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Relazione tra consapevolezza emotiva e somatizzazione in bambini di scuola primaria

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

_____________________________________________________________________________________________________

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PSICOLOGIA

CLINICA E DELLA SALUTE

Relazione tra consapevolezza emotiva e somatizzazione

in bambini di scuola primaria

RELATORE

Prof.ssa Antonella Ciaramella

CANDIDATA

Martina Mangiameli

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ABSTRACT:

La consapevolezza emotiva viene definita come la capacità di riconoscere e descrivere le emozioni proprie e altrui (Lane, 1987). Tale capacità segue un modello gerarchico di sviluppo basato su cinque livelli di consapevolezza, ogni livello riflette le variazioni nel grado di differenziazione e integrazione dell’esperienza emozionale, valutando la capacità di descrivere ed esprimere le emozioni sia proprie che altrui.

La consapevolezza emotiva sembra essere strettamente correlata con la Teoria della Mente (ToM); si ritiene che il costrutto della ToM sia costituito da due sotto componenti: una ToM cognitiva per indicare la capacità di comprensione delle intenzioni e delle opinioni altrui e una ToM affettiva per indicare la capacità di inferire gli stati interni emotivi-affettivi, quali emozioni e sentimenti propri e altrui (Wellman, 2002; Sempio e Marchetti, 2011; Gavazzani, Ornaghi & Antoniotti, 2011). Possedere elevati livelli di consapevolezza emotiva e una ToM adeguatamente sviluppata sia per l’aspetto cognitivo che per quello affettivo, significa possedere maggiori abilità di discriminare e descrivere le emozioni proprie e gli stati mentali ed emozionali degli altri. L’interesse degli studiosi si è focalizzato in primo luogo su come la consapevolezza emotiva si sviluppi nell’arco di vita, ma negli ultimi anni la ricerca si è focalizzata sulla possibile relazione tra i livelli di consapevolezza emotiva e la presenza di sintomi somatici nei bambini.

La presente ricerca ha avuto quindi l’obiettivo di indagare la relazione tra consapevolezza emotiva e la presenza di somatizzazione e dolore, all’interno di un campione di 474 bambini di scuola primaria, tra i 7 ed i 10 anni. Lo studio ha inoltre preso in considerazione in che misura variabili quali l’età, le capacità linguistiche e le capacità di riconoscimento delle emozioni possano influenzare sia il livello di consapevolezza emotiva sia la presenza di somatizzazione. Per la valutazione della consapevolezza emotiva è stata usata The Levels of Emotional Awareness Scale for children (LEAS-C; Bajgarn et al., 2005). La somatizzazione e l’eventuale presenza di dolore sono state indagate tramite il questionario self-report Children Somatization Inventory - Child Version (CSI; Walker, Garber & Greene, 1991). Per valutare il riconoscimento delle emozioni primarie e secondarie sono state mostrate ai bambini delle immagini delle espressioni facciali delle emozioni (Feelings and facial expressions). La valutazione delle abilità linguistiche è stata effettuata tramite il sub-test dell’espressione verbale dell’Illinois Test of Psycholinguistic Abilities (I.T.P.A; Kirk, 2001).

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I risultati ottenuti sembrerebbero suggerire che i bambini che presentano maggiori livelli di consapevolezza emotiva del proprio Sé riportano una minore presenza di somatizzazioni e di dolore alla schiena, alla testa e ai muscoli. Questi risultati confermano la possibile relazione tra livello di consapevolezza emotiva del Sè e la presenza di manifestazioni somatiche e dolorose. Dall’analisi di correlazione è emerso anche che il linguaggio correla, in maniera significativa, con il punteggio ottenuto alle sotto scale Sè e Totale della LEAS-C.

Parole Chiave: Consapevolezza emotiva, Teoria della Mente, Somatizzazione, Dolore,

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INDICE

PARTE 1: Revisione della Letteratura ... 3

1. La Consapevolezza Emotiva e la relazione con le somatizzazioni ... 3

1.1 Cos’è la Consapevolezza Emotiva ... 3

1.1.1 Il Modello teorico Levels of Emotional Awareness (LEA) di Lane e Schwartz ... 4

1.1.2 La Consapevolezza Emotiva in psicoterapia ... 7

1.2 Lo sviluppo della Consapevolezza Emotiva ... 8

1.2.1 La comprensione delle emozioni ... 8

1.2.2 Le differenze individuali della Consapevolezza Emotiva negli adulti ... 14

1.3 La Consapevolezza Emotiva in età evolutiva ... 16

1.4 Come si valuta la Consapevolezza Emotiva ... 20

1.5 La relazione tra Consapevolezza Emotiva e Alessitimia ... 22

1.6 La relazione tra Consapevolezza Emotiva e Somatizzazioni ... 28

1.6.1 Breve excursus dell’evoluzione del concetto di somatizzazione: dal DSM III al DSM 5 ... 28

1.6.2 I sintomi somatici e la Consapevolezza Emotiva in infanzia ... 34

2. La Teoria della Mente e le sue applicazioni ... 41

2.1 Cos’è la Teoria della Mente ... 41

2.2 Le prospettive teoriche ... 42

2.2.1 Teoriche Classiche ... 42

2.2.2 Teorie Contestuali ... 44

2.2.3 Lo sviluppo della teoria della mente: quando ... 46

2.3 La Teoria della Mente e le Applicazioni cliniche ... 51

2.3.1 La Teoria della mente in Psicosomatica ... 51

2.4 Come si misura la Teoria della Mente ... 53

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PARTE 2: Ricerca Sperimentale ... 58

1. Metodologia ... 58

1.1 Obiettivi della ricerca ... 58

1.2 Metodi ... 59

1.2.1 Il Campione ... 59

1.2.2 Gli strumenti di indagine ... 59

1.2.3 Le Procedure ... 63

2. Risultati della ricerca ... 65

2.1 Analisi descrittive del campione totale ... 65

2.2 Analisi descrittive del campione diviso per gruppi ... 66

2.3 Risultati dell’Analisi della Varianza Univariata (ANOVA) ... 72

2.4 Le Correlazioni tra consapevolezza emotiva, somatizzazione, dolore e capacità linguistiche ... 75

DISCUSSIONE ... 81

CONCLUSIONI ... 85

RINGRAZIAMENTI ... 87

APPENDICE ... 88

BIBLIOGRAFIA ... 96

SITOGRAFIA ... 112

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PARTE 1: Revisione della Letteratura

1. La Consapevolezza Emotiva e la relazione con le somatizzazioni

1.1 Cos’è la Consapevolezza Emotiva

La consapevolezza emotiva è stata definita come l’abilità di identificare, etichettare e descrivere le singole emozioni (Ciarrocchi et al, 2008, 2011).

Si tratta di una competenza primaria, fondamentale ai fini di un adeguato sviluppo psicologico, emozionale e sociale dei soggetti. Tale capacità è stata studiata nel tempo con diversi nomi, ad esempio come “percezione emotiva” (Ciarrochi, Chan, & Bajgar, 2001) o come “abilità di identificazione delle emozioni” (Ciarrochi et al, 2008); tuttavia, ad oggi viene riconosciuta semplicemente come “consapevolezza emotiva” ed inserita tra le Specific-Ability, ossia le competenze fondamentali per lo sviluppo dell’Intelligenza Emotiva, intesa come “ la capacità di riconoscere le emozioni proprie e altrui, in modo da poter organizzare di conseguenza la propria vita e le proprie relazioni, regolando adeguatamente le proprie espressioni emotive” (Davey, 2005; Mancini, 2011).

Questo costrutto, afferma Mancini (2011), indica la capacità dei soggetti di etichettare in maniera corretta le proprie emozioni, ponendo attenzione alle variazioni, specialmente a livello fisiologico, che queste ultime comportano e riuscendo anche a comprendere la natura e le cause che le hanno scatenate.

L’elaborazione e la comprensione delle emozioni sono abilità necessarie per costruire e mantenere delle relazioni sociali soddisfacenti, poiché ci guidano nel quotidiano. Damasio nei suoi studi sulle emozioni (1994) ha riconosciuto il valore della consapevolezza emotiva, che permette ai soggetti di elaborare le informazioni emozionali e di integrarle con i processi cognitivi, fornendo la flessibilità necessaria per affrontare situazioni emotivamente cariche. Lo studioso riscontrò nei pazienti con lesioni fronto-temporali, la presenza di una compromessa abilità di esperire, capire, esprimere e usare correttamente le emozioni. Questi pazienti presentavano deficit a livello dei processi di decision making, pur mantenendo un quoziente intellettivo nella norma, ma la disfunzione al livello emozionale provocava l’emergere nei pazienti di stati somatici, disturbi di tipo internalizzanti e psicosomatici.

