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Capitolo 3

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Academic year: 2021

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Procedure Sperimentali e Materiali Utilizzati

3.1 Introduzione

In questo capitolo verranno illustrati sia i materiali e sia le metodologie utilizzate allo scopo di cercare di dare dei risultati e delle risposte, seppure nel possibile, al fenomeno di assorbimento

degli additivi fluidificanti sui substrati inorganici. La prima parte, quindi, verterà sulla

caratterizzazione delle varie tipologie dei materiali (additivi, filler e cemento); cercando di descriverli da ogni punto di vista, in modo tale da metterne in mostra le loro diverse caratteristiche; nella seconda parte di questo capitolo, passeremo infine in rassegna le diverse metodologie, motivando sia il perché della loro scelta e sia cercando di mettere in risalto, eventualmente, possibili differenze nei risultati derivanti dal loto utilizzo.

3.2 Caratterizzazione dei materiali

3.2.1 Additivi

Gli additivi superfluidificanti, studio della nostra ricerca, sono stati due e rispettivamente denominati con le sigle A3 e A4. La composizione esatta di tali additivi non è conosciuta perfettamente, sebbene sia nota la categoria di appartenenza: l’additivo A3 è un superfluidificante

acrilico di “II generazione”; l’additivo A4 è un superfluidificante a base naftalenica. Quindi

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punto di vista prettamente prestazionale, i superfluidificanti a base di poli-acrilati (PA), infatti sono capaci di fluidificare il calcestruzzo molto di più che non quelli a base di gruppi solfonici ovvero quelli a base naftalenica. Ma soprattutto i superfluidificanti acrilici conservano meglio la lavorabilità durante il trasporto in climi caldi.

3.2.2 Filler

I filler da noi utilizzati sono due e denominati rispettivamente Filler B e Filler D. Per quanto riguarda la loro natura, possiamo dire che il Filler B è una roccia calcarea semimetamorfica a

grana medio-grossa, mentre il Filler D è una roccia calcarea leggermente marnosa non metamorfica a grana finissima. È bene ricordare che i giacimenti di calcare, quindi il minerale

stesso, sono più o meno compenetrati da impurità argillose o quarzitiche.

Di seguito nella figura 27, viene mostrata la distribuzione granulometrica di tali filler.

Per quanto riguarda la caratterizzazione morfologica delle polveri, presso il nostro Dipartimento sono state svolte analisi micrografiche mediante un microscopio a scansione elettronica. Questo strumento altamente sofisticato permette di effettuare analisi morfologiche mediante l’esame di ingrandimenti che possono raggiungere i 20000x, vale a dire che consentono di osservare le polveri fino all’ordine dei micron. Inoltre è possibile anche effettuare delle microanalisi chimiche, utili particolarmente nelle polveri non convenzionali per rilevare la presenza di sostanze che possono inficiare il comportamento della pasta, come, ad esempio, carbonio incombusto e metalli

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3 .2 .2 .1 C a ra tter izza zio n e m o rfo lo g ica e c h im ica m ed ia n te

microscopio elettronico a scansione

Per poter osservare i campioni di interesse ad alti ingrandimenti e con una risoluzione delle immagini di elevata qualità, si è operato mediante un Microscopio Elettronica a Scansione,

SEM.

Nel corso di questa indagine al microscopio elettronico a scansione si è voluto esaminare due

aspetti che caratterizzano in modo cruciale il comportamento dei filler, e dei materiali in genere, ossia, la morfologia delle particelle e l’analisi chimica. Pertanto, ciascun campione è stato osservato nelle due modalità seguenti: metallizzato e non. La metallizzazione viene realizzata con oro e l’esame di un campione metallizzato viene effettuato alla pressione atmosferica. Invece, quando si analizza un campione non metallizzato, si deve lavorare in condizioni di basso vuoto perché il campione non metallizzato presenta delle vagliature e perciò in alcuni punti la sua superficie rimane non saturata. Quando si utilizza il SEM per microanalisi, si sfruttano gli elettroni a più basso numero atomico, pertanto verranno evidenziati quegli elementi a più basso numero atomico. L’immagine che si osserva al momento della realizzazione dello spettro non è molto chiara ed è a bassa risoluzione a causa dell’atmosfera d’aria che si crea attorno al campione; in queste condizioni, l’analisi morfologica è piuttosto limitata, pertanto essa viene effettuata solo su campioni metallizzati.

