Introduzione
Questo commento traduttivo si prefigge lo scopo di descrivere i momenti salienti del lavoro di traduzione svolto su una selezione di capitoli del saggio dell’autrice statunitense Barbara Ehrenreich che si intitola Bright Sided: How the
relentless promotion of Positive thinking has undermined America.
Racconterò quali considerazioni mi hanno condotto alla scelta di questo saggio, descriverò le operazioni preliminari svolte in preparazione dell’opera traduttiva vera e propria e chiuderò il commento con l’analisi della mia traduzione nei punti del testo originale che ho ritenuto maggiormente significativi in ottica traduttiva.
Per fare ciò sarà necessario rilevare i passaggi che hanno richiesto maggiore attenzione, tempo e inventiva in sede di traduzione, e specificare di volta in volta quali aspetti linguistici del Testo di Partenza (altrimenti noto come source text o, in abbreviazione, TP) sono coinvolti e quali strategie traduttive sono state adoperate nel Testo di Arrivo (altrimenti noto come target text o TA) per cercare di veicolare esattamente (o quasi) le stesse informazioni sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo.
Commento
La scelta del testo da tradurre
Quando ci si accinge a scegliere un testo da tradurre, ci si trova sempre davanti a un oceano di possibilità; come traduttori, bisogna essere lieti di avere questa scelta (alquanto rara nel mondo della traduzione professionale), questa libertà sconfinata, e nel contempo bisogna essere consapevoli della responsabilità che stiamo per assumerci: stiamo per trasportare (tradurre, ce lo dice l’etimologia, non è altro che trans ducere, condurre attraverso, ossia trasportare) all’interno della nostra cultura, della nostra lingua, della nostra società, un’opera nata altrove, scritta da qualcuno che, magari, non immaginava nemmeno che persone che non parlano la sua stessa lingua potessero leggere ciò che lui o lei aveva da dire. È dunque fondamentale avere chiare, oltre alle proprie affinità elettive, comunque fondamentali per la riuscita dell’opera di traduzione, le motivazioni per le quali si ritiene di dover effettuare questo lavoro, che è un lavoro al contempo nobile e “sporco”, artistico e artigianale, e che non è affatto esente da dubbi sulla sua effettiva validità, sulla sua utilità e perfino sulla sua concreta possibilità1.
Personalmente devo ammettere che, come in tutte le scelte importanti, il caso ha avuto un ruolo non indifferente nel determinare la mia scelta finale di tradurre questo saggio della Ehrenreich. Innanzi tutto non credo che avrei mai avuto la possibilità di conoscere quest’autrice se non avessi seguito le lezioni di colui che è poi divenuto il mio relatore, il professor Alessandro Grilli, e in secondo luogo, non so se sarei arrivato alla decisione di tradurre quest’autrice così interessante senza
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l’appello diretto del professore, che ci ha informati sul fatto che l’opera di quest’autrice non fosse in gran parte ancora stata ancora tradotta e ci ha esortati a prendere in considerazione l’ipotesi di tradurre una sua opera per il nostro elaborato finale.
Una volta pervenuto alla decisione di tradurre un’opera di Barbara Ehrenreich, non mi restava che decidere quale. Il professore avrebbe voluto che ci occupassimo della traduzione del testo in programma d’esame, The Hearts of Men, ma il libro è stato scritto nel 1983 e io, che nella scelta del testo da tradurre mi sono posto anche uno scrupolo sulla commerciabilità dell’opera, ero orientato verso qualcosa di più recente, anche considerato il fatto che col tempo alcune informazioni presenti nelle opere saggistiche possono diventare superate o risultare inesatte. Effettuando una veloce ricerca sulla bibliografia dell’autrice la sua ultima opera, quella che alla fine avrei scelto, risultava essere del 2009, e trattava, a giudicare dal titolo (e soprattutto dal sottotitolo), di qualcosa di estremamente interessante: di come la promozione a oltranza del pensiero positivo abbia danneggiato l’America.
Pensai che un simile sottotitolo, nel 2009, poteva riferirsi soltanto a una cosa, vale a dire alla folle gestione della politica creditizia di molte istituzioni finanziarie americane che aveva causato prima lo scoppio della bolla immobiliare e poi, con un terribile effetto domino, la stretta creditizia che diede l’avvio alla crisi finanziaria prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo. L’argomento, oltre che essere molto interessante per me, è indubbiamente un argomento di interesse generale, visto che la crisi finanziaria che ha avuto inizio nel 2008 non ha ancora esaurito il suo devastante effetto sulle economie mondiali. Quello che non mi aspettavo, e che scoprii con piacere quando lessi il libro per la prima volta, era che il libro trattasse anche di altro, di tanto altro. Il ruolo del pensiero positivo nello scoppio della crisi viene sì
investigato, ma solo nel settimo capitolo, e dovendo esprimere un giudizio a
posteriori direi che questo capitolo non è neanche il più interessante del libro, che in
ogni capitolo investiga le connessioni tra il pensiero positivo e i singoli ambiti della società americana (sanità, religione, economia, business…).
Di fronte a un’opera di tale spessore, mai scontata, a tratti rivoluzionaria e sempre illuminante, il mio interesse già alto non poteva non essere confermato. È dunque per queste ragioni che ho deciso di intraprendere il lavoro di traduzione di quest’opera, e perché ritengo che nonostante le sue catastrofiche conseguenze, la nostra società, come anche quella americana, ricorra ancora a massicce dosi di pensiero positivo a tutti i livelli, dalle questioni più comuni delle nostre vite quotidiane a quelle più cruciali concernenti la gestione della cosa pubblica.
