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2. La storia di Pianosa dalla chiusura del carcere di massima sicurezza ad oggi tra conflitti di competenze e collaborazioni tra gli enti pubblici coinvolti nella gestione dell’Isola

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2. La storia di Pianosa dalla chiusura del carcere di massima

sicurezza ad oggi tra conflitti di competenze e collaborazioni

tra gli enti pubblici coinvolti nella gestione dell’Isola

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Il primo avvenimento legato alla dismissione delle attività carcerarie di massima sicurezza si ebbe alla fine di luglio 1997, quando giunse la notizia che l'ultimo detenuto-boss aveva lasciato Pianosa per un carcere della terraferma, concludendo così l'operazione di trasferimento degli ultimi cinquanta capimafia sottoposti al regime speciale dell'articolo 41 bis presenti sull’Isola e rispettando l’iter che prevedeva per il 31 ottobre la chiusura del supercarcere.

Sempre in quel periodo furono anche chiusi i contingenti di carabinieri e polizia e ciò fece sì che rimanessero sull’Isola solo pochi agenti di custodia e un'ottantina di detenuti comuni, che si occupavano dell'azienda agricola, la quale aveva al suo interno allevamento di bestiame, viti, olivi e produzione di foraggi; i suoi costi vivi annui erano un miliardo e 600 milioni di Lire, mentre produceva solo cento milioni di ricavi.

Il 7 agosto gli amministratori della Comunità montana dell’Elba e Capraia, che si occupava sull’isola maggiore della gestione idrica, fecero un sopralluogo a Pianosa per verificare lo stato di consistenza della rete idrica, constatando che il sistema di approvvigionamento praticato fino a quel momento si basava esclusivamente sulle risorse locali e che il sistema fognario era del tutto assente.

Nonostante fosse ormai decisa la chiusura del carcere, il giorno seguente fu data la notizia che erano ancora in corso i lavori di ristrutturazione di una caserma dei carabinieri, la «Bombardi», situata nell'area carceraria, per un costo che si aggirava attorno ai 12 miliardi di lire. Essendo l'Isola demaniale e gli edifici, tra cui la caserma, in uso al Ministero di grazia e giustizia, lo Stato doveva perciò decidere a chi sarebbero stati assegnati, in concessione o in affitto, tali beni. Un problema però era costituito dal fatto che il 98% degli edifici avevano più di mezzo secolo, avendo così il vincolo monumentale, per cui per ristrutturarli c’era bisogno dell’approvazione da parte della Soprintendenza di Pisa, competente sull’Isola. Su questo punto all’epoca esistevano solo delle ipotesi che vedevano contrapporsi da una parte Regione e Stato e dall'altra

5 Tale capitolo è una ricostruzione degli avvenimenti più recenti così come riportati dal quotidiano locale

il Tirreno. Fonte: AA.VV. tra cui L. Cignoni, S. Bramanti, C. Orsini, M. Di Mauro, C. Rizzoli, U. Galli, L. Rovini, B. Puccini, S. Miglioretti, M. Gargiulo, S. Di Mercurio, A. Martuscelli, P. Pertici, G. Tanelli, L. Caselli, K. Ghilli, M. Lancisi, E. Arrighi, C. Lanzoni, A. Giannoni, M. Mostardini, G. Vignocchi, G. Fontani, E. Betazzi, D. Pretini, C. Passiatore, A. Valentini, E. Maestrini, G. Della Maggiore, V. Landucci, S. Taglione, R. Bernabò, A. Danesi, A. Bramerini, L. Centini, I. Bonuccelli, L. Loreti, G. Sammuri,

Ricerca condotta nel database online de il Tirreno su circa 12.000 articoli con parola chiave “Pianosa” (di cui selezionati circa 600), 18 maggio 1997 – 25 marzo 2016.

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21 Parco e comune di Campo nell'Elba. I primi aspiravano al mantenimento di una struttura carceraria forte mentre i secondi miravano ad affrancare completamente Pianosa, acquisendo gli edifici e gestendo l'isola attraverso una società per azioni. Unico elemento in comune era che entrambe le parti non volevano che l’Isola finisse ai privati. Nonostante il carcere di massima sicurezza fosse già stato svuotato, a settembre a Pianosa si trovavano ancora numerose famiglie con figli in età scolare e questo impose alla Provincia di prevedere una sezione di scuola materna e elementare anche per l’anno scolastico 1997/98. Nel frattempo il 29 ottobre fu pubblicato un decreto legge che posticipava la chiusura della casa di reclusione pianosina di due mesi, portandola al 31 dicembre di quell'anno. Entro tale termine dovevano perciò essere completate le operazioni connesse alla definitiva dismissione delle strutture carcerarie. Nonostante tale decisione, ai 41 agenti di custodia presenti sull’Isola alla fine di novembre non era ancora stato comunicato quale sarebbe stata la loro futura sede.

Sebbene la chiusura del carcere era già stata rinviata una volta, questa non si ebbe neanche il 31 dicembre 1997. Attraverso una circolare amministrativa infatti si posticipò tale termine di due mesi. Nel frattempo la Regione stava cercando di perseguire sull’Isola la struttura carceraria, ma l'ufficio legislativo del Ministero di grazia e giustizia comunicò che per evitare la smobilitazione totale del penitenziario non sarebbe bastato un decreto ma che era necessaria una vera e propria legge. Nel tentativo di arrivare a ciò fu ulteriormente prorogata la chiusura, ma neanche questo provvedimento riuscì a dare il tempo al Parlamento di approvare la legge per l’istituzione del carcere a custodia attenuata. Il 30 giugno 1998 fu così smantellato definitivamente il carcere e cessò il vincolo penitenziario sull’isola.

Prima ancora che arrivasse quella data tuttavia si partì già con riunioni, proposte e contrasti sul dopo carcere, al fine di non farsi trovare impreparati. Mentre pochi mesi prima la stampa enunciava un’unità di intenti su questo fronte tra Comune e Parco, a maggio Piero Pertici, sindaco di Campo nell’Elba, dichiarò pubblicamente la totale consonanza di vedute fra i due enti, pur rimarcando che l’appartenenza di Pianosa al Parco fosse una sicura garanzia per la protezione e la promozione dell'Isola e che era intenzione del Comune avvalersi della collaborazione con quell'ente e di voler operare nel rispetto delle sue leggi. La risposta del presidente del Parco, Giuseppe Tanelli, fu conciliante nel ricordare che i due enti avevano lo stesso obiettivo: tutelare il grande patrimonio naturale e culturale di Pianosa e valorizzarlo con attività turistiche, scientifiche e agricole sostenibili dal delicato e prezioso ecosistema pianosino. Inoltre il

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22 7 giugno si tenne a Pianosa una riunione di lavoro convocata dal sindaco Pertici e alla quale parteciparono: il direttore generale del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il presidente, il direttore e i membri del consiglio direttivo del Parco; il prefetto; il comandante della capitaneria; il direttore del carcere. In questa fu deciso di convocare prima del 30 giugno la conferenza dei servizi (entità che riunisce tutti i soggetti pubblici interessati: dal Governo al Comune) al fine di trovare una soluzione al problema Pianosa e fu annunciato che nel periodo di passaggio di consegne dal Ministero di grazia e giustizia al Ministero delle finanze sarebbe stata garantita sull’Isola la presenza dell'amministrazione penitenziaria.

La Regione, come del resto facevano anche gli altri enti, nel frattempo continuava a predisporre la propria visione sul futuro di Pianosa in maniera autonoma rispetto agli altri. Il 21 giugno Claudio Del Lungo, assessore regionale all'ambiente, annunciò che stava cercando di inserire Pianosa nel programma Alterener, il quale sarebbe stato attivato dal 1999 e consisteva in finanziamenti, anche sostanziosi, per lo sviluppo delle energie alternative.

Il 28 giugno invece uscì la notizia che sulla base di uno studio effettuato da Marco Mazzoli sugli usi civici, il quale riportava alla luce che sul territorio di Pianosa le comunità di San Piero e Sant'Ilario vantavano diritti di inalienabilità sin dai tempi più antichi, il Comune sarebbe stato pronto a rivendicare tali diritti se il Ministero delle finanze avesse deciso di mettere in vendita l'Isola.

In vista della chiusura del penitenziario il 29 giugno la stampa riportò che la capitaneria di porto di Portoferraio aveva già riattivato una delegazione di spiaggia, con un sottufficiale e una motovedetta, servizio che fu disattivato nel 1974 in seguito ai divieti del Ministero di grazia e giustizia. Tale presenza venne rafforzata un mese successivo con l’aggiunta di sette uomini e con l’intenzione di trasferire successivamente a Pianosa venti militari con le loro famiglie. Oltre ad essi erano già presenti sull’Isola anche gli uomini della forestale e i carabinieri (a tale scopo era già operante una foresteria) e il Parco aveva già concesso la balneabilità di cala Giovanna, tutt’oggi l’unica spiaggia frequentabile di Pianosa.