Nell’osservare una immagine al SEM, bisogna tenere presenti alcune osservazioni.

Nel caso la microanalisi presenti un basso tenore di carbonio, va ricordato che la sonda del microscopio tende a diventare meno sensibile col passare del tempo, pertanto possono risultare basse concentrazioni degli elementi più leggeri.

La microanalisi viene realizzata su un’area del materiale e non in una zona puntuale, pertanto la concentrazione di un elemento viene distribuita su tutta l’area esaminata.

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troppo piccolo, perché i fotoni potrebbero rimbalzare sulle superfici storte e irregolari e l’analisi non sarebbe corretta. Da tenere presente, inoltre, che la microanalisi può spingersi fino a 2 mm al massimo.

Quando si realizza l’analisi morfologica di un campione molto pulverulento metallizzato, possono verificarsi difficoltà nel realizzare gli ingrandimenti in quanto la metallizzazione non riesce ad entrare profondamente tra i microgranuli di polvere . Sempre nel caso di campioni altamente pulverulenti, è bene ricordare che l’agglomerazione di materiale è in genere dovuta alla carica elettrostatica assunta dalle particelle a seguito della metallizzazione e dunque non va confusa con una tendenza propria del materiale in esame.

I particolari più chiari sulla superficie di un campione metallizzato rappresentano solo le creste o effetti di luce; invece, i punti più chiari che si osservano sulla superficie di un campione non metallizzato sottoposto a microanalisi sono un vero e proprio indice di elementi con numero atomico più alto.

Di seguito si procede riportando le micrografie dei campioni analizzati e le microanalisi, con relativo spettro, con commenti relativi a particolarità non immediatamente evidenti dalla grafica.

Filler B

Ottenuto dalla macinazione di una roccia calcarea semimetamorfica a grana medio - grossa; avente morfologia altamente regolare ed omogenea. Nelle figure 28,29 e nella tabella 7 vengono mostrati i risultati.

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Figura 28 - Micrografie del campione di Filler B ottenute tramite analisi al microscopio a scansione elettronico SEM.

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Filler D

Il materiale in questione è una polvere ricavata da una roccia calcarea, leggermente marnosa, non metamorfica a grana finissima. Il filler in questione è noto come farina del crudo in quanto è il prodotto della macinazione dei materiali della cava di Settimello che vanno ad alimentare il forno del cementificio. La polvere, inoltre, risulta avere un colore giallo pallido. Nelle figure 30,31,32 verranno illustrati i risultati.

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Figura 30 - Micrografie del campione di Filler D ottenute tramite analisi al microscopio elettronico a scansione SEM.

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Figura 31 - Micrografie del campione di Filler D ottenute tramite analisi al microscopio elettronico a scansione SEM.

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Dalle micrografie risulta evidente la presenza di cristalli di forma più irregolare, prevalentemente tubulari, essi appaiono ben distinguibili sul sottofondo fine e ben riconoscibili nell’ingrandimento 20000x.

La microanalisi riportate sopra sono state effettuate in una zona più ristretta, per evitare le superfici distorte generate da una cristallizzazione del materiale non del tutto regolare. Tale cristallizzazione è responsabile di una disomogeneità di composizione chimica della polvere che ne può inficiare notevolmente il comportamento reologico. In particolare, si segnala che il Silicio, presente su tutta la superficie del campione, raggiunge in alcuni casi percentuali molto elevate, mentre decresce fortemente la presenza di calcio nelle stesse zone (44,5% di Si, contro 4,7% di Ca).

In definitiva, l’esame al microscopio elettronico a scansione ha confermato la presenza di una struttura cristallina per entrambi i fillers, ed ha mostrato piccole differenze in termini di omogeneità delle particelle e di composizione chimica.