Operazioni preliminari
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, per tradurre un testo in maniera efficace, indipendentemente dalla sua lunghezza e dalla natura delle informazioni in esso contenute, gli esperti di traduzione consigliano di operare diversi passaggi. Una volta comprese le ragioni che lo spingono a intraprendere l’opera di traduzione è fondamentale che il traduttore si ponga alcune domande circa la natura del testo originale, delle informazioni in esso contenute, e dei suoi possibili lettori una volta tradotto.
Ogni traduzione, dunque, ha inizio con la lettura (o per meglio dire le letture) del testo originale, letture che hanno lo scopo di determinare:
a) Se il testo appartiene a una categoria letteraria o saggistica
b) Se il testo presenta dei macrostilemi che si mantengono costanti lungo tutto il testo (prosa, versi, registro, struttura, etc.)
c) Se il testo presenta microstilemi degni di nota che si ritiene di dover mantenere nel processo di traduzione (predilezione per un particolare tempo verbale, supremazia di paratassi o ipotassi, neologismi, particolari strategie testuali, etc.)
d) Le caratteristiche del “lettore tipo”, ossia che tipo di bagaglio culturale pregresso è necessario possedere affinché l’opera risulti comprensibile e interessante e quale tipo di lettore possiede questo bagaglio
e) Eventuali punti in cui la traduzione potrebbe rivelarsi particolarmente complessa per via di barriere di tipo linguistico o culturale, come per esempio giochi di parole, differenze a livello grammaticale fra le due lingue (strutture sintattiche perfettamente concepibili in una lingua, per esempio, possono risultare poco trasparenti o perfino agrammaticali in un’altra), concetti altamente marcati da un punto di vista culturale, sigle e acronimi, proverbi, etc.
Tutte queste informazioni sono fondamentali nella scelta della strategia traduttiva più adeguata da adottare; se per esempio ci troviamo di fronte a un testo saggistico, come nel caso qui in esame, allora il nostro obbiettivo primario sarà
quello di esprimere in maniera più esatta e chiara possibile il contenuto informativo del TP, anche se per fare ciò ci dovessimo trovare costretti a produrre un TA esteticamente non ineccepibile, al contrario, all’interno di un testo letterario è opportuno concentrare le proprie attenzioni ed energie al fine di produrre un TA che sia esteticamente altrettanto valido del TP, anche se per raggiungere tale fine si decide di doverci prendere alcune libertà nei confronti dell’esattezza della traduzione del contenuto informativo.
A seguito delle letture del testo della Ehrenreich è stato possibile dare una risposta a tutti gli interrogativi di cui sopra. Innanzi tutto è da subito risultato chiaro che il testo fosse di tipo saggistico, e questo non solo grazie alle conoscenze pregresse possedute sull’autrice e sull’opera, ma anche grazie a tutta una serie di segnali testuali che vanno dall’abbondanza di riferimenti extratestuali, alla presenza di espressioni come “I think”, “I believe” o “In my opinion”, dove la prima persona è riferita all’autore stesso che prende la parola per esporre un’idea o un’esperienza che avvalorino la sua tesi. A tal proposito, il primo capitolo risulta particolarmente significativo, poiché tratta dell’incontro dell’autrice con questo fenomeno culturale, il pensiero positivo, così pervasivo da risultare invisibile come l’aria che respiriamo. Il primo capitolo tratta infatti del pensiero positivo in medicina, più specificamente nella terapia del cancro al seno, e lo fa tramite un resoconto dell’esperienza che la stessa autrice ha compiuto durante la sua lotta contro il tumore, cui si aggiungono le sue ulteriori ricerche. In un contesto simile non sorprende dunque che la prima persona abbia un risalto molto maggiore rispetto a tutte le altre.
Quanto ai macrostilemi, a parte la palese organizzazione in prosa del testo e alcuni dettagli di formattazione, non sono stati riscontrati particolari fenomeni che necessitino di trattazione approfondita; nei microstilemi va invece sicuramente
menzionata l’abbondanza (che per il lettore italiano, soprattutto in certi passi, diventa quasi sovrabbondanza) della paratassi asindetica. Virgole, parentesi, trattini, incisi, e l’immancabile trattino non accoppiato così in voga nel mondo anglosassone, sono decisamente un tratto distintivo di questo testo e di questa autrice, il cui stile fratto, sincopato, ricorda talvolta quello dei documentari. In traduzione si è deciso di tenere viva per quanto possibile questa marca di stile e di non modificare la punteggiatura, a meno che la leggibilità e la scorrevolezza del testo non ne risultassero compromesse; l’unico segno d’interpunzione che si è deciso di eliminare sistematicamente è proprio il trattino non accoppiato a causa del suo scarso uso nei testi italiani, dovuto perlopiù all’influenza anglosassone; al suo posto nel TA troviamo virgole, punti e virgola, due punti e punti fermi, a seconda del contesto e delle necessità.
Per quanto riguarda il lettore tipo, appare chiaro che il saggio ha carattere piuttosto divulgativo. Il fatto che il saggio tratti in ogni capitolo di un diverso ambito della società americana avrebbe potuto causare una proliferazione di lessico settoriale, e in effetti ogni capitolo è sicuramente segnato da un certo grado di specificità per quanto riguarda il lessico, ma nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di termini trasparenti anche per le estremità più basse dello spettro diastratico2. Per esempio nel primo capitolo, che tratta del pensiero positivo in ambito medico, si incontrano termini come “mammogram”, “biopsy”, “pathologist”, “lymphocytes” o “genome”, mentre nel settimo, che tratta del pensiero positivo in economia, troviamo espressioni come “prime market”, “benefits”, “outsourcing”, “subprime mortgage” o “bubble” nella sua particolare accezione di forte e ingiustificata crescita dei prezzi, sostenuta da investimenti speculativi ma destinata a sgonfiarsi rovinosamente3. Curioso il caso del quinto capitolo, che tratta delle connessioni fra pensiero positivo
2G. Berruto, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, NIS, Roma, 1987, pp. 13-42 3
e religione, in cui fra le parole maggiormente “opache” non troviamo tanto termini appartenenti al lessico religioso ma ci ritroviamo ad annoverare parole come “mullet” e “pompadour”, che possono risultare scarsamente comprensibili a meno di non essere appassionati di parruccheria in quanto si tratta di due tipi di acconciature abbastanza datate.
