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CAPITOLO 2 ARRAY SONAR SUPER-DIRETTIVI

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 2

ARRAY SONAR SUPER-DIRETTIVI

Molti dei trasduttori impiegati nei sistemi sonar sono di tipo direttivo, vale a dire, se attivi, sono caratterizzati da un’emissione di potenza concentrata in un particolare settore angolare, mentre, se passivi, manifestano una sensibilità all’onda piana più spiccata in certe direzioni di arrivo piuttosto che in altre. La direttività di un trasduttore è generata dall’interazione dei campi generati (se attivo) o delle tensioni prodotte (se passivo) dagli elementi in cui esso si può scomporre, le cui fasi relative dipendono dalla direzione considerata. Nel caso di sistema costituito da un insieme discreto di elementi, è possibile intervenire sulle proprietà direzionali agendo sulla rete che connette tra loro gli elementi. In particolare, introducendo opportuni ritardi sui segnali da applicare o da raccogliere dagli elementi suddetti, è possibile controllare la direzione di massima irradiazione o di massima sensibilità e formare quindi fasci fissi o orientabili (fixed o steerable beams). Come si vedrà meglio, le proprietà direttive di un trasduttore possono essere definite quantitativamente ricorrendo ad opportune funzioni ed indici, quali il guadagno di potenza verso una particolare direzione, il quale rappresenta il rapporto tra l’intensità di campo lontano prodotta o ricevuta (in questo caso andrebbe considerato anche il campo di rumore) dal trasduttore direttivo in un determinato punto dello spazio, e l’intensità di campo che nello stesso punto sarebbe presente per effetto di un trasduttore isotropo sostituito al primo ed irradiante la stessa potenza. Per come è stato definito, il guadagno di potenza è evidentemente funzione della direzione; il suo valore massimo viene chiamato semplicemente guadagno o indice di direttività del trasduttore. Questo guadagno non può superare il minimo tra il numero di fasci ortogonali che possono essere implementati mediante array in trasmissione e ricezione. Specificamente, per un ULA con elementi isotropi, il massimo numero di raggi ortogonali raggiungibili è uguale a due volte la lunghezza della matrice di array normalizzata alla lunghezza d'onda. Questo numero di raggi può effettivamente essere raggiunto a condizione che la spaziatura elemento non superi mezza lunghezza d'onda (spaziatura critica). Applicando una spaziatura maggiore, il numero di raggi ortogonali disponibili è inferiore al limite sopracitato, mentre, d'altra parte, per un ULA di lunghezza fissa, la risoluzione angolare non può essere migliorata aggiungendo altri elementi con spaziatura minore di quella critica. Queste osservazioni sembrano suggerire che la spaziatura più conveniente da adottare in un array lineare sia quella critica.

Uno degli scopi di questo capitolo è quello di ridiscutere la conclusione appena raggiunta, dimostrando che, quando viene applicata una spaziatura minore di quella a

,

è possibile la

(2)

formazione di un numero maggiore di raggi più direttivi rispetto all'approccio tradizionale. La presentazione degli argomenti è organizzata nel modo seguente: si inizia con il presentare nel dettaglio i parametri di guadagno e indice di direttività di trasduttori passivi, si passerà dunque allo studio della direttività di array lineari, il che ci permetterà di comprendere le ragioni che finora hanno portato alla preferenza di realizzazione di array con elementi spaziati a e di introdurre il concetto di pesatura uniforme, dopodiché si presenterà un nuovo algoritmo, detto di estrapolazione del campo, il quale consentirà di raggiungere caratteristiche di direttività più spinte rispetto agli approcci tradizionali, come vedremo anche dalle simulazioni effettuate funzioni Matlab che permettono la implementazione dell’algoritmo teorico su ipotetiche strutture ULA di varie dimensioni e spaziatura, a coronamento di quanto esposto in tutto il capitolo.

2.1 Guadagno e indice di direttività di un trasduttore passivo

Per un trasduttore passivo (o idrofono), le proprietà direzionali si manifestano nel fatto che la sua sensibilità all’onda piana (misurata tipicamente in V/μPa ) risulta variabile con la direzione di arrivo del segnale. Utilizzando il sistema di riferimento di Fig. 2.1, con il trasduttore passivo nell’origine, si indichi con S(θ, ϕ) la sensibilità dello stesso all’onda piana sinusoidale proveniente dalla direzione (θ, ϕ ), e funzione della frequenza f. Se l’idrofono è direttivo, esiste almeno una direzione (θ0, ϕ0) in corrispondenza della quale la sensibilità assume il valore massimo:

= S(θ0, ϕ0) (2.1)

(3)

Fig. 2.1 - Sistema di riferimento per trasduttore

Quando di un idrofono si menziona genericamente la sensibilità, si fa implicitamente riferimento alla sensibilità massima SM . Si definisce inoltre funzione sensibilità normalizzata come:

(2.2)

Pertanto, per conoscere il valore di tensione in uscita all’idrofono quando esso è sollecitato da un’onda sinusoidale piana proveniente dalla direzione (θ, ϕ) e di livello noto, si deve moltiplicare la pressione ricevuta per la sensibilità S(θ, ϕ) o, in alternativa, moltiplicare la pressione ricevuta per la sensibilità massima SM e poi applicare il fattore correttivo (in riduzione) dr (θ, ϕ).