3.2.3 IL Cemento

Il cemento utilizzato nella nostra ricerca, è un clinker tipo I 52,5R, le cui caratteristiche principali sono riassunte nella figura 33. Quest’ultima, oltre a metterne in evidenza le proprietà principali, mostra anche un grafico in cui compare in ascissa il diametro delle particelle del cemento.

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3.3 Procedure Sperimentali

3.3.1 Introduzione

Il lavoro da noi svolto può essere rigorosamente ed operativamente suddiviso in due parti. Nella prima parte abbiamo utilizzato una tecnica spettrofotometrica basata sulla misura dell’assorbimento di radiazione ultravioletta a varie lunghezze d’onda; questo allo scopo di misurare l’assorbimento degli additivi sial sul cemento sia sui fillers.

Nella seconda parte ci siamo serviti della tecnica calorimetrica isoterma allo scopo di valutare l’effetto dei vari additivi sulla reattività di un clinker.

Nel seguito verranno mostrate le diverse fasi, mettendo ben in evidenza le diverse caratteristiche e differenze fra le due tecniche di analisi, cercando di far luce sul comportamento di adsorbimento dei materiali in esame sulla superficie del clinker.

3.3.2 Spettrofotometria

3.3.2.1 Descrizione generale dell’apparecchiatura

Lo strumento da noi utilizzato per le misure di spettrofotometria, è stato uno SHIMADZU

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La figura 34, mostra lo strumento, nelle sue parti principali contrassegnate da un cerchietto al cui interno è presente un numero:

1. Unità Lcd 2. Tastiera

3. Scomparto campioni

4. Bloccaggio scomparto campioni

5. Led

Figura 34 - Vista dall’alto e difronte dello spettrofotometro UV-1700.

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Nella figura 35, viene mostrato in dettaglio l’interno del vano, in cui vengono inserite le cuvette da 10 mm. È importante ricordare quale sia il range di misura dello spettrofotometro,

a tal proposito, la figura 36 illustra con chiarezza tale intervallo.

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Le figure 37 e 38, infine, mostrano le specifiche hardware dello strumento.

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3.3.2.2 Misure di Concentrazione mediante Spettrofotometria

Il principio alla base dell’assorbimento spettrofotometrico, è individuato dalla legge di Lambert-Beer. Tale teoria, si basa sulla misura dell’intensità, I, di una radiazione di specifica lunghezza

0,

d’onda, 8, che abbia attraversato uno specifico spessore di una soluzione. Detta I l’intensità della medesima radiazione che abbia attraversato un uguale spessore di solvente puro, si

0

definisce assorbanza, A, il rapporto: A=I/I . Nel caso di soluzioni diluite, la relazione tra

8 8

assorbanza e concentrazione è lineare : A=

g

CCCl in cui

g

è il coefficiente di estinzione che dipende dalla lunghezza d’onda della radiazione impiegata, C è la concentrazione della soluzione della soluzione ed l è lo spessore della soluzione attraversato dalla soluzione. Un grafico della assorbanza A in funzione della concentrazione C, deve pertanto risultare lineare. Dopo questa premessa sulla teoria ritorniamo alla nostra procedura sperimentale, illustrando nelle seguenti figure 39,40,41,42 alcuni spettri ottenuti, relativi ai materiali di nostro interesse ovvero additivi e filler.

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Figura 42 - Assorbanza in funzione della lunghezza d’onda di una soluzione acquosa diluita di un additivo superfluidificante A3 su FD.

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Come si può constatare dalle figure precedenti, si sono utilizzate soluzioni acquose diluite per le analisi allo spettrofotometro.

Il potere assorbente degli additivi, infatti, è molto elevato, per cui anche concentrazioni molto piccole sono in grado di assorbire quantità rilevanti di radiazione. Quindi, poiché, le concentrazioni di additivo utilizzate negli impasti sono molto maggiori di quelle necessarie per la spettrofotometria (circa 25.000 ppm contro circa 10 ppm), sono state usate soluzioni molto diluite ottenute per diluizioni successive a partire da quelle utilizzate nella preparazione delle paste.

Ci sono state numerose difficoltà pratiche nella realizzazione di questa procedura sperimentale mediante spettrofotometria.

