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LIVE IN FRAGMENTS NO LONGER: INFORMAZIONE IN RETE E RICONQUISTA DELLA COMPLESSITÀ

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Academic year: 2021

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«Live in fragments no longer», esorta un celebre passo dello scrittore E.M. Forster nel 1910. Una esortazione at-tualissima, se applicata all’apparente dispersione e frammentarietà dell’informazione in rete. Negli ultimi mesi si moltiplicano però gli strumenti nati proprio per rispondere a questa esigenza: “aggregatori narrativi”, in grado di riconfigurare dinamicamente contenuti com-plessi attorno a fili narrativi forti.

LIVE IN FRAGMENTS NO LONGER: INFORMAZIONE

IN RETE E RICONQUISTA DELLA COMPLESSITÀ

Gino Roncaglia

roncagl@unitus.it

Università della Tuscia, Dipartimento di istituzioni linguistico-letterarie,

comunicazionali e storico-giuridiche dell’Europa

«Only connect! That was the whole of her sermon. Only connect the prose and the passion and both will be exalted, and human love will be seen at its height. Live in fragments no longer». Questa esortazione apre un famoso romanzo, Casa Howard di Edward Morgan Forster, e si applica perfettamente ad alcune fra le più inte-ressanti tendenze del nuovo web.

Sappiamo bene che l’idea della costruzione di una ragnatela di informazioni interconnesse rappresenta l’es-senza stessa del World Wide Web e si riallaccia direttamente alle visioni pionieristiche di autori come Vannevar Bush [1] o Ted Nelson [2,3]. Dobbiamo però riconoscere che il modo in cui questa idea è stata finora realizzata (principalmente attraverso l’uso di link all’interno di pagine HTML) non è sempre ottimale. I link ipertestuali del web non sono di norma tipizzati e quindi non è possibile differenziare in maniera semplice e immediata link che hanno natura diversa, ad esempio: le note storico-interpretative e quelle filologiche nel caso dell’edizione di un testo, i link interni ed esterni a una pagina o a un sito (non a caso per permettere di identificare quelli verso l’esterno si usa spesso, come fa anche Wikipedia, un’apposita icona aggiuntiva) e quelli con specifiche tipologie di contenuti multimediali. Il meccanismo dei link tradizionali è poi unidirezionale: sul web, un collegamento iper-testuale può puntare a una sola risorsa e per raggruppare “cluster” di risorse occorre utilizzare altri strumenti (ad esempio tag o dei più tradizionali indici). Inoltre, non è semplice, o in alcuni casi impossibile, collegare attraverso link informazioni che non siano contenute in pagine web come due messaggi di posta elettronica. Ancor più complesso è costruire legami fra contenuti non testuali, come brani video o musicali, o loro sezioni.

Il web, insomma, nasce come un enorme sforzo di interconnessione delle informazioni che si basa soprattutto sull’uso di un singolo strumento: il link ipertestuale nella sua “incarnazione” HTML. Strumento potentissimo, ma tutt’altro che universalmente efficace.

Una delle conseguenze di questa situazione è la forte frammentazione dei contenuti informativi disponibili in rete in forme diverse da quella dei tradizionali siti web. Dai messaggi di posta elettronica ai tweet, dai contenuti distribuiti attraverso i social network a quelli diffusi attraverso le reti peer-to-peer, dalle immagini ai brani audio e ai filmati, la rete è popolata da informazione che in molti casi nasce e rimane frammentata. Questa dispersione di contenuto è uno dei fattori più frequentemente criticati della rete ed è uno dei motivi per cui Nicholas Carr e molti suoi colleghi sostengono che «Internet ci rende stupidi» [4]. Anche per questo la forma-libro tradizionale – basata sulla forza della strutturazione lineare e narrativa dei contenuti – rimane in molti casi, nonostante la sfida della rete, quella più efficace per esprimere e trasmettere contenuti informativi complessi e organizzati.

Le cose, però, sembrano destinate a cambiare. Proprio mentre le critiche alla frammentazione dell’informa-zione on-line si moltiplicano, la tendenza in rete è in realtà quella, di segno esattamente opposto, legata allo sviluppo di strumenti orientati alla costruzione di contenuti complessi e articolati. Così, ad esempio, proprio lo strumento apparentemente più segnato dalla frammentazione, Twitter (i cui messaggi non possono superare i

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140 caratteri), ha sviluppato una serie di convenzioni, che permettono di collegare efficacemente fra loro i messaggi (in primo luogo le etichette tematiche o hashtag), e una serie di strumenti (i programmi aggrega-tori), che permettono di riceverli in maniera organizzata. In questo senso si muovono anche altre innovazioni come la “timeline” recentemente introdotta da Facebook [5], che rafforza ed evidenzia, attorno agli aggior-namenti di stato e all’immissione di nuovi contenuti, il filo narrativo “forte” rappresentato dalla cronologia. Nella stessa direzione sembra andare anche la moltiplicazione di siti centrati su una sorta di “aggregazione narrativa” dei contenuti, il cui esempio più rappresentativo è forse Storify [6]. Questi strumenti sono spesso basati sul recupero e sul riuso di contenuti dispersi, collegati fra loro attraverso l’uso di mash-up ed embed-ding: un riuso che può essere visto, seguendo la lezione di Bolter [7], come una forma di (ri)mediazione in-formativa, come una costruzione di nuovi sensi legati alla costruzione di narrazioni complesse – spesso sociali – a partire da mattoni informativi semplici.

Se questa nuova aggregazione narrativa sembra partire dalla dispersione per tornare in qualche modo alla linearità tradizionale, il suo carattere dinamico e spesso interattivo (basti pensare a Twitter) è profondamente innovativo e sembra indicare allo stesso web una strada da seguire: quella della riconfigurazione interattiva dei contenuti attorno all’utente, basata sulla costruzione di fili narrativi che rendano gestibile e assimilabile la com-plessità. Il successo del progetto Linked Data [8], che rappresenta l’evoluzione più recente dell’idea di semantic web, dipenderà in larga parte dalla sua capacità di mettersi efficacemente al servizio di questa esigenza. Quelli che abbiamo chiamato “aggregatori narrativi” sono insomma solo il primo passo di un lavoro non facile ma non eludibile di riconquista della complessità. Un lavoro che lo slogan di Forster riassume benissimo.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

[1] Bush, V. (1945). As We May Think. The Atlantic Monthly 176(1), 101-108. http://www.theatlantic.com/ doc/194507/bush.

[2] Nelson, T.H. (1991). As We Will Think, in From Memex to hypertext. Vannevar Bush and the mind’s machine, Academic Press, 245-260.

[3] Nelson, T.H. (1992). Literary machines 90.1: il progetto Xanadu, Muzzio.

[4] Carr, N. (2011).Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello, Raffaello Cortina. [5] http://www.memolane.com.

[6] http://www.storify.com.

[7] Bolter, J.D., Grusin, R. (2000). Remediation: Understanding New Media, The MIT Press.

Heath, T., Bizer, C. (2011). Linked Data: Evolving the Web into a Global Data Space. Morgan & Claypool. [8] http://linkeddata.org/.

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