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Le ricerche effettuate negli anni hanno confermato il fatto che la consapevolezza emotiva sia di primaria importanza per un buon adattamento all’interno della nostra società (Murphy & Zajonc, 1993; Lane et al., 1987, 1999, 2000).

Lane e Schwartz (1987) definirono la consapevolezza emotiva come “la capacità di riconoscere e descrivere le emozioni proprie e altrui”; gli studiosi ipotizzarono che essere coscientemente consapevole delle emozioni, potrebbe essere un indicatore di maggior grado di empatia, maggiore capacità di descrivere i propri stati mentali ed emotivi, abilità che permetterebbero ai soggetti di essere flessibili e di reagire e rispondere alle diverse situazioni sociali in maniera diversa in base al contesto.

Dall’altra parte, come si vedrà all’interno del capitolo, una scarsa consapevolezza emotiva, ovvero un’elaborazione inconscia delle emozioni, potrebbe essere un fattore di rischio per lo sviluppo di psicopatologie (Subic-Wrana et al, 2014).

1.1.1 Il Modello teorico Levels of Emotional Awareness (LEA) di Lane e Schwartz

La Teoria di Lane e Schwartz (1987) offre una prospettiva cognitivo-evolutiva completamente nuova per quel che riguarda la modalità di organizzazione dell’esperienza emozionale, focalizzandosi sulla struttura e sulla complessità delle rappresentazioni emotive. Secondo gli autori di questo modello, le differenze individuali nella consapevolezza emotiva riflettono variazioni nel grado di differenziazione e integrazione degli schemi utilizzati per elaborare l’esperienza emozionale, sia che queste informazioni provengano dal mondo esterno sotto forma di dati sensoriali sia dal mondo interiore, come un’eccitazione emotiva (Lane et al, 2000).

Lane e Schwartz (1990) hanno proposto un modello strutturato gerarchicamente con cinque livelli di consapevolezza emotiva, i quali si sviluppano in modo simile al processo di maturazione cognitiva studiato da Piaget.

Gli autori caratterizzano ogni livello del modello nei termini della consapevolezza della propria esperienza emotiva, della consapevolezza dell'altro e della capacità di descrivere ed esprimere le emozioni. Tutti i livelli sono ben differenziati e connessi tra di loro, poiché ciascun livello integra il precedente e acquista nuove funzioni e maggior consapevolezza (Lane et al., 1987; Barchard et al., 2010).

I cinque livello sono:

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2. tendenze all’azione (action tendencies) 3. singole emozioni (single emotions) 4. miscele di emozioni (blends of emotions)

5. combinazione di miscele emotive (combinations of blends).

Livello 1: Consapevolezza delle sensazioni corporee (sensomotorio riflessivo)

Un soggetto che si trova a questo livello sperimenta uno stato di attivazione (arousal) che coinvolge la persona nella sua interezza e riguarda esclusivamente le sensazioni a livello corporeo. La consapevolezza delle emozioni di altre persone è minima o inesistente. Davanti alla richiesta esprimere i propri sentimenti, i soggetti che si trovano a questo livello non riportano nessun sentimento o al massimo esprimono ciò che provano attraverso una sensazione fisica, come ad esempio “sentire un formicolio”; ed inoltre comunicano le loro emozioni al mondo esterno attraverso l'espressione facciale.

Livello 2: La consapevolezza del corpo in azione (sensomotorio inattivo)

L'emozione, in questo livello, viene vissuta come una tendenza all’azione e/o eccitazione, ma il soggetto non è ancora in grado di sperimentare l'emozione come uno stato di sensibilità cosciente. Questa tendenza all'azione è determinata da uno stato di piacere che tende ad essere massimizzato e prolungato, cercando, dall’altro lato, di ridurre al minimo il sentimento di angoscia. L'individuo descrive lo stato globale di piacere con un semplice "mi sento bene", mentre la tendenza all’azione può essere vissuta come “vorrei colpire la parete”. Un individuo che si trova a questo livello può essere riconosciuto attraverso l’osservazione del comportamento motorio (volontario e non) che viene messo in atto per esternare la propria esperienza emozionale. La consapevolezza dell'altro, come un essere separato, è ancora minima a questo livello.

Livello 3: La consapevolezza dei sentimenti individuali (pre-operatorio)

In questo livello si manifesta un cambiamento rispetto alla qualità dell’emozione, che diventa sia un’esperienza psicologica sia somatica.

La molteplicità di emozioni esperite è ancora limitata, come anche la capacità di elaborazione delle informazioni emozionali comunicate al mondo esterno.

Gli stati emozionali vengono descritti tramite l’utilizzo delle emozioni primarie, ad esempio "sono felice" o "mi sento triste". I soggetti che si trovano in questo livello di consapevolezza, percepiscono le persone come diverse sulla base di caratteristiche

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fisiche, come l'altezza, la razza e il genere, piuttosto che le caratteristiche interne quali i sentimenti, i valori e le credenze.

Livello 4: La consapevolezza delle miscele di sentimenti (operatorio concreto)

Le persone che raggiungono tale livello di consapevolezza sono in grado di comprendere come le emozioni e le esperienze emozionali possono mutare con il tempo e che è possibile sperimentare due emozioni contemporaneamente, anche se contrastanti; infatti in questo livello il soggetto riesce a descrivere gli stati emozionali più complessi, poiché allo stesso tempo riesce a differenziarli, affermando frasi come “Mi sento triste, ma in colpa allo stesso tempo”, oppure ancora “sono in collera con lui, ma gli voglio bene”.

La consapevolezza emotiva degli altri non è totalmente riconosciuta in maniera differenziata come invece è per la propria esperienza emozionale, tuttavia questi soggetti riescono a descrivere gli altri come diversi da loro, sia sulla base delle caratteristiche puramente fisiche ed esteriori sia per le caratteristiche interiori.

Livello 5: consapevolezza di miscele di miscele di sentimento (operatorio formale)

Il passo in avanti che avviene a tale livello è principalmente l’acquisizione di una maggiore capacità di differenziare ed integrare l’esperienza emozionale degli altri, pur mantenendola e riconoscendola come diversa rispetto alla propria consapevolezza emotiva. Una possibile frase rappresentativa del grado di consapevolezza di questo livello potrebbe essere “Mi piacerebbe vincere il premio, ma se dovesse vincerlo il mio amico, io sarei felice per lui”.

I soggetti riescono a distinguere anche le diverse e sottili sfumature di un’emozione e a provare un mix di sentimenti di varia natura, completamente nuovi.

I cinque livelli della consapevolezza emotiva possono essere a loro volta suddivisi in livelli impliciti, o di consapevolezza emotiva preconscia, e in livelli di consapevolezza dell’esperienza emotiva esplicita, che indicano la capacità di riconoscere ed esprimere verbalmente i propri stati interiori (Subic-Wrana et al, 2014).

L'elaborazione delle emozioni avviene in maniera implicita nei primi due livelli; lo stato di arousal globale del primo livello e la tendenza all’azione del secondo avvengono in maniera automatica e quindi non richiedono un tipo di elaborazione cosciente, ma tutto rimane ad un livello implicito. I livelli 3, 4 e 5 sono costituiti da esperienze emozionali

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coscienti, caratterizzate da diversi livelli di complessità e per definizione sono espliciti. (Lane, 2008).

È stato già detto che tutti i livelli sono connessi ed organizzati in maniera concentrica (Figura 1). Per fare un esempio all’interno del livello 4 della miscela di emozioni ci sarà una maggiore differenziazione dell’emozione rispetto alla consapevolezza emotiva del livello 3 o alla sensazione fisica dei livelli 2 e 1, come affermano Lane e Schwartz (1987).

Lane (2008) sostiene la visione della consapevolezza emotiva come un tratto che viene stabilito in base al livello di consapevolezza esperienziale in cui un soggetto si trova e all’interno del quale potrebbe essere inquadrato.

Figura 1 - Relazione gerarchica tra i cinque livelli di consapevolezza emotiva.

1.1.2 La Consapevolezza Emotiva in psicoterapia

Dopo aver descritto i diversi livelli del modello LEA di Lane si potrebbe arrivare alla conclusione di quanto sia importante e significativo il possesso di una consapevolezza emotiva ad un livello esplicito per il proprio benessere e per le relazioni interpersonali. Molte volte i disturbi nell’elaborazione dell’esperienza emotiva spingono i soggetti a chiedere un supporto psicologico, confermando l’importanza del ruolo che hanno le emozioni all’interno di un trattamento terapeutico.