Naturalmente va ricordato che in traduzione il lettore tipo appartiene spesso a un’altra cultura e che ciò che può non presentare alcun problema di comprensione per un lettore americano può invece essere scarsamente comprensibile da parte di un lettore italiano. Questo problema si presenta in maniera particolarmente evidente con le sigle e gli acronimi, che sono per questo motivo stati esplicitati nei casi in cui sono stati ritenuti a rischio di opacità per il lettore italiano. Un altro tipo di difficoltà traduttiva che è davvero comune riscontrare in una grande varietà di testi (fanno eccezione i testi di tipo tecnico-scientifico) è legata alla traduzione di termini specifici di una singola nazione o cultura, termini legati a istituzioni, organizzazioni, prodotti commerciali, tutto ciò che un lettore del TP ha ben presente ma che potrebbe non essere altrettanto chiaro per un lettore del TA. Un esempio di termine dotato delle suddette caratteristiche è certamente “community college”, che designa cose diverse a seconda del paese di lingua inglese in cui viene adoperato, e che negli Stati Uniti designa un tipo di istituzione scolastica pubblica ad accesso libero (numero aperto) posta a metà strada fra l’educazione superiore e quella accademica, che fornisce principalmente corsi della durata di due anni i quali permettono la consecuzione di titoli di studio chiamati associate degrees, spendibili in occupazioni richiedenti un grado di formazione medio come tecnici, educatori della prima infanzia o disegnatori industriali4.
4Cohen, A. M. e F.B. Brawer, The American Community College, Comprehensive Survey, 1982, in
La traduzione del titolo: tradurre per accattivare
Come detto in precedenza, un traduttore che sceglie l’opera da tradurre gode di tutta una serie di libertà che difficilmente sono riscontrabili in ambito commerciale; una di queste libertà riguarda la traduzione di tutte quelle porzioni di testo che non sono esattamente Testo con la “t” maiuscola. Queste porzioni di testo vengono definite “paratesto” e comprendono tra l’altro titoli, sottotitoli e frontespizi5. Di solito, sulla loro traduzione, l’influenza di tutte le figure professionali che insieme al traduttore concorrono alla buona riuscita del progetto editoriale si fa sentire in maniera più marcata, è infatti possibile (direi addirittura probabile) che il titolo originale, tradotto letteralmente, risulti poco accattivante o comprensibile; la traduzione del titolo di un romanzo, per esempio, verrà influenzata da tutta una serie di considerazioni di carattere non squisitamente linguistico e invece più legate a logiche di marketing per via della spiccata vocazione commerciale di questo genere, ma anche un’opera saggistica di tipo divulgativo come quella in esame necessita di un certo appeal da un punto di vista, per così dire, “estetico”. Va detto che in questo il testo dell’edizione americana (ne esiste anche una inglese) è davvero eccellente: su una copertina dallo sfondo giallo acceso spicca un palloncino azzurro con su disegnata una faccina sorridente e il cui filo viene tagliato in corrispondenza del trattino della scritta “BRIGHT-SIDED”, che è il titolo dell’opera ed è scritto con un carattere rosso acceso; di sicuro una copertina simile non passa inosservata,
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nemmeno nelle librerie più grandi e dispersive. Va detto, tuttavia, che anche l’edizione inglese, in modo completamente diverso, riesce a colpire il potenziale lettore; dal confronto fra le due copertine notiamo che quella inglese abbandona completamente le tonalità accese, lo sfondo è nero e i caratteri in copertina hanno tutti colori poco intensi, ma la grande differenza sta nel titolo, che diventa “Smile Or Die”, un doppio imperativo di un’intensità enorme che sfida e incuriosisce il lettore. È questo titolo, quello dell’edizione inglese, che si è scelto di adottare come punto di partenza per la traduzione del titolo dell’opera; tuttavia la traduzione letterale dell’imperativo “smile”, parola dalla divisione in sillabe un tantino controversa ma che la maggior parte dei dizionari tende a definire monosillabica, sarebbe “sorridi”, una parola di tre sillabe, inoltre il secondo imperativo, “die”, anch’esso monosillabo in inglese, in italiano è rendibile con “muori”, che è un bisillabo, infine in prosodia il titolo inglese “Smile or Die” risulta essere un quadrisillabo tronco, perché gli accenti prosodici cadono sulla prima e sulla terza sillaba (Smài | lor | dài | x), esattamente come accade nel caso di “Ridi o Muori”, questa volta un quadrisillabo a tutti gli effetti (grazie alla sinalefe che lega in una sola emissione di fiato l’ultima vocale del primo imperativo, la “i” di ridi, alla congiunzione “o”) nel quale gli accenti prosodici cadono nuovamente sulla prima e sulla terza sillaba (Rì | dio | muò | ri). Queste considerazioni sono fondamentali per comprendere la potenza non solo semantica del titolo: in inglese abbiamo uno schema metrico ben definito, vale a dire un quadrisillabo tronco mentre in italiano, se dovessimo tradurre alla lettera, pur considerando i fenomeni di sinalefe, alla fine otterremmo un quinario, cosa che annullerebbe molta parte dell’effetto “pugno allo stomaco” del TP. Per queste ragioni si è ritenuto più opportuno scegliere un imperativo bisillabo come “ridi” per la traduzione italiana, che ha il vantaggio accessorio di avere un coefficiente d’intensità
maggiore rispetto a “sorridi”, cosa che aiuta a veicolare la sensazione di choc che abbiamo ritenuto essere la caratteristica fondante del titolo; Ridi o muori: in che modo la promozione a oltranza del pensiero positivo ha danneggiato l’America.
