sfruttare a pieno il fiume Giordano, i suoi affluenti nel Golan e il lago di Tiberiade.

37

, sostenendo che le acque del Golan sarebbero state soggette alla sovranità siriana. Al di là delle dichiarazioni nel tavolo delle negoziazioni, gli ufficiali siriani garantirono che non avrebbero deviato le sorgenti del fiume Giordano o prelevato acqua dal lago Tiberiade – un impegno del tutto credibile, visto che, durante i diciannove anni in cui i siriani avevano avuto accesso al lago, si sono astenuti dal pompare acqua. Per la Siria, insistevano, la questione non era l’acqua, ma l’aspetto nazionale/simbolico del ripristino della sovranità su “ogni millimetro” della terra persa nel 196738

36

J. Slater, op. cit., pag. 98.

.

37

Ivi, pag. 98. 38

(33)

La questione dei confini rimase dunque irrisolta, nonostante l’ammissione di Barak che il governo Rabin aveva in realtà accettato in termini generali le posizioni siriane. Significativamente, gli israeliani non rigettarono apertamente la richiesta siriana di tornare ai confini pre-1967. Argomentarono, invece, che i nuovi confini avrebbero dovuto «prendere in considerazione la sicurezza e gli altri interessi vitali delle parti come legittime considerazioni di entrambe»39.

IV.2. L’interruzione dei negoziati e la morte di Asad

I negoziati rimasero in sospeso fino a quando Barak non ripeté quanto aveva fatto Rabin, rinunciando ad andare avanti. A causa della continua resistenza interna ad un ritiro israeliano dal Golan e contemplando un accordo con i palestinesi che avrebbe richiesto un massiccio ritiro dalla West Bank e da Gaza, Barak era riluttante al rischio di sottoporre entrambe le questioni, più o meno simultaneamente, alla prova di un referendum.

Le trattative si arenarono perciò come nel passato, malgrado la forte pressione statunitense e l’impegno personale di Clinton che incontrò Asad a Ginevra nella primavera del 2000. L’amministrazione USA tentò continuamente di mediare per un accordo, ma non era disposta a fare una

39

(34)

pressione reale su Barak. Quando Clinton fece sapere ad Asad che Barak non poteva assumersi il rischio di un accordo che prevedesse il ritiro ai confini del giugno 1967, «un accordo che sembrava maturo per l’attuazione» si dissolse40

L’interruzione dei negoziati corrispose peraltro con la morte di Asad, da tempo affetto da patologie cardiache, avvenuta poco più tardi, nel giugno del 2000.

.

Secondo rapporti israeliani, Barak agì unilateralmente, senza consultare il consiglio dei ministri e senza nessuna discussione interna su quali sarebbero stati gli interessi vitali di Israele. In realtà, persino alcuni alti ufficiali israeliani, non conosciuti per essere annoverati in quanto “colombe”, erano intenzionati a firmare un accordo in base alle richieste siriane sul confine. Come bene sintetizza Jerome Slater,

…gli ufficiali dell’IDF [potevano] ora affermare che la responsabilità per il fallimento delle negoziazioni con la Siria l’anno scorso [era] di Barak, non di Asad. Ufficiali vicini al comandante [Barak] erano intenzionati ad approvare le richieste di Asad per un ritiro israeliano dalla costa nord-est del Lago Kinneret [il lago di Tiberiade], e credevano che l’intransigenza di Barak di assentire alle richieste siriane riflettesse il trionfo dell’opinione pubblica interna sui bisogni permanenti di sicurezza41.