Il 30 giungo così il carcere fu chiuso e fin da subito ebbe inizio il processo con il quale il Ministero di grazia e giustizia avrebbe dovuto provvedere alla riconsegna dei beni demaniali al Ministero delle finanze. Dopo che quest’ultimo ebbe portato a termine il censimento dei beni, che ammontavano a 65mila metri quadrati di superfici urbana e penitenziaria e 10mila metri cubi di fabbricati rurali, il trasferimento avvenne a

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23 settembre e ancor prima si tenne a Roma un incontro tra il presidente del Parco, i direttori generali dei Ministeri delle finanze, dell'ambiente, di grazia e giustizia e dei lavori pubblici, gli esponenti della Regione, della Provincia e del comune di Campo nell’Elba. Qui fu stabilito che, una volta tornato in possesso dei beni, il Ministero delle finanze avrebbe provveduto alla cessione dei beni dell'Isola in concessione d'uso ai vari enti richiedenti sulla base di tre possibili scenari:

 concessione per usi governativi, a costo zero, per esempio per una stazione del corpo forestale, della capitaneria o altri corpi che controllavano e vigilavano l’Isola;

 cessione ad enti pubblici, che avrebbero dovuto pagare il 10% della rendita demaniale e il 10% dei costi di manutenzione al Ministero;

 locazione o vendita ai privati.

Mentre in tale consesso il presidente del Parco dichiarò di preferire la prima opzione, annunciando anche l’intenzione di voler istituire a Pianosa una Casa del Parco, che è in pratica una sede di rappresentanza dell’ente, il Comune preferì la seconda possibilità, dichiarando di voler a tal fine costituire una società mista per la gestione dei beni dell’isola. A Roma inoltre furono formulate anche delle ipotesi di insediamenti: il monastero, da ubicare nella zona della parrocchia; una scuola di polizia marittima ecologica del corpo delle capitanerie di porto; una scuola per gli agenti di polizia penitenziaria del Ministero di grazia e giustizia.

Con l’intenzione di portare avanti la proposta fatta a Roma, il 13 novembre il Comune richiese in locazione l'intera isola di Pianosa ma le forze dell'ordine, che dovevano assicurare la propria presenza sull'isola, nel frattempo chiedevano sistemazioni dignitose. Il Comune pensò anche a questo, calcolando che ad esse sarebbero serviti circa 200 metri quadrati dei 65mila di patrimonio immobiliare dell'Isola. Tale richiesta ebbe un seguito perché è del 28 gennaio 1999 una lettera in cui il Ministero delle finanze sollecitava l'amministrazione penitenziaria all'immediata riconsegna degli immobili carcerari perché dovevano essere dati in locazione al Comune.

Dal novero dei beni destinati all’ente campese andavano però esclusi gli immobili destinati al Parco, che erano l'ex sanatorio di punta del Marchese, villa Literno e quattro torrette. A inizio febbraio il consiglio direttivo del Parco approvò lo schema di convenzione con il Ministero delle finanze, entrando in possesso dei beni ma impegnandosi, al contempo, a svolgere l'attività di custodia demaniale su tutto il

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24 compendio immobiliare di Pianosa. La convenzione aveva durata di due anni ed era rinnovabile tacitamente per uno stesso periodo.

Mentre per il Parco non vi furono problemi, la richiesta del rilascio della concessione avanzata dal Comune trovò degli ostacoli da parte del Demanio dovuti a delle incomprensioni relative alla destinazione di alcuni immobili. Questi però furono evidentemente superati perché già l’8 aprile arrivò la notizia del completamento del passaggio degli immobili richiesti al Comune, che erano: la foresteria del carcere, l'ex albergo, le strutture del porto, i locali che si trovano davanti alla chiesa, la villa rossa, il nuovo impianto per la depurazione delle acque reflue (che però era inutilizzabile per la carenza del sistema fognario), le cabine di trasformazione dell'energia elettrica e la caserma Bombardi. In particolare per quest’ultima l’iter fu un po’ più lungo perché era sempre in possesso della ditta che aveva eseguito i lavori di restauro, la quale perciò consegnò l'edificio al Ministero dei lavori pubblici, che la passò al Demanio e quindi al Comune. A novembre dello stesso anno il consiglio comunale campese avanzò al Ministero delle finanze la richiesta anche per il riutilizzo dell'ex edificio della direzione del carcere.

Nonostante si procedesse verso la rivitalizzazione dell’Isola, molte questioni rimanevano irrisolte. Per esempio tra il Parco e il Comune si dovevano ancora stabilire i termini della gestione e il controllo ambientale e l'assessorato all'ambiente della Regione continuava a procedere con altri progetti, non riconoscendo in definitiva l'autonomia territoriale di Pianosa. Rispondendo probabilmente ad accuse riguardanti lo stato di abbandono che avvolgeva l’Isola, il sindaco Pertici il 23 aprile intervenne sulla stampa precisando che il bene demaniale di Pianosa costituiva un tutto unico fino a quel momento in concessione al Ministero di grazia e giustizia. Non era quindi possibile da parte del Comune alcun intervento amministrativo e fintanto che la concessione era del Ministero, spettava a lui provvedere alla sua amministrazione.

A marzo 1999 si ebbe la notizia che era allo studio della Croce rossa italiana la proposta di creare un punto a Pianosa. Tale progetto andò avanti e il 1 agosto fu aperto un presidio sanitario sull'isola, in cui vi operavano un medico e quattro volontari. L’anno successivo si sviluppò ulteriormente, impegnando da agosto a settembre 2000 26 volontari del soccorso più quattro medici e un’ambulanza equipaggiata con attrezzature di prima emergenza. Dal punto di vista logistico i volontari erano alloggiati nell'ex asilo mentre l'alloggio del medico era attiguo all'ambulatorio.

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25 Tornando alle trattative tra gli enti, il 18 novembre 1999 si tenne un altro incontro al Ministero delle finanze, presso la Direzione centrale del Demanio, nel quale fu concordata la costituzione di un gruppo di lavoro composto da Regione, Provincia, Comune e Parco al fine di definire gli interventi e la programmazione relativa al futuro dell'Isola. Questo si riunì per la prima volta a dicembre e vi fu deciso di programmare una fitta serie di incontri al fine di arrivare con un unico progetto di massima per l'utilizzo degli edifici pianosini all'appuntamento previsto per il 14 gennaio 2000 con il Demanio di Livorno, nel quale si sarebbe dovuto ridisegnare la geografia amministrativa dell'ex penitenziario più grande d'Italia e fissare insieme le competenze. Tale progetto fu effettivamente realizzato e costituì il contenuto di un accordo siglato il 17 gennaio 2000 da rappresentanti della Regione, della Provincia, del Parco e del Comune. Qui vennero fissati i settori per lo sviluppo sostenibile dell’Isola: agricoltura biologica, seguita da una comunità di monaci che avrebbe dovuto insediarsi su Pianosa; polo didattico e scientifico, puntando su progetti di potenziamento dell'energia alternativa eolica e solare; turismo contingentato. Inoltre fu stabilito che Pianosa non avrebbe potuto ospitare più di 700 persone, cifra dettata dalla portata del depuratore ivi presente.

Della fine di marzo del 2000 è invece la proposta di sei operatori turistici iscritti all'associazione albergatori elbani di richiedere la concessione per cinquant'anni degli edifici esterni alla cinta penitenziaria, costituenti il paese, al fine di realizzarvi strutture turistiche, sia di pernottamento che di servizi. Mentre l'idea fu definita interessante dall'Intendenza di finanza di Livorno (direzione compartimentale del Territorio), il Comune ci tenne a precisare che quella era una questione fra privati e l'Intendenza di finanza di Livorno. Tale sottolineatura fu necessaria perché l’amministrazione campese poco tempo prima chiese un parere tecnico di fattibilità proprio in tal senso all’associazione albergatori, che tuttavia si diceva estranea all’iniziativa portata avanti da alcuni suoi associati e provvide a fermare il progetto dei sei imprenditori.

Intanto la Provincia il 23 marzo rese noto che nei giorni precedenti si era riunito il gruppo tecnico di Provincia, Parco e comune di Campo, il quale stava lavorando alla redazione di un piano stralcio per Pianosa, il quale prevedeva proprio di attrarre investimenti, anche privati, su progetti di riqualificazione del patrimonio ambientale e immobiliare. Questo lavoro portò alla firma, il 29 marzo, di un protocollo d’intesa tra questi enti, la Regione e il Ministero delle finanze per la valorizzazione degli immobili pianosini, del valore 80 miliardi di lire, la cui proprietà sarebbe restata integralmente del

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26 Demanio. In tale atto venne inoltre regolato l'utilizzo degli immobili stessi. Sulla base di questo il 6 giugno l'associazione albergatori elbani avanzò la sua proposta per Pianosa. Questa prevedeva che l'Isola non fosse oggetto di speculazione edilizia ma che dovesse considerarsi un satellite della vicina Elba. Inoltre vi si prevedeva il recupero delle strutture carcerarie al fine di trasformarle nel museo carcerario dell'arcipelago. Sull'Isola avrebbero poi dovuto circolare poche macchine, la balneazione andava aperta solo allo scopo di visita ambientale, andavano vietati la pesca e il campeggio. In pratica gli appartamenti interessati dal progetto erano un centinaio, oltre alla caserma Bombardi e all'ex albergo, e le strutture che dovevano trovare una destinazione diversa da quella che avevano erano 17. Attraverso questa proposta si venne poi a sapere che erano stati già assegnati alcuni immobili alla guardia costiera, alla guardia forestale, alla guardia di finanza, ai carabinieri e al Ministero di grazia e giustizia.

Il 4 maggio tuttavia il sindaco di Campo nell'Elba comunicò che i soldi del finanziamento per la realizzazione della rete fognaria probabilmente non c’erano più. Questo fatto avrebbe creato non pochi problemi ai progetti di ripopolamento dell’isola. Inoltre alla fine di agosto uscì sulla stampa un aggiornamento sulla vicenda degli usi civici, che nel frattempo era andata avanti sottotraccia. Questa si stava trasformando in una lotta tra il comune di Campo e quello di Marciana per rivendicare l'indennizzo del diritto degli usi civici su Pianosa, il quale consisteva nell’ottenere la proprietà di immobili presenti sull’Isola per un valore di circa 21 miliardi di lire. A questo punto della vicenda la Regione aveva già riconosciuto questo diritto alle comunità di San Piero e Sant’Ilario, due centri collinari facenti parte del comune di Campo, ma quello di Marciana sosteneva, alla luce di nuove documentazioni, che tale indennizzo spettasse anche a quelle di Chiessi e Pomonte, che invece facevano parte del suo territorio. In base a ciò l’amministrazione marcianese decise di presentare opposizione alla regione Toscana perché sospendesse il procedimento di liquidazione degli usi in corso in quel momento allo scopo di effettuare ulteriori ricerche storiche. Il comune di Campo nell’Elba si dimostrò infastidito da tale atteggiamento perché convinto che Marciana non avesse alcun titolo per avanzare quella pretesa, che avrebbe avuto il solo scopo di allungare i tempi di una pratica che era sul punto di essere conclusa. Sottolineò inoltre che non vi sarebbero state liquidazioni in denaro ma solo in beni che avrebbero poi dovuto avere una contabilità separata e i cui eventuali guadagni sarebbero dovuti essere reinvestiti sull'Isola. Inoltre tali usi civici, che furono accertati dai periti del Governo nel 1997, furono pubblicati all'albo pretorio del Comune nel 1998 ma in quel momento

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27 nessuno fece alcuna opposizione. Nonostante tali precisazioni provenienti dall’ente campese, il comune di Marciana formalizzò un proprio progetto di liquidazione degli usi civici, precisando che i frutti degli immobili pianosini non percepiti non dovevano ricadere su Pianosa stessa, come sostenuto dall’amministrazione campese, bensì unicamente sulle comunità di San Piero, Sant'Ilario, Marciana, Chiessi e Pomonte. Nel mese di ottobre e novembre ripresero invece gli incontri tra enti per proseguire il lavoro avviato la firma del protocollo d’intesa col Ministero delle finanze. Questa volta agli ormai consueti Comune, Parco, Provincia e Regione si aggiunse anche il Gal dell'arcipelago (un'associazione che rappresentava tutte le forze economiche e sociali dell’arcipelago toscano, assieme alla Comunità montana e agli ambientalisti). Durante queste riunioni la Provincia di Livorno si impegnò a fornire agli enti di competenza il primo stralcio sulle potenzialità di un progetto urbanistico da realizzarsi sull'isola. Allo stesso tempo, gli stessi soggetti interessati erano chiamati a verificare la fattibilità e l'esecuzione di quanto contenuto nella pianificazione medesima. Il risultato di questo lavoro portò alla firma di un protocollo d'intesa per il recupero e la riqualificazione del patrimonio agricolo e zootecnico dell'ex struttura carceraria di Pianosa, avvenuta il 3 maggio 2001 da parte dei rappresentanti di Regione, Provincia, Comune e Parco. Questo prevede che gli enti propongano al Ministero delle finanze di dare in concessione ai monaci benedettini alcuni immobili, 220 ettari di terreno agricolo e 75 di macchia mediterranea, annessi e strutture agro-zootecniche, riservandosi di valutare congiuntamente ulteriori proposte di uso del patrimonio pianosino, con particolare attenzione a quelle iniziative caratterizzate da significativa valenza sociale. Inoltre in esso si prevedeva anche l'utilizzo di alcuni appezzamenti di terreni e i locali dell'ex caserma dei carabinieri e quelli della foresteria. Questo protocollo d’intesa non fu tuttavia sottoscritto dal proprietario degli immobili, il Demanio, e ciò lo rese di difficile attuazione, come denunciato due mesi più tardi dal presidente della commissione regionale che si occupa del patrimonio di pertinenza della Regione.

A metà luglio arrivò poi la notizia che la Regione riconobbe alle sole comunità di San Piero e Sant'Ilario i diritti per gli usi civici, rendendo esecutivo con un decreto il progetto a suo tempo redatto dai periti demaniali incaricati e passando così di proprietà circa un quarto del patrimonio immobiliare pianosino, ammontante nel complesso secondo una stima del Ministero delle finanze a circa 85 miliardi di lire. Rispetto a quanto previsto dall’amministrazione campese però non sarà il Comune a gestire per conto della comunità e delle sue frazioni questo patrimonio, ma saranno le due piccole

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28 comunità di San Piero e Sant’Ilario, come richiesto alla Regione dagli stessi abitanti dei due centri. A tale scopo dovevano essere eletti i membri del consiglio di amministrazione che avrebbe gestito la liquidazione valorizzata. In realtà tale organo non entrò mai in funzione e la gestione rimase in capo al comune di Campo.

Mentre si era riaccesa la polemica sulla possibile riapertura del carcere, ad inizio agosto a Livorno si tenne un vertice tra la direttrice del Demanio, Giuseppina Sidoti, e i rappresentanti di Parco, Regione, Provincia e Comune. Durante tale riunione è emersa, oltre alla contrarietà alla riapertura del carcere, la richiesta da parte degli enti territoriali al Demanio di cedere quanto prima, visto il degrado dell’Isola e visti gli accordi presi col protocollo d'intesa siglato nel marzo 2000, gli immobili richiesti dai monaci benedettini, dalle strutture universitarie, dal Cnr e dagli altri istituti di ricerca che hanno avanzato richieste di concessione. Dal canto suo la dottoressa Sidoti aggiunse che si doveva dar seguito anche al progetto del polo turistico-alberghiero da ubicarsi nel paese. A riguardo il presidente del Parco ci tenne a precisare che niente di nuovo sarebbe stato costruito e che gli interventi sarebbero stati eseguiti secondo i principi della bio-architettura e della eco compatibilità. Tali affermazioni riaccesero la polemica iniziata il marzo dell’anno precedente, quando sei imprenditori presentarono un progetto che andava proprio in quella direzione, portando ad un nuovo nulla di fatto, come confermato da un articolo del maggio dell’anno seguente.

A metà agosto risale invece la protesta dei campesi nati a Pianosa, i quali chiedevano libero accesso all'isola natale e la possibilità di risiedervi stabilmente, in almeno 100 persone. Lo fecero in occasione dell'apertura della mostra fotografica allestita, con l'impegno della loro associazione, in locali concessi dal comune di Campo sull'Isola. Secondo un articolo dell’11 maggio 2002, Pianosa risultava in uno stato di abbandono, senza che vi venisse fatta neanche la manutenzione ordinaria. L’acqua non era più potabile perché le falde erano state inquinate dai nitrati utilizzati negli allevamenti di bestiame, le fogne erano ancora da rifare e la vegetazione cresceva spontanea senza che nessuno la curasse. Per quell’estate inoltre non ci sarebbero più state neanche le guide che l'anno precedente il Parco aveva assunto per assistere e dare spiegazioni ai turisti che non usufruivano delle escursioni nell’area carceraria. Il 13 giugno arrivò poi la notizia che sull’isola sarebbe stata aperta una sezione del museo di storia criminale di Roma, ma certamente non per quell’estate.

A metà giugno invece le associazioni ambientaliste lanciarono un nuovo allarme: Pianosa non era stata inserita nella lista dei beni demaniali nazionali inalienabili.

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29 Secondo Legambiente infatti il decreto Tremonti avrebbe potuto aprire la strada ad una vendita incontrollata dei beni presenti sull'Isola. Questo in particolare prevedeva la nascita della "Patrimonio dello Stato spa", società che si sarebbe dovuta occupare di vendere i beni demaniali non considerati inalienabili. I timori di Legambiente sembrarono fondati in quanto nella prima tranche del censimento del patrimonio statale, che consisteva in una lunga lista di beni demaniali fra i quali sarebbero stati scelti quelli da privatizzare dopo il loro passaggio dallo Stato alla Patrimonio spa, rientrava anche Pianosa, per un valore di 8 milioni 231 mila euro. Fu però subito precisato che questo era un inventario generale e che non significava che tutti i beni in esso riportati sarebbero poi stati venduti.

Sebbene tutti i rappresentanti degli enti territoriali si dissero contrari, il sindaco di Campo aggiunse alla sua contrarietà la giustificazione che lo Stato non poteva vendere Pianosa per il semplice fatto che era aperto un contenzioso giuridico tra il suo ente e l'avvocatura dello Stato riguardo la liquidazione degli usi civici per la quasi totalità della superficie dell'Isola. L’ormai ex presidente del Parco Tanelli inoltre ci tenne a precisare che a prescindere dalla proprietà e dalle concessioni, Pianosa sarebbe comunque rimasta parte integrante del Parco. A settembre i Verdi toscani proposero alla giunta regionale una soluzione che avrebbe mantenuto l’Isola in mano pubblica anche se fosse stata venduta: la Regione, coinvolgendo enti pubblici e promuovendo l'azionariato popolare, avrebbe dovuto acquistarla con l'obiettivo di trasformarla in un'industria del turismo di qualità.

Un primo tentativo di far tornare l’agricoltura su Pianosa fu messo in opera dall’agosto 2002 dai volontari del WWF, i quali in accordo con il Parco e col comune di Campo nell'Elba iniziarono a coltivare i campi pianosini con lo scopo di riportare sull'Isola le coltivazioni per offrire alle popolazioni di animali selvatici un campo coltivato dove mangiare. Questo progetto fu ripetuto anche nell’estate 2003, nella quale ci si concentrò sul recupero della storica struttura del «pollaio sperimentale».

Nel mese di settembre 2002 invece il Ministero dell'ambiente assegnò alla prefettura di Livorno 75mila euro per contrastare il processo di desertificazione e degrado dell'Isola, che si sostanziarono in interventi di pulizia e di messa in sicurezza dei percorsi per la fruizione turistica sull'isola. I lavori si conclusero già nel gennaio successivo e furono eseguiti dalla cooperativa sociale «San Giacomo» di Porto Azzurro. Nonostante si stessero facendo i primi tentativi per salvare dal degrado l’Isola, ad aprile 2003 giunsero due notizie poco confortanti sotto questo punto di vista: era crollata una parte del tetto

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30 della chiesa di Pianosa; Regione, Stato, Comune e Parco non erano ancora arrivati ad un accordo di pianificazione per definire tutele e modalità d'uso dell’Isola, che avrebbe riguardato anche eventuali futuri privati che fossero divenuti proprietari di beni pianosini.

Un’altra iniziativa per ripulire l’Isola fu tenuta da Legambiente, che organizzò in una domenica di fine maggio 2003 una bonifica dell'area di cala Giovanna, che si trova accanto ai bagni di Agrippa e che è l’unica spiaggia balneabile. Tale vicinanza attirò sull’associazione ambientalista le critiche della soprintendenza di Pisa, la quale sosteneva che per tale operazione sarebbe stata necessaria una sua autorizzazione, mentre non era neanche stata informata dell’iniziativa. La polemica fu smorzata sul nascere dal commissario del Parco Ruggero Barbetti, che prese le difese dell’associazione e precisò che l’evento era stato legittimamente autorizzato dal Parco, in quanto di sua competenza.

Quell’intervento della Soprintendenza non fu tuttavia l’unico del 2003. A luglio infatti l’ispettrice alle antichità della Toscana e responsabile dell'Arcipelago, Silvia Ducci, intervenne per dirsi contraria alla vendita di Pianosa e annunciando che a tal fine avrebbe proposto di porre sull’Isola un vincolo archeologico o paleontologico integrale. L'iter per raggiungere quell’obiettivo prevedeva che essa dovesse rivolgersi al suo soprintendente, che a sua volta avrebbe fatto capo a quello regionale e al Ministero dei beni culturali. Il mese successivo arrivò però la notizia che fra i beni pubblici entrati a far parte della Patrimonio dello Stato spa c’erano anche molti immobili pianosini, tra cui l'ex albergo, il Cardon, la direzione, la caserma Bombardi e forte Teglia. Al fine di proteggerli dalla vendita ai privati la Regione reagì chiedendo che venisse emessa notifica e dichiarando al Governo il suo interesse per l'acquisto, anche per scongiurare eventuali speculazioni. In particolare spiegò che avrebbe assunto tutte le iniziative necessarie presso i ministeri interessati per avere le necessarie garanzie e per ottenere in concessione l'Isola. Se questa non fosse stata possibile perché il Governo intendeva disfarsi della sua parte dell'Isola, allora l’ente regionale avrebbe chiesto di esercitare il diritto di prelazione per il suo acquisto. Mentre la Provincia e il Comune si schierarono a favore dell’iniziativa regionale, il commissario del Parco Barbetti si disse contrario, spiegando che tale presa di posizione era dettata dal fatto che per Pianosa era in programma un progetto su larga scala per il ripristino delle coltivazioni della ex colonia penale, che evidentemente non vedeva come protagonista la Regione. Una conseguenza di tale conflitto fu immediata perché come denunciò Claudio Vanni, assessore

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31 all'urbanistica della provincia di Livorno, il Parco si ritirò anche dalle trattative per la firma dell’accordo di pianificazione già in cantiere da anni. A novembre infine la questione della vendita di Pianosa fu definitivamente chiusa perché Fiorella Ramacogi, funzionario di zona per la provincia di Livorno della soprintendenza ai monumenti e gallerie di Pisa, Livorno, Lucca e Massa Carrara, annunciò che da parte dell’ente era stato stabilito un vincolo unitario comprendente l'interesse monumentale, paesaggistico e archeologico dell'Isola. Questo provvedimento tolse dal mercato i beni immobili pianosini. Nonostante tale annuncio la Provincia tre mesi dopo inserì 30.000 euro nel bilancio di previsione 2004 come eventuale contributo al progetto della Regione per l'acquisto dell'Isola.

Dopo anni di trattative nel 2006 venne finalmente firmato il progetto di sviluppo sostenibile per il recupero e la valorizzazione di Pianosa da parte di Regione, Provincia, Comune e Parco. Il 3 agosto fu illustrato, prevedendo di poter partire già entro la fine di quell’anno con un piano triennale di recupero. Il progetto conteneva sei diversi tipi di interventi, per un investimento complessivo di 5 milioni e 217 mila euro, finanziati da Ue, Governo, Regione e Provincia. La prima struttura edilizia ad essere recuperata sarebbe stata la "Casa dell'agronomo", per trasformarla in un centro museale e polifunzionale per la valorizzazione del patrimonio storico e archeologico. Si voleva inoltre creare una scuola europea di scienza della vita, in collaborazione tra varie università, che facesse da riferimento anche per convention e ricerche. Al fine di ripopolare l'Isola e di tenere un presidio fisso sul territorio si era invece pensato alla presenza di una comunità penitenziaria aperta, con detenuti del carcere di Porto Azzurro ed ex detenuti che lavorassero all'interno di progetti di recupero e reinserimento. A tale particolare proposta si disse dopo poco pienamente favorevole anche il Ministero di grazia e giustizia. Si pensò poi ad una valorizzazione delle culture agricole con particolare attenzione all'impiego di sistemi a basso impatto ambientale, recuperando tecniche e tipologie del passato pianosino, e ad interventi per l'assetto idrogeologico dell'isola, iniziando dalla valutazione delle sorgenti dell’isola. Infine vi era anche un aspetto rivolto al turismo, che non coinvolgeva però più di 400 persone. A tutto ciò andava anteposta una riqualificazione ambientale, prevedendo a tal fine la chiusura del ciclo delle acque e la completa autonomia energetica dell’Isola.