Una difficoltà rilevante risiedeva nel fatto che lo spettro UV degli additivi si modifica in funzione del pH della soluzione; nella figura 43 è mostrato l’effetto di tale comportamento.

Figura 43 - Effetto del pH sullo spettro UV di una soluzione diluita di un superfluidificante a base di melammina solfonata.

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Il pH di una soluzione satura di carbonato di calcio, in assenza di anidride carbonica, è di circa 10; in presenza di cemento, invece, sale a circa 12,5. Quindi, poiché, l’aggiunta di filler o di cemento all’acqua ne modifica il pH, sono state dapprima preparate delle acque madri aggiungendo delle opportune quantità di filler in acqua, con un rapporto in peso acqua/filler = 10. La durata di tale contatto è stata di almeno 24 h. Successivamente tale dispersione, è stata filtrata e la soluzione risultante (acqua madre) utilizzata per tutte le operazioni successive. Un problema molto serio che si è manifestato, e che ha notevolmente ritardato il lavoro, è consistito nel fatto che le particelle più fini del filler, quelle al disotto di circa 1 :m, non venivano trattenute dai filtri. Di conseguenza, le acque madri ottenute per filtrazione, sono quindi state sottoposte a centrifugazione per ottenere una più efficace separazione delle particelle disperse. Tale procedimento ha portato via molto tempo a causa della ridotta potenzialità delle centrifughe di laboratorio (che accettano provette di meno di 50 cm a fronte di volumi di acque3

madri di circa 2 litri).

Dopodiché le acque madri chiarificate, sono state usate dapprima, per ottenere rette di calibrazione da utilizzare successivamente per risalire alla concentrazione di additivo residuo dopo assorbimento.

Tale procedimento sperimentale, è stato effettuato per svariati additivi e filler.

A questo punto, avendo acquisito gli spettri UV degli additivi, sono state ottenute le curve di taratura. A tal fine sono state selezionate, per ogni additivo, tre lunghezze d’onda (possibilmente quelle in corrispondenza di massimi di assorbimento), e sono state misurate le assorbanze per vari valori di concentrazione; tenendo conto di quello precedentemente detto a proposito della legge di Lambert-Beer, ovvero che l’assorbanza varia linearmente, nella regione delle diluizioni spinte, con la concentrazione di principio attivo.

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Una volta ottenute le curve di calibrazione, per una specifica coppia filler/additivo, abbiamo

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quantitativi di filler via via crescenti e fino ad ottenere la saturazione del filler stesso.

Il tempo di contatto del filler con l’additivo è stato stabilito in 1 h; trascorso tale tempo la dispersione del filler in acqua veniva centrifugata in modo da separare il liquido dal solido. Del liquido contenente ancora una quota dell’additivo originariamente presente (parte dell’additivo, ricordiamo, era stato assorbito dal filler), dopo opportuna diluizione, è stata misurata la concentrazione di additivo residuo mediante misurazione dell’assorbanza a specifiche lunghezze d’onda nel campo dell’ultravioletto e paragonando l’assorbanza misurata con quelle delle curve di calibrazione. Si misurava, in tal modo, la concentrazione di additivo in soluzione non assorbita dal filler; la differenza tra la concentrazione iniziale, nota, e quella finale, misurata, dà la quantità di additivo fissata dal filler. Si sono ottenute in questa maniera le cosiddette isoterme di assorbimento per ogni coppia filler/additivo.

Nelle figure che vanno dalla 46 alla 57, sono mostrate le varie curve di assorbimento per ogni coppia di additivo(A3-A4)/filler(FB-FD), espresse in funzione sia della concentrazione

0 Eq)

iniziale(C ) sia della concentrazione di equilibrio(C ; ed inoltre viene rappresentata la curva della frazione assorbita, che descrive in maniera intuitiva e semplice il comportamento di assorbimento degli additivi sui vari substrati inorganici.

