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1 – Il mondo è governato da segni e simboli, non da leggi e frasi. - Confucio

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Academic year: 2021

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Il mondo è governato da segni e simboli, non da leggi e frasi.

- Confucio –

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Agli interpreti Farid KAZIMI, Faihm MAYAR Haroon HABIBI, Hamedullah AHMADI, Mir ATHOI e al caporal maggiore capo Giuliano Valentino LAURIA che mi hanno dato collaborazione assistenza e sostegno al di la di ogni mia aspettativa e di ogni loro obbligo di servizio. Con abnegazione e talento mi hanno permesso di trasformare un fumoso progetto, in un concreto lavoro di ricerca. Senza l’aiuto di questi amici non sarei mai riuscito a scrivere una sola di queste pagine.

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Sommario

1. introduzione pag. 5 2. Afghanistan una visione d’insieme pag. 7 3. Il simbolo pag. 23 4. La sociologia visuale pag. 27 5. Genesi del test visuale simbolico pag. 34 6. La costruzione del test visuale simbolico pag. 37 7. Cronaca del lavoro sul campo pag. 41 8. Descrizione delle foto-simbolo utilizzate pag. 46 9. Analisi del campione pag. 76 10. Risultati del test pag. 81

11. Test visuale simbolico e ricerca tradizionale:

una possibile comparazione pag. 347 12. Conclusioni pag. 353 13. Bibliografia pag 357

14. All.A Scheda inserimento dati 15. All. B Tabelle test visuale simbolico

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ABSTRACT

Il presente lavoro raccoglie e riassume i risultati degli studi sul test visuale simbolico realizzati nel corso del biennio 2008-2009 in Afghanistan e in Italia. E’ stato concepito un format di analisi non standard che permette di analizzare quali siano le associazioni logiche che il soggetto intervistato considera corrette tra una serie di foto-simbolo e alcuni concetti forti come patria, famiglia onore, sicurezza.

Dopo una serie di focus group per verificare l’utilizzabilità del test, i formulari sono stati sottoposti a circa 500 persone abitanti nei dintorni di Herat. Il nostro lavoro riporta i risultati di questa indagine incrociando le frequenze assolute con le variabili di età, etnia, livello di istruzione e sesso. I risultati ottenuti sono poi comparati con quelli ottenuti da un survey di tipo standard realizzato dall’Asia foundation su temi simili a quelli trattati dal nostro lavoro. Il testo di ricerca contiene in premessa alcune informazioni sulla situazione etnica e sociale dell’Afghanistan in generale e in particolare della provincia di Herat. Nel testo sono anche dettagliatamente elencate le foto simbolo usate per il nostro lavoro oltre alle procedure e alle fasi di lavoro che hanno portato alla sua realizzazione. In appendice copia a colori delle tavole con le foto-simbolo utilizzate per la somministrazione del questionario, e del foglio test utilizzato riportate le risposte degli intervistati

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1. INTRODUZIONE

Quando abbiamo cominciato a pensare alla struttura di un Test visuale simbolico l’obbiettivo era quello di dimostrare l’esistenza, all’interno di gruppi culturali ed etnici pur conviventi nella stessa area, di un patrimonio concettuale ed emotivo molto diverso che porta ad attribuire valori significativamente divergenti a medesime figure simboliche.

Portato di questo assunto teorico è che esistano “fra” le diverse culture (ma anche all’interno di ogni cultura

“fra” i diversi gruppi e classi sociali) simboli coesivi, e quindi percepiti allo stesso modo da tutti, e simboli divisivi, che avendo interpretazioni diverse, portano quindi in qualche modo a delimitare una sorta di confine psicologico e culturale tra gli individui e le comunità.

In una società sempre più liquida, in un mondo dove le frontiere nazionali e sociali, tendono progressivamente ad allentarsi, il simbolo 1come unione di un significante e di un significato, sta forse diventando l’unica vera linea divisoria attraverso cui determinare la propria e l’altrui identità?

La nostra ricerca partendo da questa domanda punta a comprendere se e come la delicata materia della percezione simbolica, e quindi in qualche modo delle radici più intime e profonde del sentire di una comunità, possa essere indagata utilizzando le tecniche proprie della sociologia visuale e cioè tramite l’impiego di foto stimolo opportunamente presentate e correttamente strutturate in tabelle in modo da permettere un’analisi strettamente quantitativa e quindi quanto più oggettiva possibile. Si è scelto questo genere di strada anche per la constatazione che, avendo scelto di lavorare in un universo di riferimento come quello Afghano in cui solo una parte ridottissima del campione da esaminare possiede un grado di alfabetizzazione accettabile, le possibilità offerte dalla ricerca per immagini sono le più adatte se si vuole cercare concretamente di superare le barriere culturali che renderebbero invece quasi impossibile un’efficace analisi a campione con test scritti.

Va inoltre tenuto in considerazione che in un mondo arcaico e tribale come quello afgano, dove fortissima è l’influenza della religione islamica la capacità di ragionare per associazioni simboliche fa parte della cultura popolare ad ogni livello. Per trovarne un immediata conferma basti osservare i manifesti di propaganda politico religiosa dove il collage per immagini tra i volti dei personaggi in effige e i simboli della tradizione sono quasi la norma.

Al termine di questo lavoro è stato quindi possibile tracciare una dettagliata mappa simbolica delle diverse comunità che vivono nella zona di Herat individuando, con un ragionevole rateo di approssimazione considerate le forti limitazioni con cui abbiamo dovuto lavorare, quali delle immagini proposte vengono riconosciute e interpretate nella stessa maniera dalle diverse comunità e quali no. In prospettiva si è avuto modo di constatare come il perfezionamento del test sulla base delle esperienze maturate nel suo impiego in

1 Il simbolo è un elemento della comunicazione, che esprime contenuti di significato ideale dei quali esso diventa il significante. La parola "simbolo" deriva dal latino symbolum ed a sua volta dal greco σύμβολον súmbolon dalle radici σύμ- (sym-, "insieme") e βολή (bolḗ, "un lancio"), avente il significato approssimativo di "mettere insieme" due parti distinte.

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Afghanistan permetterebbe il suo utilizzo anche in realtà molto diverse da quelle in cui è stato ideato e sperimentato. La convinzione dello scrivente è che anche nelle “civilizzate” realtà sociali dell’Occidente globalizzato si stia sperimentando una progressiva tribalizzazione delle vita sociale in cui gli individui proprio attraverso le divergenti simbologie di riferimento trovano un’identità nuova più profonda e significante rispetto a quella offerta dagli stereotipi culturali in cui sono stati cresciuti ed educati.

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2. AFGHANISTAN: UNA VISIONE D’INSIEME

L’Afghanistan, si estende su un territorio di circa due volte l’Italia, su una superficie di circa 652.396 Km².

Confina con il Pakistan ad Est e Sud, con l’Iran ad Ovest, la Cina ad Est, il Turkmenistan, il Tagikistan e l’Uzbekistan a Nord. Da un punto di vista geografico stato paragonato storicamente ad una foglia e la striscia di Vakhan ne rappresenta lo stelo incuneato in direzione della Cina. L’Afghanistan comprende la sezione orientale dell'altopiano iranico ed è un Paese prevalentemente montuoso che non manca però di pianure, estese ai piedi dei grandi rilievi che lo attraversano. Il carattere prevalentemente accidentato dell'Afghanistan risulta evidente se si considera che oltre 6/10 del territorio ha un altitudine media di 600 metri; la parte centro-occidentale, corrispondente ai 3/10 circa di tutto il territorio, è inclusa nella isoipsa di 1800 m, mentre una frazione superiore a 1/10 è situata al di sopra dei 3000 metri.

La popolazione dell’Afghanistan stimata in 29 milioni di abitanti2 ha una densità media di 38 persone per chilometro quadrato. Le alte montagne della parte centrale del Paese ed i deserti nel sud e nel sud est dello stesso sono scarsamente popolati. L’80% dell’intera popolazione vive all’interno di aree rurali concentrate lungo le rive dei fiumi caratterizzate da agglomerati di poche case spesso senza alcun tipo di servizi pubblici, acqua corrente, elettricità e con una limitatissima rete stradale a servirle.