Il quadrato della (2.2) prende il nome di funzione guadagno di potenza normalizzato in ricezione:

( )

funzione il cui valore massimo è 1, e a cui si può attribuire un significato fisico ben preciso se si ammette che l’idrofono sia immerso in un campo di rumore isotropo angolarmente incorrelato.

(4)

Il guadagno complessivo nel rapporto tra segnale e rumore spettrale derivante dall’impiego di un trasduttore direttivo piuttosto di uno isotropo con la stessa sensibilità massima è funzione del guadagno di potenza normalizzato [3, par. 3.2.2]:

Il valore massimo, parametro di rilievo per questi sistemi, si ottiene nella direzione di provenienza del segnale, dove il guadagno di potenza normalizzato gr(θ, ϕ) si chiama anche (specie quando è

espresso in dB) indice di direttività in ricezione (DIr). Si vede che tale parametro coincide con il

fattore di riduzione del rumore spettrale isotropo derivante dall’impiego di un idrofono direttivo rispetto ad uno isotropo, a parità di sensibilità massima.

2.2 Direttività di array lineari

Un array è un insieme di sensori uguali (antenne o idrofoni) alimentate in modo coerente, ovvero alimentate tutte da una singola sorgente mediante una rete che distribuisce la potenza alle singole antenne, in modo uguale (array uniforme) o diverso. La medesima rete provvede, in ricezione, a combinare i segnali (tensioni a vuoto) ricevuti dalle varie antenne per fornire il segnale complessivamente ricevuto dall’array.

Si faccia riferimento alla Fig. 2.2, in cui sono rappresentati N trasduttori elementari equispaziati della distanza Δ. Si supponga momentaneamente che tali elementi siano attivi e isotropi, alimentati tutti in fase e con uguali potenze irradiate. Si consideri inoltre un punto Q a distanza R dall’origine O in modo che la congiungente OQ formi l’angolo ϕ con la normale all’asse dell’array, e distante tale da rendere valide le condizioni di campo lontano. Al tendere di R all’infinito si ha che:

 le congiungenti tra il punto Q e i singoli elementi dell’array divengono rette parallele,

 le intensità prodotte dai singoli elementi in Q divengono uguali,

 le fasi dei contributi al campo in Q di due elementi consecutivi differiscono tra loro di:

(5)

Fig. 2.2 – Array lineare di trasduttori equispaziati

Sotto tali ipotesi, se indicassimo con P0 il fasore di pressione relativo alla posizione Q, dovuto

all’elemento 0, possiamo ricavare i fasori Pk di pressioni relativi agli altri elementi in funzione di P0,

come segue:

P0 è legato in generale a Δ: infatti, fissata la potenza irradiata da ciascun elemento e considerando a

titolo di esempio la direzione ϕ = 0 (detta direzione broadside), al crescere della distanza tra gli elementi, questi ultimi tendono a disaccoppiarsi e la pressione in Q tende a N volte quella che sarebbe dovuta ad ogni elemento se operasse in assenza degli altri (questo effetto è proprio ciò che genera direttività). Al contrario, per Δ →0 tutti gli elementi tendono a collassare in un unico punto dal quale viene irradiata in modo isotropo la potenza complessiva, per cui la pressione in Q deve tendere a √ volte quella relativa ad ogni elemento se operasse da solo.

Per quanto riguarda pertanto il fasore di pressione PQ, in uscita dall’intero array e relativo al segnale

acustico in arrivo dal punto Q, comprensivo del contributo di ogni elemento dell’array, esso vale: ∑

(2.3)

Questo risultato ci consente di ricavare gli indici di interesse relativo ad una struttura ad array lineare, la caratteristica di direttività, il guadagno di potenza normalizzato, e l’indice di direttività in trasmissione [3]:

( ) ( )

gr(ɸ)=

* ( )

(6)

( )

dove A rappresenta un indice di proporzionalità per Dt.