40

J. Slater, op. cit., pag. 99. 41

(35)

Conclusioni. L’arrivo di Bashar, il ruolo di Erdogan, e l’apertura di Obama

Il nuovo leader siriano Bashar Al-Asad, succeduto a suo padre, sottolineò in più di un’occasione la sua volontà di ripartire con i negoziati e firmare un accordo di pace con Israele, tenendo presente che le rimanenti questioni erano state soddisfacentemente risolte. Ehud Barak esigeva, comunque, prima della ripresa dei negoziati, che la Siria abbandonasse qualsiasi tipo di rivendicazione sul Lago Tiberiade. Questa posizione irritò alcuni membri del governo israeliano, secondo i quali Barak «non fu sufficientemente reattivo ai segnali emanati da Damasco dopo la morte di Hafiz Al-Asad», dando invece alla Siria «lo stesso ultimatum che aveva dato ad Arafat: prima, annunciando la volontà al

compromesso e poi… » 42

Quando scoppiò la seconda Intifada nel settembre del 2000, qualsiasi possibilità rimasta di un accordo siriano-israeliano si dissolse; in quel clima, nessuna delle due parti poteva contemplare significative concessioni. Guidando il paese in questa nuova realtà, il governo israeliano annunciò i piani per la costruzione di 1.500 nuove case negli insediamenti israeliani sul Golan

tirandosi indietro.

43

42

J. Slater, op. cit., pag. 100.

.

43

(36)

Sono molti gli ufficiali israeliani ad aver ammesso che Israele è il maggior responsabile per l’ultima rottura nel processo di pace siriano-israeliano. Dato che i siriani non abbandoneranno le loro aspirazioni di riottenere le alture del Golan così come l’accesso simbolico al lago di Tiberiade, e dato che nessuna delle due parti può sostenere una guerra, ad un certo punto le negoziazioni dovranno riprendere.

La vittoria del Likud nelle elezioni del febbraio 2001 determinò un cambio sostanziale nella politica estera israeliana: il nuovo primo ministro Ariel Sharon era intenzionato a sedare i tumulti scatenati dalla seconda Intifada e trovare una soluzione alla questione palestinese che precludesse ogni ipotesi di ritiro entro i confini del 1967. Allo stesso tempo, Sharon non era assolutamente interessato ai negoziati con la Siria ed era contrario all’idea stessa di ritiro dalle alture del Golan44

44

I. Rabinovich, op. cit., pag. 10.

. La linea politica di Sharon trovò il pieno appoggio della nuova amministrazione USA, guidata dal neoletto presidente Bush: l’amministrazione Clinton, secondo il nuovo presidente, aveva speso troppo tempo e fatica per il processo di pace arabo-israeliano senza ottenere risultati concreti. La nuova politica USA nei confronti del Medio Oriente non puntava alla firma di un trattato di pace, ma ad un cambio di regime: rovesciare i governi radicali di Iran e Iraq e sostituirli con altri democratici e più

(37)

moderati. Perciò, Bush si rifiutò di normalizzare le relazioni con Damasco e, al contrario, tentò di isolare ulteriormente la Siria imponendo nuove sanzioni.

Nel dicembre 2003, ad un segnale di apertura di pace di Asad, Sharon annunciò di voler raddoppiare la presenza dei coloni ebrei nel Golan, dando attivamente inizio alla realizzazione dei propositi.

Dal settembre 2004 al luglio 2006 due nuove iniziative – la prima di Mahir Al-Asad, fratello di Bashar, e poi quella di Ibrahim Sulayman, un siriano di passaporto americano, da tempo impegnato nelle trattative di pace – portarono in via informale alla ripresa dei negoziati, con l’aiuto del governo turco e il ministero degli esteri svizzero. La posizione della Siria restava quella di riprendere le negoziazioni «da dove erano state interrotte», secondo la formula standard siriana di preservare il “deposito”, cioè quanto già ottenuto 45

Quando Ehud Olmert subentrò ad Ariel Sharon come primo ministro nell’inverno del 2006, questi adottò inizialmente lo stesso atteggiamento negativo verso la riapertura dei negoziati siriano-israliani, e concentrò gli sforzi diplomatici sulla questione palestinese.

.