La maggior densità di popolazione si riscontra nella capitale Kabul ma anche a Jalalabad, nell’oasi di Herat, nella valle del fiume Harirud e nella valle del fiume Kunduz nel nord est. La maggior parte degli agglomerati urbani si trovano lungo le strade che collegano la capitale Kabul con Kandahar (sud ovest), quindi con Herat (nord ovest) e Mazar-E-Sharif (nord est).

Con 750.000 abitanti, Kabul è la più grande città dell’Afghanistan ed è anche la capitale amministrativa del Paese. Situata a sud del Hindukush, all’incrocio delle rotte commerciali tra il sub continente indiano e l’Asia centrale, è stata edificata su entrambe le rive del fiume Kabul ed è il centro dell’attività culturale e commerciale del Afghanistan. Il suo stile di vita contrasta con il resto del Paese di cui da sempre è la parte più moderna e culturalmente avanzata. Tutti i fermenti di novità, le rivoluzioni culturali e politiche e anche i cambiamenti che hanno scosso il Paese negli ultimi due secoli sono sempre partiti da qua.

Altre grandi città sono Kandahar, Herat, Mazar-E-Sharif, Kunduz e Jalalabad. Le prime tre hanno una popolazione che supera i 100.000 abitanti. Kandahar, in particolare, situata a sud dell’Afghanistan, a metà

2 Fonte CIA factbook

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strada tra Kabul ed Herat, è la seconda più grande città del Paese e rappresenta un importante incrocio di comunicazione stradale tra Kabul, Herat e Quetta in Pakistan.

Facile comprendere che in un paese geograficamente così frammentato, con un sistema stradale e ferroviario praticamente inesistente l’autorità centrale è sempre stata molto debole rispetto ai vari potentati locali.

Le rivalità politiche e religiose tra gruppi etnici, hanno contribuito a indebolire ulteriormente la capacità di controllo del centro sulla periferia e la stessa struttura sociale del Paese (la cui economia si regge in prevalenza sull'allevamento e l'agricoltura) ha favorito la nascita di numerosi Khan, di fatto grandi proprietari terrieri, che hanno impedito all'Amministrazione centrale di penetrare nel territorio. Questi leader tribali diventano punti di riferimento per la popolazione, garantiscono l’amministrazione della giustizia (valendosi delle tavole di mediazione delle “assemblee degli anziani” ) e assicurano spesso la sicurezza del territorio grazie a vere e proprie milizie personali arruolate e mantenute grazie alle notevoli risorse economiche sotto il loro controllo.

Al di là di questi piccoli potentati locali, in perenne dialettico confronto con i centri di potere sovra ordinati, dal punto di vista socio politico l'Afghanistan è attualmente composto da cinque aree principali, ognuna a prevalenza di una certa etnia, caratterizzata da propri legami esterni e strutture di potere interne.3

Nella zona nordovest e a Mazar-e-Sharif si trovano gli Uzbeki filo-turchi del generale Dostum (signore della guerra soggetto ad un programma di disarmo avviato dalle Nazioni Unite); il nord-est e buona parte della città di Kabul sono caratterizzati dalla presenza dei tagiki; l'ovest ed in particolare l’area di Herat subisce l’influenza di Ismail Khan, che nonostante sia di etnia tagika e di religione sunnita, ha l'appoggio delle tribù hazara e dell’Iran i cui leader politici l’avevano aiutato in maniera molto rilevante sia nella Jihad contro i Russi, sia nella più recente e ferocissima battaglia contro i talebani. Proprio durante gli anni del dominio talebano su Herat, Ismail Khan andò esule in Iran dove strinse legami ancora più significativi con il regime degli Ahiatollah.

Va infine presa in considerazione la vasta area che comprende tutto il sud del Paese e la zona al confine col Pakistan, conosciuta anche come cintura Pashtun, e dominata appunto dall’etnia maggioritaria. In questa larga fascia di terrioriorio, e per la precisione ai confini con il Pakistan sussiste la cosiddetta zona delle aree tribali, di fatto solute da qualsiasi controllo del governo di Kabul e considerate oggi uno dei territori di reclutamento e addestramento dei terroristi di Al Qaida

Quanto detto sulla collocazione geografica delle diverse etnie va comunque considerato un’approssimazione valida solo da un vista teorico e definitorio. La popolazione dell’Afghanistan, area che fu crocevia fondamentale tra mondo arabo e sub-continente indiano, dopo secoli di matrimoni tra le differenti razze, di esodi, guerre e movimenti di grande masse di persone, è di fatto un intreccio di etnie di origine caucasica, mongolica ed australoide mescolate con gruppi di origine turca ed iranica tra cui è quasi impossibile tracciare un confine netto su base territoriale. Si può quindi sicuramente affermare che l’Afghanistan sia un paese multietnico, per secoli anche sostanzialmente pacifico visto che i diversi gruppi (al di là di una ovvia rivalità

3 Le informazioni presenti in questo capitolo sono tratte dai Cia factbooks sull’Afghanistan e dai dati elaborati dallo scrivente nel corso della sua attività di analista d’area in Afghanistan

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per la conquista dei centri di potere a Kabul, per altro quasi sempre rimasti in mano all’etnia Pashtun) sono riusciti a coesistere in maniera tutto sommato positiva e costruttiva. Se andiamo ad un’analisi di dettaglio della recente storia afgana scopriamo come sia stato sempre l’intervento di forze esterne, in qualche modo quindi perturbanti, a dare la scintilla e il combustibile per i grandi scontri interetnici. Sconti che, per quanto violenti, hanno comunque caratterizzato esclusivamente l’ultimo decennio del secolo scorso. Per gli Afghani il punto non è tanto l’appartenenza etnica ma la volontà di sentirsi appartenenti ad una comunità, l’accettarne e il rispettarne le regole4

2.2 I gruppi Etnici in Afghanistan

La parola Afghanistan significa "terra degli afgani", espressione che nasconde una complessità etnica nella quale non si individua un popolo vero e proprio, ma una convivenza tra popolazioni diverse la cui eterogeneità è stata favorita dalle caratteristiche morfologiche del territorio che non permette facili collegamenti tra le regioni. La frammentazione etnica, spesso causa di tensioni, è stata aggravata inoltre da provvedimenti di riallocazione forzata di alcune popolazioni ad opera tanto di reggenti interni quanto delle potenze internazionali. In Afghanistan, in carenza di un vero e proprio censimento sulla popolazione, è estremamente complicato fare delle stime precise sulla consistenza dei gruppi etnici.

I dati del Dipartimento di Stato americano, che pure divergono sensibilmente da quelli forniti da altre agenzie statunitensi e internazionali, sono i seguenti:

pashtun 38-44%

tajiki 25-30%

hazara 10%

uzbeki 6-8%

aimak 4%

turkmeni 3%

baluchi 2%

altri 4%.

4 Basti pensare al Pashtunwali code, la legge tribale che tradizionalmente regola la vita sociale dell’etnia maggioritaria del Paese. Per i Pashtun adeguarsi a quel codice di leggi era, e sotto molti punti di vista è ancora, l’unico vero metro per giudicare l’appartenenza etnica e sociale di una persona. “Fare pashtun” come recita un vecchio proverbio popolare, è insomma molto più importante che “essere Pashtun” per diritto di nascita o appartenenza familiare. Del resto se nelle zone etnicamente “pure”, sempre più rare anche in un Paese dai collegamenti così precari e difficoltosi, è in teoria possibile immaginare che i matrimoni consentano il mantenimento di una linea di sangue omogenea, è assolutamente impensabile che nelle grandi città, ma anche nei centri più piccoli vicini alle linee commerciali o comunque aperti alle presenze esterne, sia possibile immaginare il mantenimento di una incontaminata origine razziale.

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Sono numeri come detto abbastanza approssimativi perché l’ultimo censimento realistico e pienamente attendibile venne realizzato nel paese all’inizio degli anni settanta e da allora in Afghanistan come è facile immaginare molto, se non tutto, è cambiato. Va anche tenuta presente una sostanziale ritrosia della popolazione afghana a definirsi di fronte agli altri in base alla propria appartenenza etnica. Religione ed etnia (come recita un vecchio proverbio afghano) “sono le due cose che riveli soltanto a tuo padre”. Anche la lingua è un indicatore non pienamente significativo e probante per comprendere e definire l’appartenenza etnica di un individuo. Se è pur vero che la lingua parlata dei Tagiki e generalmente il Dari (versione Afghana del Farsi) e per i Pashtun è appunto il Pashtun e altrettanto vero che gli stessi Pashtun tendono a esprimersi in Farsi (lingua più semplice e universalmente conosciuta) in particolare nelle grandi città multietniche. Per comprendere meglio (ma anche qua si tratta di una necessaria generalizzazione) le caratteristiche dei diversi gruppi etnici vale la pena di analizzare nel dettaglio quelli maggiormente presenti nel Paese.