La traduzione diretta: prestiti, calchi e traduzioni letterali
Come si è detto in precedenza, la traduzione, sebbene praticata sin dai tempi più antichi, ha sempre portato con sé una certa aura di sfiducia e discredito. Uno dei punti fondamentali su cui si è sempre discusso è stato quello riguardante la maggiore o minore liceità di alcuni tipi di procedimenti traduttivi che si discostavano in maniera piuttosto marcata dal dettato originale del testo di partenza, che a volte davano esiti così dissimili dal testo di cui dovevano essere la traduzione da causare seri dubbi sulla validità dei processi che li avevano generati.
Ben prima di Vinay e Darbelnet, che ufficializzarono la bipartizione dei processi traduttivi ripartendoli nelle due grandi classi di “traduzione diretta” e “traduzione obliqua”6, non era sfuggito ai commentatori della traduzione che esistevano due poli entro i quali il traduttore poteva scegliere di posizionarsi nel lavoro di traduzione, si poteva scegliere di rimanere estremamente fedeli al TP, al punto di teorizzare un’esatta equivalenza fra il numero di parole del TP e quello del TA, anche se questo genere di approccio generava traduzioni “brutte”, spesso quasi illeggibili, di certo non scorrevoli come un testo prodotto direttamente nella lingua del TA, oppure si poteva scegliere di mantenere un atteggiamento molto più “libero” nei confronti del TP, al punto di cassare intere porzioni di testo, modificare aspetti
6J.P Vinay e J. Daberlenet, Stilystique comparée du français et de l’anglais. Méthode de traduction. Nouvelle edition revue et corrigeé, Didier, Parigi, 1977, pp. 26-27.
importanti del testo da tradurre o non esplicitare affatto la fonte originale dalla quale il testo tradotto proveniva, arrivando in questo modo a lambire il plagio.
Va detto che la diatriba fra “brutte fedeli” e “belle infedeli” ha senso più a livello teorico che pratico, dato che qualunque traduttore che si sia effettivamente cimentato in traduzioni a uso e consumo di un pubblico, per ristretto che sia, sa che nessuno dei due poli può essere scelto a principio come unico viatico verso una traduzione ottimale, che fra i due poli esiste una “scala di grigi” fatta di compromessi, di perdite e guadagni, e che è lungo quella scala che il traduttore deve, ad ogni passo, scegliere dove collocare il suo lavoro.
La traduzione diretta, nelle sue tre forme del prestito, del calco, e della traduzione letterale, nella scala di grigi di cui sopra si colloca più in prossimità del polo improntato a una maggiore fedeltà della traduzione. La traduzione letterale, parola per parola, rappresenta il caso non marcato di traduzione; quando questo procedimento è possibile (meno spesso di quanto si potrebbe ritenere) la traduzione normalmente non presenta particolari ostacoli, anche se in alcuni casi è necessario prestare particolare attenzione ai traducenti che si intende selezionare. Le sue altre due forme, il calco e il prestito, rappresentano invece un utile strumento di traduzione in tutti quei casi in cui quanto espresso nel TP o non possiede un equivalente nella lingua del TA o ha fatto il suo ingresso, sotto la spinta di pressioni socioculturali e in maniera più o meno adattata, nel patrimonio linguistico dei lettori del TA.
Il prestito: quando l’italiano non basta
Le lingue nazionali che paliamo oggi, ci insegnano i linguisti, sono il risultato di una continua evoluzione che, percorsa al ritroso, permette in alcuni casi di risalire ad attestazioni di lingue antecedenti, spesso ormai morte, che possono essere considerate antenati comuni di due o più lingue moderne, e in altri di ricostruire quali dovevano essere le caratteristiche principali di quegli antenati linguistici di cui, purtroppo, non si è conservata alcuna attestazione scritta.
Evitando la spinosa questione delle lingue ricostruite, che non sarebbe fruttuoso trattare in questa sede, possiamo tuttavia notare che, per esempio, pur essendo chiara e ben documentata l’evoluzione che dal latino ha portato alle lingue romanze, sarebbe alquanto complicato anche per il linguista storico più preparato indicare una data esatta di “morte” del latino e di “nascita” dei volgari; questo perché fra il latino e i volgari esiste un continuum evolutivo fatto di contatti linguistici, di reazioni puriste, di invasioni di popoli (e lingue) stranieri, di prestigio culturale e di semplice e invitabile mutamento diacronico.
Ma i contatti linguistici non agiscono soltanto a livello diacronico; il progresso tecnologico dell’ultimo secolo per esempio ha permesso a molte parole inglesi di penetrare in maniera capillare e in brevissimo tempo il lessico italiano: i nuovi ritrovati tecnologici, le invenzioni nate nei tecnologicamente avanzati Stati Uniti, sono perlopiù entrati nelle nostre vite con il loro nome originale, “prestato” alla nostra e ad altre lingue con diversi gradi di adattamento. Il progresso, comunque, non è la sola via attraverso cui una lingua può fornire materiale linguistico ad altre; qualunque tipo di egemonia, sia essa tecnologica, economica, militare o culturale causa inevitabilmente un flusso di materiale linguistico – solitamente, anche se non
necessariamente, di tipo lessicale – verso le lingue che entrano in contatto con la lingua egemone.