Si può dimostrare che per garantire un efficiente funzionamento del sistema, occorre che la spaziatura tra gli elementi dell’array, normalizzata rispetto la lunghezza d’onda λ, debba essere quanto il più vicino possibile a 1/2, in quanto in tal modo si riesce ad ottenere un guadagno prossimo a quello asintotico ( DIt = 10 log(N) ), senza generare lobi secondari di notevoli ampiezze.

Al contrario, quando il rapporto risulta essere maggiore di , ha luogo il manifestarsi di lobi secondari di valore paragonabile a quello del lobo principale.

Finora si è ammesso che i singoli elementi che compongono l’array siano isotropi; nel caso più generico, in cui gli elementi siano provvisti di una loro direttività naturale, è intuitivo che la caratteristica di direttività o la funzione guadagno di potenza risultante sia proporzionale al prodotto di quella relativa ad elementi isotropi e di quella naturale di ogni singolo elemento. Per esempio, se gli elementi sono realizzati in modo tale da irradiare in un solo semispazio, allora la caratteristica di direttività dell’array risulterà nulla nel semispazio non irradiato.

Inoltre, finora sono state esaminate solo le proprietà direzionali “naturali” dell’array di trasduttori, senza troppe complicazioni circa la rete che pilota il sistema.

Facciamo adesso riferimento allora ad array in cui la rete di pilotaggio in ricezione, che ha il compito di combinare i segnali in ricezione, risulti essere dotata anche di sfasatori e moltiplicatori. Gli sfasatori hanno la funzione di orientare (beam steering) il MSA dell’array verso una direzione desiderata, o direzione di rifasamento, in generale diversa dalla direzione broadside, mentre i moltiplicatori introducono una “pesatura” sui singoli segnali diretti o provenienti dai trasduttori, in modo da migliorare l’andamento spaziale della caratteristica di direttività dell’array, ad esempio riducendone l’ampiezza dei lobi secondari. Tale operazione di pesatura (“shading”) modifica infatti la funzione di apertura dell’array che, come già evidenziato, influenza direttamente la sua caratteristica di direttività.

(7)

Fig. 2.3 - Array lineare con rete di beamforming

Gli sfasamenti hanno lo scopo di orientare il MSA secondo una direzione ɸ0 misurata rispetto al

traverso dell’array; alla frequenza stabilita, essi sono pertanto multipli interi della quantità

α0

Pertanto il segnale ricevuto dall’elemento 0 non viene sfasato, mentre il segnale ricevuto dal k-esimo elemento viene sfasato di k volte α0. Alla luce di queste modifiche apportate, la relazione

(2.3) può essere generalizzata combinando gli sfasamenti kα, relativi alla direzione di arrivo dell’onda, con gli sfasamenti elettronici kα0. Indicando con V0 il fasore di tensione in uscita dal

primo elemento e con V il fasore risultante dell’array, si ottiene pertanto:

Da questo risultato è possibile ottenere, seguendo un procedimento analogo al precedente, la caratteristica di direttività, il guadagno di potenza normalizzato, e l’indice di direttività in trasmissione. In particolare, il guadagno di potenza normalizzato si presenta come

{ * + * +

}

Questa funzione, come desiderato, presenta un massimo in ϕ0 e quindi l’array è massimamente

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si vede che l’ampiezza angolare del lobo principale, misurata con riferimento ai due zeri che lo delimitano (ammesso che entrambi esistano), dipende dalla direzione di rifasamento; come è agevole constatare, tale ampiezza cresce man mano che la direzione di rifasamento passa dalla direzione broadside a quella end-fire.

Infine, l’indice di direttività vale:

( ) ( )

funzione il cui andamento è mostrato nelle figure 2.4 e 2.5, con rifasamento alla direzione end-fire per N= 2 e N= 10 elementi, in funzione del rapporto

.

Fig. 2.4 - Indice di direttività di un dipolo (N=2) Fig. 2.5 - Indice di direttività di un dipolo (N=10) con steering all’end-fire con steering all’end-fire

2.3 – SUPER-DIRETTIVITA’ DI ARRAY MENDIANTE TECNICA

DI ESTRAPOLAZIONE DEL CAMPO

La possibilità teorica di ottenere arbitrariamente alta direttività da una schiera di antenne sembra essere stata sollevata già prima nel 1943 da Schelkunoffl, con riferimento particolare ad array di tipo end-fire [9]. Nel 1946, Bowkamp e de Bruijn, discutendo il problema della distribuzione di corrente ottimale su una antenna, hanno concluso che non vi era alcun limite al direttività

ottenibile da un'antenna di lunghezza determinata [10]. Nel 1947 poi è stato Laemmel a realizzare le prime funzioni per ottenere alto guadagno su antenne di piccole dimensioni, in modo da poter

(9)

comparare le prestazioni che altrimenti si otterrebbero con array di lunghezze decisamente superiori [11].