I pasthun

Quale che sia l’origine dei dati censuari, sempre come abbiamo detto abbastanza approssimativi ed arbitrari, un elemento rimane costante in tutte le rilevazioni: la stragrande maggioranza della popolazione afgana appartiene all’etnia Pasthun principalmente concentrata nella cosiddetta “cintura pashtun” una sorta mezzaluna nella parte meridionale del paese che, partendo dalla provincia di Herat, vicino al confine iraniano, arriva fino alle zone al confine orientale con il Pakistan.

L'area pasthun si espande anche oltre il confine afghano nelle zone tribali del Pakistan. Quest'area, chiamata anche Pasthunistan, è da sempre al centro di rivendicazioni territoriali tra il Pakistan e i diversi governi afgani che appoggiavano l'idea di un'unione autonoma delle tribù pasthun da una parte e dall'altra del confine. Nonostante il gruppo etnico sia suddiviso in una vera galassia di tribù e clan, le tre grandi confederazioni pasthun sono i Durrani, i Ghilzay ed i pasthun dell'est, spesso in feroce contrasto tra loro per il controllo dei gangli vitali del potere afgano. I Pasthun sono un popolo turbolento, fiero, orgoglioso e suscettibile fatto di eccezionali combattenti. Merita ricordare che furono loro a infliggere terribili sconfitte agli inglesi che a più riprese cercarono di invadere il Paese a cavallo tra il 19 esimo e il 20 esimo secolo.

Furono sempre i Pashtun il cuore della rivolta contro l’invasione sovietica anche se, paradossalmente, il capo più accreditato e conosciuto di questa lotta fu il tagiko Massud .

La vera debolezza di questo gruppo etnico è la sua storica incapacità a mantenere una coesione interna, un unità di intenti e di linea politica all’interno del travagliato panorama politico e sociale afgano. A caratterizzare la struttura sociale dell’Etnia pashtun è il codice legislativo tribale conosciuto come Pashtunwali letteralmente “la via del pashtun”, un insieme di norme probabilmente di radice preislamica ma che sono state armonizzate con la sharia tanto da non esserne mai in contraddizione. 5 Questo codice rimane

5 Fra i principi caratterizzanti del Pashtunwali merita ricordare NANG- onore, principio base della vita di ogni Pashtun senza il quale la vita non merita di essere vissuta; MELMASTIA-dovere di ospitalità anche e soprattutto nei confronti

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profondamente legato alla cultura pashtun anche se la sua stretta applicazione è molto più legata alle zone rurali dove il sistema tribale, cui questo codice è intrinsecamente legato, è ancora alla base delle relazioni sociali. Nei grandi centri urbani, dove le spinte della modernità stanno progressivamente erodendo quella rete di legami personali e sociali che sostanziano il tribalismo, questo complesso di norme tende a trasformarsi più in una generica sensibilità personale, che in un’effettiva vincolante prescrittività6.

I tajiki

Chiamati anche “Farsiwan", letteralmente “coloro che parlano il farsi” ovvero la lingua persiana, o anche Dīhgān letteralmente agricoltori, gente stanziale in contrapposizione con le popolazioni nomadi i tajiki sono il secondo gruppo etnico afghano come consistenza ed importanza. Curiosamente si valuta vivano più tagiki in Afghanistan (circa 8.000.000 secondo le stime più recenti) che in Tajikistan dove sarebbero all’incirca 7 milioni. Concentrati soprattutto nell'Afghanistan nord orientale nella provincia di Badakhshan, nella valle del Panjsher, nella provincia di Laghman ed in una parte di quella di Loghar, sono anche presenti, e a volte maggioranza, nelle città di Kabul, Ghazni, Herat e Charikar. Ad Herat in particolare costituiscono l’etnia predominante. Vengono considerati "gli antichi abitanti del paese, che sono stati progressivamente sostituititi dai pasthun nel sud e da elementi turchi, come gli uzbeki 7. Affondano le loro origini negli antichi Parti o Bactriani che, con l’impero Persiano, diventarono militarmente e culturalmente predominanti nell’area. Difficile tracciare un origine del loro nome. Per alcuni la sua radici si potrebbe trovare in un espressione turca riportata per la prima volta dallo storico Mahmoud Al-Kāshgharī che letteralmente significa: non turco ma l’uso più antico della parola in letteratura si ritrova nei versi del poeta e maestro sufi Jalāl al-Dīn Rūmī nativo dell’odierno Afghanistan e per la precisione dei dintorni di Herat. Da sempre rivali acerrimi dei Pashtun, non sono mai riusciti ad avere un ruolo politico preminente nel Paese, fino agli ultimi anni quando sono riusciti a conquistare molti gangli fondamentali del potere afghano approfittando della debolezza politica dei Pashtun che avevano dato un sostanziale appoggio al movimento talebano, formandone buona parte dei quadri dirigenti. Ahamad Massud, leggendario capo della resistenza antisovietica prima e antitalebana poi, apparteneva proprio a questo gruppo etnico, e attorno alla sua ormai leggendaria figura l’universo politico culturale tagiko ha cercato una riscossa culminata nel braccio di ferro

degli stranieri e delle persone in difficoltà; NANAWATE-diritto d’asilo da concedere anche a i nemici se richiesto;

BADAL- il diritto dovere di fare giustizia anche per un torto subito molto tempo prima; TURA – il coraggio, ovverossia il dovere di ogni Pashtun di proteggere la sua casa, la sua famiglia e la sua patria; SABAT – la lealtà, da osservare nei confronti della propria famiglia tribù o comunità sociale di appartenenza,

6 Lo scrivente nella sua attività di ricerca nella valle del Murghab, zona rurale ai confini con il Tagikistan, ha potuto personalmente constatare come fra i commercianti e i frequentatori del bazar di Bala Murghab quasi nessuno fosse a conoscenza dei principi cardine del Pashtunwali. Su una decina di persone interrogate solo una ha riconosciuto e correttamente definito i concetti di Nang, Badal e Nanawate. Quasi tutte le altre persone interrogate semplicemente sembravano non aver mai sentito queste parole ed è stato necessario spiegare loro le definizioni sottostanti perché, solo alcuni, sembrassero in grado di ricordare le parole che li definivano.

7 A differenza dei pasthun i tajiki hanno sempre dimostrato una maggiore unità e coesione. Vivono in zone semi montagnose ed i rapporti gerarchici fra la popolazione sono rigorosi. "In ogni villaggio (tajiko) esiste una famiglia dominante con una genealogia che risale a lontani antenati, la quale esercita la supremazia sulle altre".

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che alle ultime elezioni presidenziali ha contrapposto il presidente eletto Ahimid Karzaj, di etnia pashtun al suo sfidate il tajiko Abdullah Abdullah che, probabilmente non a caso, fu fra i più stretti collaboratori di Massud. I Tajiki in Afghanistan tendono a non organizzare la loro vita sociale secondo lo schema tribale.

In sostanza non si riconoscono ne identificano secondo al loro linea di discendenza comune in tribù o clan.

Per questo la loro identità etnica, è considerata debole a livello nazionale (il termine “tagiko” è usato per indicare le persone che non hanno una chiara discendenza etnica, in altre parole non pashtun,non hazara, ecc.), ed essi stessi, definendosi in prima persona, preferiscano evidenziare la loro origine geografica rispetto a quella etnica. Se interrogato sulla propria appartenenza un Tajiko probabilmente rispondera: sono un panshiro,piuttosto che un Heratiano o un Badakshano riferendosi alla propria città provincia o regione di origine. La religione di appartenenza è quella Islamica di osservanza generalmente sunnita anche se esistono piccole minoranze di Tajiki sciiti e persino Ismaeliti,

Gli hazara

Gli hazara sono l’unico gruppo etnico di fede sciita in un paese totalmente sunnita come l’Afghanistan.

