• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 4. DISCUSSIONE L’analisi morfometrica condotta nel presente studio ha confermato che

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CAPITOLO 4. DISCUSSIONE L’analisi morfometrica condotta nel presente studio ha confermato che"

Copied!
6
0
0

Testo completo

(1)

CAPITOLO 4. DISCUSSIONE

L’analisi morfometrica condotta nel presente studio ha confermato che la colonna vertebrale degli zifidi (fig. 74) è costituita da elementi considerati primitivi, vale a dire un numero esiguo di unità vertebrali (meno di 50), la presenza di un addome unimodale (in cui tutte le vertebre, che non presentano discontinuità morfologica rispetto alle vertebre contigue, partecipano alla generazione dei movimenti oscillatori della coda), le metapofisi non elevate, l’assenza di sinclinale nella parte posteriore dell’addome e nel peduncolo caudale (relativamente lungo e robusto) che si distingue nettamente dall’unità morfo-funzionale della pinna caudale (Slijper, 1936; Buchholtz & Schur, 2004). Buchholtz & Schur (2004) verificarono che il delfino comune, presenta invece i caratteri dei delfinidi più derivati: il numero delle vertebre è maggiore di 70, le metapofisi sono elevate e l’ addome è bimodale, caratterizzato da notevole discontinuità morfologica, la cui mobilità diventa massima in corrispondenza del punto di sinclinale (fig. 74-75) presente in prossimità del confine tra l’addome e il peduncolo caudale.

Questo significa che gli zifidi sono caratterizzati da un addome particolarmente mobile nella sua metà posteriore che dal punto di vista funzionale costituisce un continuum con il peduncolo caudale, mentre il delfino comune è dotato di un addome e un peduncolo caudale relativamente rigidi, di cui il peduncolo caudale costituisce la parte più mobile (Buchholtz, 2001).

Buchholtz (2001) mise in evidenza l’andamento di CL lungo la colonna vertebrale di Z.

cavirostris e incluse questa specie tra i cetacei caratterizzati dal pattern 2 (vedi pag. 27).

I risultati ottenuti nel presente studio confermano questi dati e mettono in evidenza alcune differenze tra gli zifidi analizzati, spiegando alcuni aspetti legati ad altri parametri morfometrici, quali la larghezza e l’altezza del corpo vertebrale, le dimensioni dei processi e la loro inclinazione.

La forma dei corpi vertebrali di H. ampullatus è più discoidale e dotata di superfici intervertebrali tendenzialmente più piatte rispetto a quelle di Z. cavirostris e M. bowdoini; sembra quindi che nel primo la colonna vertebrale sia più rigida. Tuttavia, per valutare l’effettiva interferenza tra i corpi vertebrali adiacenti bisognerebbe conoscere lo spazio intervertebrale; infatti a parità di dimensioni (altezza e larghezza) dei corpi vertebrali, all’aumentare di tale spazio diminuisce l’interferenza (Buchholtz & Schur, 2004). Per stimare

(2)

dunque l’interferenza tra i corpi vertebrali lungo la colonna vertebrale sono necessarie informazioni relative alle dimensioni dei dischi intervertebrali, assenti nelle collezioni osteologiche. In H. ampullatus inoltre l’appiattimento latero-laterale del peduncolo caudale e la compressione dorso-ventrale tipica della pinna caudale è meno accentuata rispetto a quelle riscontrate negli altri due zifidi.

I processi neurali raggiungono maggiori dimensioni nella regione dell’addome: in corrispondenza della L8 nello zifio, L7 nel mesoplodonte e L5 nell’iperodonte. H. ampullatus si

distingue in questo da Z. cavirostris e da M. bowdoini per avere il picco di NPH nella regione anteriore dell’addome. Un altro carattere che lo separa dagli altri due zifidi è l’espansione della superficie dei processi al di sopra della metapofisi, che interessa le ultime vertebre lombari. Tali processi offrono punti d’inserzione al muscolo multifido e, in corrispondenza dell’addome, anche al lunghissimo del dorso: è possibile concludere che i fasci muscolari dei muscoli epiassiali siano particolarmente sviluppati in corrispondenza della parte centrale dell’addome. La notevole espansione del margine dorsale dei processi neurali lungo il piano sagittale (il piano lungo il quale è applicata la forza del multifido) che interessa le vertebre lombari e, soprattutto, quelle caudali, mette in evidenza l’aumento della massa muscolare del multifido in questa regione, responsabile della generazione delle contrazioni oscillatorie. Nell’iperodonte sembra che l’aumento della massa muscolare si verifichi in una posizione leggermente più craniale rispetto a quanto osservato nello zifio e nel mesoplodonte.