Attraverso le documentazioni di Dolph circa la ricerca di una distribuzione di corrente ottimale per allineamenti di broadside, Riblet ha mostrato che, se sono stati considerati spaziature minori della mezza lunghezza d'onda, la distribuzione usata da Dolph potrebbe impiegata per produrre un array avente gran direttività [12].

Anche noi valorizziamo quest’ultima condizione per ottenere la super-direttività, tuttavia esistono altri fattori che, uniti ad una spaziatura minore di quella critica, permettono di ottenere il risultato sperato. Le operazioni fisiche che permettono di realizzare fasci con determinate caratteristiche sono riassunte sotto il nome di beamforming.

Per beamforming o filtraggio spaziale si intende una tecnica di elaborazione dei segnali utilizzati in array di sensori per la trasmissione del segnale o per la ricezione. Essa consiste nel combinare gli elementi in un allineamento di fase in modo tale che i segnali ad angoli particolari sperimentino interferenza costruttiva, mentre altri provino interferenza distruttiva. Il beamforming può essere utilizzato sia in trasmissione che in ricezione per ottenere selettività spaziale.

Nel 1969, Capon ha introdotto un altro beamformer adattivo, oggi spesso usato in molte applicazioni, detto anche “minimum variance distortionless response” beamformer (MVDR), tecnica in grado di risolvere segnali separati da una frazione di larghezza del fasci [13]. Questo beamformer ottimale richiede solo la conoscenza della direzione del segnale di arrivo per massimizzare il SNR. Tuttavia il beamformer di Capon soffre di grave cancellazione del segnale quando la conoscenza del vettore di steering sul segnale di interesse risulta essere impreciso, o quando l'interferenza è correlata con il segnale di interesse.

Il beamforming super-direttivo che si vuole presentare in questo capitolo ha come scopo quello di impiegare come vettori di steering quelli ottenuti da un algoritmo noto come tecnica di estrapolazione del campo (FE – Field Extrapolation), e può essere applicata tanto per array di antenne, quanto per array di idrofoni.

Per tutto il capitolo, si farà riferimento a un ULA costituito da M elementi identici, isotropi e puntiformi, operante alla frequenza f0 e disposto lungo l’asse x, la cui scala è normalizzata rispetto

alla lunghezza d'onda λ (Fig. 2.6). La distanza tra gli elementi è indicata come Δ e la matrice ha lunghezza elettrica effettiva pari a L = MΔ (mentre la sua lunghezza fisica vale (M - 1) Δ ); inoltre consideriamo che l’array in ricezione sia immerso nel campo generato da una pluralità di sorgenti remote (situate nella regione di campo lontano) e distribuite lungo l'orizzonte.

(10)

Fig. 2.6 – ULA di M elementi immerso in campo generato da sorgenti lontane

Sia e(x) il campo elettrico lungo i punti dell’ asse x (a cui limitiamo la nostra attenzione), risultante dalla combinazione delle sorgenti utili o di rumore. Partiamo dalla constatazione che e(x) sia funzione della posizione x e a banda limitata , pertanto la sua trasformata di Fourier (FT) può essere diversa da zero solo nell'intervallo (-1,1) dei coseni di direzioni reali. Se dv0 (ψ) indica l'uscita di un

ipotetico elemento dell’array situato in x = 0 in risposta al campo elettrico de0(ψ) infinitesimo,

proveniente dall’angolo solido ψ≡ (γ, θ), il fasore di campo ricevuto in un generico punto x vale

dove i è il versore dell’asse x e u(ψ) è il versore associato alla direzione ψ.

Una funzione passa-basso di banda limitata come v(x) è analitica e quindi, in teoria, può essere estrapolata su tutto l’asse x, purché esattamente noto in tutti i punti di un intervallo di lunghezza finita. Il nostro obiettivo è quello di ottenere la conoscenza di v(x) su un set esteso di punti N, spaziati di Δ e con N> M, per estrapolazione degli N-M valori mancanti noti gli M campioni. Rimandando le dimostrazioni al lettore [14, par. 2.2], i procedimenti da seguire per implementare l’algoritmo FE possono essere riassunti nei seguenti punti:

1. si ricavi il vettore ̅delle uscite del nostro ULA di M elementi con spaziatura normalizzata Δ e con lunghezza L =MΔ;

2. mantenendo fissato Δ, fissiamo il numero delle posizioni N > M nel quale vogliamo ottenere il vettore risultante dell’estrapolazione, ovvero si fissi un ipotetico ULA di lunghezza NΔ