Nella traduzione di testi saggistici dall’inglese all’italiano, poi, per via della loro tendenza a trattare di argomenti ben precisi che possono necessitare dell’impiego di lessico specializzato, i prestiti possono rendersi necessari in misura maggiore. Come detto in precedenza, nel testo preso in esame sono presenti otto capitoli e ognuno tratta di un aspetto della società americana, si parla di pensiero positivo in medicina, in economia, nella religione, e in ogni capitolo compaiono inevitabilmente termini e concetti strettamente legati a questi aspetti; questi termini, talvolta, sono entrati nella nostra lingua come prestiti. Un esempio è il termine “screening”, che designa secondo il dizionario di medicina Treccani un “controllo sanitario eseguito su una popolazione o su singoli gruppi o categorie per consentire la diagnosi precoce di determinate malattie e condizioni morbose7 […]”. È certamente lecito chiedersi se qui un prestito fosse realmente necessario visto che, al contrario di altri prestiti presenti nel capitolo come “newsletter” o “fast-food”, il termine “screening” potrebbe essere reso in italiano per esempio con “monitoraggio”, ma è altrettanto lecito che il traduttore si chieda, avendo a che fare con un termine appartenente al gergo medico poiché associato all’aggettivo “anticancro”, quale sia la forma più ricorrente all’interno del suddetto gergo. Per farsi un’idea di quanto poco l’espressione “monitoraggio anticancro” sia utilizzata è sufficiente inserirla su Google, compresa di virgolette, e confrontare il numero di risultati ottenuti con quello ottenuto digitando “screening anticancro”, sempre virgolette incluse; il risultato è schiacciante e vede la forma con “screening” vincitrice per 456 a 0, se invece si decide di limitare il campo della ricerca al solo corpus di testi presente su
7 Enciclopedia Treccani, voce “screening”, http://www.treccani.it/enciclopedia/screening_%28
Google libri la vittoria è di misura, un 1 a 0 che comunque non lascia dubbi su quale sia la formula più naturale in italiano.
Un altro caso in cui l’uso di prestiti può essere utile è quando si desidera evitare la ripetizione di un termine che ricorre identico a breve distanza. Occorre premettere che questo genere di situazione si verifica molto di frequente nei testi saggistici, molto più che in quelli letterari, per ragioni legate alla specificità dell’argomento trattato, ma va anche detto che il lettore anglosassone non è tanto sensibile alla variatio quanto lo è un lettore italiano e dunque, pur mantenendo il massimo rispetto per i concetti contenuti nel TP e facendo estrema attenzione ai traducenti che si sceglie di adoperare, è consigliabile evitare il più possibile che due termini identici si ripetano a breve distanza l’uno dall’altro. Un caso del genere si verifica nel quinto capitolo, dove l’espressione “powers of leadership” occorre a breve distanza dal termine “leadership”; in questo caso si è deciso di sfruttare il fatto che il termine “leadership” sia entrato nel vocabolario italiano8 come sinonimo di “comando”, e di tradurre la prima espressione con “poteri di comando” e lasciare il secondo termine invariato.
La traduzione come creazione: quando la fedeltà fa male
Restando in tema di ripetizioni e ridondanze, una delle prime difficoltà incontrate, che si è ripresentata regolarmente durante la traduzione visto l’alto numero di occorrenze, è stata la traduzione di “upbeat”, termine in sé non
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complicatissimo da tradurre ma che in questo saggio occorre spesso insieme a “optimistic”, che se non è un sinonimo è comunque una parola semanticamente molto vicina. Normalmente si potrebbe sfruttare il doppio significato di “upbeat”, che oltre a significare “ottimista” significa anche “allegro”, per rendere questo termine, tuttavia nel caso della successione di aggettivi che nell’introduzione la Ehrenreich attribuisce agli americani come popolo, compaiono altri due aggettivi: “shallow”, che significa “superficiali, poco profondi” e “cheerful”, che è molto più vicino di “upbeat” alla traduzione di “allegri”. In questi casi non restano che due alternative; o si sopprime un aggettivo, scelta quasi sempre sconsigliabile e che comunque nel caso in questione avrebbe significato una perdita considerevole sia in termini di fedeltà allo stile che di rispetto del contenuto informativo dell’originale, oppure si ricerca un nuovo aggettivo che, pur non essendo esattamente uno dei traducenti del vocabolo presente nel TP, mantiene tuttavia una contiguità semantica con questi ultimi e con gli altri aggettivi che lo circondano, contiguità che è simile a quella presentata dagli aggettivi scelti dall’autrice nel TP. Tenendo conto di queste considerazioni la scelta per la traduzione di “upbeat” è ricaduta su un termine semanticamente contiguo a “ottimisti”, vale a dire “fiduciosi”.
