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Academic year: 2021

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■ Sono poco più di 28mila gli studenti che si stanno forman-do in Italia con il metoforman-do duale alla tedesca: una parte della formazione avviene a scuola e l’altra direttamente in azienda. I vantaggi di questo modello sono molteplici, come dimostra per altro il basso tasso di disoccupazione giovanile in Germa-nia.

Innanzitutto l’azienda presso cui apprendono li può

assu-mere al conseguimento del diploma o della qualifica con un bonus contributivo di 3mila euro l’anno per tre anni. Poi, sempre l’azienda, può formare le competenze specifiche di cui ha bisogno, senza per altro avere alcun obbligo di confer-mare l’apprendista alla fine del periodo di istruzione. Per con-tro i giovani inseriti in questi percorsi hanno la strada spianata verso l’assunzione. Sanno fare quel che è richiesto sul

merca-to. Fin qui le buone notizie. Ma ce n’è una decisamente negati-va. I 28mila studenti del duale si confrontano con i 2 milioni e 600mila giovani che frequentano le superiori. Appena l’1,1% del totale. Un’inezia. Certo, il nostro duale non è la regola, come in Germania, ma resta una sperimentazione. L’impor-tante è non dimenticarsi del rimanente 98,9% dei giovani.

A.BAR.

Poco più dell’1% sul totale

Solo 28mila giovani formati alla tedesca

Il sistema duale assicura l’occupabilità, ma da noi rimane sperimentale. In Germania è frequentato da 2 milioni di ragazzi

BEATRICE CORRADI

■ A circa due anni e mezzo dalla nuova messa a regime, il sistema duale è pronto per attrarre imprese e studenti. Parola di Eugenio Gotti, vice-presidente esecutivo della so-cietà di consulenza PtsClas.

A chi è destinato questo metodo formativo?

«Il sistema di formazione in apprendistato è rivolto a tutti gli studenti che frequen-tano un percorso di studio sia di livello secondario che

universitario. L’apprendistato duale consente allo studente di acquisire il titolo di studio e di essere al contempo un lavoratore regolarmen-te contrattualizzato. Si può arrivare anche alla metà delle ore previste dal monte ore del per-corso di studio svolte in azienda».

È un sistema tipico della Germania. Può attecchire anche da noi?

«Anche il mondo anglosassone e la Francia lo promuovono, così come in tutta la Ue. In Italia ad oggi l’apprendistato più diffuso è il professionalizzante: non fa conseguire un tito-lo di studio, ma gode di alcune decontribuzio-ni e di un midecontribuzio-nimo di componente formativa, aspetti che ne hanno garantito il successo. Il duale ha invece faticato a diffondersi perché fino al 2015 il costo-azienda era troppo alto. Oggi la crescita di allievi e aziende coinvolte è costante: resta un’esperienza di nicchia, ma si comincia a vedere uno sviluppo significativo».

Cosa è cambiato?

«Si è abbassato il costo-azienda, simile ora a quello di altri Paesi europei. Oggi uno studen-te-apprendista costa all’impresa il 30-35% ri-spetto a un lavoratore a tempo indeterminato. Prima era l’80%. E sono state previste altre 800 ore annuali di lavoro aggiuntive alla compo-nente formativa».

Meno costi, più adesioni?

«Conta pure il fatto che l’azienda si mette in gioco nel formare direttamente la persona in relazione anche ai propri fabbisogni. Nel nord-est e nel centro Italia mancano

compe-tenze, non si trovano operai specializzati e non solo esper-ti di nuove tecnologie».

Vantaggi per gli allievi?

«Il duale permette di ap-prendere attraverso “il fare", raccordando teoria e prassi. Facilita la transizione dalla scuola al lavoro. La maggior parte dei giovani al termine del percorso sono confermati dalle imprese, interessate a stabilizzare una risorsa forma-ta internamente».

Cosa serve per rendere il duale più attrattivo?

«Ministero del Lavoro e Regioni, supportan-do la messa a regime della sperimentazione del sistema duale nei centri di formazione pro-fessionale, hanno consentito di raggiungere numeri interessanti. Oggi più di 25mila perso-ne in Italia sono in alternanza tra formazioperso-ne e lavoro con apprendistato. Occorre tempo per-ché nella cultura di aziende e istituti di forma-zione questa modalità venga recepita. I tede-schi, ad esempio, hanno sì 2 milioni di studen-ti all’anno in duale, ma hanno anche un’espe-rienza pluridecennale. Serve pazienza e sup-porto delle politiche pubbliche».

I soldi ci sono?

«Guardi, il problema non sono le risorse. Il ministero del Lavoro ha utilizzato parte consi-stente dei fondi per l’apprendistato professio-nalizzante. E i fondi strutturali europei destina-ti alle scuole potrebbero supportare queste atdestina-ti- atti-vità. Aggiungo che l’investimento sul duale è un risparmio già nel medio periodo, se si pen-sa a quanto costi un giovane disoccupato».

Cosa manca allora?

«Va pure trovato terreno fertile nei territori: aziende e scuole devono cominciare ad avere dimestichezza con lo strumento contrattuale, percepito ancora come complesso da molti consulenti del lavoro. Sono gli enti di formazio-ne oggi a supportare le imprese. C’è bisogno di uno sforzo progettuale condiviso tra scuola e impresa. La strada è quella giusta, ma non biso-gna demordere».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

GIULIA CAZZANIGA

Cos’è il sistema duale

per il giuslavorista Mauri-zio Sacconi? Una delle tan-te opportunità o la chiave decisiva per il lavoro dei giovani?

«È il cuore della nuova istruzione che riconosce il valore educativo del lavoro. Mentre in Italia il veto ideo-logico-corporativo proibiva la contaminazione con la scuola, con pesanti conse-guenze sulla occupazione

giovanile, in Germania il metodo duale con-sentiva una rapida inclusione dei giovani nel mercato del lavoro. Furono soprattutto Mar-co Biagi e Giuseppe Bertagna, Mar-consiglieri dei ministri dell’Istruzione e del lavoro agli inizi del nuovo millennio, a battersi in Italia per introdurre l’integrazione tra apprendimento teorico e pratico. Biagi suggerì anche di ag-giungere al tradizionale apprendistato profes-sionalizzante la nuova tipologia contrattuale per il conseguimento di una qualifica o di un diploma e quella per la ricerca e alta forma-zione».

E oggi a che punto siamo?

«Siamo solo agli inizi della trasformazione del nostro sistema educativo. Attraverso un forte dialogo tra istituzioni, imprese, corpo docente, si può riorganizzare la offerta educa-tiva a partire dai territori. Nel quadro di prin-cipi e criteri di carattere nazionale, è nei sin-goli territori che si possono costruire veri e propri “ecosistemi formativi” che offrano con-tinue opportunità di apprendimento ai giova-ni come agli adulti. Le buone pratiche ci so-no. Come gli Its, che sono tuttavia ancora pochissimi, o i nuovi corsi di laurea per cono-scenze trasversali che incontrano ostacoli bu-rocratici. Se istruzione, formazione, lavoro non sono più fasi successive della vita, ma esperienze che si integrano sempre, ha senso ricondurre tutte le relative competenze alla stessa istituzione pubblica, ovvero la Regio-ne, con le opportune modalità. Nel caso poi

dei contratti di apprendista-to deve finire l’ipocrisia per cui tutti ne esaltano la utilità, ma poi lo Stato li cannibaliz-za con gli incentivi generaliz-zati al lavoro permanente e le Regioni li penalizzano con la pretesa di pesanti e incerti adempimenti formali».

Perché per il duale è fon-damentale il contratto di apprendistato di primo li-vello?

«Il contratto di apprendi-stato di primo livello è scuo-la, non lavoro. È un percorso educativo cui va riconosciuta la stessa digni-tà della scelta liceale. Molti giovani hanno l’intelligenza nelle mani, come diceva don Bosco, e devono poter assecondare la pro-pria vocazione. Solo così, attraverso una plu-ralità di opzioni educative, potremo sconfig-gere l’abbandono precoce degli studi, ancora troppo diffuso, e consentire a ogni giovane, di acquisire conoscenze di tipo superiore».

La riduzione delle ore di alternanza scuola-lavoro e la trasformazione in per-corsi per le competenze trasversali e l’orientamento può limitare la portata di questo sistema?

«Ieri il metodo duale era funzionale a for-mare specifici mestieri, ora è ancor più neces-sario per realizzare una formazione integrale della persona. Al di là delle definizioni forma-li, preoccupa il fatto che la riduzione delle ore in alternanza sia stata indotta da pressioni corporative nel corpo docente. Il che signifi-ca che è ancora forte il rigetto verso una pie-na integrazione tra scuola e lavoro. La scuola è tuttora disegnata, persino nella organizza-zione delle sue aule, sulla vecchia industria fordista. Ora deve invece essere funzionale a rendere capaci le persone nella grande rivolu-zione cognitiva che viviamo. E la funrivolu-zione docente può uscirne molto rivalutata, se ac-cetta i cambiamenti radicali necessari e che la impegnano ad operare anche oltre il tradi-zionale confine del plesso scolastico».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Eugenio Gotti (us)

Libero

Lavoro

L’ex ministro

«Siamo alle battute iniziali

del vero cambiamento»

Sacconi: «Serve una formazione fortemente calata nei territori»

Il super consulente

«Ora il costo per i datori

è simile al resto della Ue»

Gotti (PtsClas): «Allo studente-apprendista va il 30% del contratto»

Maurizio Sacconi (LaPresse)

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venerdì 25 ottobre 2019

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