Benchè ve ne siano molti di fede ismailita8, gli Hazara in Afghanistan sono in genere legati al credo duodecimano 9 e se ne segnalano anche diversi di convertiti al sunnismo. Vivono principalmente nella zona di Bhamian, nell’impervio centro montagnoso del Paese, ma anche in molte grandi città. Le origini degli Hazara sono incerte, ma i loro lineamenti mongoli fanno pensare che possano derivare dalle popolazioni nomadi asiatiche, arrivate nel paese durante le grandi migrazioni verso ovest. Secondo altre ipotesi, essi sarebbero i discendenti dei Koshani, gli antichi abitanti dell'Afghanistan che costruirono i famosi Buddha di Bamiyan. La storiografia Hazara cerca di accreditare la tesi di una discendenza della armate di Gengis Khan che invasero l’Afghanistan nel dodicesimo secolo. Questa teoria contrasta però con le fonti storiche che parlano di durissimi combattimenti che le armate di Gengis Khan dovettero affrontare nella vallata di Bahmian proprio contro popolazioni dai tratti mongolici simili ai loro. L’origine del nome Hazara non aiuta

8Gli ismailiti sono la seconda in ordine di grandezza tra le correnti in cui è diviso l'islam sciita dopo i duodecimani. Il loro nome deriva dalla convinzione che il settimo imam fosse Ismāīl ibn Jafar e non il fratello minore Mūsā al-Kāẓim la cui legittimità è invece sostenuta dagli altri sciiti. L'Ismailismo ha sempre dato grande rilevanza agli elementi esoterici della religione islamica, dai duodecimani li separano infatti, oltre alle ragioni politiche, anche una disquisizione sulla natura mistica della figura dell'imam e del suo rapporto con Allah. Malgrado gli ismailiti si siano divisi in numerosi sottogruppi, il termine è oggi generalmente usato per indicare i Nizariti, seguaci dell'Aga Khan. La sua fondazione benefica gioca oggi un ruolo fondamentale nella ricostruzione dell’Afghanistan con centinaia di progetti umanitari ma anche economici e culturali finanziati in tutto il Paese non solo a favore della popolazione Hazara.

9 Gli sciiti si differenziano dai sunniti sulla questione della guida (imamato) della comunità islamica (Umma), dal momento che considerano unica legittimata a regnare la famiglia del profeta Maometto (Ahl al-Bayt). Gli sciiti duodecimani, ovvero coloro che prestano fede a tali dodici Imam vivono nell’attesa della parusia del 12° Imam magicamente occultatosi per sfuggire alle repressioni dei califfi sunniti seguite alla battaglia di Kherbala. Il dodicesimo

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chiarire i dubbi. Le due teorie prevalente vogliono che esso derivi dal persiano “hazar- mille” in riferimento all’unità di base dell’esercito mongolo, formata appunto da mille uomini. Per altri la denominazione trarrebbe origine dalle tribù turche e mongole che avrebbero abitato per secoli la regione prima dell’islamizzazione ma anche prima dell’arrivo delle orde di Gengis Khan.

Nell’uso comune afgano il termine “hazara” ha connotazioni negative, significando “ignorante” o“primitivo”

e per questa ragione molti sono i pregiudizi nei confronti di questa etnia, considerata “incolta”, “povera” e

“sporca”. Popolo tradizionalmente dedito a pastorizia e agricoltura, gli hazara hanno vissuto negli anni un processo di migrazione verso i principali centri urbani, dove occupano i gradini più bassi della scala sociale (lavorano prevalentemente come manodopera non qualificata o funzionari di basso livello) in genere vivendo in veri e propri quartieri etnici ghetto come accade anche ad Herat.

La concezione etnica degli Hazara di fede sciita, ha subito negli ultimi anni una grande trasformazione:

considerati degli intrusi migrati in Afghanistan durante le distruttive campagne di conquista di Gengis Khan, rappresentano la più recente componente demografica afgana il cui ruolo sociale si sta però progressivamente estendendo e rafforzando

La guerra contro l’invasione sovietica ha rappresentato per molti di loro l’esilio ma spesso anche l’opportunità di accrescere la propria istruzione, negata dalla politica ostile di un governo centrale che, fino dalla metà dell’ottocento, diede vita a pesantissime campagne punitive capaci di sfiorare dei veri e propri tentativi di genocidio nei confronti di questa sfortunata etnia. Oggi una nuova élite hazara è emersa dopo la fine della guerra civile che li ha visti subire ancora una volta delle ferocissime repressioni da parte de talebani e dei signori della guerra Pashtun. Questa nuova classe dirigente è riuscita a recuperare l’autenticità delle proprie origini afgane, facendosi accettare dalla comunità nazionale come parte integrante della società. Leader hazara siedono al governo e in provincie come quella di Herat occupano persino il fondamentale ruolo di governatore. Grazie anche all’appoggio dell’Iran sciita il loro peso politico si sta progressivamente estendendo come mai era stato nella storia dell’Afghanistan. Davvero si può dire che gli hazara siano il gruppo etnico in maggiore ascesa sociale nel paese. Da un punto di vista politico la parte maggioritaria degli hazara, appoggia il partito noto come Hizb-e Wahdat, il cui capo carismatico, Abdul Ali Mazari, venne catturato e giustiziato dai talebani alla metà degli anni novanta. La sua morte, tuttavia, lo ha reso ancora più popolare tra gli hazara che lo considerano una sorta di padre della patria. Gli hazara sono tradizionalmente divisi in diverse tribù la principale delle quali, la Daizangi, raccoglie approssimativamente il 50% di tutta la popolazione di questa etnia. Oggi, con la progressiva urbanizzazione delle popolazioni hazara, i vincoli tribali si stanno progressivamente allentando e le tradizionali suddivisioni perdendo di significato.

imam alla fine dei tempi, tornerà a manifestarsi e a ristabilire la giustizia in Terra. Per gli sciiti in questa attesa, nessun potere politico è pienamente legittimo

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Gli uzbeki

Concentrati principalmente nella zona settentrionale dell’Afghanistan e nella città di Mazar i Sharif sono l’etnia forse più giovane nel paese dato che le prime tracce sono segnalate attorno al XVI secolo. La grande espansione della presenza Uzbeka in Afghanistan si ebbe nel 1920 quando nel Paese arrivarono i profughi dell’invasione sovietica dell’Uzbekistan . L'origine del nome "Uzbeco" è controversa. Una delle ipotesi è che il nome derivi da Uzbek Khan, re del Khanato dell'Orda d'Oro, sebbene i nomadi uzbechi non fossero mai stati completamente assoggettati a questo impero. Un'altra ipotesi ritrova l’ etimologia della parola nel suo significato letterale: "indipendente" o "padrone", da O`z ("indipendente") e Bek ("signore"). La loro lingua è di ceppo turco e gli Uzbeki rappresentano oggi una minoranza culturalmente ed economicamente molto viva all’interno del mosaico afghano. Da un punto di vista religioso gli Uzbechi in Afghanistan sono quasi tutti sunniti di osservanza hanafita.

2.3 Le altre etnie

Fin qua le etnie maggioritarie, ma in Afghanistan vivono anche diversi gruppi minoritari vanno segnalati gli aymak originarie delle montagne ad ovest dell'Hindu Kush.. Gli Aimak, termine di origine turca che significa tribù, non hanno una vera e propria caratterizzazione etnica ma sono un gruppo di formazioni tribali concentrate nella zona occidentale del Paese (province di Herat, Badghis e Ghor). Il loro numero è estimato tra le 500.000 e le 800.000 unità. Altri gruppi etnici minoritari in Afghanistan sono i kirghizi, i kazaki, i Nuristani. Questi ultimi in particolare vivono nell’impervia regione del Nuristan e sono stati gli ultimi in Afghanistan a convertirsi all’Islam tanto che la loro terra d’orgine era conosciuta sino al 19 secolo come Kafiristan, ovvero terra degli infedeli. Si considerano i discendenti dei soldati di Alessandro Magno10 che conquisto il paese e rappresentano un gruppo etnico molto unito e considerato ricco di grandi talenti e individualità di prestigio

I Turkmeni, circa 200.000, giunsero nei secoli dall’est del mar Caspio e si mescolarono con popolazioni mongole. Le tribù turkmene erano tipicamente nomadi e guerriere mentre oggi sono dedite all’agricoltura e alla pastorizia. La maggior parte vive nella provincia di Herat ed in quella di Balkh (nord-ovest).

I Balock (circa 100.000) vivono nella provincia sud-occidentale di Hilmand ed in quella nord-occidentale di Faryab. Popolazione seminomade dedita all’agricoltura ed all’allevamento di cammelli, è formata da gruppi tribali centralmente organizzati e posti sotto il comando assoluto dei loro capi.

2.4 Lingue

In Afghanistan le lingue parlate sono più di trenta. La lingua ufficiale è il pashtun, parlata come prima lingua da circa il 35 % della popolazione. Altre lingue importanti sono il dari (variante afgana del pharsi persiano), conosciuto dal 50 % della popolazione, lingue di origine turca (in particolare turkmeno ed uzbeco), parlate

10 In Afghanistan conosciuto come Iskander il passaggio di Alessandro Magno è ancora ben presente nell’immaginario mitico del paese ed in particolare della zona del Nuristan

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dall’11% della popolazione e, tra quelle parlate dalle minoranze, il balock ed il pashai. Molti Afgani parlano dunque più di una lingua ed il dari, in particolare, è la seconda più diffusa.

2.5 Herat e la sua provincia

Situata nell’Afghanistan occidentale con un superficie totale di 54.778 km la provincia di Herat confina ad Ovest con l’Iran, a Nord con il Turkmenistan, a Nord Est con la provincia di Badghis, a Est con la provincia di Ghor e a Sud con la provincia di Farah.

La provincia si caratterizza, nell’area centro-occidentale, come un altopiano compreso tra gli 800 ed i 2100 metri sopra il livello del mare. L’area circostante il capoluogo di provincia (l’omonima città di Herat), si presenta prevalentemente pianeggiante e, con esclusione delle zone coltivate, è priva di vegetazione. La provincia è attraversata da alcuni corsi d’acqua con andatura irregolare, e in particolare da uno dei principali fiumi dell’Afghanistan, l’Hari-Rud. Tutta l’area sud-occidentale è attraversata da una fitta rete di canali ad utilizzo agricolo, supportati da numerosi pozzi riconducibili al sistema di canalizzazione sotterranea denominato ”Karez”, tipico della regione.

La popolazione della provincia, stimata in poco più di 1.500.000 unità vive concentrata nelle aree urbane e nelle zone vicine ai corsi d’acqua. La densità di popolazione è di 21 abitanti per kmq.

Il centro più popoloso è Herat che conta una popolazione di circa 250.000 abitanti. La seconda cittadina, per ordine di importanza, è Ghoryan, centro agricolo di 30.000 abitanti, posta nella valle del fiume Hari Rud a ovest del capoluogo di provincia lungo la strada che collega Herat al confine iraniano. La popolazione urbana della provincia è stimabile nell’ordine delle 600.000 unità quella della aree rurali in circa 900.000.

Nella provincia di Herat sono parlati diversi dialetti di origine dari ma anche il Pashtun e, in particolare negli ultimi anni con l’espansione di questa comunità, anche la lingua Hazara.

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Herat ha il più alto tasso di alfabetizzazione del Paese con un 45 % per gli uomini e un 15% per le donne. E’

sede di una delle più prestigiose università dell’Asia centrale visitata da studenti provenienti da tutto il Paese ma anche dalle nazioni confinanti come Pakistan e Iran. Da sempre animata da un vita culturale molto attiva vi si stampano oggi come in passato molti giornali e fogli culturali. Ad Herat si pubblica il quotidiano Entefaq el Islami storica testata afghana con quasi un secolo di vita. Ricca anche la presenza di emittenti radiofoniche (circa una decina solo quelle locali attive in città) e sede di due televisioni private cui si aggiunge quella pubblica nazionale.

Negli ultimi anni, dopo la fine dei divieti talebani, sono state avviate da organizzazioni governative e non numerosi progetti finalizzati all’alfabetizzazione della popolazione e in particolare di quella femminile, a cui era vietato l’accesso all’istruzione.

Oggi Herat è un centro commerciale di riferimento per l’area occidentale del Paese, in particolare per le importazioni e le esportazioni, per il settore agricolo (grano, frutta e verdura), per la pastorizia e per il settore tessile grazie alla sua posizione che ne fa una vera porta d’accesso all’Afghanistan. La città è infatti situata a

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cavallo delle due principali arterie che collegano rispettivamente le regioni meridionali afgane con il Turkmenistan e quella con andamento longitudinale che unisce Herat, verso ovest, con l’Iran e ad est con le province di Ghor e Badghis.

La provincia di Herat, se paragonata con il resto dell’Afghanistan, ha un’economia prospera dovuta

principalmente alle relazioni commerciali con l’Iran e ai proventi dei dazi doganali collegati al commercio.

Ad Herat arrivano la maggior parte delle importazioni del Paese in afflusso dai porti dell’Iran e da Dubai. Di per sé il commercio ruota su un 90% circa di importazioni dall’estero e su un 10% di esportazioni di produzione propria. Dall’Iran vengono importati in massima parte generi alimentari, dal Turkmenistan materiale tecnico e per i veicoli mentre dal Pakistan, ma recentemente molto anche dalla Cina, materiale tecnologico

Sebbene abbia formalmente un governatore nominato da Kabul, Herat è un tradizionale feudo politico del leader tribale Ismail Khan, leggendario comandante della resistenza prima contro i Russi e poi contro i Talebani. Seppure ufficialmente negati sono noti i profondi legami politici di Ismail Khan con l’Iran, che lo protesse e appoggio nei quasi 20 anni di guerra prima contro gli occupanti sovietici e poi contro gli integralisti islamici. A causa di questo è molto forte, ed in continua crescita, il peso politico e l’influenza economico culturale che l’Iran gioca nell’area. Moltissimi sono gli studenti che dall’università di Herat vengono inviati in Iran per svolgere stage di studio e lavoro e molti media locali, giornali radio e televisioni, ricevono cospicui finanziamenti dall’Iran per realizzare più o meno surrettizie campagne di appoggio alle posizioni iraniane nell’area. Questo provoca una forte reazione da parte delle autorità politico religiose legate al mondo sunnita che temono un’infiltrazione politica economica ma anche di proselitismo religioso realizzata dallo scomodo vicino sciita.

2.6 I gruppi etnici ad Herat

La composizione etnica della provincia è approssimativamente quella che illustreremo a breve. Va però tenuto conto che, come per il livello nazionale, non esistono censimenti ufficiali in grado di dare dati precisi e i grandi movimenti di popolazione che caratterizzano tradizionalmente ogni terra di frontiera rendono le valutazione ancora più complesse. La maggiori parte delle stime ufficiali tende a concordare su questi numeri:

Tagiki 65%

Pashtun 20%

Hazara 10%

Uzbeki 5%

La principale lingua parlata nella provincia è il Dari (la variante afgana del farsi). Naturalmente molto usato anche il Pastho tanto che le principali stazioni radio e televisive della provincia hanno programmi in entrambe le lingue Herat ha il più alto tasso di alfabetizzazione del Paese con un 45 % per gli uomini e un

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15% per le donne ed un antica tradizione culturale che fa di questa città una delle culle della civiltà afgana.11 La provincia di Herat è caratterizzata da una pacifica convivenza tra gli appartenenti alle due maggiori confessioni islamiche anche se negli ultimi anni l’accentuarsi della pressione politico culturale dell’Iran su questa area strategica per il controllo dell’Afghanistan, sta creando molto malumore e apprensione sia fra le forze politiche che nelle autorità religiose per la stragrande maggioranza legate all’ortodossia sunnita. Non va infatti dimenticato che nella provincia la, maggioranza della popolazione è sunnita (circa l’85%) mentre è sciita il restante 15%.

Vediamo adesso nel dettaglio come vivono e dove si insediano le principali comunità etniche della provincia.