Nonostante nelle intenzioni il progetto dovesse partire entro il 2006, alla fine di febbraio dell’anno successivo erano solo state completate le indagini conoscitive sugli aspetti territoriali dell’Isola e il progetto non era ancora decollato. È del settembre 2007 la

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32 notizia che si stava per aprire un nuovo tavolo operativo con tutti i soggetti competenti sull'Isola per trovare buone soluzioni e riavviare rapporti istituzionali in qualche caso difficili, segno evidente che il progetto approvato dopo anni di trattative non solo non era ancora partito, ma era già naufragato. Di un mese più tardi è la conferma, con la notizia che la Regione voleva mettersi a capo di un progetto per lo smaltimento delle acque reflue e per nuovi impianti per garantire sull'Isola l'energia elettrica, il tutto attraverso la costituzione di un tavolo di concertazione con Provincia, Comune, Parco e Ministeri della giustizia, delle finanze e dell'ambiente.

A luglio arrivò invece una buona notizia: era stato aperto un nuovo presidio estivo dei carabinieri a Pianosa, che avrebbe avuto il compito di tutelare l'area protetta e vigilare, insieme alle altre forze dell'ordine presenti, sul rispetto dell'ambiente. Inoltre già dall’anno precedente era presente sull’Isola il servizio antincendio, organizzato direttamente dal settore anti incendi boschivi della Regione con il supporto della Protezione civile. Entrambe le iniziative si ripeterono anche negli anni a venire.

Nel maggio 2008 invece la stampa riportò che una delle diramazioni del carcere, il Sembolello, era stata ristrutturata, mentre il resto delle strutture carcerarie risultavano ancora abbandonate; e non solo quelle, evidentemente, perché a metà agosto fu compiuto un vero e proprio blitz per raccogliere e portare via i rifiuti ingombranti dall'Isola, dopo le segnalazioni e le proteste insistenti di molte guide.

Nel 2009 si aggiunse un tassello all’annosa questione della liquidazione degli usi civici. A febbraio infatti l’allora presidente della Provincia dichiarò che era ancora in corso la diatriba sugli usi civici, che il Demanio aveva affidato le strutture al Ministro della giustizia, ma che il comune di Campo aveva impugnato la decisione chiedendo l'affidamento di Pianosa agli usi civici.

Ad aprile invece scoppiò il caso della centrale nucleare a Pianosa. L’Isola, già inserita nel lontano 1985 nel Piano energetico nazionale, fu indicata dal professor Marino Mazzini, docente di Protezione e Sicurezza nucleare alla facoltà di ingegneria dell'università di Pisa, tra i siti di interesse dove poter ospitare una centrale atomica, proprio sulla base di uno studio fatto negli anni ’80. Quest’idea, pur avendo trovato l’immediata opposizione sia degli ambientalisti che della Regione, sembrò farsi più concreta quando, a metà maggio, arrivò il primo sì del Parlamento al nucleare con l’approvazione in Senato del ddl 1195. Questo gettò le basi per individuare i siti più idonei sul territorio nazionale. Sarebbero stati solo sei e fra questi sembrava rientrarvi

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33 anche Pianosa. In realtà tali siti non furono mai resi noti e, dopo un periodo di polemiche, il progetto italiano di ritorno al nucleare non ebbe mai seguito.

Il 16 giugno 2009 fu completata la ristrutturazione delle cappelle del cimitero pianosino. Questo va ricordato perché fu il primo intervento finanziato interamente dalla società civile per salvare l’Isola, per un costo di oltre 15.000 euro. I lavori furono affidati alla cooperativa San Giacomo. Giuseppe Mazzei Braschi, presidente dell'Associazione per la difesa di Pianosa, che si occupò del restauro, colse l’occasione per ricordare che gli unici investimenti fatti sull’Isola dalla chiusura del carcere erano stati quelli sugli edifici funzionali alle attività che ancora si svolgevano sull'Isola: quelle del carcere, della Forestale e del Parco. Tale denuncia portò in evidenza quella situazione di generale degrado, dovuta principalmente al fatto che fino a quel momento solo l’Agenzia del Demanio sarebbe potuta intervenire sulle strutture fatiscenti, essendone l’unica proprietaria. In tale contesto emerse infatti che ad ottobre di quell’anno era ancora in corso il procedimento giudiziario fra il Comune e l’Agenzia per stabilire la proprietà di alcune delle strutture dell’isola.

Per il 2010 tale degrado si manifestò attraverso tre emergenze che misero a rischio la fruibilità dell’Isola: l'insabbiamento del porto, l'inagibilità del pontile d'attracco del traghetto e l'acqua non potabile su tutta l'isola. Per risolvere questi problemi il comune di Campo corse ai ripari chiamando in causa la Prefettura, che individuò nel permanente conflitto di competenze la causa e per cercare di trovare una soluzione chiese a ciascun ente che operava sull'isola una relazione sulle proprie competenze e propose l’ennesimo tavolo di trattative. Se non veniva trovato un accordo il rischio era che venisse chiuso l'unico punto di ristoro dell'Isola, dovendo rinunciare anche ai servizi igienici. Il problema principale rimaneva però sempre lo stesso: la possibilità per soggetti diversi dal Demanio di utilizzare gli immobili. Questo limite riguardava in modo particolare il Comune, che a quella data non aveva i titoli per ristrutturare neanche gli edifici già in uso, tra cui i locali che ospitavano il ristorante. Tale specifica situazione si risolse solo a fine maggio grazie alla mediazione portata avanti dal Comune con il Demanio sul contenzioso rispetto all'affitto dell'immobile. Oltre al problema relativo agli edifici però vi erano problemi anche per il sistema idraulico e per quello elettrico. In entrambi i casi nessuno aveva mai provveduto alla loro manutenzione una volta terminati i lavori per la costruzione. Ma non solo il ristorante dell’Isola era a rischio chiusura. Anche la mostra fotografica organizzata già da diversi anni dall'associazione diretta da Giuseppe Mazzei Braschi quell’anno non riuscì ad aprire perché il Demanio decise di chiedere 3.000 euro

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34 di canone mensile per l’affitto dell’immobile della ex direzione del carcere, che da sempre ospitava l’iniziativa.

In soccorso di tale drammatica situazione sembrò arrivare, sempre a fine maggio, la notizia che il Comune aveva vinto l’appello relativo al contenzioso sulla liquidazione degli usi civici. All'amministrazione di Campo fu con tale sentenza di appello riconosciuta la proprietà di una parte degli immobili: la foresteria, la mensa (dove si trova il ristorante dell’Isola), gli uffici dell'ex direzione carceraria, una caserma e 30 ettari di terreni agricoli. La conferma arrivò un mese più tardi da Giuseppe Foresi, consigliere comunale del comune di Campo nell'Elba delegato per Pianosa, che ci tenne però a smorzare gli entusiasmi dichiarando che la sentenza non era stata ancora notificata alle parti e, di conseguenza, il Comune non avrebbe potuto fare niente di nuovo fino a che l'Agenzia del Demanio non avesse deciso se continuare il processo o fermarsi. A fine agosto arrivò la notizia che il Demanio aveva presentato ricorso in Cassazione.

Mentre riguardo il sistema idrico erano in corso delle trattative del Comune con ASA affinché prendesse direttamente in gestione il servizio, così come accadeva già su tutto il territorio provinciale, un primo progetto per la riqualificazione del sistema elettrico di Pianosa fu presentato a fine luglio dalla cooperativa San Giacomo, che già gestiva l'unico punto di ristoro dell'Isola. Questo prevedeva la sostituzione di una centrale a nafta con una centrale a biomasse, che sarebbe stata alimentata con tutte quelle alberature e piante non autoctone che progressivamente venivano eliminate dal territorio isolano in nome del ripristino ambientale. L'idea piacque anche al Comune, che due mesi prima aveva affidato alla cooperativa di ex detenuti la gestione di mensa e foresteria.

A fine anno giunse la notizia che nella primavera 2011 la Soprintendenza sarebbe intervenuta, attraverso la concessione di un piccolo finanziamento, per pulire i bagni di Agrippa e per togliere la ruggine presente nella tensostruttura che li ripara dagli eventi atmosferici, fino a quel momento lasciati in completo abbandono. Inoltre era stato stretto un accordo col comune di Campo per rendere il monumento fruibile in vista della successiva stagione turistica.

Tornando al contenzioso tra Agenzia del Demanio e Comune per la liquidazione degli usi civici, a metà febbraio 2011 giunse la notizia che tutti i progetti per Pianosa erano bloccati a causa di un vizio formale sulla sentenza del tribunale di Firenze che si era espresso a favore del comune di Campo sugli usi civici. Secondo la stampa

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35 praticamente il verdetto del tribunale, trasmesso a suo tempo all'amministrazione campese, non era mai arrivato negli uffici competenti del Demanio. Quest’ultimo perciò non avrebbe ritenuto di dover procedere alla liquidazione degli usi civici. Sulla base di ciò il Comune si preparò a citare in Cassazione il Demanio, impegnando 47 mila euro per le prestazioni professionali degli avvocati Maria Lorizio di Roma e Antonio Ragazzini di Firenze. Tale ricostruzione si rivelò completamente infondata un mese più tardi, quando arrivò la comunicazione che la sentenza della Corte d'appello di Roma sugli usi civici di Pianosa era passata in giudicato. Questo mise fine al decennale contenzioso, dando ragione al Comune.

Nel frattempo a livello nazionale stava procedendo il percorso del federalismo demaniale, arrivato alla pubblicazione della lista dei beni demaniali vincolati, cioè dichiarati non trasferibili ai Comuni perché in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali alle Amministrazioni dello Stato. Questi sarebbero rimasti al di fuori del processo federalista in atto. Anche Pianosa ne fu coinvolta: furono 47 i fabbricati dell'Isola rientranti in quella lista e quindi non trasferibili.

A fine maggio riemerse il problema della parziale inagibilità del pontile dove attraccano i traghetti, che se non veniva immediatamente risolto rischiava di isolare Pianosa e di compromettere l’imminente stagione estiva. A lanciare l'allarme fu il comune di Campo, che si attivò subito per individuare quale fosse l'ente obbligato a mettere in sicurezza l’infrastruttura. Non riuscendo a trovare una soluzioni in merito, decise in via straordinaria di assumersi l'onere di trovare le risorse per espletare i lavori, utilizzando risorse messe a disposizione dalla Regione per il porto di Marina di Campo. Il 9 giugno dette il via alla gara d’appalto con procedura d'urgenza, che però andò deserta. Il Comune allora decise di passare ad un'urgente trattativa privata e il 26 dello stesso mese furono aperti i cantieri, che terminarono molto rapidamente e permisero di rendere nuovamente fruibile l’Isola. Tale intervento risolse però solo momentaneamente i problemi al pontile. L’anno seguente infatti fu lo stesso Comune a comunicare che proprio durante tali lavori la ditta esecutrice si rese conto che sotto il pontile mancava un adeguato sostegno, essendoci un vuoto di circa quattro metri nella parte che si interseca con la strada.

Riguardo poi i servizi ai visitatori di Pianosa, se da un lato quell’anno fu aperto il primo albergo dell'Isola, gestito dalla Coop San Giacomo, dall’altro da quell’estate non fu più riaperto il presidio sanitario gestito dalla Croce rossa italiana, presente sull’Isola dal 2000. Ciò perché alla CRI era scaduto il contratto di locazione stipulato con il Demanio

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36 e non fu più rinnovato, all’inizio si disse per via di problemi burocratici ma poi si scoprì che il vero motivo furono i costi proibitivi per affittare la struttura sede del presidio, ammontanti a 5.000 euro l’anno. Si riportò inoltre che tale punto di soccorso fu istituito e mantenuto dalla CRI perché l’ASL 6 di Livorno ritenne che Pianosa non ne avesse bisogno, nonostante la buona affluenza estiva di visitatori. Questa scelta lasciò i frequentatori dell’Isola senza le dotazioni sanitarie minime necessarie. Solo a fine 2015 fu annunciato dal Comune, in accordo con l’ASL e la Regione, che durante la successiva stagione estiva sarebbe stato riattivato un presidio medico sull’Isola, ma solamente durante le ore diurne.

Durante l’estate 2011 inoltre tornò ad emergere il problema della potabilità dell’acqua. Per ben due volte nel giro di 20 giorni il sindaco di Campo nell’Elba fu costretto ad emettere un’ordinanza di divieto di uso potabile dell’acqua pianosina a causa di valori decisamente fuori norma sui batteri coliformi. Tale situazione si ripeté anche l’anno successivo. Questi non furono tuttavia gli unici provvedimenti che il primo cittadino campese adottò per arginare il degrado dell’Isola. A fronte dello stato di abbandono degli immobili di proprietà dello Stato a Pianosa, emise ad inizio settembre un'ordinanza che intimava all'Agenzia del Demanio, a fronte di un potenziale pericolo di crollo, di intervenire per la realizzazione delle opere di messa in sicurezza delle strutture del forte Teglia, da eseguirsi entro 30 giorni. Fu presa tale decisione perché il muro sulla terrazza del Forte, che sovrasta l'area portuale, veniva giù a pezzi mettendo in pericolo imbarcazioni e passeggeri. L’occasione fu però propizia per denunciare lo stato di degrado che colpiva anche gli altri immobili demaniali.

Il 2012 si aprì con la richiesta al Parco da parte del Comune di quasi 80.000 euro, relativi ai diritti per l'accesso all'area protetta e per lo sfruttamento degli immobili comunali siti sull’Isola spettanti dal 2009 al 2011. Inoltre l’amministrazione campese chiese 15.000 euro alla cooperativa San Giacomo quale cifra per l'utilizzo degli immobili di proprietà comunale adibiti a mensa e foresteria. Entrambe le somme furono evidentemente in seguito liquidate perché il Comune non fece altre pubbliche lamentele. L’8 giugno invece il viceprefetto Giovanni Daveti, raccogliendo l'appello del sindaco di Campo, convocò una riunione a cui erano presenti Comune, Amministrazione carceraria, Parco, Corpo forestale e ASA, mentre risultavano assenti ASL e Agenzia del Demanio, per cercare di risolvere gli annosi problemi di carattere igienico sanitario e legati al degrado. Annunciò inoltre che se a breve non avessero trovato una soluzione, tali riunioni si sarebbero ripetute.

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37 In tale occasione il primo cittadino campese accusò il Demanio di non aver ancora consegnato al Comune gli immobili divenuti di sua proprietà grazie alla sentenza sugli usi civici, ormai divenuta definitiva da più di un anno, e annunciò di avere intenzione di far eseguire un sopralluogo al suo staff tecnico per vedere quali fossero gli edifici più degradati e pericolanti al fine di emettere eventuali ordinanze per la fruizione sicura dell'isola. A tal proposito intervenne anche la denuncia del presidente del Parco, il quale spiegò che pur essendo quasi tutti gli immobili di proprietà demaniale, se un ente altrettanto pubblico come il Parco avesse voluto prendere in concessione uno di quei beni avrebbe dovuto pagare canoni altissimi. Inoltre pur investendo per la salvaguardia degli edifici, avrebbe avuto le mani legate in tutto e non avrebbe neanche potuto darlo in concessione.

Mentre a gennaio 2013 giunse la notizia che l’Agenzia del Demanio non aveva ancora consegnato al Comune le strutture divenute di sua proprietà, nel maggio di quello stesso anno si venne a conoscenza dell’esistenza di un protocollo operativo firmato da Parco, direttore della casa di reclusione di Porto Azzurro, provveditore per le opere penitenziarie e Comune, il quale stabiliva di promuovere iniziative a sostegno di progetti formativi destinati ai detenuti, al fine di sviluppare percorsi di recupero della fase detentiva e di avviamento al mondo del lavoro. L’occasione di metterlo in atto fu l’intervento di manutenzione ordinaria della sentieristica dell’Isola, finanziato dal Parco ed eseguito dalla cooperativa San Giacomo di Porto Azzurro.

A inizio settembre, con Pianosa e il suo albergo ancora pieni di visitatori, si ebbe invece il momentaneo collasso della rete elettrica dell’Isola, con continui black out nel giro di dieci giorni. Essendo in fase di riparazione programmata e di potenziamento da parte dell’ENEL dei due cavi sottomarini che portano la corrente elettrica dall’Elba, fu assicurata la produzione di energia elettrica sull'isola con la riattivazione della centrale a gasolio là presente, prevedendo anche un altro gruppo di riserva della medesima potenza nel caso in cui si fossero verificati problemi. Secondo l’ENEL i black out erano dovuti ad un eccesso di prelievo da parte dei carichi dell’Isola, mentre secondo il presidente della cooperativa San Giacomo furono causati da guasti alla centrale. Il problema fu risolto definitivamente solo il 26 settembre, data in cui terminarono i lavori ai cavi sottomarini.