In certi casi, come quello appena analizzato, per mantenere la stessa ricchezza nell’aggettivazione senza stravolgere il senso degli aggettivi stessi è necessario compiere questo genere di operazioni, che definirei “additive”, dato che nella traduzione si va a inserire, al posto di qualcosa di ridondante, qualcosa che nell’originale non è esattamente presente, anche se nel nuovo contesto questa aggiunta svolge un ruolo non dissimile da quello che svolgeva la parola presente nell’originale. In altre situazioni, tuttavia, le differenze tra le lingue creano situazioni in cui si è costretti a sacrificare un aspetto pur importante dell’originale per dare vita
a una traduzione che non sia troppo straniante per il lettore. L’inglese, per esempio, gode di una proprietà che in italiano è molto meno sviluppata, può semplicemente giustapporre due sostantivi perché questi entrino in relazione fra loro, come nel caso dell’espressione “income effect” nella frase “clearly not an income effect”. Per la traduzione di questo concetto le opzioni a disposizione del traduttore sono sostanzialmente due: o si effettua un calco, e si traduce con “chiaramente non un effetto guadagno”, operazione già effettuata con espressioni simili come “effetto boomerang” o “effetto domino”, calchi che però a differenza del caso in esame sono da tempo entrati nell’uso comune e non verrebbero percepiti dal lettore come una traduzione pedissequa dell’espressione inglese, o si effettua una traduzione più estesa, esplicitando il rapporto che c’è fra i due sostantivi, sacrificando la sinteticità dell’espressione inglese e traducendo con “effetto chiaramente non ascrivibile al guadagno”, scelta che si è deciso di compiere nella traduzione dell’espressione9.
Un altro problema che capita spesso di dover affrontare quando si traduce è quello della resa dei modi di dire, che possono essere espressi per intero nella loro forma canonica o essere evocati tramite riferimenti più o meno trasparenti a parti di essi. È questo secondo caso che si verifica nella frase:
Things are pretty good right now, at least if you are willing to see silver
linings, make lemonade out of lemons10, etc., and things are going to get a whole lot better.
che tradotta letteralmente non avrebbe alcun senso. Le espressioni in corsivo, infatti, fanno riferimento a due proverbi inglesi; il primo è “every cloud has a silver lining” e corrisponde pressappoco al nostro “non tutti i mali vengono per nuocere”, anche se la parola “lining”, che significa “rivestimento interno, fodera” e indica dunque un’altra
9Ibid pp.46-45 10
faccia, una faccia normalmente poco visibile, per esempio di una giacca, porta anche alla mente del lettore italiano l’espressione “vedere il lato positivo”, anche considerata la connotazione positiva di “silver”; il secondo è “when life gives you lemons, make lemonade”, che non ha un esatto corrispettivo in italiano ma è affine al nostro “quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”. Questo tipo di traduzione viene definita traduzione per “equivalenza” e si verifica ogni qualvolta si traduce con espressioni completamente diverse che hanno però lo stesso senso nelle due lingue di partenza e di arrivo11. Sono per l’appunto queste ultime due espressioni che si è deciso di tenere in considerazione per la traduzione dell’intera frase, che in italiano è stata resa così:
Le cose vanno bene al momento, basta essere disposti a vedere il lato positivo, mettersi a giocare quando il gioco si fa duro, etc., e le cose non faranno che migliorare.
Nel caso citato poco sopra abbiamo visto come, mutatis mutandis, sia stato possibile tradurre dei proverbi privi di una vera e propria controparte all’interno della lingua italiana senza che il senso generale della frase subisse perdite significative. Questo tipo di differenze, tuttavia, non riguarda sempre e solo la lingua di partenza. Esiste la possibilità concreta che una traduzione da una determinata lingua presenti una sovrabbondanza di caratteristiche tipiche di quella lingua, come un’eccessiva presenza di avverbi di modo in “–mente” nel caso dell’inglese, ma è ancor più probabile che quella stessa traduzione mostri una carenza di tratti che nella lingua d’arrivo sarebbero invece molto comuni, come l’aggettivazione posposta nel caso dell’italiano. È compito del traduttore, forse uno dei più ardui, tenere alta la guardia affinché queste tendenze non prendano il sopravvento e il testo della traduzione
11 Ibid
rimanga quanto più possibile confrontabile con un normale testo redatto fin dal principio nella lingua d’arrivo, così dovendo tradurre la frase: “positive thinking
supposedly not only makes us feel optimistic but actually makes happy outcomes
more likely.” si è deciso di tradurre “supposedly”, avverbio che indica una presa di distanza da parte dell’autore rispetto a quanto affermato in seguito, non con un altro avverbio, ma trasformando l’indicativo dell’originale in un particolare tipo di condizionale detto “di dissociazione”, che non ha un omologo nella lingua anglosassone ed è di uso sempre più comune in italiano a causa dell’uso frequentissimo che se ne fa in ambito giornalistico. In base a queste considerazioni la traduzione della frase in esame risulta dunque essere: “pensare positivo non solo ci farebbe sentire più ottimisti ma renderebbe concretamente gli avvenimenti felici più probabili.”
Il livello sintattico: differenze inglese-italiano, riflessioni e difficoltà a livello
traduttivo
Quando si traduce un testo non conta solo una buona resa del lessico e degli eventuali modismi e frasi idiomatiche, bisogna anche conferire la stessa fluidità che ha il TP al TA. La punteggiatura sicuramente gioca un ruolo molto importante nella sintassi, e scegliere a volte di cambiarla, girare la frase o magari accorciarla, risulta l’unica scelta plausibile per dare spessore al TA. È bene concentrarsi, dunque, sulla sintassi, quell’aspetto della grammatica riguardante l’ordine delle parole che non
segue gli stessi schemi nella lingua inglese e in quella italiana, obbligando il traduttore a mettere in pratica delle strategie di adattamento12.