(11)

che contenga al suo interno l’ULA di M elementi originario. Il valore N deve rispettare la condizione

⌊ ⌋ ⌊ ⌋

3. attraverso le opportune relazioni elencate sopra, si ottenga il vettore di Q = ⌊ΔN⌋ elementi ̅̃ dopo aver pre-calcolato particolari matrici dei coefficienti ̅i-1 o ̅i †, ottenute attraverso una

serie di trasformazioni applicate alla matrice di trasformazione di Fourier dal dominio spaziale al dominio angolare e di dimensione N x N;

4. si costruisca il vettore di N elementi ̃ inserendo N-Q zeri dopo i primi ⌊ΔN⌋ +1 elementi di ̅

̃;

5. infine si applichi la trasformata inversa di Fourier al vettore ̃ così da ottenere ̃, il quale rappresenta il vettore risultato dell’estrapolazione i cui M elementi centrali coincidono con il vettore ̅da ricavare.

I principali aspetti da considerare per la valutazione del beamformer FE definito dalle righe delle matrici ̅ ̅ i† sono i seguenti:

1. la forma e la regolarità del tipi di fascio, in particolare la loro idoneità a coprire l'intero orizzonte senza significative sovrapposizioni;

2. il guadagno associato a ciascun beam, cioè il miglioramento che esso garantisce, rispetto ad un'antenna isotropica, nel rapporto tra la potenza segnale utile, dovrebbe arrivare dalla direzione di risposta massima del fascio, e quella del rumore esterno;

3. il guadagno di rumore interno associato per ogni fascio, cioè il rapporto tra la

potenza del segnale utile in uscita del fascio e quella di rumore interno generato dalle componenti del ricevitore dissipativo;

4. la sensibilità dei parametri indicati ad errori di implementazione dell’array e dei pesi del beamforming;

5. la larghezza di banda di ciascun fascio;

Prima di mostrare alcuni esempi che giustifichino l’applicazione di questa tipologia di beamforming rispetto a quelli tradizionali, passiamo a valutare i parametri di maggiore interesse, i quali, come vedremo in seguito, risultano essere funzione dei vettori di steering che ora definiremo.

Facciamo riferimento ai vettori wk come la k-esima riga della matrice ̅i-1 o ̅i†, assunti per

(12)

g

k

(ϕ)= w

k H

u(ϕ),

k=0, 1, …, Q-1,

dove u(ϕ) rappresenta il vettore a norma unitaria associato alla direzione ϕ, definito come

u(ϕ)=

√ (1 e

-j2πΔcosɸ

e-j2π2Δcosɸ … e-j2π(N-1)Δcosɸ)t

Per una lunghezza di estrapolazione moderata, i FE beam hanno una forma regolare con un lobo principale e piccoli lobi secondari. Inoltre, i lobi principali sono disposti nel dominio angolare in modo da coprire l'intero orizzonte uniformemente, e il loro orientamento e la larghezza angolare sono tali da intersecarsi approssimativamente allo stesso valore.

Dato un M-elemento ULA con pesi w = (w0 w1 ⋯ wM-1)t, definiamo il guadagno di array GE rispetto

al rumore esterno come inverso del rapporto tra la potenza in uscita dal fascio causato da sorgenti di rumore esterno e la potenza di rumore che si otterrebbe all'uscita di un'antenna isotropa avente una risposta massima in tutte le direzioni. In questo modo GE rappresenta anche l’incremento del

rapporto segnale-rumore esterno quando la sorgente del segnale è diretta lungo la direzione di steering del fascio. Come è noto, la definizione di cui sopra conduce in generale ad un risultato che dipende della relativa distribuzione angolare delle sorgenti di rumore rispetto al puntamento del fascio. Le uniche eccezioni a questa regola sono i due casi limite di rumore isotropo tridimensionale e la distribuzione angolare bidimensionale di rumore, per cui il guadagno di array risulta essere rispettivamente

(2.5)

(13)

dove ɸ0 è la direzione di puntamento a P, S e J0 sono matrici M x M Hermitiane con gli elementi

così definiti:

Per quanto riguarda la robustezza al rumore, come è noto, un beamformer a pesi uniformi ha la capacità intrinseca di combattere gli effetti del rumore interno poiché le componenti del segnale utile all'uscita degli elementi dell'array si sommano in modo coerente, mentre i termini di rumore si sommano in modo incoerente. Un array super-direttivo invece tende a ridurre il livello del segnale rispetto al rumore autoindotto a causa delle variazioni di segno nei pesi del beamformer, e ciò deve essere tenuto sotto controllo attraverso una ponderata scelta dei parametri di progetto, in modo da garantire la realizzazione dell’array. Per continuare, confrontiamo le prestazioni di un ricevitore costituito da M elementi con quello di un ricevitore a singolo elemento, in termini di rapporto segnale-rumore:

il rapporto tra l’energia ricevuta per simbolo rispetto alla densità spettrale di rumore per il sistema a singolo elemento. Si trova facilmente che questo rapporto in uscita da un fascio che impiega il vettore di pesatura w con la direzione di puntamento ɸ0, coincidenti con la direzione di arrivo del

segnale, diventa

dove N0(M) è la densità di rumore autoindotta equivalente in ricezione ad ogni canale dell’array e