Greenberg e Pascual-Leone (2006) affermano che “Il primo e più generale obiettivo del lavoro con le emozioni in terapia è la promozione della consapevolezza emotiva. L'obiettivo è che i pazienti diventino consapevoli delle loro emozioni primarie e, in ultima analisi, delle loro emozioni primarie adattative. Le emozioni primarie sono le reazioni più fondamentali, dirette e iniziali di una persona, ad esempio, essere triste per

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un lutto. Una maggiore <<sensibilizzazione emotiva>> è terapeutica in vari modi. Diventare consapevoli e simbolizzare l'esperienza emotiva di base attraverso le parole, permette l'accesso sia alle informazioni adattative che alla tendenza all'azione nell'emozione. La consapevolezza implica l'avvicinarsi e l'accettazione delle emozioni”. Gli studiosi sostengono quindi l’importanza che il lavoro del terapeuta ha nell’aiutare il paziente ad accettare il vissuto emotivo, senza doverlo evitare, ma piuttosto cercando di capire il valore di quell’emozione esperita e le informazioni che contiene per il paziente. Gli stessi autori del modello LEA hanno studiato l’applicazione della consapevolezza emotiva all’interno di un intervento terapeutico di stampo cognitivo-comportamentale, in cui le tecniche da utilizzare venivano selezionate in base al livello individuale di consapevolezza emotiva. Ad esempio, per i pazienti appartenenti al primo livello era adatto l’uso del rilassamento muscolare e della terapia farmacologica; per i pazienti del secondo livello era più utile applicare interventi e tecniche di tipo comportamentale; la terapia cognitivo-comportamentale era utilizzata a partire dal terzo livello, mentre le terapie dette “insight-oriented” sarebbero più adeguate ai livelli 4 e 5, dato che l’obiettivo di tali terapie consiste nell’accrescere la propria consapevolezza di stati interiori quali: bisogni, desideri, sentimenti e valori (Lane & Schwartz, 1992).

Gli ultimi decenni hanno portato anche nel mondo occidentale l’uso di interventi psicologici basati sulla consapevolezza, in particolare si potrebbero citare le tecniche Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR) (Kabat-Zinn, 1982) e Mindfulness Based Cognitive Therapy (MBCT) (Segal, Williams & Teasdale, 2002). È tramite l’incremento della capacità di comprendere le proprie ed altrui emozioni e di differenziare le diverse esperienze emozionali, che le tecniche terapeutiche risulteranno più efficaci e aiuteranno in maggior misura il paziente ad accettare i propri stati emozionali (Phillipot et al., 2009).

1.2 Lo sviluppo della Consapevolezza Emotiva

1.2.1 La comprensione delle emozioni

Negli ultimi vent’anni la psicologia dello sviluppo ha dimostrato quanto sia importante la capacità di comprendere le emozioni nei bambini tra i 18 mesi e 12 anni. Gli studiosi hanno visto come la comprensione della natura, delle cause e anche la possibilità di

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controllare le emozioni sia un aspetto fondamentale dello sviluppo del bambino (Harris, 2000; Pons, Harris, & Rosnay, 2000).

Gli studiosi si sono focalizzati, seppur con orientamenti diversi, sullo sviluppo graduale della consapevolezza emotiva, poiché come afferma Harris “comprendere le emozioni proprie e altrui vuol dire dare un significato a eventi interni, o stati mentali di natura emotivo-affettiva e sviluppare o costruire una concezione della <<mente emotiva>> che ha la funzione di orientare le azioni dell’individuo durante gli scambi sociali” (Harris, 1989).

Da questa premessa si può capire come l’acquisizione di tale capacità sia una competenza complessa, che nel tempo è stata studiata attraverso paradigmi sperimentali all’interno del concetto della “teoria della mente emotiva” (Saarni & Harris, 1989). Saarni e Harris (1989) affermano che la comprensione delle emozioni implichi la comprensione della natura delle emozioni, delle cause che le hanno scatenate e anche la possibilità di gestirle adeguatamente. Tale consapevolezza si sviluppa seguendo delle tappe evolutive precise e organizzate in maniera gerarchica; sulla base di questo è stato teorizzato da Pons un modello della comprensione delle emozioni composto da nove componenti o livelli (Pons et al, 2004).

Verranno di seguito descritte brevemente le tappe principali che caratterizzano ciascuna delle nove componenti della comprensione delle emozioni.

Componente I – Riconoscimento (Recognition)

A partire dai 2/3 anni di età i bambini cominciano ad essere in grado di riconoscere e nominare le emozioni attraverso i segnali espressivi del volto. Ad esempio, la maggior parte dei bambini a questa età è capace di riconoscere e nominare le emozioni primarie, come felicità, rabbia, paura, sulla base delle espressioni facciali presentate attraverso delle immagini (Cutting & Dunn, 1999; Denham, 1986). Gli studi hanno affermato che il riconoscimento delle emozioni avviene attraverso l’elaborazione di segnali percettivi particolarmente salienti, motivo per cui i bambini riconoscono più facilmente e più precocemente emozioni positive, come la felicità, attraverso segnali visivi provenienti dall’espressione della bocca; invece, emozioni a valenza negativa, come rabbia o paura, vengono riconosciute solo in seguito a un’elaborazione dei segnali percettivi a livello della zona degli occhi (Denham & Couchoud, 1990; Cunnigham & Odom, 1986).

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All’età di 3 /4 anni circa, i bambini cominciano a comprendere come le cause esterne influenzino le emozioni proprie e degli altri bambini. Per esempio, possono anticipare che un bambino che perde il suo giocattolo preferito proverà tristezza, oppure la felicità esperita da un bambino che riceve un regalo (Harris, Olthof & Terwogt, 1987).

Gli studi sperimentali effettuati hanno avuto lo scopo di valutare la capacità del bambino di riconoscere le cause esterne delle emozioni primarie (felicità, tristezza, rabbia, paura, disgusto) sia riferite a sé stessi che ai genitori e alcuni risultati portano in luce il dato che le cause delle emozioni a valenza negativa, quali tristezza o rabbia, sono spesso confuse e poco comprese dai bambini di 3 o 4 anni (Barone, Galati & Marchetti, 1992; Dunn & Hughes, 1998).

Componente III - Desiderio (Desire)

Dai 3 ai 5 anni i bambini iniziano a comprendere che le reazioni emotive delle persone intorno a lui dipendono dai loro desideri. Possono quindi essere capaci di capire che due persone, pur trovandosi nella stessa situazione, possono esperire un'emozione differente, poiché esse avranno anche desideri differenti (Harris et al, 1989). Di conseguenza a quest’età i bambini attuano dei ragionamenti di corrispondenza tra desiderio/realtà, immaginando che una persona proverà felicità quando sarà in grado di ottenere quello che desidera, mentre nel caso di desideri infranti e non raggiunti, essa proverà tristezza (Harris et al, 1989; Hadwin & Perner, 1991).

Componente VI - Credenza (Belief)

Tra i 4 ei 6 anni i bambini iniziano a comprendere che le credenze di una persona, sia false che vere, saranno poi responsabili della reazione emozionale del soggetto in una determinata situazione (Fonagy, Redfern & Charman, 1997; Hadwin & Perner, 1991). Come vedremo nel secondo capitolo, intorno ai 4 anni i bambini sono in grado di comprendere la falsa credenza (si veda paragrafo 2.2.3); ma la comprensione che le credenze – vere o false – possano provocare delle emozioni, emerge più tardivamente, verso i 6 anni (Harris et al, 1989).

Componente V – Ricordo (Reminder)

Tra i 3 e i 6 anni i bambini sviluppano la capacità di comprendere la relazione tra memoria e emozione. Ad esempio, possono capire che l'intensità di un'emozione si ridimensiona con il tempo e che alcune volte basta un indizio o un elemento che funge

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da “promemoria” di una situazione vissuta per riattivare un’emozione già esperita nel passato (Harris, 1983).

Lagattuta, Wellman e Flavell (1997; 2001) hanno effettuato uno studio che prevedeva il racconto di storie in cui il protagonista si era sentito felice, triste o arrabbiato in seguito ad un particolare evento e aveva provato le stesse emozioni in un secondo momento, dopo la presentazione di un promemoria. Gli autori hanno riscontrato che all’età di 3 anni i bambini erano già in grado di spiegare il motivo per cui il protagonista della storia provasse nuovamente quell’emozione, mettendo in collegamento i sentimenti provati in passato con quelli attuali.

Componente VI – Regolamento (Regolation)

I bambini più grandi iniziano ad utilizzare nuove e diverse strategie per il controllo delle emozioni. Gli studi hanno portato in luce il fatto che i bambini in età prescolare, tra i 6 e i 7 anni, sono soliti mettere in atto strategie comportamentale di tipo fisico, verbale o sociale per regolare e modificare le emozioni (specialmente quelle a valenza negativa), come la rabbia o la tristezza (Eisenberg & Fabes, 1992; Denham, 1996).