Tagiki 65%

Sono l’etnia maggioritaria in città e nella provincia, vivono distribuiti in maniera più o meno uniforme sia nel capoluogo provinciale che nelle aree rurali che lo circondano. Occupano le posizioni dominanti nella pubblica amministrazione e nell’economia grazie ad un fitta rete di rapporti e legami costruita nel corso degli anni. Pur non avendo consolidate strutture di origine tribale, in quanto tradizionalmente coltivatori e allevatori, si organizzano comunque in gruppi di potere e pressione in grado di influenzare significativamente la società in cui vivono. In particolare in città hanno in mano le leve del commercio, dei media e degli uffici pubblici. Il loro leader storico, di fatto vero governatore ombra di Herat, Ismail Khan ha costruito la sua immensa popolarità su di un uso moderato ed in qualche modo tollerante del potere, attorno ad un’abile politica di alleanze con il vicino Iran e ma anche con la creazione di un mito personale di indomito combattente della resistenza antisovietica prima e antitalebana poi.

Pashtun 20%

Nella provincia risiedono per lo più nei distretti di Shindand, Adraskan, Ghoryan, Gulran, Obe, Kohsan, Guzara e Pashtun Zarghoon, dove rappresentano la minoranza etnica più popolosa. Popolo di origine nomade, nel corso della storia si è diviso in diverse unità tribali, composte da poche centinaia o migliaia di membri, legati da forti vincoli di solidarietà. Storicamente non hanno radicata la cultura del vivere in luoghi ben definiti ed ancora oggi molte loro tribù sono dedite al nomadismo e si spostano dalle pianure ai pascoli montani secondo le stagioni.

L’elemento tribale ha prodotto, sul piano politico, una frammentazione intra-etnica e un decentramento del potere fino alla fine del XIX secolo: fino ad allora, infatti, l’etnia non attribuiva un rilevante significato alla rivendicazione storico-culturale pashtun. Con la nascita dello stato nazionale afgano, visto come semplice estrinsecazione del Pashtunistan, l’élite urbana ha iniziato ad identificare l’ideologia nazionale afgana come ideologia nazionale pashtun e a considerarsi la vera popolazione afgana (gli "eletti"). Per l’élite urbana, Pashtunistan non significava solamente l’insieme dei territori abitati dalle proprie tribù, ma

11 La civiltà timuride del XV secolo, che ebbe uno dei suoi centri maggiori ad Herat. Durante questa vera età dell’oro per l’arte e la cultura di si sviluppa una tradizione di alto livello di letterati, calligrafi, miniaturisti e musicisti, che dura fino al XVI secolo

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l’intero territorio compreso tra i fiumi Amu Darya e Indo, quindi ben lontano dalla provincia di Herat.

Questa forma di rivendicazione sociale, storica e culturale è stata un importantissimo punto di riferimento della politica dei presidenti afgani negli anni Cinquanta (Mohammed Daud) e Settanta (Hafizullah Amin) e, sino ad oggi, si sono mantenuti fedeli a tale modello i pashtun etnocentrici (ad esempio, gli esponenti di Afghan-e-Millat, partito di orientamento pashtun-nazionalista).

Hazara 10%

La maggior parte degli Hazara che abitano in provincia vive nei distretti di Herat e di Injil. Gli Hazara provengono da una regione dei monti centrali dell’Afghanistan detta appunto “Terra degli Hazara”

(Hazarajat) e discendono, come i Turkmeni, da popolazioni mongole di cui mantengono i tratti somatici.

Una larga fetta della comunità hazara residente ad Herat è di fede sciita e beneficia del sostegno economico iraniano: per questo motivo si prevede che il ruolo di questa comunità possa diventare più importante nel prossimo futuro. Inoltre, sembrerebbe, da voci provenienti da fonti pashtun e tagike, che gli stessi stiano acquistando molti terreni nella provincia di Herat con capitali di provenienza iraniana. Fino a tutto il 2009 il governatore della provincia apparteneva a questa etnia.

Uzbeki 5%

Popolazione mongola, ha avuto nel corso della storia mescolanze con popolazioni di origine turca, con cui condividono aspetti fisici tipici come la pelle più chiara rispetto agli altri afgani. Dediti alla pastorizia, si sono inseriti nella società contemporanea nel settore commerciale, nell’artigianato dei tappeti e nella lavorazione dell’oro e dell’argento. La struttura sociale, di matrice patriarcale, attribuisce grande importanza alla mutua assistenza e alle relazioni con gli appartenenti all’etnia. Pur essendo aperti ad unioni interetniche, hanno una certa avversione nei confronti dei Pashtun.

Nella provincia vivono anche diverse comunità di Kuchi, gruppo etnico dedito al nomadismo tra il Pakistan e la provincia di Herat, di Aimak, termine di origine turca che significa tribù, privi di caratterizzazione etnica e di Turcomanni, nomadi guerrieri giunti dal mar Caspio oggi dediti all’agricoltura e alla pastorizia. Questi ultimi vivono per lo più nei distretti di Herat, Gularan e Kushk.

2.7 Principali riferimenti della storia recente Afghana

1835-1863 Regno di Dost Mohammad

1839-1842 Prima guerra anglo-afghana

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1863-1879 Regno di Sher Alì

1878 Seconda guerra anglo-afghana

1879 Trattato di Gandamak firmato da Yakub Khan, che autorizza la presenza di un rappresentante britannico a Kabul

1880 I britannici riconoscono Abdur Rahman come emiro

1880 Sconfitta britannica a Maywand

1885 Occupazione dell'oasi di Pandjeh da parte dei Russi

1887 Accordo russo afghano sulla frontiera settentrionale dell'Afghanistan

1901 Morte di Abdur Rahman, suo figlio Habibullah diventa emiro

1919 Assassinio di Habibullah, Amanullah diventa emiro

1919 Terza guerra anglo-afghana

1921 L'emiro di Bukara si rifugia in Afghanistan

1921 21 febbraio, trattato di amicizia con l'URSS

1927 Visita del re in Europa

1928 Insieme di riforme seguito dal sollevamento di Bacha ye Saqqao

1929 Abdicazione di Amanullah, sconfitta di Bacha e vittoria di Nader Khan sostenuto da una confederazione tribale

1933 Assassinio di Nader Khan. Zahir è re. Suo zio Hashim Khan governa il paese e si avvicina all'Asse Roma-Berlino

1947 Spartizione dell'India ed indipendenza del Pakistan. Inizio delle rivendicazioni afghane sul Pashtunistan

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1953-1963 Daud, cugino del re, è primo ministro

1955 In dicembre, visita ufficiale di Nikita Kruscev a Kabul

1961 Crisi con il Pakistan

1963 Dimissioni di Daud, inizio dell'era costituzionale

1965 Elezioni generali (agosto), moti studenteschi e dimissioni del abinetto Yussuf (ottobre)

1965 Fondazione del Partito Democratico del Popolo Afghano PDPA (comunista)

1969 Elezioni per la seconda legislatura

1973 17 luglio, colpo di Stato del principe Daud che instaura la Repubblica I I I

1978 27 aprile, colpo di Stato comunista

1979 27 dicembre, invasione sovietica.

1979-1986 I mujaheddin proclamano la guerra santa e resistono all'invasione, malgrado il controllo sovietico dello spazio aereo,

1989 Ritiro dell'Armata Rossa dopo le perdite conseguenti alla migliorata dotazione militare della resistenza (missili terra-aria Stinger)

1992 Caduta del governo comunista di Najibullah.1992 Installazione dei governi mujaheddin di Mojaddidi e Rabbani. Hekmatyar bombarda Kabul.

1994 Apparizione del movimento talebano appoggiato dal Pakistan. A novembre i talibani conquistano Kandahar

1994-1995 I talebani conquistano tutto il territorio etnico pashtun

1995 5 settembre, presa di Herat

1996 26 settembre, i talebani entrano a Kabul

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1997 Maggio. Prima conquista di Mazar-i-Sharif poi perduta per lareazione hazara

1998 8 agosto. Mazar-i Sharif è riconquistata dai talebani

1998-2001 I talebani controllano tutto il territorio afghano tranne il Nord-Est in cui resiste l'Alleanza del Nord sotto la guida militare di Ahmad Shah Massud. 2001 Aprile. Massud compie una tournée in Europa (Francia e Parlamento Europeo) per denunciare i rischi per l'Occidente della situazione in

Afghanistan 2001 9 settembre. Ahmad Shah Massud è assassinato nella valle del Panshir da due terroristi kamikaze sotto le false spoglie di giornalisti marocchini giunti ad intervistarlo

2001 11 settembre. I quattro aerei passeggeri dirottati dai terroristi di Al Qaida si schiantano sulle Torri gemelle a New York, sul Pentagono e in Pennsylvania

2001 7 ottobre. Iniziano i raid aerei americani sull'Afghanistan

2001 L'Alleanza del Nord con l'appoggio anglo-americano riconquista Mazar- i Sbarif, Kabul (13 novembre) e Kunduz

2001 5 Dicembre. Nasce a Bonn il nuovo governo provvisorio afghano presieduto da Hamid Karzai

2001 6 dicembre. Resa del bastione talebano di Kandahar

2001 22 dicembre. Entra in funzione il nuovo governo provvisorio I V dell’Afghanistan.