(14)

rappresenta l’energia di segnale ricevuta all’uscita di un generico elemento di array, pertanto esso rappresenta lo stesso parametro fisico impiegato nella definizione di SNR(1). E’ necessario che valga la relazione SNR(M)≥ SNR(1), ovvero che il beamformer non riduca il rapporto segnale rumore rispetto al caso di un ricevitore a singolo elemento. Questo ci porta alla scelta del seguente criterio di design di sistema che consiste nell’impostare il livello di rumore autoindotto per ogni canale in modo che valga la relazione N0(M) ≤ N0(1)Gn dove Gn rappresenta il rumore autoindotto definito

come [14, par. 3.3]

Per valutare adesso la sensibilità dei principali indici prestazioni alle piccole variazioni δw che possono avvenire nella implementazione dei pesi del beamformer, faremo riferimento alla serie di Taylor troncata ai termini lineari dei pesi nominali. Si procede quindi all’analisi degli errori, assumendo che tali variazioni possano essere modellate come variabili aleatorie di varianza σw2,

normalizzata alla norma del vettore w. Tralasciando i dettagli [14, par. 3.4], si definiscono come sensibilità dei guadagni di array alle perturbazioni del vettore di pesatura le relazioni

‖ ̅‖

Queste equazioni rappresentano utili strumenti di progettazione quando si tratta di array super-direttivi, in quanto gli errori relativi registrati nel corso dell'implementazione dei pesi del beamformer solitamente si ripercuotono su un aumento degli errori sui guadagni di matrice.

Un ulteriore aspetto da considerare quando si tratta di array super-direttivi con algoritmo FE è la sensibilità della risposta dell’array ad una mancata corrispondenza di frequenza dei segnali effettivamente trattati rispetto alla frequenza nominale centrale dell’array. Infatti, la proprietà di super-direttività può limitare notevolmente la banda passante frazionaria dell’array, definita come rapporto tra la larghezza di banda effettiva e frequenza centrale operativa dell’array. È quindi opportuno, per evitare distorsioni del segnale, che la larghezza di banda dei segnali ricevuti o

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trasmessi dall’array sia inferiore alla larghezza di banda del sistema. La banda passante frazionaria dell’array per la ricezione 3D isotropa è l'inverso del fattore Qbw, definito come

In alcuni campi di applicazione, come ad esempio in acustica subacquea, le relative larghezze di banda del segnali potrebbero essere talmente grandi da imporre l'uso di tecniche di equalizzazione complesse nel caso di array super-direttivi. A questo proposito, si fa notare che i beam end-fire sembrino godere di una maggiore robustezza e larghezza di banda maggiore rispetto ai beam broadside.

Per concludere, possiamo riassumere l’approccio che permetta di ottenere soluzioni per un giusto trade-off nel design di un beamformer super-direttivo basato sull’algoritmo FE in questo modo:

1. data la lunghezza L, scegliere il numero di elementi M in modo che Δ < 1/2, tenendo in considerazione che maggiore è M, più complessa è l’implementazione del nostro array, ma, nel contempo, diventa più facile ottenere le proprietà di super-direttività e la robustezza al rumore autoindotto;

2. attraverso l’opportuna condizione su N, trovare i possibili valori di N, scegliendo in particolare un valore che sia quanto più vicino al minimo tra quelli trovati, in modo da ottenere il numero desiderato di fasci super-direttivi Q = 1 + 2⌊ΔN⌋, tenendo in considerazione che la complessità del beamformer aumenta con il crescere di Q; un’ulteriore condizione che sarebbe comoda verificare è che N sia multiplo intero di 1/Δ, in modo che si abbiano due fasci esattamente puntati nelle direzioni end-fire.

3. calcolare i vettori di pesatura a norma unitaria attraverso le righe delle matrici ̅i-1 o ̅i†;

4. per ciascun vettore, calcolare il guadagno GE, e verificare che il guadagno di rumore

autoindotto, la sensibilità alle variazioni dell’array e la banda abbiano valori desiderati. Il procedimento sopra descritto può portare ad un aumento significativo del numero di fasci circa ortogonali, rispetto al caso di ULA con pesatura uniforme; inoltre esso può essere impiegato anche per realizzare array di dimensioni ridotte che godano di proprietà direttive ottenibili realizzando array di dimensioni fisiche maggiori, anche doppie rispetto a quello che può essere impiegato con l’algoritmo FE.