La semplificazione sintattica è una di queste e figura anche fra i cosiddetti universali traduttivi (universals of translation) (Baker 1996), ovvero quei tratti che sono stati identificati come ricorrenti nei testi tradotti, indipendentemente dalle lingue coinvolte. In particolare, nel caso della lingua inglese
“Il testo tradotto risulta subire un processo di semplificazione della struttura sintattica nel passaggio da una lingua a un’altra13”
La sintassi italiana, infatti, rispetto a quella inglese tende a far maggior uso di lunghi periodi e strutture ipotattiche. Di conseguenza, si è proceduto più volte a riformulare la ripartizione dei periodi per rendere la lettura del TA più agevole si è sentito il bisogno di “spezzare” enunciati troppo lunghi. Si prenda in considerazione il seguente esempio: “[...] But on health-related matters, as it turned out, I was
optimistic to the point of delusion”.
Reso con: “Ma sulle questioni di salute, scoprii di essere talmente ottimista da travisare la realtà”. L’inciso as it turned out (come risultò essere) è stato sostituito e la frase è stata semplificata e girata con il verbo “scoprii”. Molto spesso il processo che viene utilizzato per rendere la sintassi, rispecchia la cosiddetta law of
standardisation di Toury, o normalizzazione, ovvero la tendenza ricorrente nella
traduzione a orientarsi verso scelte linguistiche il più possibile vicine alla convenzionalità della lingua d’arrivo14: questa tendenza spiega anche alcune
12K. Ballard, The frameworks of English, Palgrave, 2001, p. 71.
13A.Cardinaletti, G. Garzone, L’italiano delle traduzioni, Milano, FrancoAngeli, 2005, p.36. 14
modifiche della punteggiatura operate per dare più respiro al testo e riportarlo a una struttura più comune nella lingua ricevente.
Tradurre è possibile
Moltissimi studiosi e teorici della traduzione hanno discusso e argomentato numerose tesi “sull’impossibilità della traduzione”. Molti termini, strutture grammaticali e modi di dire spesso perdono qualcosa nel TA o addirittura vengono stravolti per adattamenti di tipo culturale o per esigenze commerciali. Come dice Ervino Pocar:
Comincio con un’affermazione, precisa, apodittica: tradurre è
impossibile. A questa ne aggiungo un’altra altrettanto schietta e precisa: si è sempre tradotto, si traduce e sempre si tradurrà15.
Nel suo articolo Pocar cita moltissimi studiosi, filosofi e teorici celebri, da Goethe a Ortega y Gasset, da Benedetto Croce a Dante, che molto spesso nei loro scritti discussero questo tema e lo argomentarono con le loro idee e prospettive. Questi grandi nomi hanno sempre affermato che, tradurre è un’impresa impossibile, ma sin dai tempi antichi, gli uomini hanno sentito la necessità di ricorrere ai traduttori, ai dragomanni e agli interpreti, perché tradurre non si può è vero, ma si deve16.
Il problema sicuramente si focalizza sul punto che tratta “come si dovrebbe tradurre”, ma a questo proposito moltissimi teorici hanno fornito metodi, saggi e
15E. Pocar, Necessità della traduzioni, “Tradurre pratiche teorie strumenti” n 4, 2013 in
http://rivistatradurre.it/2013/05/necessita-delle-traduzioni/
16 Ibid
scritti esaustivi riguardo i vari metodi da utilizzare e gli errori da evitare; sicuramente il traduttore che si accinge a tradurre un testo straniero deve rivivere e far rivivere l’opera straniera dentro se stesso. Proprio come dice Croce la traduzione è espressione della personalità del traduttore, ma quest’ultimo deve essere umile senza stravolgere il TA nel farlo proprio.
Cito questo saggio molto interessante per parlare di due punti della traduzione affrontata in questo lavoro di tesi, abbastanza particolari e, appunto “impossibili” da tradurre. Nel capitolo settimo troviamo: temper the Pollyannas in
its ranks e whistle-bowler.
Nel primo caso si parla di impiegati troppo ottimisti che vivono nel mondo delle fiabe, quasi come dei cartoni animati, quindi Pollyannas; non esistendo qui un termine in italiano per rendere l’idea di una persona eccessivamente positiva, si è scelto di modificare la frase in: “tirare giù dalle nuvole i dipendenti” sottraendo sicuramente ironia al TA, ma risolvendo il problema dalla mancanza in italiano di un’espressione equivalente.
Stessa cosa vale per whistle-bowler; il lavoratore che, durante l’attività lavorativa all’interno dell’azienda, rileva una possibile frode, un pericolo o un altro serio rischio che possa mettere in serio pericolo i clienti o l’azienda stessa, e decide di segnalarlo. Nella lingua italiana non esiste un corrispettivo del termine, così si è deciso di “spiegare” l’espressione e quindi di rendere il sostantivo “sciogliendolo” così: “dipendente intenzionato a denunciare il marcio dell’azienda”. Entrambi questi casi di “intraducibilità”, dove il traduttore si ritrova davanti a espressioni che non esistono nella propria lingua madre, lo costringono a iniziare un lavoro di “negoziazione” ricorrendo di volta in volta ad adattamenti, prestiti, perifrasi e altre tecniche per rendere al meglio quell’espressione della lingua di partenza nella
lingua di arrivo17. Tradurre quindi è possibile, un atto necessario, la traduzione non è solo un ponte attraverso il quale si passa da una lingua all’altra, essa collega anche le sponde di due diverse culture18.