Invece i bambini di età superiore agli 8 anni iniziano a riconoscere e a mettere in atto strategie psicologiche, quali ad esempio la negazione, distrazione, che si dimostrano essere più efficaci. A questa età sono in grado di sviluppare e applicare in modo spontaneo e volontario alcune strategie di controllo di tipo mentalistico, soprattutto per regolare le emozioni negative (Denahm, 1998; Terwogt & Stegge, 1995).

Componente VII - Dissimulare (Hiding)

Molto spesso si nota una discrepanza tra l’emozione espressa esteriormente e l’emozione realmente vissuta o esperita in quel particolare momento; i bambini iniziano a capire questa possibile discordanza tra i 4 e i 6 anni (Gardner et al, 1988; (Joshi & MacLean, 1994; Jones, Abbey & Cumberland, 1998).

I bambini più piccoli, di 3 anni, si basano sui segnali percepiti e osservabili per inferire l’emozione degli altri, mentre tra i 4 e i 6 anni essi sono in grado di dedurre l’emozione attraverso segnali, anche non direttamente osservabili, come le intenzioni, i desideri e le motivazioni, motivo per cui già a 6 anni i bambini sono in grado di comprendere ed identificare la dissimulazione (Denahm, 1998).

Lewis e Saarni (1985) hanno studiato come le regole di esibizione sociale delle emozioni siano differenti in base alla propria cultura di origine, ed i bambini imparano a

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comprenderle poiché sono regole necessarie ai fini del loro inserimento socio-culturale. Ad esempio, tra i 5 e i 6 anni i bambini mascherano più facilmente un’emozione, sostituendola o modulando la sua intensità.

Componente VIII – Mix (mixed)

A partire da circa 8 anni, i bambini iniziano a capire che la stessa persona è in grado di avere delle reazioni emotive diverse, molteplici o addirittura anche contraddittorie rispetto ad una determinata situazione (Arsenio & Lover, 1999; Brown & Dunn, 1996). Harter e colleghi (1987) furono tra i primi a sviluppare un modello evolutivo che prevedeva che intorno ai 7 anni di età i bambini cominciano a capire inizialmente che una persona può esperire due emozioni diverse ma della stessa valenza, quindi o tutte positive o tutte negative; successivamente, verso gli 11 anni, sono in grado di capire che possono coesistere anche due emozioni ambivalenti, quindi sia negative che positive, nel vissuto emotivo di una persona, rispetto ad una situazione o un momento particolare (Harter & Buddin, 1987; Harter & Whitesell, 1989). In realtà studi più recenti hanno poi portato in luce il risultato che anche i bambini più piccoli tra i 4 e i 6 anni, comprendono il fatto di provare contemporaneamente due emozioni divergenti, ma a quest’età ancora non sono capaci di esprimerle verbalmente in maniera spontanea, seppur siano capaci di riconoscere e descrivere la conflittualità vissuta (Denahm, 1998; Larsen & Fireman, 2007).

Componente IX – Moralità (Morality)

A circa 8 anni i bambini iniziano a capire che le emozioni negative possono derivare anche dall’aver commesso delle azioni moralmente riprensibili, come aver rubato, mentito e che invece le emozioni a valenza positiva scaturiscano da azioni lodevoli e moralmente eccellenti, come resistere alle tentazioni, fare dei sacrifici o dire la verità (Harter & Whitesell, 1989; Lake et al., 1995).

È stato già descritto all’interno della componente III che per i bambini prescolari il raggiungimento o meno dei propri scopi influenza fortemente il tipo e la valenza dell’emozione provata (Nunner-Winkler & Sodian, 1988).

A tal proposito Nunner e Sodian (1988) hanno indagato la natura delle “emozioni morali” in un campione di bambini tra i 4 e gli 8 anni, ai quali venivano raccontate storie in cui il protagonista trasgrediva le regole o commetteva azioni malvagie per ottenere i suoi obiettivi; gli studiosi hanno riscontrato che i bambini di 4 anni riconoscono nel

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protagonista esclusivamente emozioni a valenza positiva, causate dal raggiungimento del proprio scopo; i bambini di 6 anni riconoscono invece le emozioni a valenza negativa, ad esempio la vergogna o il senso di colpa, mentre i bambini dagli 8 anni in poi, tendono ad attribuire le emozioni in maniera più articolata sulla base delle norme morali, riconoscendo le differenze tra emozioni quali la vergona e il senso di colpa (Ferguson, Stegge & Damhuis, 1991).

Questo risultato è stato poi confermato da ulteriori studi, dai quali si evince che le situazioni morali sono descritte diversamente in base all’età dei bambini: tra i 4 ed i 6 anni i termini utilizzati per le emozioni sono principalmente quelli delle emozioni primarie, mentre i bambini più grandi sono in grado di descriverle utilizzando termini per le emozioni “complesse”, quali il senso di colpa, la vergogna o l’orgoglio (Russel & Paris, 1994).

Nella Tabella 1 sono state schematizzate le nove componenti della comprensione delle emozioni, rifacendosi al modello gerarchico proposto da Pons e colleghi (2004) ed inserite all’interno di tre diverse categorie, ossia la comprensione della natura delle emozioni, delle diverse cause che scatenano i vissuti emozionali e la comprensione delle modalità di regolazione delle emozioni.

Tabella 1. Modello della comprensione delle emozioni (Pons, 2004)

Dopo aver descritto l’importante ruolo che rivestono le emozioni, non solo durante lo sviluppo, ma in tutto l’arco di vita, mettendo in risalto la loro funzione all’interno dei rapporti interpersonali, fin dalla prima infanzia, si potrebbe concludere sottolineando quanto sia fondamentale riuscire a gestire e controllare i propri vissuti emozionali e, a allo stesso tempo, possedere un adeguato livello di consapevolezza emotiva come presupposto di un benessere sia soggettivo sia psicosociale.

Comprensione della

natura delle

emozioni

Comprensione delle cause delle emozioni

Comprensione delle modalità

di regolazione delle emozioni

Emozioni di base (1) Situazioni (2) Gestione / controllo (6)

Emozioni miste (8) Ricordi (5) Dissimulazione (7)

Emozioni morali (9) Desideri (4) Credenze (3)

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1.2.2 Le differenze individuali della Consapevolezza Emotiva negli adulti

Lo studio delle differenze individuali della complessità e della capacità di differenziazione dell’esperienza emotiva negli adulti è stata spesso indagata. La prima differenza che si potrebbe riportare è quella relativa al genere, che ha sempre incuriosito gli studiosi, probabilmente a causa della credenza popolare secondo cui le donne sono maggiormente capaci di esperire e comunicare le loro emozioni rispetto agli uomini; quest’ ultimi, invece, si ritengono capaci di provare più facilmente l’emozione della rabbia rispetto alle donne (Fabes & Martin, 1991).

Sono stati condotti parecchi studi sulla maggiore precisione delle donne nel comprendere i segnali verbali e non verbali delle emozioni, dato che la capacità di decodificare le espressioni facciali dell'emozione è fondamentale per la vita sociale degli uomini, poiché permette di prevedere lo stato emozionale di una persona e di anticiparne le azioni future (Ekman, 1997; Izard, 1994; Bachorowski & Ferna'ndez-Dols, 2003). L’ipotesi che potrebbe spiegare la spiccata abilità femminile nel riconoscimento delle espressioni facciali relative alle emozioni è che questa sia probabilmente dovuta al ruolo evolutivo delle donne come “caretaker”, che permette l’adattamento e lo sviluppo della progenie, tramite un rapporto con i figli basato sull’attaccamento di tipo sicuro, che porta la madre a decodificare in modo più veloce e accurato le espressioni non verbali delle emozioni (Hampson et al, 2006).

Uno tra gli studi effettuati di Barrett e colleghi (2000) conferma in maniera empirica la credenza comune. Lo studio venne effettuato su 7 campioni di uomini e donne, bilanciati per età, cultura, livello scolastico e livello socio-economico. Ai partecipanti venne somministrata la Scala dei livelli di Consapevolezza emotiva (LEAS). La scala si basa sul modello cognitivo-evolutivo LEA, secondo cui la consapevolezza emotiva progredisce in modo simile allo sviluppo cognitivo teorizzato da Piaget. Lo strumento misura la capacità di un soggetto di discriminare il proprio stato emotivo e quello degli altri (paragrafo 2.4).

I risultati riportati dagli studiosi hanno affermato che le donne ottengono livelli superiori di consapevolezza emotiva, rispetto agli uomini (Barrett et al, 2000).