(16)

2.4 - Esempi di FE beamforming

In questo paragrafo mostreremo le simulazioni ottenute attraverso una opportuna funziona Matlab che permette di implementare l’algoritmo di estrapolazione del campo ed ottenere diversi beam pattern al variare dei valori M, N e Δ. Per rendere validi i risultati, si riporta anche la funzione che permette di implementare un beamformer “classico”, ovvero con pesature uniforme, i cui risultati verranno riportati di seguito per un confronto con i risultati ottenuti dalla tecnica di estrapolazione del campo. Prima di applicare le due funzioni, è necessario effettuare un’operazione preliminare che consenta di calcolare il valore N minimo e N massimo che è possibile applicare nell’algoritmo. Dalle simulazioni effettuate è stato possibile raccogliere tali parametri al variare di M, N e Δ nelle tabelle seguenti, con particolare attenzione alle direzioni broadside e endfire. Le simulazioni sono state effettuate in modo da confrontare l’approccio a pesatura uniforme con la tecnica FE, a parità di lunghezza elettrica L o a parità di numero di sensori M, ricordando sempre che esiste la relazione

Tabella 1 – Risultati di simulazioni FE al variare dei parametri in direzione broadside

(17)

Tabella 3 - Risultati di simulazioni con pesature uniformi al variare dei parametri

Come primo esempio, riportiamo il caso di un array di dimensione L=λ. Per realizzare array di tale lunghezza consideriamo i casi in cui M=2 e Δ=0.5, per il quale applicheremo l’algoritmo di simulazione a pesatura uniforme, e il caso in cui M=8 e Δ=0.125, per il quale applicheremo l’algoritmo di estrapolazione del campo. Per quest’ultimo caso, risultano valide le scelte di N=16 e N=24. La scelta di un numero così elevato di sensori è dovuto al fatto che non è possibile l’implementazione del caso M=4 e Δ=0.25, in quanto per tali parametri non è possibile ricavare alcun valore di N che soddisfi la condizione (2.4).

Per un confronto visivo sono riportati i beam pattern delle rispettive soluzioni.

(18)

Fig. 2.8 –Beam pattern di parametri M=2 e Δ=0.5

Risulta evidente ad una prima occhiata come l’impiego dell’algoritmo di estrapolazione del campo permetta di generare da array di stesse dimensioni fisiche un maggior numero di fasci decisamente più direttivi rispetto ai due fasci generati con una pesatura unitaria aumentando il numero di sensori. Nonostante la presenza di diversi lobi secondari che nascono dall’implementazione FE, il numero e l’orientamento dei fasci permette di spaziare sull’intero orizzonte, inoltre la larghezza dei lobi principali è tale da rendere facile ricavare la direzione di provenienza dei segnali utili.

Dal punto di vista quantitativo, dalle tabelle broadside si evince come si ottenga un pronunciato aumento del guadagno applicando una pesatura diversa rispetto al beamforming classico: si passa da un guadagno 3D pari a 3 dB e guadagno 2D pari a 4.6, ai rispettivi 5.31 e 6.74 dB, con un incremento di circa 2 dB con l’applicazione del beamforming FE.

I vantaggi sul guadagno e sulla direttività tuttavia son pagati dalla scarsa resistenza al rumore autoindotto, parametro che scende fino ai -8 dB, richiedendo necessario un intervento a livello fisico (sistema di cuffie) o digitale (applicazione di filtri). Questa debolezza si presenta praticamente per ogni terna di parametri che vengono applicati all’algoritmo di estrapolazione del campo.

Proviamo adesso ad impiegare un numero maggiore di elementi virtuali. Passiamo dunque da N=16, valore minimo impiegabile per M=8 e Δ=0.125, al valore massimo, N=24.

(19)

Fig. 2.9 – FE beam pattern di parametri M=8, Δ=0.125 e N=24

Nonostante l’aumento dei fasci, si nota da subito l’incremento del livello dei lobi secondari, ma soprattutto, anche se il numero di fasci è maggiore, alcuni di essi si sovrappongono, rendendo vano lo sforzo compiuto e non permettendo di ricoprire completamente l’orizzonte grazie ai lobi principali. Questa condizione si verifica ogni volta che nell’implementazione del nuovo algoritmo si preferisca aumentare il valore di N; come importante raccomandazione, al fine di poter ottenere il massimo dalla sua implementazione, si consiglia pertanto di utilizzare il valore minimo possibile di N.