Conclusioni
All’inizio di questo lavoro ci siamo posti diversi interrogativi, ci siamo chiesti cosa spinge un traduttore a tradurre, cosa rende la traduzione un’opera utile, cosa la rende affascinante e cosa, in ultima analisi, la rende possibile. Abbiamo visto che le motivazioni che guidano nella scelta un traduttore possono appartenere a tre categorie principali, entrano di sicuro in gioco delle dinamiche di affinità elettiva e di apprezzamento o ammirazione per l’opera o il suo autore, ma ci si chiede anche quale impatto avrà nella vita dei lettori la nostra opera, a quanti potrà piacere o interessare quello che a noi piace e interessa, e non solo – anche se questa è una delle tre categorie – in ottica meramente economica. Il traduttore di favole per bambini, se fa il suo lavoro con passione, non può non avere davanti agli occhi l’immagine di tutti gli occhi di quei bambini cui i genitori leggeranno le favole mentre si fanno sempre più pesanti e infine si chiudono sereni, come il traduttore di un manuale d’istruzioni non può prescindere dal chiedersi in prima persona quanto è chiara e comprensibile a tutti la sua traduzione, perché dal suo lavoro dipende la soddisfazione o la frustrazione di tantissimi utenti finali. Questa seconda categoria
17
U. Eco, Dire quasi la stessa cosa, Tascabili Bompiani, Milano, 2012, p.193
18F. Parenti, La traduzione come ponte fra culture, in
potremmo definirla utilitaristica, ma solo a patto di intendere il concetto di “utile” non solo come proprio di qualcosa che ci aiuta a raggiungere uno scopo pratico ma come proprio di tutte quelle cose che rendono la vita migliore e più bella.
Infine la marketability, la vendibilità, di un’opera non è da trascurare. Putroppo i traduttori a tutt’oggi vivono una condizione economica molto precaria; passano spesso di progetto in progetto senza ricevere mai una vera stabilizzazione economica, patiscono l’irrigidimento continuo delle condizioni contrattuali che le aziende committenti, ivi comprese le case editrici, portano avanti con la scusa della crisi del mercato editoriale, patiscono la loro stessa scarsa coscienza d’insieme e la disperata lotta, tipica ormai di tante posizioni lavorative, di chi vuole lavorare a tutti i costi (e nel caso della traduzione talvolta è proprio di costi, e non di compensi, che si parla in cambio del proprio lavoro) e accetta qualunque tipo di condizione pur di fare esperienza e aggiungere un paragrafo al proprio curriculum.
In questo panorama il tempo del traduttore vale poco, e paradossalmente questo lo rende preziosissimo; dedicarsi alla traduzione di un’opera fallimentare e accettare clausole contrattuali che legano la percezione del compenso all’effettiva pubblicazione o, peggio ancora, all’effettivo successo dell’opera in termini di copie vendute, significa perdere tempo e denaro e nessuno, specie al giorno d’oggi, può permetterselo. È necessario rispettare il lavoro del traduttore, retribuirlo senza addossargli il rischio d’impresa o le condizioni dell’economia e riconoscerne l’importanza basilare per il successo del progetto editoriale anche a livello grafico, ad esempio iniziando a riservare in copertina uno spazio per il suo nome.
La traduzione, come abbiamo visto, non solo è possibile e necessaria, ma è in larga parte un’affascinante opera di decostruzione e ricostruzione, una specie di
più piccoli e intimi che giacciono sotto la superficie dell’opera, li rende propri, ne comprende la natura e il funzionamento, lo scopo e l’importanza, e infine rimonta il tutto cercando di creare un prodotto in tutto e per tutto equivalente a quello studiato, ma che inevitabilmente porterà il suo marchio. Più che un processo di semplice traslazione di un unico oggetto da un punto (o da una cultura) A a un punto (o a una cultura) B si potrebbe percepire la traduzione come un processo di smontaggio e rimontaggio, distruzione e ricreazione, morte e rinascita. Questo cambio di prospettiva a mio avviso non è ozioso ma serve a dare maggiore risalto al ruolo e al lavoro del traduttore senza per questo andare a modificare quello che ne è l’effetto, il risultato ultimo; gli riconosce un ruolo più attivo, un estro creativo e uno spazio d’espressione indipendenti da quelli dell’autore e lo libera dunque da quell’aura di subalternità e di diffidenza che lo circonda ancora oggi.
Bibliografia
B. Ehrenreich, Bright-Sided, how the relentless promotion of positive thinking
has undermined america, New York, Metropolitan Books, 2009.
U. Eco, Dire quasi la stessa cosa, esperienze di traduzione, Milano, Tascabili Bompiani, 2012.
G. Berruto, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, NIS, Roma, 1987. G. Genette, Palinsesti: la letteratura al secondo grado, Einaudi, Torino, 1997.
J.P Vinay e J. Daberlenet, Stilystique comparée du français et de l’anglais.
Méthode de traduction. Nouvelle edition revue et corrigeé, Didier, Parigi, 1977.
K. Ballard, The frameworks of English, Palgrave, 2001.
A.Cardinaletti, G. Garzone, L’italiano delle traduzioni, Milano, FrancoAngeli, 2005.
Sitografia
Dizionario Garzanti, voce “bolla”, http://www.garzantilinguistica.it/ricerca/? q=bolla%201.
Cohen, A. M. e F.B. Brawer, The American Community College, Comprehensive Survey, 1982, in http://en.wikipedia.org/wiki/Community_colleges _in_the_United_States#Associate_degree.
Enciclopedia Treccani, voce “screening”, http://www.treccani.it/enciclopedia/ screening_%28 Dizionario-di-Medicina%29/.
Enciclopedia Treccani, voce “leadership”, http://www.treccani.it/enciclopedia /leadership/.
E. Pocar, Necessità della traduzioni, “Tradurre pratiche teorie strumenti” n 4, 2013 in http://rivistatradurre.it/2013/05/necessita-delle-traduzioni/.
F. Parenti, La traduzione come ponte fra culture, in http://www.punto-italiano.it/intraducibilita-traduzione-come-ponte.
Appendice 1
Un confronto fra la copertina dell’edizione americana e quella dell’edizione inglese: