• Non ci sono risultati.

Capitolo Primo LA TUTELA DELLE ACQUE DALL’INQUINAMENTO 1.1 Le tappe della normativa sull’inquinamento idrico

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo Primo LA TUTELA DELLE ACQUE DALL’INQUINAMENTO 1.1 Le tappe della normativa sull’inquinamento idrico"

Copied!
30
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo Primo

LA TUTELA DELLE ACQUE

DALL’INQUINAMENTO

1.1 Le tappe della normativa sull’inquinamento idrico

La tutela delle acque dall’inquinamento è sempre stata caratterizzata da una certa disomogeneità della disciplina, derivante sia dall’approccio settoriale e parziale con il quale si è intervenuti, soprattutto all’inizio, sia dalla pluralità dei livelli normativi con i quali bisogna confrontarsi e che riguarda un po’ tutti i settori ambientali. Infatti, troviamo da un lato una legislazione nazionale profondamente influenzata dall’imponente mole delle direttive comunitarie; dall’altro lato, un importante spazio prescrittivo lasciato alla potestà legislativa delle Regioni. E’ innegabile, poi, la sensibilità con cui il tema è percepito e affrontato a livello internazionale.

Pertanto, è opportuno ripercorrere le tappe fondamentali della normativa in materia.

1.1.1 Dalla frammentazione legislativa alla legge Merli

La disciplina della tutela delle acque dall’inquinamento è stata per molto tempo estremamente frammentaria e disseminata nelle varie leggi in materia di igiene e sanità, acque e impianti elettrici, bonifiche, miniere e pesca. Senza pretesa di esaustività, si possono menzionare i principali documenti normativi del periodo precedente al 1976, anno in

(2)

cui è stata emanata la prima legge organica in materia (c.d. legge Merli)1.

In primo luogo, si può ricordare il Testo Unico delle Leggi sanitarie (Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265), il quale attribuisce al sindaco il potere di prescrivere norme dirette ad evitare che scoli di acque e rifiuti solidi e liquidi, provenienti da manifatture o da fabbriche, possano provocare pericolo o danno per la salute pubblica (art. 217); affida ai regolamenti locali di igiene e sanità il compito di assicurare che l’acqua potabile nei pozzi, in altri serbatoi e nelle condutture sia garantita da inquinamento (art. 218, 2° comma, lett. d); prevede l’obbligo di una completa ed efficace depurazione per le acque immonde o comunque insalubri ovvero per le acque industriali inquinate, prima dell’immissione in laghi, corsi o canali d’acqua, i quali debbano servire all’uso alimentare o domestico (art. 226) e prima dell’immissione nei corsi d’acqua che attraversano l’abitato (art. 227); infine, punisce con una sanzione amministrativa2 chiunque contamini l’acqua delle fonti, dei pozzi, delle cisterne, dei canali, degli acquedotti e dei serbatoi di acqua potabile, salvo l’applicazione delle pene stabilite nel codice penale, quando il fatto renda l’acqua pericolosa per la salute pubblica (art. 249).

A sua volta, l’art. 133 lett. f) del Regio Decreto 8 maggio 1904, n. 368, sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi, vieta in modo assoluto qualunque ingombro totale o parziale dei canali di bonifica col getto o caduta di materie terrose, pietre, erbe, acque o materie luride, venefiche o putrescibili, che possano comunque dar luogo ad infezione di aria o a qualsiasi inquinamento dell'acqua,

1

Per una ricostruzione della disciplina ante 1976 cfr. G. AMENDOLA, Inquinamento idrico e legge penale. 1980: a che punto siamo, Giuffrè, Milano, 1980; R. RAIMONDI, Vademecum del cittadino. Contro gli inquinamenti e l’edilizia abusiva, Dedalo libri, Bari, 1972.

2 La sanzione originaria dell’ammenda è stata depenalizzata dall'art. 32, legge 24

(3)

mentre il D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, recante «Norme di polizia delle miniere e delle cave», pone all’art. 103, 2° comma il divieto di scaricare prodotti o residui infiammabili in corsi o specchi d'acqua.

E ancora, il Testo Unico delle Leggi sulla pesca (R.D. 8 ottobre 1931, n. 1604) vieta di gettare o infondere nelle acque materie atte ad intorpidire, stordire o uccidere i pesci e gli altri animali acquatici (art.6); prevede che gli stabilimenti industriali, prima di versare rifiuti nelle acque pubbliche, debbano ottenere un permesso dal Presidente della Giunta provinciale, il quale prescriverà gli eventuali provvedimenti atti ad impedire danni all’industria della pesca, con la facoltà di modificare i permessi già rilasciati e di obbligare, in casi speciali, chi è causa degli inquinamenti, ad eseguire opere di ripopolamento ittico (art. 9); prevede l’applicazione di un’ammenda in caso di scarico di rifiuti nelle acque pubbliche eseguito senza l’autorizzazione prefettizia (art. 36).

La legge 14 luglio 1965, n. 963 sulla tutela delle risorse biologiche delle acque marine pone all’art. 15, 1° comma, lett. e)3 il divieto di immettere, direttamente o indirettamente, o diffondere nelle acque sostanze inquinanti, definite come le sostanze estranee o facenti parte della normale composizione delle acque naturali, che costituiscano un diretto documento per la fauna ittica o che determinino alterazioni chimiche o fisiche dell'ambiente, tali da influenzare sfavorevolmente la vita degli organismi acquatici.

La legge 3 marzo 1971, n. 125, ai fini della protezione delle acque superficiali e sotterranee dagli inquinamenti derivanti dall’uso dei detersivi, stabilisce che questi devono essere biodegradabili in misura di almeno l’80% (art. 1) e pone il divieto di produrre, detenere per il commercio, porre in commercio e introdurre nel territorio dello Stato detersivi che non siano biodegradabili in tale misura nonché

(4)

l’uso degli stessi da parte di stabilimenti industriali o esercizi pubblici (art. 2).

Altre norme sulla razionale utilizzazione delle acque pubbliche e sul buon regime del bacino idrico sono contenute nel Testo Unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici, R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775 (artt. 7, 9, 12, 17, 56) e nel Regolamento per le derivazioni e utilizzazioni delle acque pubbliche, R.D. 14 agosto 1920, n. 1285 (art. 14 lett. C).

Il primo tentativo di dare organicità alla materia si ha, lo si è già accennato, con la legge 10 maggio 1976, n. 319, c.d. legge Merli (dal nome del Presidente del «Comitato parlamentare di studio sul problema delle acque in Italia», on. Gianfranco Merli), contenente «Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento». Come si sottolinea in dottrina4, la legge realizza un bilanciamento tra esigenze di tutela ambientale (riduzione dell’inquinamento idrico), interessi economici (sviluppo delle attività produttive) e interessi sociali (realizzazione del sistema fognario pubblico), ed ha per oggetto (art. 1, 1° comma):

a) la disciplina degli scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti e indiretti, in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, sia pubbliche che private, nonché in fognature, sul suolo e nel sottosuolo;

b) la formulazione di criteri generali per l’utilizzazione e lo scarico delle acque in materia di insediamenti;

c) l’organizzazione dei servizi pubblici di acquedotto, fognature e depurazione;

d) la redazione di un piano generale di risanamento delle acque, sulla base di piani regionali;

4 G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II: Discipline ambientali di settore, Cedam, Padova, 2013, p. 54.

(5)

e) il rilevamento sistematico delle caratteristiche qualitative e quantitative dei corpi idrici.

La legge Merli introduce l’obbligo di preventiva autorizzazione agli scarichi e la necessità di rispettare, da parte degli scarichi produttivi, limiti di accettabilità predeterminati. Attraverso la previsione di limiti inderogabili viene, infatti, regolamentata la concentrazione di sostanze chimiche negli scarichi, anche se i valori (indicati nelle tabelle A e C) sono previsti solo in termini di concentrazione per unità di refluo, senza che siano presi in considerazione alcuni aspetti fondamentali per una tutela effettiva, come la natura e le caratteristiche del corpo idrico ricettore, la destinazione delle relative acque, l’intensità di diffusione degli scarichi gravanti su di esso e la quantità di sostanze scaricate in un dato intervallo di tempo5.

Ad ogni modo, la legge fissa alcuni importanti criteri, che saranno, peraltro, in gran parte confermati dalla normativa successiva, e che possono essere così sintetizzati6:

- tutti gli scarichi devono essere autorizzati (art. 9, 8° comma); - la misurazione degli scarichi si intende effettuata subito a monte

del punto di immissione nei corpi ricettori (art. 9, 3° comma); - tutti gli scarichi devono essere resi accessibili per il

campionamento da parte dell’autorità competente nel punto assunto per la misurazione (art. 9, 3° comma);

5 Sui limiti della legge Merli: G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P.

DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II, cit., p. 54; R. AGNOLETTO, I settori delle discipline ambientali, in R. FERRARA-M. A. SANDULLI (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. I: Le politiche ambientali, lo sviluppo sostenibile e il danno, Giuffrè, Milano, 2014, p. 458.

6 G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

(6)

- i limiti di accettabilità non possono essere conseguiti mediante diluizione con acque prelevate esclusivamente allo scopo (art. 9, 4° comma);

- l’autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare all’interno degli insediamenti produttivi tutte le ispezioni necessarie per l’accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi (art. 9, 6° comma);

- l’autorità può richiedere che scarichi parziali contenenti sostanze pericolose subiscano un trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale (art. 9, 6° comma);

- gli scarichi in pubbliche fognature di insediamenti civili sono sempre ammessi, purché osservino i regolamenti emanati dall’autorità che gestisce il servizio di pubblica fognatura (art. 14, 1° comma).

Per quanto riguarda le competenze dei soggetti istituzionali, allo Stato, rappresentato da un apposito Comitato interministeriale, vengono attribuite (art. 2) le funzioni di indirizzo, promozione, consulenza e coordinamento, la predisposizione dei criteri generali e delle metodologie per il rilevamento delle caratteristiche dei corpi idrici, nonché dei criteri metodologici per la formazione e l’aggiornamento dei catasti, la redazione del piano generale di risanamento delle acque, l’indicazione dei criteri generali per un corretto e razionale uso dell’acqua; alle Regioni (art. 4) spetta la redazione dei piani regionali di risanamento delle acque, la direzione del sistema di controllo degli scarichi e degli insediamenti, il coordinamento e la verifica di coerenza dei programmi degli enti locali, l’esecuzione delle operazioni di rilevamento delle caratteristiche dei corpi idrici, nonché la normativa integrativa e di attuazione dei criteri e delle norme generali statali; infine, alle Province viene assegnata la funzione del controllo degli scarichi (art. 5) e la competenza per il rilascio dell’autorizzazione (art. 9).

(7)

La legge contiene, poi, il regime sanzionatorio, prevalentemente penale, e si chiude con le disposizioni transitorie per un graduale adeguamento alla normativa.

La Corte di Giustizia delle Comunità europee giudicherà il sistema autorizzatorio previsto dalla legge Merli in contrasto con la normativa europea, in quanto i provvedimenti di autorizzazione sono a tempo indeterminato e, in alcuni casi, anche taciti7.

La condanna dell’Italia avviene in una prima sentenza8

, con specifico riferimento agli scarichi di cadmio, in quanto, a giudizio della Corte, la normativa italiana non prevede un sistema di autorizzazione previa (imposto dall’art. 3, nn. 3 e 4 della Direttiva 83/513/CEE) e, «poiché nel sistema italiano le autorizzazioni agli scarichi sono concesse automaticamente, i laboratori provinciali cui incombe il controllo degli scarichi sono impossibilitati ad espletare il compito di sorveglianza che l’art. 4 della direttiva impone alle autorità degli Stati membri».

In una successiva sentenza9 la Corte precisa che ai sensi della Direttiva 80/68/CEE, concernente la protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose, «il rifiuto, la concessione o la revoca delle autorizzazioni devono risultare da un provvedimento esplicito e seguire regole procedurali precise». Non sono ammesse, dunque, le forme di silenzio-assenso previste dall’art. 15 della legge Merli, in quanto un’autorizzazione tacita «non consente la realizzazione di indagini preliminari né di indagini successive e di controlli». Inoltre, per quanto riguarda la durata del provvedimento autorizzatorio, «l’art. 15 della citata legge n. 319/76, prevede un’autorizzazione definitiva che, pur potendo essere in ogni momento revocata o modificata, è incompatibile con l’art. 11 della direttiva, che

7 R. AGNOLETTO, I settori delle discipline ambientali, in R. FERRARA-M. A.

SANDULLI (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. I, cit., p. 458.

8 Corte di Giustizia, sentenza 13 dicembre 1990, causa C-70/89. 9

(8)

impone agli Stati membri l’obbligo di concedere autorizzazioni di durata limitata e soggette a riesame almeno ogni quattro anni». Infine, la normativa italiana viene censurata anche per l’insufficienza delle sanzioni penali previste dall'art. 22 della legge Merli, in quanto «pur istituendo una figura generale di reato, diretta a sanzionare l’inosservanza delle condizioni prescritte dalle autorizzazioni rilasciate, omette di prescrivere un controllo specifico sull’osservanza di queste condizioni né prevede controlli sugli effetti degli scarichi sulle acque sotterranee», come impone, invece, l’art. 13 della Direttiva 80/68/CEE.

1.1.2 Scarichi diretti e indiretti

Per oltre vent’anni la disciplina degli scarichi viene regolata dal cosiddetto «sistema Merli», che, anche attraverso le numerose modifiche apportate negli anni, da ultimo con la legge n. 172/1995, rappresenta per molto tempo il fulcro della legislazione in materia, pur mancando di coerenza sistematica e chiarezza espositiva, tanto che l’interpretazione giurisprudenziale (soprattutto delle sezioni penali della Corte di Cassazione) svolge un ruolo fondamentale nel supplire alle mancanze del legislatore10. In particolare, la legge riconduce tutti i comportamenti qualificabili come scarico indiretto alla disciplina delle acque, prefiggendosi di disciplinare gli «scarichi di qualsiasi tipo… diretti e indiretti»11, a prescindere dalle modalità con le quali il refluo giunge nel corpo ricettore.

Proprio sulla definizione della nozione di scarico si confrontano a lungo dottrina e giurisprudenza. La centralità della questione è data dall’esigenza di delimitare i rispettivi ambiti di applicazione della

10

A. ZAMA, La protezione del suolo e la disciplina dell’ambiente idrico, in L. MEZZETTI (a cura di), Manuale di diritto ambientale, Cedam, Padova, 2001, p. 498. 11

(9)

disciplina sull’inquinamento idrico, di cui alla legge Merli, e di quella sui rifiuti, contenuta nel D.P.R. n. 915/1982, il cui art. 9 rende incerti i confini delle due normative, prevedendo che «ferme restando le disposizioni contenute nella legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modificazioni, è fatto divieto di scaricare rifiuti di qualsiasi genere nelle acque pubbliche e private»12. Infatti, durante la vigenza della legge Merli l’immissione nell’ambiente di acque reflue può verificarsi in tre forme distinte: come «scarico diretto» (cioè on site), strutturalmente collegato sul piano spaziale ad un insediamento; come «scarico indiretto» (off site), effettuato in luogo diverso da quello di produzione, mediante sistemi diversi da quello di una stabile condotta; infine, come altra e diversa forma di immissione ambientale, regolata dal D.P.R. n. 915/1982, che detta le modalità da osservare per uno smaltimento controllato13. La giurisprudenza si divide sulla necessità che l’impianto di trattamento dei rifiuti liquidi debba essere autorizzato, oltre alle attività di smaltimento, anche come oggetto di scarico indiretto14.

Con la prima riforma del settore ad opera del d.lgs. n. 152 del 1999 la questione viene risolta in modo soddisfacente15, delimitando la nozione di scarico alle sole immissioni di acque reflue che avvengono in diretto collegamento con lo stabilimento e con le attività produttive che in esso vengono svolte (o comunque con i residui del metabolismo umano). All’art. 2, lett. bb) del decreto viene, infatti, per la prima volta definito lo scarico come «qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle

12 A. ZAMA, La protezione del suolo e la disciplina dell’ambiente idrico, in L.

MEZZETTI (a cura di), Manuale di diritto ambientale, cit., pp. 500-501.

13

P. DELL’ANNO, Manuale di diritto ambientale, Cedam, Padova, 2003, p. 365.

14 A favore di questo orientamento Cass. pen., sez. III, 5 luglio 1991, n. 7180. 15 P. DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente. Commento sistematico al d.lgs. 152/2006,

integrato con le nuove norme sul SISTRI, sull’autorizzazione unica ambientale e sul danno ambientale, Cedam, Padova, 2014, pp. 42-43.

(10)

acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione». Invece, le operazioni definibili come scarico indiretto, cioè quelle che allontanano dal luogo di produzione le acque reflue verso un altro e diverso impianto di trattamento, determinandone la qualifica come rifiuti liquidi, vengono affidate alla disciplina della gestione dei rifiuti. In sostanza, la categoria dello scarico indiretto, di cui alla legge Merli, scompare dall’ordinamento e viene adottata una linea di demarcazione tra scarichi e rifiuti costruita sull’elaborazione giurisprudenziale precedente16.

1.1.3 La protezione delle acque a livello internazionale e comunitario. Il d.lgs. n. 152/1999

La prima conferenza dell’ONU sull’acqua si svolge nel 1977 a Mar de la Plata (Argentina)17. Nella Risoluzione finale si afferma il principio per cui «tutti hanno diritto di accedere all’acqua potabile in quantità e qualità corrispondenti ai propri bisogni fondamentali»18. Nel 1980 le Nazioni Unite proclamano il «Decennio internazionale dell’acqua potabile e del risanamento» e gli interventi di sensibilizzazione continuano per tutti gli anni ’80, fino all’istituzione, in occasione della Conferenza sull’ambiente e sullo sviluppo delle Nazioni Unite (UNCED), tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, della giornata mondiale dell’acqua (22 marzo).

16

A. ZAMA, La protezione del suolo e la disciplina dell’ambiente idrico, in L. MEZZETTI (a cura di), Manuale di diritto ambientale, cit., p. 503.

17 Cfr. A. PIOGGIA, Acqua e ambiente, in G. ROSSI (a cura di), Diritto

dell’ambiente, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 270-271.

18 Risoluzione dell’Assemblea Generale ONU del 19 dicembre 1977, n. 32/158, in

(11)

Per quanto riguarda in particolare la tutela internazionale delle acque dolci, sappiamo che moltissimi dei più grandi bacini d’acqua esistenti al mondo sono condivisi tra più Stati e questo pone inevitabilmente problemi di co-gestione di tali risorse idriche. Il problema della qualità delle acque transfrontaliere, ossia i corsi d’acqua che attraversano il territorio di più Stati, viene affrontato essenzialmente con la Convenzione di Helsinki del 17 marzo 1992 (sulla protezione e l’uso dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali) e con la Convenzione di New York del 21 maggio 1997 (sul diritto relativo agli usi dei corsi d’acqua internazionali per scopi diversi dalla navigazione)19.

La Convenzione di Helsinki ha come obiettivo quello di prevenire e controllare l’inquinamento dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, istituendo una cooperazione tra i Paesi membri della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite. Agli Stati parte della Convenzione è imposto l’obbligo di adottare tutte le misure opportune per prevenire, controllare e ridurre l’inquinamento idrico che possa avere un impatto transfrontaliero, vigilando affinché la gestione delle acque sia effettuata in modo razionale e nel rispetto dell’ambiente, promuovendo un uso ragionevole ed equo delle acque, assicurando la conservazione o il ripristino degli ecosistemi. Le azioni di tutela devono basarsi su alcuni dei più importanti principi del diritto internazionale dell’ambiente, come il principio di precauzione, in virtù del quale i provvedimenti destinati ad evitare lo scarico di sostanze pericolose non possono essere rinviati, anche se non è stata dimostrata l’esistenza di un legame di causalità tra queste sostanze e l’impatto transfrontaliero; il principio «chi inquina paga», in base al quale i costi dei provvedimenti di

19 Sulle Convenzioni v. E. BRAIDO-A. FARI’, Difesa del suolo e tutela delle acque,

in G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., p. 332; M. MONTINI, Profili di diritto internazionale, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. I: Principi generali, Cedam, Padova, 2012, pp. 81-84.

(12)

prevenzione o di lotta contro l’inquinamento sono a carico dell’inquinatore; il principio dell’equità intergenerazionale, che impone l’obbligo di gestire le risorse idriche in modo da soddisfare i bisogni della generazione attuale senza compromettere quelli delle generazioni future. Il documento sarà ratificato dall’Italia con la legge 12 marzo 1996, n. 171.

A sua volta, la Convenzione di New York detta misure di tutela, salvaguardia e gestione relative agli usi dei corsi d’acqua internazionali per scopi diversi dalla navigazione. Ad ogni Stato rivierasco è attribuito il diritto di utilizzare in maniera equa e ragionevole i corsi d’acqua internazionali nel proprio territorio, senza compromettere, però, il pari diritto di utilizzazione da parte degli altri Stati e con l’obbligo di prendere tutte le misure necessarie per evitare di causare danni gravi agli altri Stati interessati. E’ previsto, inoltre, un dovere generale di cooperazione sulla base dell’uguaglianza sovrana, dell’integrità territoriale, del mutuo vantaggio e della buona fede, al fine di conseguire un uso ottimale e un’adeguata protezione delle acque; il dovere di scambio regolare tra gli Stati rivieraschi dei dati e delle informazioni rilevanti sulla situazione del corso d’acqua interessato, tra i quali i dati relativi alla qualità dell’acqua; infine, il dovere di proteggere e tutelare l’ecosistema dei corsi d’acqua internazionali, attraverso la prevenzione, la riduzione e il controllo dell’inquinamento, anche adottando misure per l’armonizzazione delle rispettive politiche al riguardo. La Convenzione sarà ratificata dall’Italia con la legge 31 agosto 2012, n. 165.

Anticipando per certi profili le riflessioni che stanno maturando a livello internazionale, la tutela delle risorse idriche costituisce uno dei primi settori di intervento in materia di tutela ambientale da parte della Comunità europea, che comincia ad occuparsi dell’acqua come bene da gestire e salvaguardare già all’inizio degli anni ’70. Infatti, il sistema legislativo nazionale in materia di tutela delle acque deriva

(13)

anche dal recepimento di numerose direttive comunitarie. In una prima fase, il legislatore europeo interviene seguendo un approccio settoriale e parziale, limitato a singoli aspetti, mirando a proteggere qualitativamente le acque superficiali a seconda della singola destinazione della risorsa di volta in volta in considerazione (produzione di acqua potabile, balneazione, vita dei pesci, molluschicoltura) oppure con riguardo agli agenti inquinanti (sostanze pericolose, nitrati provenienti da fonti agricole, ecc.); come vedremo, a partire dalla Direttiva 2000/60/CE, c.d. Direttiva quadro in materia di acque, inizia una nuova fase, caratterizzata da un approccio globale ed integrato, che tiene conto anche dell’aspetto quantitativo20. Seguendo l’ordine cronologico, si possono menzionare le direttive più importanti21 emanate precedentemente alla Direttiva quadro del 2000:

a) Direttiva 75/440/CEE, concernente la qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile, recepita con i D.P.R. n. 515/1982, n. 236/1988 e n. 131/1992;

b) Direttiva 76/160/CEE, sulla qualità delle acque di balneazione, recepita con il D.P.R. n. 476/1982 e con la legge n. 322/1985;

c) Direttiva 76/464/CEE, direttiva “madre” e successive modifiche22, relativa agli scarichi industriali di sostanze

20 Cfr. O. PORCHIA, Le politiche dell’Unione europea in materia ambientale, in R.

FERRARA-M. A. SANDULLI (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. I, cit., pp. 202-203; A. ZAMA, La protezione del suolo e la disciplina dell’ambiente idrico, in L. MEZZETTI (a cura di), Manuale di diritto ambientale, cit., pp.480-481.

21

Per una ricostruzione delle principali direttive in materia: P. DELL’ANNO, Manuale di diritto ambientale, cit., pp. 353-354; P. DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente. Commento sistematico al d.lgs. 152/2006, integrato con le nuove norme sul SISTRI, sull’autorizzazione unica ambientale e sul danno ambientale, cit., p. 35.

(14)

pericolose nell’ambiente idrico, recepite con i D.P.R. n. 217/1988 e nn. 132-133/1992;

d) Direttiva 78/659/CEE, sulla qualità delle acque dolci per la fauna ittica, recepita con il D.P.R. n. 130/1992;

e) Direttiva 79/923/CEE, relativa ai requisiti di qualità delle acque destinate alla coltura dei molluschi, recepita con il D.P.R. n. 131/1992;

f) Direttiva 86/278/CEE, concernente l’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, attuata con il d.lgs. n. 99/1992; g) Direttiva 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque

dall’inquinamento provocato dai nitrati di origine agricola, recepita con il d.lgs. n. 152/1999;

h) Direttive 91/271/CEE e 98/15/CE, sul trattamento delle acque reflue urbane, recepite con il d.lgs. n. 152/1999; i) Direttiva 98/83/CE, concernente la qualità delle acque

destinate al consumo umano, recepita con il d.lgs. n. 31/2001.

Le norme comunitarie si ispirano ad un criterio misto23, che integra la fissazione di valori-limite alle emissioni con la determinazione di standard di qualità ambientale dei corpi ricettori (in relazione alla destinazione d’uso di ciascuno di essi e alla natura delle sostanze scaricate). Per ciascuna sostanza inquinante, poi, sono individuati valori-limite sia in base alla concentrazione massima ammissibile nello scarico, sia in base alla massa introdotta nell’ambiente, attribuendo rilevanza anche ad ulteriori aspetti quali il prodotto o la sostanza trattata, in relazione ad una data unità di tempo. Inoltre, gli stessi valori sono adeguati alla tipologia di processo produttivo, in conformità alla migliore tecnica disponibile.

(15)

Numerose direttive comunitarie vengono recepite in Italia con il d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 (c.d. Testo Unico delle acque)24, che introduce una prima disciplina unitaria in materia, volta a regolare in modo organico non un singolo settore, ma l’intero ciclo delle acque25. L’approccio impiegato nella tutela delle risorse idriche risulta completamente nuovo, in quanto il fine del legislatore non è più semplicemente quello di evitare l’inquinamento, ma è la qualità dell’acqua in positivo a diventare un obiettivo da perseguire26

. Il Testo Unico del 1999, successivamente modificato e integrato con il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 258, non si limita al riordino della disciplina della tutela delle acque dall’inquinamento, con l’abrogazione di tutte le leggi in materia di inquinamento idrico e di scarico di sostanze pericolose (art. 63), ma effettua anche una revisione della normativa relativa a vari settori della gestione delle risorse idriche, apportando integrazioni o parziali modifiche in particolare al R.D. n. 1775/1933 (T.U. sulle acque e sugli impianti elettrici), al D.P.R. n. 236/1988 (sulle acque destinate al consumo umano), alla legge n. 183/1989 (in materia di difesa del suolo) e alla legge n. 36/1994 (c.d. legge Galli, in materia di risorse idriche)27.

L’oggetto del decreto viene indicato, in maniera onnicomprensiva, nella «tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee» (art. 1) ed è seguito dall’elenco delle sue finalità, dal quale si evince il passaggio dalla precedente organizzazione per funzioni a

24 In particolare, le Direttive 91/271/CEE (sul trattamento delle acque reflue urbane)

e 91/676/CEE (sulla protezione delle acque dai nitrati di origine agricola), il cui mancato recepimento ha comportato la condanna dell’Italia da parte della Corte di giustizia europea (sentenza 12 dicembre 1996, causa C-302/95; sentenza 25 febbraio 1999, causa C-195/97).

25

A. ZAMA, La protezione del suolo e la disciplina dell’ambiente idrico, in L. MEZZETTI (a cura di), Manuale di diritto ambientale, cit., p. 485.

26 A. PIOGGIA, Acqua e ambiente, in G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente,

cit., p. 268.

(16)

quella per obiettivi28. Il legislatore si propone non solo di prevenire l’inquinamento dei corpi idrici, ma anche di ridurlo attuando il loro progressivo risanamento, e di perseguire un uso durevole e sostenibile delle acque, anche attraverso la tutela della capacità di autodepurazione dei corpi idrici (art. 1, 1° comma). Individua, poi, diversi strumenti per il raggiungimento dei fini indicati (art. 1, 2° comma), prevedendo, in particolare, la fissazione di obiettivi di qualità per tutte le acque, sia in generale, sia in ragione del loro uso.

Alla classificazione degli scarichi sulla base dell’origine, adottata dalla legge Merli, che distingueva tra scarichi da insediamenti produttivi e da impianti civili, si sostituisce quella, introdotta dalla Direttiva 91/271/CEE e fondata sulla tipologia degli stessi, tra scarichi di acque reflue domestiche e di acque reflue industriali (art. 2, lettere g-h). Inoltre, viene proposta una distinzione che tiene conto del luogo di immissione dello scarico nelle acque superficiali, nel suolo, nel sottosuolo o nelle reti fognarie, e che dà luogo a una differente normativa in relazione al corpo ricettore (articoli 29, 30, 31 e 33)29.

Senza soffermarsi troppo sulle novità apportate dal d.lgs. n. 152/1999, sostanzialmente confermate, come vedremo, dalla disciplina successiva, ci si può limitare a ricordare che esso, oltre all’importante definizione della nozione di scarico30, introduce i seguenti criteri direttivi31:

a) i limiti di emissione degli scarichi sono collegati agli obiettivi di qualità dei corpi idrici (art. 28, 1° comma);

28 A. ZAMA, La protezione del suolo e la disciplina dell’ambiente idrico, in L.

MEZZETTI (a cura di), Manuale di diritto ambientale, cit., p. 484.

29

A. ZAMA, La protezione del suolo e la disciplina dell’ambiente idrico, in L. MEZZETTI (a cura di), Manuale di diritto ambientale, cit., pp. 504-506.

30 V. supra, par. 1.1.2.

31 G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

(17)

b) le Regioni possono adottare misure normative ed amministrative differenziate da quelle statali (art. 28, 2° comma).

Si pongono, così, le basi per un’ambiziosa riforma che anticipa l’approccio integrato alla tutela delle acque consacrato dalla Direttiva 2000/60/CE32, nella quale le risorse idriche sono considerate unitariamente e la relativa tutela è organizzata attraverso misure che integrano gli aspetti qualitativi e quantitativi, al fine di assicurarne un uso sostenibile, equilibrato ed equo33.

1.1.4 La «Direttiva quadro» in materia di acque e il Codice dell’ambiente

Nella Direttiva CE del 23 ottobre 2000, n. 60 (Water

Framework Directive), che «istituisce un quadro per l’azione

comunitaria in materia di acque», si afferma che «l’acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale» (1° considerando); si pongono le fondamenta per una futura politica comunitaria incentrata sulla «salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente, dell'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, che dev'essere fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”» (11° considerando); la Direttiva deve «contribuire alla graduale riduzione delle emissioni di sostanze pericolose nelle acque» (22° considerando); occorre «fissare obiettivi ambientali per raggiungere un

32 R. AGNOLETTO, I settori delle discipline ambientali, in R. FERRARA-M. A.

SANDULLI (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. I, cit., p. 459.

33 E. BRAIDO-A. FARI’, Difesa del suolo e tutela delle acque, in G. ROSSI (a cura

(18)

buono stato delle acque superficiali e sotterranee in tutta la Comunità e impedire il deterioramento dello stato delle acque a livello comunitario» (25° considerando).

All’art. 1 sono elencate le finalità perseguite dalla Direttiva, il cui scopo è quello di istituire un quadro per la protezione delle acque superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque costiere e sotterranee che:

a) impedisca un ulteriore deterioramento, protegga e migliori lo stato degli ecosistemi acquatici e degli ecosistemi terrestri e delle zone umide direttamente dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto il profilo del fabbisogno idrico;

b) agevoli un utilizzo idrico sostenibile fondato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili;

c) miri alla protezione rafforzata e al miglioramento dell'ambiente acquatico, anche attraverso misure specifiche per la graduale riduzione degli scarichi, delle emissioni e delle perdite di sostanze prioritarie e l'arresto o la graduale eliminazione degli scarichi, delle emissioni e delle perdite di sostanze pericolose prioritarie;

d) assicuri la graduale riduzione dell'inquinamento delle acque sotterranee e ne impedisca l'aumento;

e) contribuisca a mitigare gli effetti delle inondazioni e della siccità.

Più in generale, si afferma l’obiettivo di raggiungere un buono stato di qualità per tutti i corpi idrici entro il 2015.

La «Direttiva acque» viene recepita in Italia con il d.lgs. n. 152 del 2006 (c.d. Codice dell’ambiente), tra molte difficoltà e con notevole ritardo34. In un primo momento, infatti, la Commissione europea ritiene il recepimento incompleto e non in linea con gli

34 Sul recepimento della Direttiva 2000/60/CE cfr. R. AGNOLETTO, I settori delle

discipline ambientali, in R. FERRARA-M. A. SANDULLI (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. I, cit., pp. 459-460.

(19)

obiettivi comunitari, in quanto sono recepite solo in parte le disposizioni che stabiliscono le condizioni che gli Stati membri devono soddisfare qualora intendano derogare agli obiettivi ambientali. Soltanto con la modifica dell’art. 77 del d.lgs. 152/2006, ad opera del d.l. n. 59/200835, verrà data attuazione alle norme contenute nell’art. 4, paragrafi 4, 5 e 7 della Direttiva. Successivamente, l’art. 24 della legge 6 agosto 2013, n. 97 (legge europea 2013) modificherà ancora il d.lgs. 152/2006 al fine di sollecitare il corretto recepimento della Direttiva quadro, a seguito della procedura d’infrazione 2007/4680. In effetti, il Codice dell’ambiente attua solo in parte la Direttiva, sollevando una serie di questioni che necessitano di essere risolte con ulteriori interventi correttivi, ancora in fase di elaborazione36.

Ma andiamo con ordine. Con la legge 15 dicembre 2004, n. 308 il Parlamento conferisce delega al Governo per l’adozione di uno o più decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni normative di vari settori della materia ambientale (art. 1, 1° comma): a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati; b) tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche; c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione; d) gestione delle aree protette; e) tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente; f) procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per l’autorizzazione ambientale integrata (IPPC); g) tutela dell’aria e riduzione delle emissioni in atmosfera. La legge delega indica i principi e criteri direttivi generali (art. 1, 8° comma) e specifici (art. 1, 9° comma), molti dei quali caratterizzati da estrema genericità. In particolare, per quanto riguarda il nostro argomento, tra i principi e criteri specifici compare solo quello di «pianificare, programmare e attuare interventi diretti a

35 Il 6° comma dell’art. 77 del d.lgs. 152/2006 è sostituito dall’art. 3 del d.l. 8 aprile

2008, n. 59, convertito in legge 6 giugno 2008, n. 101.

36 A. PIOGGIA, Acqua e ambiente, in G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente,

(20)

garantire la tutela e il risanamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi» (art. 1, 9° comma, lett. b)37.

La disciplina della tutela delle acque dall’inquinamento è, quindi, attualmente contenuta nel d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, (c.d. Codice dell’ambiente), recante «Norme in materia ambientale», emanato in attuazione della legge delega n. 308/2004. Esso si articola in sei parti: la Parte III è dedicata alle «Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento e di gestione delle risorse idriche» ed è suddivisa in tre sezioni riguardanti rispettivamente la tutela idrogeologica, la tutela delle acque dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche. Per la prima volta con il Codice dell’ambiente si tenta di tenere insieme la pluralità delle discipline che riguardano l’acqua, considerata nel tempo come risorsa, come bene da tutelare quantitativamente e qualitativamente, come elemento naturale dal quale difendersi, come oggetto di servizi alla collettività e, infine, come finalità alla quale l’ordinamento dedica risorse giuridiche, quali regolazione e amministrazione38.

Il d.lgs. n. 152/2006 conferma sostanzialmente l’impostazione della legislazione previgente, riprendendo la struttura e la disciplina dell’abrogato d.lgs. n. 152/1999. Le disposizioni della Sezione II della Parte III definiscono la disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee, perseguendo i seguenti obiettivi (art. 73, 1° comma):

a) prevenire e ridurre l’inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici inquinati;

37 G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II, cit., p. 57.

38 A. PIOGGIA, Acqua e ambiente, in G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente,

(21)

b) conseguire il miglioramento dello stato delle acque ed adeguate protezioni di quelle destinate a particolari usi; c) perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, con

priorità per quelle potabili;

d) mantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici, nonché la capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate;

e) mitigare gli effetti delle inondazioni e della siccità;

f) impedire un ulteriore deterioramento, proteggere e migliorare lo stato degli ecosistemi acquatici e terrestri. Tali finalità sono da realizzarsi mediante la tutela integrata degli aspetti quantitativi e qualitativi ed un adeguato sistema di controlli e sanzioni; l’individuazione degli obiettivi minimi di qualità ambientale e per specifica destinazione dei corpi idrici, nonché di misure per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento nelle zone vulnerabili e nelle aree sensibili; il rispetto dei valori limite agli scarichi e l’adozione di misure per la graduale riduzione degli scarichi, delle emissioni e di ogni altra fonte di inquinamento diffuso contenente sostanze pericolose; l’adeguamento dei sistemi di fognatura, collettamento e depurazione degli scarichi idrici; l’individuazione di misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo e al riciclo delle risorse idriche (art. 73, 2° comma).

Il Codice dell’ambiente subirà significative modificazioni ad opera di diversi decreti correttivi. Numerosi interventi di modifica, per lo più in recepimento di direttive comunitarie, incideranno sulle discipline di settore.

(22)

1.1.5 Le direttive europee più recenti e la loro attuazione in Italia

Successivamente all’emanazione della Direttiva quadro 2000/60/CE, il legislatore europeo ha adottato direttive di dettaglio concernenti obiettivi specifici, codificando in buona parte la normativa previgente39. Le direttive sono state tutte recepite dal legislatore nazionale. In particolare40:

a) la Direttiva 2006/7/CE, sulla gestione della qualità delle acque di balneazione, che abroga la Direttiva 76/160/CEE, attuata con il d.lgs. n. 116/2008;

b) la Direttiva 2006/118/CE, sulla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento, attuata con il d.lgs. n. 30/2009;

c) la Direttiva 2008/56/CE, direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino (c.d. Direttiva «Marine Strategy»), recepita con il d.lgs. n. 190/2010;

d) la Direttiva 2008/105/CE, relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque, attuata con il d.lgs. n. 219/2010;

e) la Direttiva 2009/90/CE, recante specifiche tecniche per l’analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque, recepita con il d.lgs. n. 219/2010;

f) la Direttiva 2010/75/UE, relativa alle emissioni industriali, attuata con il d.lgs. n. 46/2014;

39 O. PORCHIA, Le politiche dell’Unione europea in materia ambientale, in R.

FERRARA-M. A. SANDULLI (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. I, cit., p. 203.

40 Per una ricostruzione delle direttive più recenti: P. DELL’ANNO, Diritto

dell’ambiente. Commento sistematico al d.lgs. 152/2006, integrato con le nuove norme sul SISTRI, sull’autorizzazione unica ambientale e sul danno ambientale, cit., p. 35; AA. VV., Manuale Ambiente 2014, IPSOA, Milano, 2014, pp. 254-255.

(23)

g) la Direttiva 2013/39/UE, che modifica le Direttive 2000/60/CE e 2008/105/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque, recepita con il d.lgs. n. 172/2015.

Fra gli interventi normativi che assumono un rilievo particolare, giova sicuramente ricordare il d.lgs. n. 190/2010, attuativo, come già detto, della Direttiva c.d. «Marine Strategy». Muovendo dall’idea della gestione integrata delle risorse idriche, già introdotta con la «Direttiva acque» 2000/60/CE, la Direttiva sulla Strategia Marina si propone di applicare un «approccio ecosistemico alla gestione delle attività umane», in grado da un lato di assicurare «che la pressione collettiva di tali attività sia mantenuta entro livelli compatibili con il conseguimento di un buono stato ecologico e che la capacità degli ecosistemi marini di reagire ai cambiamenti indotti dall’uomo non sia compromessa»; dall’altro, di consentire, allo stesso tempo, «l’uso sostenibile dei beni e dei servizi marini da parte delle generazioni presenti e future» (art. 1, 3° comma, Dir. 2008/56/CE). La relativa normativa di attuazione, dunque, si caratterizza per un approccio maturo, che mira a promuovere la qualità delle acque marine attraverso obiettivi di qualità, al cui raggiungimento concorre non solo il fatto che la concentrazione di inquinanti sia inferiore a determinati valori-soglia, ma anche che sia preservato lo «stato ambientale» del corpo idrico stesso41.

Il d.lgs. 13 ottobre 2010, n. 190, infatti, istituisce un quadro diretto all’elaborazione di strategie per l’ambiente marino e all’adozione delle misure necessarie a conseguire e a mantenere un buono stato ambientale entro il 2020. L’art. 3, 1° comma, lett. f) definisce lo «stato ambientale» come lo «stato generale dell’ambiente

41 I. LOLLI, La protezione del mare fra tutela delle acque marine e tutela delle

acque costiere, in Atti del Quarto Simposio Internazionale “Il monitoraggio costiero mediterraneo”, Livorno 2012, CNR-Ibimet, 2012.

(24)

nelle acque marine, tenuto conto della struttura, della funzione e dei processi degli ecosistemi marini che lo compongono, nonché dei fattori fisiografici, geografici, biologici, geologici e climatici naturali e delle condizioni fisiche, acustiche e chimiche, comprese quelle risultanti dalle attività umane […]».

La strategia marina prevista si articola in quattro fasi, peraltro già concluse42: la valutazione iniziale (art. 8), la determinazione del buono stato ambientale (art. 9), la definizione dei traguardi ambientali (art. 10) e la predisposizione dei programmi di monitoraggio (art. 11). Dovrà seguire l’elaborazione di uno o più programmi di misure necessarie al conseguimento o mantenimento del buono stato ambientale, di cui all’art. 12. I dati elaborati in tutte le fasi dovranno essere aggiornati, successivamente all’elaborazione iniziale, ogni sei anni per ciascuna regione o sottoregione marina (art. 7, 2° comma).

La valutazione dello stato ambientale marino deve essere effettuata sulla base dei dati e delle informazioni esistenti, considerando tre aspetti: un’analisi degli elementi, delle caratteristiche essenziali e dello stato ambientale attuale della regione marina; un’analisi dei principali impatti e delle pressioni che influiscono su di essa; infine, un’analisi degli aspetti socio-economici dell’utilizzo dell’ambiente marino e dei costi del suo degrado. La valutazione è effettuata in tempo utile per la determinazione del buono stato ambientale e per la definizione dei traguardi ambientali (art. 8, 5° comma).

La determinazione del buono stato ambientale si basa su un elenco di undici descrittori qualitativi dell’ambiente marino, che fanno riferimento a molteplici aspetti degli ecosistemi, tra cui la biodiversità, l’inquinamento e l’impatto delle attività produttive (Allegato 1).

42 Sul contenuto del d.lgs. n. 190/2010 cfr. Consiglio scientifico ISPRA, Il percorso

(25)

Sulla base della valutazione iniziale, poi, si definiscono i traguardi ambientali, i quali devono essere individuati in modo compatibile ed integrato con quelli definiti dai vigenti strumenti normativi.

Era previsto che la determinazione del buono stato ambientale e la definizione dei traguardi ambientali fossero effettuate entro il 15 luglio 2012 (artt. 9, 5° comma e 10, 3° comma); entrambe le fasi sono state attuate con il D.M. 17 ottobre 2014.

L’art. 11, 1° comma, stabilisce che si elaborino e si avviino programmi di monitoraggio coordinati per la valutazione continua dello stato delle acque marine, con riferimento ai traguardi ambientali stabiliti. I programmi di monitoraggio devono essere coerenti per tutta la regione o sottoregione marina, al fine di agevolare la comparabilità dei risultati (art. 11, 2° comma). L’elaborazione di programmi di monitoraggio aveva come termine il 15 luglio 2014 (art. 11, 4° comma), ma è stata realizzata con il D.M. 11 febbraio 2015.

Infine, il Ministero dell’ambiente dovrà predisporre un programma di misure da intraprendere in funzione degli obiettivi ambientali, tenendo in considerazione il principio dello sviluppo sostenibile e l’impatto socio-economico delle misure stesse. Il termine previsto dall’art. 12, 8° comma, era il 31 dicembre 2015, ma i programmi di misure sono ancora in fase di elaborazione.

Di rilievo anche il d.lgs. 4 marzo 2014, n. 46, il quale, in attuazione della Direttiva 2010/75/UE, modifica il Codice dell’ambiente relativamente alle emissioni industriali, nello specifico in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento43. Il decreto riscrive sostanzialmente il Titolo III bis della Parte II, che disciplina l’autorizzazione integrata ambientale (AIA), intervenendo,

43 Sul d.lgs. n. 46/2014 cfr. R. BERTUZZI-N. CARBONE, Le modifiche all’AIA

(26)

innanzitutto, sulla sua definizione (art. 5, lett. o-bis del d.lgs. n. 152/2006).

Al primo comma dell’art. 29 ter viene aggiunta la lettera m), che prevede la presentazione di una «Relazione di riferimento», contenente informazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque sotterranee, qualora l’attività comporti l’utilizzo, la produzione o lo scarico di sostanze pericolose.

Inoltre, vengono definite e descritte in appositi documenti, denominati «Conclusioni sulle BAT», le prestazioni ambientali ottenibili con l’applicazione delle migliori tecniche disponibili, in particolare i livelli di emissione autorizzabili per ciascuno dei settori presi in esame (artt. 29 bis ss.).

1.2 L’articolazione delle competenze

Il Titolo I della Sezione II della Parte III del Codice dell’ambiente, dedicato ai principi generali e alle competenze, non contiene, in realtà, norme dedicate all’elencazione delle competenze, a differenza di altre discipline (ad esempio quella sui rifiuti). L’art. 75, 1° comma, dispone che lo Stato esercita, attraverso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, «le competenze ad esso spettanti per la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», mentre le Regioni e gli Enti locali esercitano «le funzioni e i compiti ad essi spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali». E’, dunque, compito dell’interprete rintracciare le norme che individuano l’autorità competente44.

44 Sulle competenze cfr. G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E.

PICOZZA (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II, cit., pp. 58-60; E. BRAIDO-A. FARI’, Difesa del suolo e tutela delle acque, in G. ROSSI (a cura di),

(27)

Allo Stato spettano funzioni di indirizzo e coordinamento a tutela di interessi unitari, nonché la definizione delle linee fondamentali della tutela delle acque, attraverso la fissazione di metodi e criteri comuni per l’attività conoscitiva, di pianificazione, di programmazione e di attuazione, oltre a compiti di alta vigilanza.

L’articolazione delle funzioni amministrative è contenuta, anzitutto, nella normativa sul decentramento amministrativo di cui al d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, emanato in attuazione della legge n. 59/1997 (c.d. legge Bassanini), la quale, a Costituzione invariata, ha introdotto nel nostro ordinamento il principio di sussidiarietà, realizzando il c.d. federalismo amministrativo. Il d.lgs. n. 112/1998 prevede, anche per la materia «protezione della natura e dell’ambiente, tutela dell’ambiente dagli inquinamenti e gestione dei rifiuti», che tutte le funzioni amministrative non espressamente indicate come di rilievo nazionale sono conferite alle Regioni e agli Enti locali. Le Regioni, poi, ai sensi dell’art. 3, 1° comma, provvedono alla determinazione di quelle, tra le funzioni conferite, che richiedono l’esercizio unitario a livello regionale, in modo da assegnare le rimanenti agli Enti locali in base al principio di sussidiarietà.