Come per il 2012, anche il 2014 iniziò col Comune che chiedeva gli arretrati al Parco e alla cooperativa San Giacomo, questa volta per la stagione 2012. In tale occasione si seppe che, in base ad un protocollo per l’utilizzo della mensa e della foresteria, la

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38 cooperativa sociale doveva riconoscere al Comune la metà degli introiti netti conseguenti all’utilizzo degli immobili. Poiché in quel momento la cooperativa non aveva ancora trasmesso al Parco il rendiconto della gestione relativa al 2012, il Parco poté solo destinare in via provvisoria 50mila euro a tale scopo. La liquidazione al Comune avvenne solo a metà aprile, per un ammontare leggermente inferiore rispetto a quello previsto dal Parco. Ciò si basava su un accordo tra Parco e Comune che prevedeva che il primo si sarebbe dovuto occupare della redazione del programma di fruizione delle aree marine e terrestri dell'Isola, per il quale ogni visitatore che scendeva a Pianosa era chiamato a corrispondere un ticket d'ingresso, e i proventi derivanti da questa attività si sarebbero ripartiti in parti uguali fra i due enti sottoscrittori.

Dopo aver ristrutturato le cappelle del cimitero, l’Associazione per la difesa di Pianosa si attivò per la ristrutturazione della torre dell’orologio, posta all'ingresso del carcere ormai chiuso dal 1998. I lavori terminarono a metà giugno per un costo di 8.000 euro. In tale occasione fu anche dato l’annuncio che era stata raggiunta un’intesa col Demanio per l’affitto dei locali dove da anni l’associazione gestiva il museo fotografico di Pianosa, per un canone annuo di oltre 6.000 euro.

Dell’inizio d’agosto fu invece l’appello lanciato sui social network dall’associazione Italia Nostra, sezione Giglio – Elba, per salvare forte Teglia. Questa iniziativa consisteva in una campagna mirata a segnalare, tra i “Luoghi del Cuore” del Fondo Ambiente Italiano, il vecchio maniero pianosino. A quella data infatti l’edificio risultava ancora transennato e pericolante, nonostante il Comune avesse segnalato la situazione all’Agenzia del Demanio già da tre anni.

A settembre il neo sindaco di Campo nell’Elba annunciò che sarebbe stato rinnovato il protocollo di intesa con il Parco e l’amministrazione penitenziaria per l’impiego dei detenuti in stato di semilibertà da impiegare per i lavori di piccola manutenzione e gestione del territorio. Due mesi più tardi anche il presidente del Parco volle sottolineare l'impegno e le sinergie che erano nate tra i tre enti per sviluppare una gestione unitaria dell’isola, volendo includere in questo insieme anche la Soprintendenza archeologica. Allo stesso tempo però denunciò la totale assenza di finanziamenti adeguati, la mancanza di infrastrutture indispensabili e le difficoltà e le rigidità di un’Isola sotto tutela ambientale ed archeologica, specificando che il degrado atteneva principalmente alla parte immobiliare, in mano a vario titolo a istituzioni diverse con rapporti complicati.

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39 Prendendo spunto da uno degli interventi previsti dal progetto di sviluppo sostenibile per il recupero e la valorizzazione di Pianosa, firmato nel 2006 da Regione, Provincia, Comune e Parco, il 16 maggio fu annunciato il progetto “I sentieri dell’acqua dell’isola di Pianosa”, per riscoprire i vecchi pozzi di acqua dolce dell’Isola. Questo era frutto del protocollo d’intesa tra la Provincia di Livorno, che era stata individuata come ente attuatore, il Parco, il Ministero di grazia e giustizia e il comune di Campo. A tale scopo furono stanziati dalla Regione 57.000 euro e dal Parco 10.000. Nel dettaglio si prevedeva il monitoraggio dei trentuno pozzi presenti sul territorio pianosino per avere indicazioni sulle quantità delle risorse idriche presenti. Ciò per creare un percorso naturalistico che caratterizzasse la presenza d’acqua dolce su un territorio così particolare come quello pianosino, ma anche per pensare di recuperare e valorizzare in futuro i punti di prelievo impiegando detenuti lavoranti all’esterno del carcere di Pianosa.

L’estate seguente fu invece segnata dalla proposta di trasformare Pianosa in una sorta di centro di accoglienza / carcere dove sistemare i migranti provenienti dal continente africano. L'idea, lanciata dal giornale Il Foglio, fu da subito osteggiata dal sindaco di Campo nell'Elba, Lorenzo Lambardi, e da Legambiente. Entrambi posero come fondamento della loro contrarietà il fatto che l’Isola non aveva strutture idonee ad accogliere i migranti. Queste infatti erano per la maggior parte fatiscenti e era assente il sistema fognario. Inoltre Pianosa era a centinaia di miglia dalle coste africane, faceva parte del Parco ed era una zona di protezione speciale dell’Unione europea. A questi si aggiunse in seguito anche il presidente del Parco. Favorevole all’idea si dimostrò invece il sindaco di Capoliveri, ed ex commissario del Parco, Ruggero Barbetti, il quale sosteneva che allo scopo si poteva realizzare sull’Isola una mega tendopoli per 20.000 migranti, al fine di selezionare quelli che avevano diritto ad asilo politico e quelli che non ne avevano. Nel frattempo questi migranti avrebbero potuto lavorare alla ristrutturazione dell'Isola. Tale diatriba tra le due fazioni andò avanti per mesi e solo ad ottobre vi fu messo fine ad opera del Prefetto.

Nel frattempo è della fine di luglio la notizia che fra i beni del demanio marittimo che lo Stato decise di non trasferire alle Regioni vi era anche la colonia penale, con sezione di massima sicurezza, di Pianosa, in quanto ritenuta area di preminente interesse nazionale per la sicurezza.

Alla fine di settembre invece Silvia Velo, sottosegretario del Ministero dell’ambiente, annunciò di voler costituire un gruppo di lavoro con Parco, Comune e dal Ministero

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40 della giustizia per incrementare sull’Isola gli interventi di manutenzione e recupero edilizio ed ambientale già messi in atto dai detenuti in semilibertà grazie all’accordo già siglato tra i tre enti convocati.

Concluso questo excursus storico generale, con al centro gli accordi ma soprattutto i conflitti tra gli enti coinvolti a vario titolo nella gestione dell’Isola, comportanti la situazione di degrado più volte denunciata, passiamo ad un approfondimento su specifiche proposte e tematiche affrontate in questi ultimi 19 anni.

Verranno analizzati in particolare:

- Le proposte di riapertura del carcere di massima sicurezza e il progetto del “carcere verde”;

- La fruizione turistica di Pianosa;

- I progetti portati avanti dal Parco nazionale dell’arcipelago toscano; - I progetti portati avanti dal comune di Campo nell’Elba;

- Le ricerche storico-archeologiche e ambientali condotte sull’Isola piatta; - Il progetto per riportare i vigneti a Pianosa;

- Le catacombe pianosine;

- Il progetto per portare i monaci benedettini sull’Isola.

2.1 Le proposte di riaperture del carcere di massima sicurezza e il progetto del “carcere verde”

L’ultimo detenuto in regime di 41 bis, quello di massima sicurezza riservato ai boss mafiosi, lasciò l’isola di Pianosa il 19 luglio 1997, ma già dal giugno precedente si discuteva sul futuro del carcere pianosino. Il primo a parlarne fu lo stesso ministro di grazia e giustizia, Giovanni Maria Flick, il quale propose, qualora gli enti locali avessero posto il problema dell'utilizzo delle strutture carcerarie, di sostituire il carcere di massima sicurezza, la cui dismissione definitiva era originariamente prevista per il 31 ottobre 1997 ma che fu rinviata fino al 30 giugno 1998, con un carcere verde. In questa nuova struttura sarebbero stati ospitati detenuti tossicodipendenti a bassa pericolosità sociale al fine di recuperarli attraverso il lavoro agricolo e di tutela ambientale, il tutto in accordo con le amministrazioni locali. Poiché per avviare tale iter era necessario che la proposta venisse fatta al Parlamento dalle regioni, la Toscana si disse fin da subito interessata. A fine luglio perciò per pianificare tale iniziativa si tenne un incontro tra rappresentanti di Regione, Provincia, Diocesi, Parco, Ministero di grazia e giustizia e il direttore generale degli istituti di pena, Alessandro Margara.