Nandrino e colleghi (2013) hanno effettuato uno studio simile con la popolazione francese, da cui è stato estrapolato un campione di 750 soggetti (506 femmine, 244 maschi), selezionati da tre regioni francesi (Lille, Montpellier, Parigi), a cui è stata somministrata la LEAS, scala che valuta la consapevolezza emotiva (Lane, 1990). Il

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campione è stato suddiviso in cinque gruppi di età e tre livelli di istruzione. I risultati dei punteggi LEAS per “Sé” e l’“Altro” e il punteggio totale hanno mostrato una differenza nel livello di consapevolezza emotiva per i diversi gruppi di età, per genere e livello di istruzione. Un livello di consapevolezza più elevato è stato osservato per i gruppi di età più giovani, dato che potrebbe suggerire che la consapevolezza emotiva potrebbe essere influenzata dal contesto culturale e dagli insegnamenti sociali della generazione. Inoltre, il livello della consapevolezza emotiva era più elevato nelle donne che negli uomini e più basso nei soggetti con meno istruzione. Questo risultato conferma le ipotesi dello studio precedentemente descritto di Barrett e colleghi e potrebbe essere spiegato da un’influenza educativa legata al genere e all'istruzione superiore per cui si rafforza la capacità espressiva.

Lane e colleghi (2000) hanno studiato per primi la reattività automatica del cervello agli stimoli emotivi in funzione della consapevolezza emotiva e dai risultati degli studi di

neuroimaging emerge principalmente l’attivazione delle sub-regioni della corteccia

cingolare anteriore e della corteccia prefrontale mediale. L’autore in particolare afferma che la corteccia prefrontale mediale svolge un ruolo preferenziale nella rappresentazione dello stato mentale di altre persone, implicando l’importanza di queste regioni anche al fine di sviluppare competenze sociali fondamentali per la vita quotidiana.

In un recente studio Lichev e colleghi (2015) hanno sottoposto un campione di 46 soggetti sani, a fMRI, durante la quale venivano presentate delle immagini di volti umani la cui espressione facciale felice, arrabbiata, spaventata e neutrale. Inoltre gli studiosi hanno valutato i livelli di consapevolezza emotiva utilizzando la LEAS. I risultati ottenuti mostravano che i volti felici provocavano l'attivazione di molte regioni del cervello notoriamente coinvolte nell'elaborazione automatica delle emozioni facciali, quindi i lobi inferiori e mediali frontali, superiori temporali e medi occipitali, insula, corteccia somato-sensoriale, regioni cerebellari, gangli della base, il talamo e amigdala (Rauch et al, 1997; Juruena et al., 2010).

Invece le espressioni relative alla paura attivavano solo il gyrus frontale centrale, mentre le facce con espressione arrabbiata non mostravano delle attivazioni diverse rispetto alla visione dei volti neutri.

I livelli di consapevolezza emotiva ottenuti con la LEAS correlavano positivamente con l'attivazione della corteccia primaria somato-sensoriale, lobo parietale inferiore, gyrus anteriore cingolato dorsale, aree frontali e cerebellari centrali, talamo, putamen e amigdala in risposta ad espressioni facciali felici.

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Questo dato, affermano gli autori, suggerisce che un alto livello di consapevolezza emotiva è associato ad un'elevata attivazione dei sistemi subcorticali in risposta a stimoli emotivamente positivi; tra questi sistemi un ruolo fondamentale è rivestito dall’amigdala, notoriamente coinvolta nella valutazione del significato emotivo (Davis & Whalen, 2001; Adolphs, 2010).

1.3 La Consapevolezza Emotiva in età evolutiva

Se negli adulti la consapevolezza emotiva, intesa come la capacità di identificare e descrivere le proprie emozioni e quelle di altre persone, è stata ampiamente studiata, non è possibile affermare lo stesso riguardo ai bambini.

La valutazione della consapevolezza emotiva dei bambini e di come questa si sviluppi, può essere di fondamentale importanza per comprendere al meglio il ruolo che questa competenza riveste al fine dell'adattamento dei bambini al loro ambiente (Eisenberg et al, 2007).

Sono stati quindi indagati i fattori predittivi della consapevolezza emotiva nei bambini ed i risultati ottenuti sono simili a quelli riferiti agli adulti.

Fondamentale è il ruolo svolto dai caregiver, che tramite le loro abilità “riflessive”, ossia l’essere in grado di comprendere gli stati mentali ed emozionali del bambino, permettono la strutturazione della regolazione e della comprensione delle emozioni nel bambino (Fantini-Hauwel et al, 2012). La psicologia dello sviluppo suggerisce che il processo di attaccamento sia un fattore chiave nello sviluppo di abilità di elaborazione delle informazioni emotive, si potrebbe quindi citare a tal proposito la teoria dell’attaccamento di Bowlby (1969, 1982), il quale afferma che le esperienze positive, sviluppate all’interno di un contesto di rapporti di attaccamento con un caregiver primario, sono la base necessaria e fondamentale per la regolazione e la capacità di espressione emotiva (Berlin & Cassidy, 2003; Fonagy et al, 2002). Uno studio di Harris e de Rosnay (2002) ha indagato la relazione che c’è tra un attaccamento di tipo sicuro e la comprensione delle emozioni all’interno di un campione di bambini tra i 3 ed i 6 anni. Gli studiosi hanno somministrato ai bambini sia il Test di ansia da separazione (SAT), sia due test di comprensione delle emozioni, uno inerente al riconoscimento delle emozioni di base e l’altro era un video che mostrava una scena di separazione tra madre e figlio, usato per valutare la comprensione dell’emozione dei protagonisti del video. I

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risultati mostrarono che i bambini con attaccamento sicuro, a differenza degli altri, rispondevano correttamente ad entrambi i test sulla comprensione delle emozioni. Questi risultati suggeriscono l’importanza della sintonizzazione affettiva tra caregiver e bambino al fine di un adeguato sviluppo della consapevolezza emotiva.

Insieme a questo contributo di tipo evolutivo, in letteratura sono state indagate anche le altre differenze individuali, come l’età, il genere e il linguaggio.

Le differenze di età

Per quanto riguarda le differenze di età è evidente che questa influenzi in maniera consistente lo sviluppo della comprensione delle emozioni. I risultati di vari studi riportano come tanto maggiore sia l’età del bambino tanto più accurata sarà la sua capacità di etichettare le proprie emozioni (riuscendo a fornire anche delle spiegazioni abbastanza complesse sulla causa della loro emozioni) ma dimostrano anche una spiccata capacità di comprensione del vissuto emotivo delle altre persone (Carroll & Steward, 1984). I bambini più grandi sono in grado non solo di riconoscere l’emozione, ma anche di comprenderne le dimensioni, ossia l’intensità, la valenza positiva o negativa e riconoscere anche la presenza di ambivalenza o i casi di “dissociazione” tra l’emozione apparente ed emozioni realmente provata e si dimostrano maggiormente abili nel riconoscere anche le emozioni complesse (Rotenberg & Eisenberg, 1997; Denham et al, 1997). Si potrebbe quindi affermare che l’età è risultata essere un significativo predittore della complessità della consapevolezza emotiva dei bambini (Mancini, 2011).

Questi risultati sostengono l’ipotesi che nei bambini la comprensione della multidimensionalità e della complessità delle emozioni aumenti con l’età e con le tappe dello sviluppo cognitivo-emotivo, già descritte nei paragrafi precedenti.

Le differenze di genere

Sono state anche indagate le differenze di genere nello sviluppo e comprensione delle emozioni, seppur le ricerche riportino qualche difficoltà a stabilire il complesso gioco di interazioni dei fattori biologici, interpersonali e socio-culturali (Brody, 1985). Gli studi effettuati avevano l’obiettivo di indagare le differenze nella modalità di condivisione ed espressione delle emozioni ed i risultati riportano in generale che le bambine sono emotivamente più espressive e più accurate nel riconoscere e codificare le espressioni facciali iniziali, rispetto ai maschi (Casey, 1993; Saarni, 1999). Inoltre le

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bambine sembrano essere più abili nel dissimulare, mascherando un’emozione a valenza negativa come la delusione con un’espressione a valenza positiva, mentre i maschi dissimulano mettendo in atto un’espressione neutra (Cole, 1986).

In un recente studio di Mancini e colleghi (2013) sono state indagate le variabili che sono solitamente associate allo sviluppo della consapevolezza emotiva, quindi età, sesso e abilità lessicale, per capire se queste potessero essere considerate delle variabili predittive della consapevolezza emotiva durante l’infanzia. Gli studiosi hanno somministrato la LEAS-C ad un campione di 781 bambini, di età compresa tra i 8 ei 13 anni.

I risultati hanno mostrato che sia il genere sia le competenze verbali sono importanti fattori predittivi della consapevolezza emotiva dei bambini. Le bambine hanno raggiunto un livello di consapevolezza emotiva, sia del Sé che degli altri, maggiore rispetto bambini.

Questi risultati sono coerenti con i dati presenti in letteratura, mostrando un vantaggio delle donne nella consapevolezza emotiva e dimostrando l'importanza del genere per lo sviluppo della consapevolezza emotiva anche durante l'infanzia.