Le metapofisi raggiungono il valore massimo in corrispondenza delle T8-T9 nello zifio, della T10

nel mesoplodonte e T7 nell’iperodonte; si registrano inoltre valori minimi nelle vertebre L8 e

Ca1 nello zifio; L1, Ca1 e Ca6 nel mesoplodonte; nella L7 e Ca2 nell’iperodonte.

È quindi possibile ipotizzare, sulla base dello sviluppo delle superfici d’origine (le metapofisi) e d’inserzione (i processi neurali) del multifido, che le fibre muscolari più sviluppate originino a livello delle ultime vertebre toraciche e si inseriscano tra le ultime vertebre lombari e le prime caudali. Nello zifio la massa muscolare più voluminosa del multifido originerebbe dalle T8-T9 e

si inserirebbe nella L8; nel mesoplodonte i fasci più sviluppati avrebbero origine dalla T10 e

terminerebbero nella L7, mentre nell’iperodonte il punto d’origine sarebbe la T7 e il punto

d’inserzione la L5.

Considerando inoltre le ridotte dimensioni delle metapofisi in corrispondenza delle ultime vertebre lombari e delle prime caudali, si evince che tale regione è soggetta a un maggior grado di mobilità per ciò che riguarda la rotazione, a discapito del vantaggio meccanico (caratteristiche che, associate a un corpo vertebrale di forma cilindrica, conferiscono una

(3)

maggiore libertà di movimento nella parte posteriore dell’addome, confermando il ruolo di quest’ultimo nella propulsione).

Gli zifidi studiati non hanno metapofisi elevate (come già osservato da Slijper, 1936) e il braccio di leva del multifido (la spina neurale) è notevolmente sviluppato; questo indica un maggior vantaggio meccanico rispetto a quello che si potrebbe osservare nei piccoli delfinidi, come il delfino comune, nel quale le metapofisi sono elevate (Buchholtz & Schur, 2004). Si osserva inoltre che nella regione lombare le metapofisi non si sovrappongono alle spine neurali della vertebra anteriore a causa dello sviluppo in lunghezza dei corpi vertebrali. Questo elemento evidenzia ulteriormente un maggior grado di rotazione rispetto alle altre vertebre, in particolare quelle del torace, in cui si riscontra una sovrapposizione delle metapofisi alle spine neurali della vertebra precedente (e quindi una maggiore costrizione della flessibilità intervertebale; Long et al., 1997).

I processi trasversi sono il punto d’origine del lunghissimo del dorso. Sulla base dei risultati ottenuti, si evince che i fasci muscolari più sviluppati originano in punti diversi. Anche in questo caso, infatti, l’iperodonte si distingue dallo zifio e dal mesoplodonte, in quanto si osserva che i fasci più voluminosi originano in una posizione più craniale: in H. ampullatus i processi trasversi più sviluppati si trovano nella T8, mentre nello zifio e nel mesoplodonte si trovano

nella L1 e nella L7 rispettivamente; inoltre, in H. ampullatus si osserva che negli ultimi processi

trasversi (Ca2-Ca3; fig. 67b) si assiste a un lieve incremento, indicando un leggero aumento

della massa muscolare del lunghissimo del dorso e quindi della potenza della forza applicata. L’analisi del momento di forza ha messo ulteriormente in evidenza che la regione alla quale sono associati i fasci muscolari più potenti si trova nella parte posteriore dell’addome (tra le ultime vertebre lombari e le prime caudali). Vi sono lievi differenze tra gli zifidi analizzati. Nello zifio i muscoli più potenti sono associati alla Ca1, alle L8-L9 nel mesoplodonte e alla Ca 1

nell’iperodonte. Poiché, sulla base dei dati ottenuti, i fasci più voluminosi del multifido non vanno oltre le vertebre Ca1, Ca6 e Ca2 (nello zifio, nel mesoplodonte e nell’iperodonte