2002 Gennaio. L'aviazione americana continua i bombardamenti per catturare o uccidere Osama Bin Laden ed il mullah Omar, che riescono a fuggire, probabilmente in Pakistan

2002 Ventimila soldati americani restano in Afghanistan e arrivano le prime truppe della Nato per garantire la sicurezza di Kabul e delle istituzioni governative afghane

2002 Giugno. A Kabul si riunisce la Loya Jirga che conferma la presidenza transitoria di Karzai, con un voto segreto

2002-2003 I resti dei talebani, di Al Qaida ed i miliziani di Hekmatyar lanciano la guerriglia contro le truppe straniere in Afghanistan ed il governo di Kabul

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2003-2004 14 dicembre. Viene convocata la Loya Jirga costituzionale, che il 4 gennaio 2004 approva la nuova costituzione afghana

2004 9 ottobre. Si tengono le elezioni presidenziali in tutto l'Afghanistan, che eleggono Karzai

2009 agosto Karzai viene rieletto presidente

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3 IL SIMBOLO

Il simbolo è un elemento della comunicazione che, secondo la dizione del Devoto Oli, può essere definito come: “il segno efficace condensato, solenne corrispondente a contenuti e valori particolari o universali”

La parola "simbolo" deriva dal latino symbolum ed a sua volta dal greco σύμβολον súmbolon dalle radici σύμ- (sym-, "insieme") e βολή (bolḗ, "un lancio"), avente il significato approssimativo di "mettere insieme"

due parti distinte. Essa trae origine dall’antica usanza del mondo greco di spezzare in due una tessera in terracotta o legno e dividerla tra due persone, due famiglie o persino due città dopo la conclusione di un patto, di un accordo commerciale o a cementare un’amicizia. Il perfetto combaciare delle due parti della tessera provava l'esistenza dell'accordo. Quindi simbolo significa letteralmente ciò che ha il potere di unire.

Ma nell’accezione moderna cosa unisce il simbolo? Esso lega un significante (ad esempio cerchio rosso con una striscia bianca nel mezzo) con un significato (divieto di accesso nella segnaletica stradale ma per analogia anche stop a qualcuno (unito all’immagine di un cane segnala il divieto di accesso agli animali in locale) o persino a qualche idea considerata inaccettabile (pensiamo ai cartelli no al razzismo)

Insomma, il potere evocativo del cartello stradale di divieto d’accesso è così forte e radicato nell’immagina- rio di una società che fa della mobilità una delle sue caratteristiche fondanti, da assurgere appunto a

“simbolo” stesso del concetto di “fermare, dover fermare”.

I simboli possiedono un forte carattere intersoggettivo, in quanto sono condivisi da un gruppo sociale o da una comunità culturale, politica, religiosa. Essi hanno un grandissimo potere di definizione identitaria tanto che Karl Gustav Jung elaborando la teoria degli archetipi li definisce come dei “prototipi di insiemi simbolici così profondamente iscritti nell’inconscio umano da costituire una vera e propria struttura”.12 Nel senso freudiano del termine il simbolo esprime invece in modo indiretto e figurato il desiderio o i conflitti. Il simbolo è la relazione che collega in contenuto manifesto di un comportamento al suo senso latente. Ha insomma una dimensione più limitata e soggettiva

Il simbolo assume quindi una funzione pedagogica e assimilatrice, esso produce un sentimento di identificazione di partecipazione ad una comunità più ampia che in esso si riconosce . Fa comprendere agli uomini che essi non sono soli ma vivono partecipando ad un comune sentire di cui fanno parte e in cui possono specchiarsi.13

12 C.G. Jung, Gli archetipi e l’inconscio collettivo, Torino, 1980

13 Basti pensare agli abbigliamenti eccentrici di certe sottoculture come gli Emo o negli anni settanta i Punk. Capelli acconciati ad una certa maniera certi tipi di stivali o di pantaloni assumono il senso non solo di segnali di riconoscimento e appartenenza ma di una vera e propria simbologia comunicativa e valoriale. Il discorso potrebbe estendersi a moltissimi altri campi dalle uniformi militari a quelle delle confraternite religiose o spirituali..

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Il simbolo vive quindi nell’animo dell’uomo e in qualche modo anche della collettività da cui è riconosciuto.

Per mantenersi vivo e vitale esso deve continuare a manifestare significati e provocare reazioni. Per dirla ancora con Jung simbolo esiste in quanto tale finchè per lo spettatore “è l’espressione suprema di ciò che è presagito ma non ancora conosciuto”14 Per usare espressioni più semplici il simbolo è vivo finche viene percepito dal suo universo di riferimento in maniera univoca e significativa provocando le stesse reazioni in tutti i soggetti che lo popolano.

Ogni gruppo sociale, ogni comunità ogni epoca hanno i loro simboli e simbologie. Studiarli è la maniera forse più diretta ed efficace per comprendere gli uomini che li utilizzano perché i simboli mettono in comunicazione profonda con l’ambiente sociale circostante. Un comunità senza simboli è una comunità morta anzi è una “non comunità” perché ha perso completamente le radici più autentiche che la definiscono come tale.

La comunicazione simbolica è un passo avanti immenso sulla via della conoscenza e della socializzazione Per le sue caratteristiche intrinseche di immediatezza e comprensibilità, e per essere una sorta di distillato della cultura e del vissuto di un popolo, il simbolo ha la capacità di introdurci nel cuore dell’individualità e nello stesso tempo del sociale.15 Chi entra nel senso dei punti di riferimento simbolici di una persona o di un popolo può dire allora di conoscere veramente a fondo quella persona o quel popolo. Si può affermare che il simbolo funzioni un po’ con una strumento risonanza: si attiva ed agisce quando le sue frequenze si accordano perfettamente con quelle della società che lo impiega. Studiare quindi il patrimonio simbolico di un popolo ci permette di comprendere quali sono i paradigmi mentali e percettivi che lo identificano e persino in che modo esso guardi alla realtà che lo circonda.

Secondo una dizione classica simbolo può essere di due tipi:

convenzionale, in virtù di una convenzione sociale;

analogico, capace di evocare una relazione tra un oggetto concreto e un'immagine mentale.

Ad esempio, il linguaggio parlato consiste di distinti elementi uditivi adoperati per rappresentare concetti simbolici (parole) e disposti in un ordine che serve a dare ulteriore senso al loro concordare. Come detto precedentemente la forza iconica di alcuni elementi anche convenzionali diventa però tale che essi hanno la capacità di evocare suggestioni molto al di la del loro significato immediato.

14 C.G. Jung, Gli archetipi e l’inconscio collettivo, Torino, 1980

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Se tutta la civiltà si dimostra attiva nella creazione di determinati mondi di immagini, di determinate forme simboliche, lo scopo della filosofia non consiste nel ritornare al di qua di tutte queste creazioni, ma invece nel comprenderle e renderle coscienti nel loro fondamentale principio creativo. Solo in questa consapevolezza il contenuto della vita si eleva alla sua forma autentica. La vita emerge dalla sfera della mera esistenza data da natura: essa non rimane né un elemento di questa esistenza, né un processo meramente biologico, ma si trasforma e si perfezione divenendo forma dello spirito." (E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche)

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3.1 Il simbolo nella società Afghana

Nelle società tradizionali, o comunque legate a strutture tribali, i simboli popolano la realtà sensoriale e mentale dell'uomo. Li possiamo rintracciare praticamente ovunque, nei miti, nelle fiabe e nei proverbi popolari, nelle sculture e negli edifici civili e religiosi, negli strumenti rituali e persino negli oggetti d'uso quotidiano. Sono localizzazione che contribuiscono a renderli attivi, in ogni momento, lungo i percorsi dell'esistenza individuale. Persino dove i moderni strumenti di comunicazione di massa sono presenti, gli stili della comunicazione restano profondamente impregnati dei codici simbolici ereditati dalla tradizione.