Inoltre, le competenze verbali (misurate sia dalla produttività verbale che dal livello scolastico) hanno significativamente predetto la consapevolezza emotiva, sia del “Sé” che dell’“Altro”, in base ai punteggi ottenuti dalla somministrazione della LEAS-C. Questo risultato è coerente con i dati che evidenziano una forte associazione tra la competenza linguistica e la competenza emotiva durante l’infanzia; ad esempio Beck e colleghi (2012) avevano già rilevato che un livello di consapevolezza emotiva elevato potesse essere previsto sulla base della complessità delle competenze linguistiche, trovando quindi un’associazione tra la ricchezza del vocabolario e la consapevolezza delle emozioni più complesse (Cutting & Dunn, 1999; Harris & Rosnay, 2002;(Beck et al, 2012).

Tuttavia, afferma Mancini, questo risultato potrebbe anche essere dovuto alla natura dello strumento LEAS-C, che richiede ai bambini di rispondere verbalmente per iscritto, mentre studi precedenti hanno dimostrato che la consapevolezza emotiva era correlata anche alle abilità non verbali, mostrando che sia le capacità cognitive e sia il riconoscimento delle emozioni erano anche importanti variabili nella predizione della consapevolezza degli stati emozionali di sé e degli altri, confermando l'ipotesi di Lane che la complessità della comprensione emotiva aumenterebbe con abilità cognitive (Bajgar et al, 2005; Veriman et al, 2011).

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L’influenza del linguaggio sulla consapevolezza emotiva

Numerosi studi effettuati con i bambini hanno preso spesso in considerazione l’influenza che le conoscenze linguistiche hanno sulla capacità di esprimere e comunicare le proprie emozioni.

Secondo la letteratura degli ultimi decenni la capacità di comprendere le emozioni varia nei bambini in base alle tappe dello sviluppo, per cui gli studiosi hanno studiato con interesse le differenze individuali nella comprensione emotiva dei bambini.

Gli studi riportano che prima dello sviluppo del linguaggio, i neonati distinguono solo fra espressioni piacevoli, spiacevoli e neutrali (Bornstein & Arterberry, 2003; Widen, 2013). Tuttavia, quando i bambini, verso i 2/3 anni, acquistano una maggiore padronanza del linguaggio parlato, usano frequentemente parole per “tristezza”, “rabbia” e “paura” nel discorso, dimostrando una maggiore raffinatezza nel distinguere e identificare le diverse espressioni a valenza positiva o negativa, anche se hanno ancora difficoltà nel classificare le diverse sfumature di emozioni, soprattutto quelle negative. Sarà solo verso i 7 anni che i bambini saranno in grado di classificare la maggior parte delle espressioni facciali, mostrando difficoltà in misura maggiore per quella del “disgusto” (Widen, 2013). Questi dati di letteratura suggeriscono che quando i bambini acquisiscono le parole per le emozioni, ci sia un chiaro miglioramento nella lor capacità di comprenderle e quindi come linguaggio e la consapevolezza emotiva seguano le tappe dello sviluppo evolutivo del bambino.

A tal proposito Pons e colleghi (2004) hanno studiato su un campione di 80 bambini, tra i 4 e gli 11 anni, sia il livello dello sviluppo del linguaggio nelle sue diverse componenti, sia la relazione tra abilità linguistiche e differenze individuali nella comprensione delle emozioni. I risultati riportati mostrano come le capacità linguistiche del bambino migliorino con l’età e come i bambini che dimostrano maggiori abilità nella rappresentazione, comprensione e descrizione delle emozioni, sviluppino una migliore consapevolezza emotiva di Sé e dell’altro, comportando benefici sul piano sociale (Pons et al, 2004).

A conferma di questi dati si potrebbero riportare le conclusioni a cui sono arrivati Bajgar e colleghi (2005), all’interno del loro studio di validità della scala LEAS-C.

Gli autori riportano il fatto che sia la LEAS che la LEAS-C sono strumenti self-report, utilizzati per la valutazione dei livelli di consapevolezza emotiva, a cui il soggetto deve

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rispondere per iscritto alle domande che gli vengono poste: 1) "Come sentiresti?" e 2)"Come si sentirebbe l'altra persona?".

In entrambi i compiti il punteggio della LEAS è basato sulla complessità delle esperienze emozionali descritte per sé e l'altro (si rimanda per un approfondimento alla parte dei metodi di ricerca-Parte II).

Il grado di complessità della competenza emotiva viene quindi valutata in base ai termini emozionali utilizzati nella risposta, tramite i quali si può interpretare quindi la capacità di differenziazione delle diverse emozioni. I risultati mostrano che una miglior performance alla LEAS-C era associata al livello della competenza linguistica del bambino. Tuttavia, affermano gli autori, i bambini commettono maggiormente errori grammaticali e di ortografia e ciò rende le risposte meno chiare, rispetto alle risposte date dagli adulti; per questo motivo potrebbe essere necessario un certo grado di interpretazione nella comprensione delle risposte scritte, in modo da non influire, in maniera diretta, sul punteggio da assegnare ai termini emozionali utilizzati dal bambino (Bajgar et al, 2005).

1.4 Come si valuta la Consapevolezza Emotiva

L’approccio comunemente utilizzato per la valutazione dell’esperienza emozionale era quello che prevedeva la descrizione di un’emozione attraverso una parola o una frase e di valutare la sua intensità o frequenza. Questa modalità di valutazione, seppur vantaggiosa, poiché applicabile in una grande varietà di contesti, falliva però nel valutare la variabilità delle persone sia nel riconoscere e regolare i loro stati interni, sia nel valutare la complessità organizzativa delle esperienze emozionali (Lane et al., 1990).

 LEAS e LEAS-C

Lane e colleghi hanno quindi sviluppato la Levels of Emotional Awareness Scale (LEAS; 1990) che misura il livello di consapevolezza dei soggetti riguardo le proprie e le altrui emozioni. Il modello teorico di riferimento alla base della costruzione dello strumento è il modello LEA degli stessi autori. È composto da 20 storie, che elicitano le emozioni primarie e secondarie; i personaggi

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protagonisti di ogni storia sono il soggetto a cui viene somministrato lo strumento e un'altra persona. Al soggetto viene chiesto di rispondere per iscritto alle due domande poste alla fine di ogni storia:

1) come si sentirebbe lui

2) come si sentirebbe l’altro protagonista.

La scala valuta il livello di consapevolezza emotiva, tramite un punteggio

assegnato in base al grado di identificazione e differenziazione dei termini emozionali utilizzati.

Successivamente (Bajgar et al, 2005) hanno costruito anche la versione adatta per la valutazione della consapevolezza emotiva in soggetti in età evolutiva. Questo strumento è stato utilizzato, nella versione tradotta in lingua Italiana dalla Professoressa Marchetti (2010), ai fini della ricerca presentata all’interno dell’elaborato e verrà approfonditamente discusso all’interno del paragrafo dedicato alla Metodologia utilizzata.

 The Emotional Awareness Questionnaire (EAQ) di Rieffe e colleghi (2007) Lo strumento è un questionario self-report, costruito per esaminare la consapevolezza emotiva, attraverso la valutazione di sei fattori fondamentali per la valutazione del funzionamento emotivo:

i. Differenziazione delle emozioni (ad esempio "quando sono sconvolto, non so se sono triste, spaventato o arrabbiato);

ii. Condivisione verbale delle emozioni (ad esempio "riesco a spiegare facilmente ad un amico come mi sento dentro"); iii. Non nascondere emozioni (ad esempio, "Quando sono sconvolto,

cerco di non mostrarlo");

iv. La consapevolezza corporea delle emozioni (ad esempio "Quando mi sento sconvolto, posso avvertire le sensazioni corporee legate alla mia emozione”);

v. Partecipazione alle emozioni degli altri (ad esempio "Se un amico è sconvolto, cerco di capire perché");

vi. Analisi delle emozioni (ad esempio "I miei sentimenti mi aiutano a capire cosa è successo").

Il questionario in origine comprendeva 40 items, oggi ridotti a 30 e per ogni item i partecipanti sono invitati a valutare il grado di verità delle affermazioni su una

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scala di risposta a tre punti (1 = non vero, 2 = a volte vero, 3 = spesso vero). In tutte le scale, un punteggio più alto indica maggiore consapevolezza emotiva, ad eccezione della consapevolezza corporea, in cui un punteggio più alto implica minore attenzione ai sintomi corporei.

La traduzione di questo strumento in italiano non è stata ancora realizzata.

 TAS-20 (Toronto Alexithymia Scale) di Bagby, Parker e Taylor (1994). Lo strumento è un questionario di autovalutazione che comprende 20 items, che il soggetto valuta attraverso una scala Likert a 5 punti, da 1 = Non sono per niente d’accordo e 5 = Sono completamente d’accordo.