rispettivamente), il picco del momento di forza potrebbe essere associato alle fibre del multifido. Secondo Pabst (1993) il multifido ha il compito di fornire supporto rigido al lunghissimo del dorso attraverso l’irrigidimento del tendine profondo, più che generare le contrazione responsabili della propulsione. Il picco del momento di forza riscontrato tra le ultime vertebre lombari e le prime caudali degli zifidi potrebbe essere spiegato attraverso l’aumento della massa muscolare del multifido (sviluppato in questa regione) e quindi alla presenza di un tendine profondo molto robusto. La componente del lunghissimo del dorso in

(4)

questa regione della colonna vertebrale è più difficile da inferire. Pabst (1993) stabilì che le superfici d’inserzione del lunghissimo del dorso sono il tendine profondo e lo strato di connettivo al di sotto del derma. Quindi a un irrobustimento del tendine profondo, potrebbe corrispondere uno sviluppo dei fasci muscolari del lunghissimo del dorso, responsabile della propulsione e unico muscolo in grado di controllare l’angolo della pinna caudale (Pabst, 1993).

Diversi studi hanno messo in evidenza l’importanza del rostro degli zifidi nella fase d’immersione (McLeod, 2002; Cozzi et al., 2010). Cozzi et al. (2010) confrontarono la BMD (Bone Mineral Density) del rostro di cinque delfinidi (Tursiops truncatus, Stenella coeruleoalba,

Grampus griseus, Pseudorca crassidens, Delphinus delphis e Globicephala melas) e tre zifidi

(Mesoplodon europaeus, Mesoplodon densirostris e Ziphius cavirostris), mettendo in evidenza valori elevati di BMD per gli zifidi (nei quali la densità maggiore, che varia tra 1.146 e 4.481 g/cm2, si ottenne nella parte centrale del rostro) rispetto ai delfinidi (per il delfino comune la densità maggiore, 0.880 g/cm2, si registrò nella porzione prossimale del rostro). Gli autori concludono che le differenze osservate possono essere interpretate alla luce dello stile di vita delle specie analizzate e che negli zifidi, la densità osservata, potrebbe favorire la discesa spostando il baricentro in avanti.

L’analisi del baricentro svolta nel presente studio supporta tale ipotesi. In M. bowdoini si osserva che il baricentro si trova in corrispondenza del 20% dello scheletro, cioè nella testa, mentre in H. ampullatus e in Z. cavirostris lo spostamento del baricentro in avanti è di minore entità. Questo potrebbe essere dovuto al sesso e all’età degli individui analizzati: in base alle caratteristiche del cranio, l’esemplare di Z. cavirostis potrebbe essere o un giovane maschio o una femmina, in entrambi i casi la pachiosteosclerosi sarebbe fortemente ridotta; nel caso di

H. ampullatus non è stata registrato alcun fenomeno di ossificazione del rostro (McLeod, 2002;

Cozzi et al., 2010), inoltre anche questo esemplare presenta le caratteristiche di un giovane maschio o di una femmina (le creste premascellari sono poco sviluppate e le dimensioni sono inferiori a quelle di un adulto maturo).

La TAC ha messo in evidenza che lo scheletro post-craniale presenta notevoli differenze di densità ossea tra lo zifio e il delfino comune. Lo scheletro post-craniale di Z. cavirostris è caratterizzato da vertebre pressoché cave, mentre in quello di D. delphis è presente un tessuto trabecolare molto più compatto. Questa caratteristica potrebbe favorire ulteriormente la discesa dell’individuo durante l’immersione.

(5)

Tra le obiezioni più rilevanti sollevate contro l’ipotesi del rostro come zavorra (McLeod, 2002), si sottolinea che se tale struttura giocasse un ruolo nell’immersione, allora non si spiegherebbe il dimorfismo sessuale cui il carattere è soggetto (la pachiosteosclerosi è notevolmente accentuata negli individui maschi). Questo prevedrebbe una segregazione da un punto di vista ecologico tra maschi e femmine (cosa che non è stata osservata; McLeod, 2002).