In questo modo i simboli, veri e propri mezzi di comunicazione primigeni con un loro linguaggio trasversale, rimangono a “fecondare” la vita di tutti i giorni pur nel mutare degli strumenti di accesso alla conoscenza. Gli antichi cantastorie che nei villaggi tramandavano leggende e aneddoti di saggezza popolare, lo facevano con un linguaggio criptico profondamente intriso di una simbologia anche di non semplice comprensione. Eppure le loro parole erano comprese e accettate, le storie che raccontavano facevano parte della vita di tutti i giorni nei piccoli centri rurali e persino nelle grandi agglomerati urbani, solo in parte attraversati dalla modernità. Va tenuto presente che, assieme ai Mullah, questi cantastorie hanno continuato a costituire la principale fonte di accesso alla conoscenza nelle aree rurali almeno fino all’arrivo dell’invasione Russa. Non è improbabile che ancora oggi queste figure di antichi cronisti vivano e operino in molti centri minori dell’Afghanistan.16

Da sottolineare anche come nei dintorni di Herat sia nato Jalal din Maulana “Rumi”17 il massimo poeta mistico persiano, fondatore delle confraternita dei dervisci danzanti attiva nella città turca di Konia.

Ancora oggi molto diffusi nell’ovest del Paese le tariqe18 sufi sono state combattute duramente dai Talebani che consideravano il complesso delle loro credenze assolutamente eretiche. Nonostante questo i mistici Sufi sono ancora popolarissimi e molto rispettati nelle zone rurali contribuendo a diffondere una coscienza islamica popolare e non dogmatica che fa del simbolismo il suo architrave.

16 L’etnologa Margaret Mills nel suo “Rhetorics and politics in Afgana traditional storytelling” descrive proprio le registrazioni di alcune “esibizioni” che due di questi cantastorie fanno all’interno di un piccolo villaggio nei dintorni di Herat. Colpisce il linguaggio criptico gravido di significati nascosti con cui le storie sono composte. Quasi un linguaggio iniziatico che dimostra in maniera quasi plastica quanto il simbolismo sia profondamente

17 Jalāl al-Dīn Rūmī, nome completo Mawlānā Jalāl al-Dīn Rūmī (1207 1273), fu un poeta e mistico persiano.

Fondatore della confraternita sufi dei "dervisci rotanti" (Mevlevi), è considerato il massimo poeta mistico della letteratura persiana. Le opere principali di Rūmī sono due: il Dīwān o canzoniere, noto come Canzoniere di Shams-i Tabrīz. L'altro è un poema lungo a rime baciate, forma stilistica chiamata comunemente in in persiano "Masnavī"

18 Le Confraternite islamiche (taríqa, pl. turuq) sono un tardo fenomeno del sufismo. Dopo la prima fase individuale, i sufi si organizzarono infatti, a partire dal XII secolo, in strutture complesse di discepoli (murīd, pl. murīdīn) che, sotto la guida di un Maestro, imparavano a percorrere la Via mistica per giungere ad una diretta conoscenza (Marifa) di Dio.

Il termine sufi deriva dal rozzo mantello di lana che erano soliti indossare per proteggersi dal freddo nel loro pellegrinare.

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Insomma in una società profondamente religiosa come quella dell’Afghanistan l’uso di forme di comunicazione sincretiche in cui diversi livelli informativi si fondono con elementi simbolici tradizionali è ancora molto diffuso. Come un fiume carsico che innerva di se tutta la società ne ritroviamo echi sia nella programmazione televisiva, che nella nascente industria dei videoclip musicali e nella ricca produzione letteraria stampata sui piccoli fogli artigianali molto diffusi nella città di Herat. Persino nei deliranti messaggi e nelle “night letters,” con cui le organizzazioni dell’estremismo islamico rivendicano le loro azioni o ne minacciano di nuove, si ritrova uno stile di scrittura che fa spesso riferimento a questa antichissima forma comunicazione . Spesso nel leggere questi documenti più che ad una rivendicazione terrorista si ha l’impressione di trovarsi davanti ad una profezia millenaristica sulla fine del mondo.

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4 LA SOCIOLOGIA VISUALE

L’esperimento con il Test Visuale Simbolico è un tentativo di applicazione di quella che viene definita sociologia Visuale, una tecnica di ricerca sociale che, nella definizione data da Patrizia Faccioli19, una delle maggiori esperte italiane di questa branca di studio, è insieme una metodologia (o per meglio dire un approccio conoscitivo) fondata sulle potenzialità che derivano dalle caratteristiche delle immagini, e una disciplina autonoma che ha come peculiare campo di studio le pratiche sociali della vita quotidiana legate alla comunicazione per immagini. Una disciplina relativamente nuova per il nostro Paese, visto che se ne parla solo da una ventina d’anni, ma assai più strutturata nei paesi di cultura anglosassone.20

Per dirla con in grande sociologo visuale John Grady “il primato della vista nel processo di conoscenza del mondo si traduce nel fatto che le persone, i gruppi, le istituzioni, le culture e persino le nazioni comunicano tra loro in prima istanza per mezzo di messaggi visuali siano essi intenzionali o meno”.21

Si può quindi sostenere che la sociologia visuale, quasi in un rapporto biunivoco, si fonda sulla dimensione visuale del mondo che allo stesso tempo è soggetto di analisi di questa particolare branca di studio.Utilizzare la sociologia visuale come strumento di approfondimento delle diversità etno-culturali è una strada quasi obbligata in particolare per universi sociali come quello afgano, caratterizzati da un altissimo livello di analfabetismo e da una profonda labilità dei confini etnici. Proseguendo nel ragionamento, così come formulato da Faccioli, la scelta di ricorrere ad una tecnica di indagine basata sulle immagini porterà all’indubbio vantaggio di poter superare le barriere difensive che ognuno di noi naturalmente oppone ad un indagine troppo approfondita e invasiva delle proprie percezioni e opinioni.22

Ma l’obbiettivo del nostro esperimento di analisi non è quello di tentare un’introspezione psicologica del soggetto testato ma di indagare la mappa simbolica generale che caratterizza un intero gruppo sociale o una comunità. Più che di un indagine qualitativa in profondità su un soggetto. l’obbiettivo del TVS è quello di ottenere informazioni quantitative quanto più possibile generali su una platea di soggetti la più vasta possibile. Visto che gli individui non sono delle monadi isolate, bisogna capire quale sia il fattor comune simbolico che li accomuna, come le strutture sociali, le influenze culturali le comuni percezioni del mondo di

19 Cfr Nuovo manuale di sociologia visuale, di Faccioli, Lo Sacco pagina 31

20 La sociologia visuale è quell’area della sociologia che si occupa della dimensione visuale della vita soicale. Di questa subdisciplina si occupa l’ International Visual Sociology Association (IVSA), editrice della rivista Visual Studies.

Molto legata ai campi di interesse di studi dei suoi fondatori, la sociologia visuale tende ad impegnarsi soprattutto nello studio della fotografia e nella realizzazione e studio di documentari sempre in campo sociologico. Resta il fatto che – almeno da un punto di vista teoretico – la sociologia si occupa dello studio di ogni forma di materiale visuale e di universi sociali connessi con l’immagine utilizzando per farlo ogni tipo di materiale visuale in qualunque forma metodologica.

21 Psychovisuals A handbook of theory and visual analysis for photographers Jophn Grady - Pearson custom- 2002

22 “E quanto avviene nell’intervista con la foto stimolo che funziona più di una domanda espressa solo verbalmente come i sociologi visuali hanno scoperto ormai da tempo. Davanti ad un immagine l’interpretazione è sempre soggettiva, ma nella situazione di un intervista in profondità lo scopo del ricercatore è proprio quello di cogliere quella soggettività che si manifesta spontaneamente ed emotivamente davanti ad uno stimoli visivo” cfr Faccioli, Lo sacco- Nuovo manuale di sociologia visuale. Pag 211-212

Riferimenti

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