La TAS è una delle misure più comuni per la valutazione dell’alessitimia, poiché si basa sulla valutazione delle difficoltà dei soggetti ad identificare e descrivere le emozioni, con la presenza della tendenza a ridurre al minimo l'esperienza emotiva e concentrare l'attenzione all'esterno.

Lo strumento ha 3 sotto scale:

(1) Difficoltà a descrivere le sensazioni e nel comunicare i sentimenti agli altri (item: 2, 4, 11, 12, 17).

(2) Difficoltà di identificazione dei sentimenti e delle emozioni (item: 1, 3, 6, 7, 9, 13, 14).

(3) Pensiero orientato verso l’esterno (item: 5, 8, 10, 15, 16, 18, 19, 20).

1.5 La relazione tra Consapevolezza Emotiva e Alessitimia

Per Alessitimia si intende letteralmente “mancanza di parole per le emozioni”. Questo disturbo è stato originariamente descritto da Sifneos (1973) in pazienti con disturbi psicosomatici, i quali sembravano avere notevoli difficoltà nel trovare parole appropriate per descrivere i propri sentimenti. Oltre a questo, Sifneos e colleghi (1979) notarono una difficoltà da parte di questi pazienti nell'identificare i sentimenti e una tendenza ad esprimere le emozioni tramite l’azione, ciò indica un mal funzionamento dal punto di vista dell’affettività, che si manifesta con la difficolta nel descrivere o riconoscere le emozioni proprie (Taylor, Bagby & Parker, 1997). Un gruppo di ricerca italiano ha incluso questa particolare personalità nei Criteri Diagnostici per la Ricerca

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in Psicosomatica (DCPR; Fava et al, 1995) riportando le seguenti caratteristiche per identificarla:

Incapacità di usare parole appropriate per descrivere le emozioni; Tendenza a descrivere i dettagli più che gli stati d’animo;

Mancanza di un ricco mondo fantastico;

Contenuto del pensiero più associato a eventi esterni che alla fantasia e alle

emozioni;

Inconsapevolezza delle comuni reazioni somatiche che accompagnano

l’esperienza di vari stati d’animo;

Scoppi occasionali ma violenti e spesso inappropriati di comportamento

affettivo.

Successivamente, affermano Taylor e colleghi (2000), l'alessitimia è stata associata a varie patologie sia psicologiche che somatiche, come ad esempio: i disturbi alimentari (Nowakowski, Mcfarlane & Cassin, 2013), il disturbo post-traumatico (Frewen et al, 2008), disturbo di panico (Parker et al, 1993), disturbi di dipendenza da sostanze o alcolismo (Lysaker et al, 2014), nonché alcune condizioni fisiche come la malattia infiammatoria intestinale (Sajadinejad et al, 2012), ipertensione (Grabe et al, 2010), cancro (Vries, 2012) e altri.

Lane e colleghi (1997) hanno interpretato l’alessitimia come il risultato di un arresto nello sviluppo della consapevolezza emotiva, infatti, rifacendosi al modello LEA, gli autori affermano che l’alessitimia sia la conseguenza di un mancato collegamento tra i livelli impliciti, ossia il primo e il secondo livello, con l’elaborazione a livello esplicito delle proprie emozioni, come avviene nei livelli 3, 4 e 5.

Sulla base di quest’ultima affermazione gli autori sostengono che i soggetti alessitimici abbiano difficolta nel descrivere e differenziare le proprie e le altrui emozioni e che ciò influenzi le loro relazioni interpersonali, in cui manca la comprensione e l’empatia. Lane e Schwartz (1990) ritengono che il grado di strutturazione della consapevolezza emotiva possa essere valutato tramite la complessità verbale con cui i soggetti descrivono le loro esperienze emozionali. Essi sostengono che l'esperienza emotiva richieda un linguaggio abbastanza complesso, che indichi la capacità del soggetto di identificare e discriminare stati emozionali differenziati, collocando quindi i soggetti

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alessitimici all’estremità inferiore del continuum dei livelli di consapevolezza emotiva, ossia al livello 1 dell'organizzazione emotiva, in cui le emozioni sono esperite esclusivamente sul piano corporeo (Bydlowski et al, 2005).

A tal proposito Lane e suoi colleghi (1997) paragonano l'alessitimia alla condizione clinica di “visione cieca” (Blindsight), associata a lesioni nella corteccia visiva primaria. I pazienti con queste lesioni soffrono di emianopsia (visione ridotta o cecità di un emicampo visivo) ma, anche se non coscientemente, i soggetti percepivano e fornivano risposte precise su determinati stimoli visivi che venivano presentati nel loro campo visivo cieco (Weiskrantz, 2000). Allo stesso modo, le persone con alessitimia percepiscono stimoli emotivi, ma non li elaborano consapevolmente; ad esempio gli autori affermano che questi soggetti in situazioni stressanti non riconoscono che le sensazioni corporee che percepiscono sono legate agli stimoli stressanti a cui sono sottoposti (Lane et al, 1997).

Tuttavia dai risultati di alcuni studi sperimentali si ipotizza un deficit dell’elaborazione emotiva alla base del disturbo alessitimico, provocato dal complesso rapporto tra i soggetti in età di sviluppo e il mondo esterno. A tal proposito sono numerosi gli studi effettuati su popolazioni cliniche e non, circa la relazione tra Alessitimia e stile di attaccamento di tipo insicuro (Porcelli & Todarello, 2005). Le carenze di interazioni tra caregiver e figlio si riferiscono all'indifferenza e all’incapacità del caregiver primario di riflettere gli stati emozionali o di fornire risposte adeguate alle emozioni del bambino, di conseguenza se il genitore non è in grado di riconoscere e distinguere le espressioni emozionali del bambino o i propri stati emotivi, questo potrebbe influire sulla capacità del bambino di comprendere il proprio e l’altrui vissuto emozionale (Fantini-Hauwel et al, 2012).

Secondo Taylor, l’alessitimia può quindi essere considerata come il risultato di fallimenti di rapporti diadici primitivi tra caregivers e figlio (Taylor, Bagby & Parker, 1997).

Diversi sono gli studi che hanno indagato la correlazione tra Alessitimia e livelli di consapevolezza emotiva, tra questi si potrebbe citare lo studio di Bydlowski e colleghi (2005), i quali hanno indagato i livelli di consapevolezza emotiva e l’alessitimia in un gruppo di 70 pazienti con disturbo della condotta alimentare (DCA) e 70 soggetti del gruppo di controllo, al fine di comprendere meglio i deficit di elaborazione delle emozioni nei pazienti con DCA. In secondo luogo, lo studio ha tentato di aumentare i livelli di affidabilità delle misure limitando l'influenza dei fattori confondenti, come ad

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esempio gli “affetti negativi”, valutati attraverso il PANAS (Positive Affect and Negative Affect Scales, 1988), strumento che misura il benessere soggettivo, esaminando gli stati affettivi positivi e negativi.

Ai partecipanti sono stati somministrati: la Hospital Anxiety Depression Scale (HADS), il Beck Depression Inventory (BDI), un questionario che valuta la presenza e l’intensità dei sintomi depressivi, la Scala di Toronto per l’Alessitimia (TAS) e Levels of Emotional Awareness Scale (LEAS).

Le pazienti con DCA hanno ottenuto punteggi elevati alla TAS, quindi alti livelli di alessitimia e punteggi alla LEAS molto bassi, indicando un'incapacità di identificare e descrivere le proprie emozioni, nonché una disfunzione nella comprensione dell'esperienza emotiva di altri. I risultati mostravano inoltre che, mentre i punteggi della TAS erano correlati con i punteggi ottenuti dalla somministrazione del BDI, i punteggi LEAS non lo erano. Lo studio suggerisce di utilizzare in maniera congiunta TAS e LEAS perché questi strumenti permettono di riscontrare un deficit nell’elaborazione globale delle emozioni (Bydlowski et al, 2005).

Subic-Wrana e colleghi (2005), nel loro studio hanno utilizzato lo strumento della LEAS, esaltandone le proprietà e la validità in ambito clinico nell’adulto. Gli studiosi hanno voluto indagare i livelli di consapevolezza emotiva in ambito clinico tramite due strumenti diversi, la TAS-20 e la LEAS, per metterne a confronto la validità. Il campione era costituito da 394 pazienti di un reparto di medicina psicosomatica, diviso in sei gruppi diagnostici (depressione, ansia e disturbi compulsivo-ossessivi, disturbi dell’adattamento, disturbi somatoformi, fattori psicologici correlati a disturbi somatici, disturbi alimentari). Tutti i sotto-gruppi sono stati sottoposti ad un trattamento terapeutico ad orientamento psicodinamico e sia prima che dopo il trattamento; inoltre ai pazienti è stato richiesto di compilare la TAS-20 e la LEAS e successivamente sono stati confrontati i punteggi ottenuti nei due rispettivi tempi. Dai risultati è emerso che i punteggi della TAS- 20 erano più bassi dopo il trattamento, ma questo risultato non si è dimostrato essere statisticamente significativo, poiché dipendente dall’affetto negativo (valutato all’inizio e alla fine del trattamento, tramite il PANAS). Al contrario, i punteggi della LEAS sono aumentati dopo il trattamento, nei gruppi con disturbi somatoformi e fattori psicologici correlati ai disturbi somatici e questo cambiamento era indipendente dall'influenza dell’affettività negativa.