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3.3.3.1 Introduzione

Quando una sostanza viene adsorbita sulla superficie del clinker, esercita su di essa un’azione di schermo che tende ad ostacolare il contatto con l’acqua di impasto. L’effetto è un rallentamento delle reazioni di idratazione. Si tratta di un effetto negativo che è specifico di ogni coppia additivo/clinker e che, probabilmente, dipende dalla temperatura. La prima cosa che è stata quindi valutata, è stato l’effetto dei vari additivi sulla reattività di un clinker tipo, il cui comportamento viene assunto come standard per tutte le indagini successive. Tra

le varie tecniche adottabili, abbiamo optato per la calorimetria isoterma per la sensibilità del metodo e per la sua accuratezza.

Le reazioni di idratazione dei vari componenti del clinker sono tutte esoenergetiche, come si può notare dalla tabella 8.

Tabella 8 - Prodotti di idratazione e relativi calori di formazione.

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La tonalità termica globale è il risultato della media pesata di quelle dei singoli componenti. Le paste di cemento sviluppano calore man mano che l’idratazione procede e questo ne determina il riscaldamento; l’aumento di temperatura risente del bilancio tra calore ceduto all’ambiente e quello trattenuto dall’impasto. Se quest’ultimo è mantenuto a temperatura costante, ovvero si opera in condizioni isoterme, tutto il calore sviluppato viene ceduto all’ambiente. Le informazioni ottenute in questo modo sono indipendenti dal calore specifico dei costituenti la pasta, aumentando con ciò la precisione delle misure.Un tipico andamento della potenza

t t

termica, in funzione del tempo di reazione (P =dQ /dt), è mostrato in figura 58.

Figura 58 - Potenza termica sviluppata nel corso dell’idratazione di un cemento portland (CEM I 56,5R, a/c=0,5, T=25C).

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Dopo un primo rapido sviluppo di calore associato con la solubilizzazione di alcuni costituenti del cemento secco, all’adsorbimento di acqua ed all’iniziale reazione degli alluminati, segue una fase di rallentamento (fase dormiente) che si manifesta con una sostanziale diminuzione della velocità di reazione (minimo della curva in figura 58 a circa 2h dal miscelamento). La fase dormiente, da attribuire alla efficace azione di schermo esercitata dall’ettringite, è eseguita da una accelerazione che porta ad un massimo pronunciato dopo circa 10 h per il tipo di clinker esaminato; il picco in figura 58, rappresenta la massima velocità di idratazione. La natura poco permeabile dei prodotti di reazione (gelo di cemento), rende man mano sempre più difficoltoso il contatto dell’acqua di impasto con il clinker anidro; ciò comporta un vistoso rallentamento della velocità di idratazione e, conseguentemente, dello sviluppo del calore di reazione.

3.3.3.2 Calorimetro

Lo strumento da noi utilizzato, è un Calorimetro Tam Air pluricanale, operante alla temperatura di 25C (temperatura mantenuta con un accuratezza di 0,02). Lo strumento misura

t t

in continuo la potenza termica P . Un grafico di P in funzione del tempo, è quindi in grado di

max t

fornire dati sulla velocità di reazione (tempo di massima velocità, t , grado di reazione, " ,

t TOT t

quantità di calore svolta al tempo t, Q , e quantità totale di calore di idratazione, Q =IP dt). Nelle seguenti figure (59,60,61,62) viene mostrato lo strumento in dettaglio.

Figura 59 -Calorimetro

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Figura 61 - Sezione di uno degli otto canali del calorimetro, che mette in evidenza la configurazione doppia.

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3.3.3.3 Misure di Assorbimento mediante calorimetria

Per valutare l’effetto ritardante degli additivi esaminati, abbiamo fatto reagire un clinker tipo I 52,5R, con acqua, con rapporto a/c=0,6 per tempi fino a 100h. All’acqua di impasto abbiamo aggiunto quantità variabili di additivo.

max

È bene ricordare fin da subito, che il parametro di nostro interesse è stato t , anche se quest’ultimo non abbia mai superato le 15h,le misure sono state prolungate fino a circa 100h,

TOT

per ottenere i valori di Q in modo da ricavare un quadro più completo sull’effetto degli additivi sulla reattività delle paste.