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41 L’8 agosto fu però pubblicata la notizia che non solo non era ancora stato firmato alcun accordo, ma che oltre ai detenuti soggetti al 41 bis avevano abbandonato l’Isola anche i contingenti di carabinieri e polizia, restando così su Pianosa solo un'ottantina di carcerati comuni, che si occupano dell'azienda agricola, e un po' agenti di polizia penitenziaria. La Regione aspirava nel frattempo al mantenimento di una struttura carceraria forte e ad essere coinvolta nella gestione complessiva dell'Isola. A fine ottobre tuttavia sembrò arrivare dal Governo nazionale una parola definitiva sull’argomento perché il ministro della giustizia Flick ci tenne a precisare che il decreto legge che prorogava di due mesi del termine ultimo per la dismissione della casa di reclusione pianosina era stato emanato esclusivamente allo scopo di permettere la dismissione anche dell’azienda agricola gestita dai detenuti, facendo così decadere anche l’ipotesi di istituire un carcere «leggero».

Nonostante tale bocciatura sembrasse definitiva, fu lo stesso Ministro che all’inizio del 1998 inoltrò alla giunta regionale, che insieme al consiglio dello stesso ente si dichiarò unanimemente favorevole, una proposta per istituire a Pianosa un carcere con detenuti a bassa pericolosità da inserire in progetti di salvaguardia ambientale dell'Isola. La chiusura definitiva della struttura penitenziaria, seppur programmata per la fine dell’anno precedente, era stata procrastinata alla metà di febbraio con una circolare amministrativa. La Regione, d’accordo con il comune di Campo nell'Elba, mise a punto in breve tempo un progetto che andasse in quella direzione. Questo prevedeva l'istituzione di un nuovo stabilimento carcerario a «custodia attenuata» nel quale occupare i detenuti attraverso imprese cooperative. Inoltre vedeva l’Isola aprirsi ad un turismo “sostenibile”, prevedendo un centinaio di visitatori al giorno e puntando su agriturismo, visite guidate ai reperti archeologici sia terrestri che marini, safari fotografici, percorsi alla scoperta della flora e della fauna, laboratori di didattica ambientale e storico-archeologica. A tale proposta seguirono due incontri, uno a Roma presso il Ministero e uno a Firenze presso il Provveditorato regionale del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, da cui emersero due problematiche che ostacolavano l’iniziativa: era necessario istituire un nuovo carcere e si doveva decidere quali strutture lo avrebbero ospitato. Il primo aspetto risultò certamente di più difficile soluzione in quanto l'ufficio legislativo del Ministero fece sapere che non sarebbe bastato un decreto ma che era necessaria una vera e propria legge per evitare la smobilitazione totale del penitenziario. Seppur la Regione presentò un disegno di legge che andava in tale direzione, il Parlamento non provvide in tal senso e perciò il 30 giugno cessò il vincolo

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42 penitenziario ed il carcere fu definitivamente smantellato, avendo il passaggio di consegne dal Ministero di grazia e giustizia al Ministero delle finanze, con la presenza dell'amministrazione penitenziaria. Claudio Del Lungo, assessore regionale all'ambiente, dichiarò che fu il ministro delle finanze Ciampi ad opporsi al progetto del carcere leggero, principalmente perché comportava costi eccessivi.

Solo ad aprile 1999 si ritornò così a parlare della possibilità di portare nuovamente dei detenuti a Pianosa con lo scopo di eseguire lavori di manutenzione ambientale. A recarvisi sarebbero stati alcuni di quelli aventi diritto alla semilibertà carcerati a Porto Azzurro. A farlo furono il direttore del carcere di Porto Azzurro, Pier Paolo D'Andria, e il vicedirettore generale degli istituti di pena, Paolo Mancuso. Nonostante non vi fossero più reclusi, sull’Isola erano però ancora in servizio sette agenti di custodia. A fine giugno partì tale progetto, il quale prevedeva che cinque reclusi avrebbero lavorato nei settori della manutenzione ambientale e della ristorazione. In particolare, per il secondo ad occuparsene furono due persone lavoranti con la cooperativa Longone di Porto Azzurro, che gestiva la mensa. Una struttura che era già dall’inizio del mese e che garantiva i pasti agli agenti di custodia sull'Isola, al delegato di spiaggia, alla guardia costiera, alla forestale, ai carabinieri e a tutti i militari che di volta in volta facevano servizio di vigilanza su Pianosa. Gli altri detenuti si sarebbero occupati della manutenzione ambientale, tutto questo in accordo con il Comune. Nell’ottobre 2000 si ebbe poi notizia che tale iniziativa stava continuando perché gli stessi detenuti avanzarono una formale richiesta affinché fossero loro affidati dal Parco e dal Comune i lavori di manutenzione necessari all’Isola, cercando di coinvolgere eventualmente le cooperative sociali, le quali sarebbero state moralmente tenute all'assunzione di soggetti disagiati, fra cui essi si inserivano.

Nel luglio 2001 invece il neo ministro di grazia e giustizia Roberto Castelli visitò l’Isola e dichiarò che il carcere di Pianosa era perfettamente funzionante e che fu chiuso solo per motivi ideologici. Ciò fu interpretato come un tentativo di riaprire una casa di reclusione sull’Isola, con l’arrivo di alcuni detenuti semiliberi da impiegare nei lavori agricoli sull'isola, oltre evidentemente ai cinque di Porto Azzurro già presenti. A questa ipotesi si opposero prima il sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe) e subito dopo il ministro dell'ambiente, Altero Matteoli, che bocciò senza mezzi termini la proposta del Guardasigilli, trovando anche l’appoggio del presidente del Parco nazionale, Giuseppe Tanelli, e dell'assessore regionale all'ambiente, Tommaso Franci. Intanto proseguiva l’impiego dei detenuti semiliberi di Porto Azzuro, come confermato

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43 da un articolo datato 12 giugno 2002 in cui si riportava che erano 3 i reclusi che in quel momento stavano lavorando sull'Isola per offrire servizi ai turisti. Alla fine di agosto si scoprì, grazie a una dichiarazione del presidente della Provincia Frontera riportata sulla stampa, che il ministro Castelli non aveva rinunciato a Pianosa perché in più occasioni aveva asserito di puntare ad una gestione diretta dell’Isola da parte del suo Ministero, prevedendo fra l'altro l'impegno nei servizi ai turisti di detenuti con pene lievi.

Nel frattempo nel gennaio 2003 furono esaudite le richieste presentate dai detenuti presenti a Pianosa a fine 2000 perché i primi interventi di pulizia e di messa in sicurezza dei percorsi per la fruizione turistica sull'Isola, promossi dal prefetto di Livorno di concerto con il Parco e il Ministero dell'ambiente, furono eseguiti dalla cooperativa sociale «San Giacomo», costituita nel 2000 a Porto Azzurro con lo scopo di dare uno stipendio ai detenuti più meritevoli e di fornirgli allo stesso tempo anche una formazione specifica che consentisse loro di avere maggiori chances di reinserimento nella società una volta terminato il periodo detentivo.

Dell’ottobre di quello stesso anno fu invece la proposta di Giovanni Tinebra, direttore del DAP, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, di riassegnare al suo dipartimento l’Isola col fine di recludervi almeno 800 detenuti. A tale proposta si oppose immediatamente Claudio Vanni, assessore provinciale, ricordando che tale idea fu già avanzata dal Ministro di grazia e giustizia l'anno precedente, però non per istituire un nuovo penitenziario ma col fine di reinserimento dei detenuti attraverso attività sociali e agricole. Inoltre intervenne Legambiente, sottolineando che uno studio dell'università di Firenze aveva stabilito che l'ecosistema di Pianosa poteva sopportare al massimo la presenza di 500 persone, un numero decisamente inferiore rispetto ai numeri previsti da Tinebra. Non del tutto contrari invece si dichiararono il sindaco di Campo nell’Elba, Antonio Galli, e l’assessore regionale all'ambiente Tommaso Franci, specificando però che solo un progetto di mini-carcere per un massimo di 50 detenuti semiliberi potesse coesistere con lo sviluppo turistico dell'Isola.

Del resto i detenuti da Pianosa non erano scomparsi proprio del tutto e nell’inverno 2003/2004 erano presenti sette detenuti, giunti da Porto Azzurro, per fare lavori di manutenzione e altre attività di servizio, sorvegliati da sei agenti di custodia. Verso questa direzione sembrava andare un accordo siglato a giugno 2004 tra il Ministero della giustizia e quello dell'ambiente per promuovere l'attività lavorativa dei detenuti in 47 aree protette d'Italia, il quale prevedeva che Pianosa ospitasse detenuti da adibire a lavori di recupero dell'ambiente. Se il sindaco campese ribadì di non essere contrario ad

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