Adesso passiamo a presentare il secondo caso, che prevede l’utilizzo dello stesso numero di sensori, variando stavolta la lunghezza L dell’array. Ricordiamo infatti che il beamforming classico impiega una spaziatura normalizzata uniforme fissa e pari a in ogni simulazione, mentre il beamforming a estrazione del campo è valida solo per Δ<

.

A tal proposito sceglieremo come esempio il caso M=5.

(20)

Fig. 2.10 – FE beam pattern di parametri M=5, Δ=0.125 e N=8

Fig. 2.11 – Beam pattern di parametri M=5 e Δ=0.5

Il numero dei fasci si riduce molto rispetto al beamforming a pesi unitari, tuttavia applicando il beamforming classico si viene a perdere il puntamento in direzione end-fire, e alcuni lobi principali risultano essere anomali, tali da raggiungere il valore massimo in due direzioni diverse.

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Applicare una spaziatura normalizzata pari a sembra portare grandi vantaggi al nostro array, poiché gli indici di guadagno sono migliori rispetto applicando la spaziatura critica.

Il FE beam pattern con M=5, Δ=0.125 e N=8 risulta decisamente competitivo contro il beam pattern simile che si otterrebbe con un approccio convenzionale a parametri M=2 e Δ=0.5, andando a confrontare i guadagni in direzione endfire. Rimangono simili i guadagni broadside anche in questo caso.

La soluzione migliore da applicare con 5 sensori nel beamforming a estrazione del campo si ottiene applicando piuttosto una spaziatura maggiore, passando da Δ= a Δ=

.

Fig. 2.12 – FE beam pattern di parametri M=5, Δ=0.125 e N=8

Rispetto al FE beamforming precedente, in direzione broadside si passa infatti da un guadagno 3D pari 3 dB e guadagno 2D pari a 4.58, ai rispettivi 5.4 e 6.85 dB, riducendo tuttavia di una decina di dB il self-noise gain (da Gn = 3,19 a Gn = -8.62), sempre in direzione broadside. Situazione analoga

si osserva anche in direzione end-fire.

In definitiva i vantaggi esistono, ma vanno ricercati attraverso simulazioni che impongano un certo vincolo (sulla lunghezza elettrica o sul numero di elementi dell’array), mantenendo liberi i

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rimanenti parametri. Nella maggior parte delle soluzioni ad estrazione del campo inoltre va

ricordata l’implementazione di opportune protezioni circa il problema del rumore indotto dall’array stesso per via delle componenti elettriche interne. Quanto finora presentato è stato simulato

prendendo in considerazione degli scenari ideali, ma nonostante questo l’uguaglianza del trattamento ha permesso di mettere in evidenza i vantaggi di questo beamforming innovativo, e anche quali debbano essere gli accorgimenti necessari da attuare per permetterne

l’implementazione. Sarà in seguito che verranno introdotti gli opportuni coefficienti che permettano di passare da uno scenario ideale ad uno scenario reale, ovvero l’ambiente marino in questo caso, attraverso l’impiego stavolta di dati prelevati direttamente sul campo da un array verticale immerso in acqua.

In questo capitolo in definitiva è stato dimostrato che la banda finita del campo acustico campionato da un ULA densamente spaziato può essere sfruttata per estrapolare il campo al di là della stessa estensione dell’array e migliorarne la risoluzione angolare. Uno dei risultati qui mostrati è che è possibile ottenere una estrapolazione accurata del campo su una lunghezza di array dell'ordine della lunghezza d'onda, ugualmente partizionato alle estremità della matrice, permettendo così un

aumento significativo della dimensione dell’array virtuale e la sua capacità di discriminazione angolare quando la lunghezza effettiva è dell'ordine di poche lunghezze d'onda. La tecnica proposta permette di costruire fasci all’incirca ortogonali, più stretti di quelli conseguibili con il

convenzionale approccio di pesatura uniforme, e con circa le stesse proprietà ottenute da un array reale di lunghezza pari alla finestra estrapolazione. Il prezzo da pagare è una maggiore complessità di implementazione dei front-end delle antenne, in particolare la necessità di organizzare più elementi all'interno della distribuzione spaziale dell’array, insieme ad una maggiore sensibilità al rumore autoindotto e alle perturbazioni meccaniche ed elettriche degli elementi dell’array. Successivamente verrà spiegato anche come tale tecnica di estrapolazione del campo permetta infine di ottenere valori di campo anche nelle posizioni spaziali in cui l’array non è fisicamente esteso, pur mantenendo gli stessi risultati che si ottengono lungo l’intera distribuzione fisica dell’array.

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