La LEAS si è dimostrata più sensibile e più accurata nel valutare il cambiamento dei livelli di consapevolezza emotiva in seguito al trattamento, mentre i risultati della

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TAS-26

20 sono stati influenzati da un cambiamento nell’affettività negativa. La LEAS sembra quindi essere una misura più specifica per valutare il cambiamento della consapevolezza emotiva in contesti clinici, rispetto al TAS- 20 (Subic-Wrana et al, 2005).

Per concludere questo paragrafo potrebbe essere interessante parlare della relazione che è stata studiata tra Alessitimia, consapevolezza emotiva e Teoria della Mente. Dopo aver provato a spiegare cosa si intende per Consapevolezza emotiva e quali sono i modelli di sviluppo di tale competenza, mettendo a confronto diversi elementi predittivi, come l’età, il genere o le abilità cognitive, sia in adulti che in bambini, appare chiaro l’importante ruolo di questa capacità al fine della strutturazione della propria realtà emozionale interna ma anche per la comprensione della realtà emozionale altrui, in cui si prendono in considerazione e si comprendono i vissuti emozionali degli altri. Se all’interno del primo paragrafo del capitolo è stata riportata la frase di Lane e colleghi (1987), secondo cui la consapevolezza emotiva è definita come “la capacità di riconoscere e descrivere le emozioni proprie e altrui” (Bajgar et al, 2005), nasce quasi spontaneo il collegamento e la relazione tra consapevolezza emotiva e teoria della mente, quest’ultima verrà trattata approfonditamente nel capitolo successivo.

Tra i primi a studiare questa relazione ritroviamo Moriguchi e i suoi colleghi (2006), che osservarono come la consapevolezza emotiva sembri essere strettamente correlata ad una maggiore capacità di discriminare e descrivere le emozioni proprie e gli stati mentali ed emozionali degli altri. Studi effettuati con soggetti affetti da disturbo dello spettro autistico hanno rilevato in questi soggetti elevati punteggi di alessitimia (Berthoz e Hill, 2005; Frith & Hill, 2004). Pertanto secondo gli autori, i disturbi caratterizzati da un’alterazione della teoria della mente sono spesso associati anche ad alessitimia. L’ipotesi sembrerebbe essere quella che i soggetti con alessitimia abbiamo compromessa la capacità di comprendere gli stati mentali ed emozionali propri e altrui, questo potrebbe contribuire alle difficoltà nella regolazione delle emozioni e nelle relazioni interpersonali.

Lo studio di Moriguchi (2006) ha individuato un campione composto da studenti universitari, a cui sono state somministrate la TAS-20 e un’intervista strutturata per l’alessitimia (SIBIQ). Per massimizzare la probabilità che i soggetti siano stati correttamente classificati per quanto riguarda l'alessitimia, sono stati scartati quattro soggetti con elevati punteggi al TAS-20 e bassi al SIBIQ e quattro soggetti con punteggi bassi al TAS-20 e alti al SIBIQ. Questo ha prodotto un gruppo di soggetti nominato

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“Alessitimia” (ALEX) (n = 16, 3 maschi,) e un gruppo di “Non-alessitimia” (NonALEX) (n = 14, 2 maschi).

Lo studio prevedeva che i soggetti di entrambi i gruppi fossero sottoposti ad un esame fMRI, durante la somministrazione di un paradigma sperimentale per la valutazione della teoria della mente. Questo paradigma consisteva nella proiezione di animazioni (Animation-L di Frith) che prevedono due triangoli che interagiscono in modo complesso, come se il loro movimento fosse determinato dai loro pensieri o sentimenti. L’elaborazione di questi stimoli visivi e animati necessita, infatti, dell’utilizzo della Teoria della Mente da parte del soggetto a cui vengono somministrate.

Tramite questo disegno di ricerca gli autori hanno indagato le aree di attivazione neuronale in soggetti con elevata e bassa alessitimia.

Dai risultati gli studiosi affermano che entrambi i gruppi hanno mostrato l'attivazione nelle regioni associate alla teoria della mente, ossia la corteccia prefrontale mediale (MPFC), le giunzioni temporo-parietali (TPJ), e il polo temporale (TP); ma i soggetti con Alessitimia avevano una capacità di mentalizzazione inferiore e meno attivazione a livello della MPFC, indicando come l'attività del MPFC sia positivamente correlata con la Teoria della Mente (ToM) nell’adulto (Moriguchi et al, 2006).

Sulla base di questo studio Lane e Stonnington (2014) hanno indagato ulteriormente il ruolo della Teoria della Mente in soggetti adulti alessitimici. Il loro campione prevedeva

29 pazienti con disturbo da conversione, 30 pazienti con sindrome somatica funzionale (ad es. Fibromialgia) e 30 controlli medici. Ai soggetti sono state somministrate la LEAS, la TAS-20, il PANAS e misure per la valutazione della teoria della mente, ossia il paradigma delle animazioni di Frith-Happè e il test degli occhi, in cui bisogna capire l’emozione tramite la presentazione di immagini di espressioni facciali, ma in cui si vedono solo gli occhi; i risultati ottenuti riportano l’assenza di correlazioni tra i compiti TAS-20 e ToM; al contrario, la LEAS correla con le diverse variabili indagate dagli strumenti per la valutazione della Teoria della Mente nell’adulto, anche quando si adeguano i punteggi alle variabili di affettività positiva e negativa (PANAS).

Inoltre, vi era una doppia dissociazione tra TAS-20 e LEAS, poiché la LEAS sembra essere associata a quei compiti che invece non erano associati alla TAS-20. Questi risultati e la correlazione non significativa tra le due misure, suggeriscono che il TAS-20 e LEAS valutano diversi aspetti. La LEAS valuta, probabilmente, la capacità di una persona di comprendere gli stati emotivi e questa capacità sembra almeno in parte essere

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un'espressione della funzione ToM. D'altra parte, TAS-20 misura il grado di difficoltà nell’identificare e descrivere le emozioni, valutando anche il grado di consapevolezza di questo deficit. Ciò significa che se la persona non è consapevole dei propri deficit di identificazione e descrizione delle emozioni non li riporterà all’interno della TAS-20, ma dato che l'alessitimia in forma grave può essere associata sia alla mancanza di consapevolezza emotiva che alla mancanza di insight di questo deficit di consapevolezza (un deficit metacognitivo), i punteggi TAS-20 e LEAS possono divergere verso i livelli più bassi del continuum della consapevolezza emotiva. In conclusione gli autori affermano che la LEAS sembra valutare meglio, rispetto alla TAS-20, i deficit di teoria della mente e della consapevolezza emotiva all’interno di un campione clinico di soggetti alessitimici (Lane et al, 2015).

1.6 La relazione tra Consapevolezza Emotiva e Somatizzazioni

1.6.1 Breve excursus dell’evoluzione del concetto di somatizzazione: dal DSM III al DSM 5

Al giorno d’oggi i criteri diagnostici del DSM 5 prevedono che per poter effettuare diagnosi di Disturbo da Sintomi Somatici devono essere presenti sintomi somatici persistenti e clinicamente significativi (criterio A), in concomitanza con pensieri, sentimenti, e comportamenti relativi alla salute eccessivi e sproporzionati in relazione alla gravità dei sintomi (criterio B) (APA, 2013).

Come afferma Noyes (2008), fin dalla sua introduzione nel DSM III, la categoria Disturbi Somatoformi è stata oggetto di controversie. L’isteria e l’ipocondria, condizioni conosciute fin dall’antichità, furono inserite nel DSM III all’interno di questa nuova categoria dei disturbi da somatizzazione, i cui criteri diagnostici prevedevano la presenza di sintomi fisici in assenza di disturbi o lesioni a livello organico, ma in presenza di fattori psicologici. Con l’avvento del DSM-IV sono state apportate numerose modifiche ai criteri dei disturbi da somatizzazione, in primo luogo sono state aggiunte nuove categorie quali ad esempio: il Disturbo Somatoforme Indifferenziato, il Disturbo da Dismorfismo Corporeo e il Disturbo Somatoforme non altrimenti specificato (Noyes et al., 2008). Inoltre, data la difficoltà di applicazione dei criteri

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