Nel 2007, però, Olmert decise di cambiare approccio, e inaugurò una nuova fase nelle negoziazioni siriano-israeliane, autorizzando il primo

45

(38)

ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, a mediare, tramite colloqui segreti fra Israele e Siria. La mediazione turca non rimase segreta per molto, poiché entrambe le parti erano intenzionate a rendere pubblici i colloqui. La Siria avrebbe guadagnato così dei benefici nel campo delle relazioni internazionali dopo l’ostracismo dell’amministrazione Bush, e Olmert voleva inviare un messaggio di speranza all’opinione pubblica israeliana demoralizzata da una serie di sviluppi negativi nella regione: lo spettro delle armi nucleari iraniane, l’ostilità crescente a Gaza, il consolidamento della guerriglia di Hizbullah, e il pericolo di un conflitto armato con la Siria in assenza di una normalizzazione dei rapporti. Così, con l’annuncio pubblico il 21 maggio del 2008, i colloqui fra Israele e Siria cessarono di essere un segreto. Si trattava di un punto di partenza per futuri negoziati46

Secondo fonti diplomatiche, dopo la quarta seduta di trattative, nell’estate dello stesso anno, i mediatori turchi chiesero alle parti di chiarire due punti: la linea di confine entro cui Israele si sarebbe ritirato e la natura delle relazioni della Siria con Iran, Hizbullah e Hamas

.

47

46

I. Rabinovich, op. cit., pag. 17.

. Le trattative erano così mutate da “territori in cambio di pace” a “territori per un riallineamento strategico”. Da questo punto di vista, i negoziati avevano fatto un significativo passo avanti, ma la prospettiva di firmare

47

(39)

un accordo su tali premesse divenne impossibile per una serie di ragioni. L’autorità di Olmert era sempre più messa in discussione da gruppi di opposizione e da alcuni membri dell’esercito, finché si giunse alle sue dimissioni nel settembre 200848

Per l’amministrazione Obama, la Siria rappresenta un piccolo tassello del grande puzzle della propria sicurezza nazionale, visto il sostegno dato da Damasco a gruppi terroristici, su tutti Hizbullah, e una grande opportunità per normalizzare i rapporti diplomatici nella regione mediorientale. Una delle priorità della nuova amministrazione è, infatti, l’atteggiamento nei confronti dall’Iran: continuare con la linea di isolamento della precedente amministrazione, oppure tentare di istaurare un dialogo che avrebbe indubbie ripercussioni sugli altri Stati arabi, fra i quali la Siria, facilitando il processo di pace con Israele?

; a quel punto, non era più possibile fare progressi nelle trattative – e quindi toccare temi scottanti come il Golan – dal momento che in Israele era in corso la campagna elettorale. Damasco, dal canto suo, decise di soprassedere in attesa dell’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca e di conoscere l’identità del nuovo primo ministro e della nuova coalizione di governo in Israele. La guerra di Gaza, nel dicembre 2008 – gennaio 2009, chiuse definitivamente la porta ad ogni ulteriore negoziazione.

48

(40)

Allontanare la Siria dall’Iran potrebbe essere un’opzione molto vantaggiosa per gli Stati Uniti e Israele; un’idea non nuova, già usata da Olmert a sostegno della riapertura dei negoziati siriano-israeliani e dalla Francia, quando il presidente Sarkozy decise di intrattenere colloqui diplomatici con Bashar al-Asad. Tuttavia, la Siria ha sinora rifiutato di cambiare le proprie relazioni con l’Iran, sostenendo che l’alleanza con l’Iran è il risultato della politica di Washington verso Damasco.

Il successo di Kissinger, nei primi anni settanta, di spostare l’Egitto dall’orbita sovietica a quella americana è stato citato come un modello per smuovere la Siria dall’Iran. E’ necessario, però, tenere presente che il recupero del Sinai e la disponibilità al compromesso di Sadat furono determinanti per il riallineamento strategico. Supponendo che Bashar abbia realmente intenzione di giungere ad un accordo con Israele – ma solo il futuro potrà dare una risposta a tale interrogativo – è dunque il recupero del Golan la chiave di volta perché la Siria abbandoni l’alleanza con l’Iran, stabilizzi il confine israelo-libanese, ed entri nell’orbita americana.

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