Per quanto concerne l’inquinamento delle acque, il decreto sul decentramento amministrativo, dopo la soppressione di una serie di piani nazionali di risanamento (art. 79), elenca i compiti di rilievo nazionale (art. 80), tra i quali si distinguono: la fissazione dei valori limite di emissione delle sostanze e agenti inquinanti e degli obiettivi minimi di qualità dei copri idrici; la determinazione dei criteri metodologici generali per la formazione e l’aggiornamento dei catasti degli scarichi e degli elenchi delle acque e delle sostanze pericolose; la definizione dei criteri generali per l’elaborazione dei piani regionali di

Diritto dell’ambiente, cit., pp. 336-338; P. DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente. Commento sistematico al d.lgs. 152/2006, integrato con le nuove norme sul SISTRI, sull’autorizzazione unica ambientale e sul danno ambientale, cit., pp. 47-48.

(28)

risanamento delle acque; la determinazione delle condizioni e dei limiti di utilizzo di prodotti e materiali pericolosi; l’emanazione di norme tecniche generali per l’attività di smaltimento dei liquami e dei fanghi; l’individuazione dei criteri generali per l’installazione di strumenti automatici di controllo degli scarichi di sostanze pericolose; l’elaborazione dei dati informativi sulla qualità delle acque destinate al consumo umano e sugli scarichi industriali di sostanze pericolose. Si tratta di attribuzioni rivolte essenzialmente al perseguimento di un livello minimo uniforme di tutela e alla garanzia di conoscenze adeguate sullo stato e la consistenza delle risorse idriche45.

Ulteriori compiti sono attribuiti allo Stato dal d.lgs. n. 152/2006, in particolare la definizione dei criteri e delle norme tecniche generali per il riutilizzo delle acque reflue (art. 99, 1° comma) e per l’utilizzazione agronomica (art. 112, 2° comma). Inoltre, spetta al Ministro dell’Ambiente, sentita la Conferenza Stato-Regioni, individuare ulteriori aree sensibili, oltre a quelle già indicate (art. 91, 2° comma); reidentificare con cadenza quadriennale tali aree e i rispettivi bacini drenanti che contribuiscono all’inquinamento (art. 91, 6° comma); modificare i criteri stabiliti dalla legge per l’individuazione delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola (art. 92, 3° comma).

Con riguardo alle Regioni e agli Enti locali, l’art. 81 del d.lgs. n. 112/1998 conferisce loro in via residuale tutte le funzioni non attribuite alla competenza statale, ed in particolare: la tenuta e l’aggiornamento dell’elenco delle acque dolci superficiali e delle acque destinate alla molluschicoltura; il monitoraggio sulla produzione, sull’impiego, sulla persistenza nell’ambiente e sull’impatto sulla salute umana delle sostanze ammesse alla produzione di preparati per lavare;

45 A. PIOGGIA, Acqua e ambiente, in G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente,

(29)

il monitoraggio sullo stato di eutrofizzazione delle acque interne e costiere.

Il D.M. 12 giugno 2003, n. 185, in materia di acque reflue, attribuisce alle Regioni la definizione di un primo elenco degli impianti di depurazione di acque reflue urbane il cui scarico deve conformarsi ai requisiti di qualità da esso fissati e l’individuazione, per ogni impianto ed in ragione della sua destinazione, degli standard qualitativi e tecnici (art. 5).

Il d.lgs. n. 152/2006 conferisce alle Regioni ulteriori funzioni di normazione e programmazione, in particolare l’adozione del Piano di tutela delle acque (art. 121, 2° comma), che peraltro deve coordinarsi con i Piani di bacino,e la definizione di obiettivi di qualità ambientale più elevati (art. 76, 7° comma). L’art. 81 prevede, inoltre, che le Regioni possono adottare una disciplina derogatoria rispetto agli standard definiti dalla Tabella 1/A dell’Allegato 2, in tema di acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile, nei limiti in cui non comporti pericolo per la salute pubblica e nelle sole ipotesi espressamente previste dalla normativa nazionale (ad esempio inondazioni, catastrofi naturali ecc.).

L’art. 75 del d.lgs. n. 152/2006 pone a carico delle Regioni l’obbligo di divulgare le informazioni attinenti allo stato di qualità delle acque e di trasmettere al Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell’ISPRA i dati conoscitivi e le informazioni relative all’attuazione della relativa normativa (5° comma); il compito di favorire l’attiva partecipazione di tutte le parti interessate all’attuazione della disciplina della Parte III del Codice dell’ambiente, in particolare in sede di elaborazione, revisione e aggiornamento dei piani di tutela delle acque (6° comma); il dovere di provvedere affinché gli obiettivi di qualità per specifica destinazione e i relativi programmi di misure siano perseguiti nei corpi idrici ricadenti nei bacini idrografici internazionali in attuazione di accordi tra gli Stati

(30)

membri interessati, avvalendosi a tal fine di strutture esistenti risultanti da accordi internazionali (7° comma).

Ai sensi dell’art. 75, 2° comma del Codice, l’accertata inattività delle Regioni e degli Enti locali che comporti inadempimento agli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, pericolo di grave pregiudizio alla salute o all’ambiente oppure inottemperanza ad obblighi di informazione, è sanzionata con l’attribuzione del potere sostitutivo al Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Ambiente. E’ prevista l’assegnazione di un congruo termine per provvedere, cui fa seguito, in caso di inutile decorso, la nomina da parte del Consiglio dei Ministri di un commissario.

Riferimenti

Documenti correlati

Le misure di Piano che ne sono derivate, sia per la parte operativa di tutela che per quella conoscitiva, hanno visto lo sviluppo di propo- ste pragmatiche che dovrebbero

STUDIO DEL RADON INTESO COME ELEMENTO IDENTIFICATORE DI AREE DEL SOTTOSUOLO INQUINATE DA NAPLN. In questa ricerca ci si prefigge di intervenire in una o più

“Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepi- mento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva

Oggetto del presente contributo sono, dunque, la Direttiva Quadro Acque (Direttiva 2000/60/CE), preposta alla gestione e protezione delle risorse idriche, sia di superficie

Le emissioni derivanti da attività umane, però, sono concentrate in aree non molto estese in cui questi prodotti possono reagire facilmente con altri composti chimici; ad esempio

Ai corpi idrici alterati morfologicamente (altamente modificati) che presentano stato ecologico elevato per gli elementi di qualità biologica (macrobenthos

Vengono aggiornate le schede con la classificazione dello stato chimico ed ecologico relativamente al triennio 2014-2016 sui corpi idrici lacustri inseriti in rete

I gestori degli impianti di cui alla presente sezione già in esercizio, ad eccezione di quelli di cui al comma 1 bis, (20) entro novanta giorni dalla entrata in vigore della