Si è posto in evidenza che tutti gli additivi hanno effetti ritardanti con rilevanti differenze tra i vari tipi.

Occorre, poi ricordare, che i prodotti utilizzati nella pratica di betonaggio non sono prodotti puri e che inoltre essi sono tipicamente forniti in soluzione acquosa a varie concentrazioni (tipicamente con contenuto di prodotto attivo di circa il 30% in peso).

Poiché, in pratica, la soluzione di prodotto attivo è considerata additivo; anche noi ci siamo uniformati a tale definizione, riportando la concentrazione di additivo in termini di quantità ponderali di soluzione. Così l’1% di additivo, rispetto al cemento o filler anidro, significa sostanzialmente, 1 g di soluzione di additivo su 100 g di solido.

Nella nostra ricerca si sono poste in evidenza le difficoltà sperimentali connesse con l’uso della spettroscopia UV, per determinare l’assorbimento di additivi su substrati inorganici.

Quindi, poiché l’aggiunta di additivi alle paste di cemento, influisce sulla cinetica del’idratazione è sempre necessario condurre prove tese a valutare gli effetti cinetici degli additivi. Il principio della tecnica sviluppata, che rappresenta la seconda ed ultima parte del lavoro da noi svolto nell’ambito del progetto di ricerca, è essenzialmente composto da tre fasi successive.

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• Fase 1

Si utilizza un cemento di riferimento (nel nostro caso un CEM I 52,5R) e se ne ricavano le cinetiche di idratazione in presenza di quantità via via crescenti di additivo. Si ricava, in questo

max modo, una curva che descrive la dipendenza del tempo di massima velocità di reazione, t (questo tempo, corrisponde al tempo al quale si ottiene il picco nella curva della potenza termica) dalla concentrazione di additivo.

• Fase 2

Si pone una certa quantità di additivo in contatto con un substrato inorganico del quale si vuole determinare la capacità di assorbimento ( ad esempio si aggiunge ad una dispersione filler/acqua l’1% di additivo). Dopo un tempo prestabilito (1h nelle nostre prove) si separa il liquido dal solido mediante centrifugazione. Si ottiene, quindi, una fase acquosa che contiene una quantità inferiore di additivo poiché parte di essa è stata assorbita dal filler.

• Fase 3

Si utilizza la fase acquosa ottenuta nella fase 2, per idratare il cemento standard con le stesse modalità con cui si è proceduto nella fase 1. Si ottiene una cinetica di idratazione caratterizzata

max

da un certo valore di t . Quest’ultimo, consente di risalire alla concentrazione di additivo residuo nell’acqua mediante la curva ottenuta nella fase1.

Inoltre questo metodo, può essere utilizzato anche per valutare l’assorbimento di additivi sullo stesso cemento; è sufficiente infatti che il cemnto sia utilizzato al posto del filler nella fase 2. Il procedimento grafico per la determinazione della quantità di additivo assorbito da un substrato inorganico, mediante misure di calorimetria isoterma, viene illustrato nella figura 63.

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La linea rossa, viene ottenuta ponendo quantità note di additivo nella sospensione cemento/acqua. La linea blu, invece, è ottenuta utilizzando come acqua di impasto per la sospensione cemento/acqua l’acqua ottenuta per centrifugazione della dispersione filler/acqua; la concentrazione di additivo in questo caso è quella iniziale.

Dopo aver descritto in dettaglio il metodo da noi eseguito, riportiamo le varie curve ricavate, rispettivamente di taratura e di tempo al picco per i vari additivi.

Figura 63 - Procedimento grafico per la determinazione della quantità di additivo assorbito, mediante misure di calorimetria isotermia.

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Procedure Sperimentali e Materiali Utilizzati

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Figura

Figura 30 - Micrografie del campione di Filler D ottenute tramite analisi al microscopio elettronico a scansione SEM.
Figura 31 - Micrografie del campione di Filler D ottenute tramite analisi al microscopio elettronico a scansione SEM.
Figura 32 - Microanalisi e relativi spettri relativi al campione di Filler D.
Figura 33 - Distribuzione granulometrica del cemento CEM  I 52,5R.
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Riferimenti

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