Per M. bowdoini e Z. cavirostris l’analisi della densità delle unità vertebrali ha restituito valori di densità notevolmente inferiori rispetto a D. delphis. La curva di densità di H. ampullatus e di più difficile interpretazione: ciò che si evince chiaramente è comunque una sensibile riduzione del parametro nella seconda metà dell’unità morfo-funzionale dell’addome, caratterizzato da valori inferiori rispetto a quelli riscontrati nel delfino comune. Anche quest’analisi sembra quindi supportare la teoria che vede il rostro come elemento di zavorra.

Reidenberg (2007) mise in evidenza che tra le tendenze evolutive dei cetacei che si immergono in acque profonde vi è una riduzione della porzione corticale dell’osso (osteoporosi). Studi di micro-TAC sui corpi vertebrali dei cetacei sono stati svolti da Dumont et al., (2013). Gli autori analizzarono 98 specie di mammiferi (terrestri e acquatici) ed evidenziarono la correlazione tra il tipo di habitat e la modalità di locomozione per scopi filogenetici. Nel presente studio la TAC è stata eseguita al fine di mettere in evidenza peculiari caratteristiche della micro-struttura dell’osso e lo stile di vita (ecologia) dell’animale. La micro-architettura delle falangi ha messo in evidenza una notevole differenza tra le trabecole del mesoplodonte, più rarefatte, rispetto a quelle degli altri tre esemplari, soprattutto nel numero di connessioni (notevolmente inferiore) e della quantità di volume osseo rispetto al volume totale del campione che, associati a valori relativamente elevati di spazio tra le trabecole, indica un alleggerimento della struttura ossea anche a livello degli arti, caratterizzati da un maggior grado di anisotropia (0.61). Questo non è altrettanto chiaro per l’iperodonte e lo zifio. In particolare quest’ultimo presenta valori simili al delfino comune per quanto riguarda il volume osseo del campione analizzato, lo spessore delle trabecole e lo spazio tra esse compreso. I risultati ottenuti sul M.

bowdoini possono essere interpretati in funzione della riduzione della densità dello scheletro

post-craniale il quale favorirebbe lo spostamento del centro di massa nella parte anteriore del corpo.

Per una maggiore comprensione della micro-struttura trabecolare sono auspicabili studi più dettagliati, estesi alle unità vertebrali.

(6)

Figura 74. Scheletro di M. bowdoini (sopra) e di Lagenorhynchus acutus (sotto). Negli zifidi non è presente una

sinclinale, mentre nel lagenorinco, che presenta le stesse caratteristiche di D. delphis, si osservano due punti di sinclinale, il primo in corrispondenza delle ultime vertebre lombari, il secondo nel peduncolo caudale (le immagini non sono in scala) (Andrews, 1908; Buchholtz et al., 2005).

Figura 75. Andamento di NSI (inclinazione delle spine neurali;

sopra) e identificazione del peduncolo caudale e della base della coda (sotto; Buchholtz et al., 2005).

Riferimenti

Documenti correlati

• The overall transmission revenue requirement of transit countries is shared with consumers con- nected in the destination countries based on transit gas volumes; each

Infine, in ambiente RapidForm 2004, l’immagine all’infrarosso viene texturizzata sulla mesh, utilizzando come punti d'appoggio i target laser scanning sulla superficie reale.. L’aver

I tre soggetti presi in esame nella parte finale dell’elaborato (Consorzio Venezia Nativa, Parco della Laguna e Comitato Expo Venezia) pur avendo prospettive

In questo senso, Beit Beirut rappresenta un interessante e raro esempio di appropriazione dello spazio da parte della società civile, allo scopo di salvaguardare

With the signing of the Memorandum of Understanding on Specific Economic Policy Conditionality (MoU) by the so-called 'Troika' (International Monetary Fund, European

– 2008: Partecipazione al progetto di ricerca PRIN “Problemi e prospettive di sviluppo delle imprese agroalimentari: tra Made in Italy e Service in Italy” (Dipartimento

Per l‟esperimento sono stati scelti sei muscoli che controllano l‟articolazione della caviglia durante il passo e che si trovano in posizione superficiale, essi

Da un’analisi di tipo qualitativo emergono sostanziali differenze nell’organizzazione e nella disposizione della rete di drenaggio in relazione ai differenti tipi