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Dal 5 giugno 2018 al 5 Giugno 2021 Pierre Carniti … in questo tempo..

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Dal

5 giugno

2018

al

5 Giugno

2021

Una riflessione

di Francesco Lauria

Fondazione Ezio Tarantelli Centro

Studi Ricerche e Formazione

Centro Studi Cisl di Firenze

Pierre Carniti…in questo tempo..

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Il libro che ha “celebrato” gli ottanta anni di Carniti, riporta, tra i vari sottotitoli: “una vita senza rimpianti, Pierre Carniti

e il suo tempo”.

A tre anni di distanza dalla sua scomparsa, non dobbiamo stancarci di ricordare il profilo storico di grande protagonista dell’Italia della seconda parte del Novecento. E’ ancora recente l’eco della sua scomparsa per proporre un profilo distaccato e scientifico, tuttavia dobbiamo sforzarci di avviare, insieme alle testimonianze personali, una riflessione sulla sua originale e paradigmatica esperienza sindacale nell’ampio contesto temporale in cui si è sviluppata.

Il tema del tempo, di oltre sei decenni di impegno sociale e sindacale di Carniti, permette di svolgere una prima riflessione.

Dobbiamo guardare ad una figura come la sua non nell’ottica tradizionale di un tempo cronologico, per quanto esteso, ma di un kairòs, un “tempo opportuno”. Paolo Giuntella altro grande testimone, in un suo testo, “Il fiore rosso2” ci ricordava che nel Libro della giungla di Kipling, il cucciolo d'uomo Mowgli riesce a vincere l'arrogante tigre Shere Khan con il fiore rosso, il fuoco, un tizzone ardente. Il fuoco non brucia Shere Khan, lo allontana per sempre.

Prendendo lo spunto da questo episodio e, soprattutto da questa simbologia, Giuntella ci mostra il passaggio, di generazione in generazione, del tizzone ardente, del fuoco della fede, del fuoco interiore, fino ad oggi e all’infinito. Come scriveva Giuntella: “non è, dunque, la potenza delle pietre dei templi o la forza delle istituzioni ad assicurarci l'avvenire, ma il passaggio da persona a persona di questo tizzone ardente, del fiore rosso della testimonianza.”

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In, P. Carniti, L’autonomia alla prova. Il sindacato negli anni della

crisi, Coines Edizioni, 1977.

Pierre Carniti in “questo tempo”

dal 5 giugno 2018 al 5 giugno 2021

di Francesco Lauria

"Noi non siamo chiamati a fare la guardia alle istituzioni, a

preservare un ordine

semplicemente rassicurante, nel quale il progresso economico può essere disgiunto dal progresso sociale, può lasciare alle sue spalle profondi squilibri e

diseguaglianze, perpetuando gravi ingiustizie.

Siamo invece chiamati a

raccogliere, con consapevolezza democratica, tutte le tensioni, i problemi della povera gente, degli emarginati, dei disoccupati, delle donne e dei giovani, ad esprimere piena dedizione, in sostanza, alla causa della liberazione dell'uomo, e della sua presenza in una società che sia costruita a sua misura. (...) Se si perde il senso dell'ideale ci si immiserisce nella pratica quotidiana. Se si perde il senso di responsabilità ci si adegua al modo d'essere di un sindacato che si rinchiude in una logica

difensiva, che può vagheggiare l'avvenire, ma non è chiamato a gestire il presente.

Ci sono le condizioni e le potenzialità perchè non sia disertata nessuna di queste esigenze, perchè non ci si sottragga a nessuna di queste responsabilità".

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ENSIERO E AZIONE IN

C

ARNITI

Così, ripercorrere la biografia di Pierre Carniti, attraverso il suo ultimi libro autobiografico, ma anche tutti i suoi scritti, ci permette di raccogliere e stringere le sue “mani aperte” e intrecciare al meglio la sua passione per il sindacato e per i lavoratori e le lavoratrici, per il “fare giustizia insieme”, come ha ricordato nel giugno del 2017 Papa Francesco, attraverso il dialogo, fruttuoso e dialettico, tra le generazioni.

Senza mai dimenticare, come ci ha ricordato Bruno Manghi e come ben riassumono il titolo del convegno di oggi e dell’autobiografia del segretario della Cisl che, in Carniti, non si possono distinguere pensiero e azione, azione e pensiero.

Condivido moltissimo la riflessione di Manghi che, nel commentare la figura di Pierre Carniti ha parlato del suo concepire il sindacalismo come azione collettiva, una concezione che, specialmente nei primi dieci anni della sua attività sindacale rappresentava una via di comunicazione per rompere il silenzio pubblico che circondava il sindacato, quando i media non ne corteggiavano, anzi ne snobbavano l’esperienza.

Manghi contrappone correttamente il sindacalismo dell’azione collettiva al più recente “sindacalismo dell’immagine”, sempre meno sorprendente e “al limite della noia”.

Il sociologo torinese ci ricorda, nella sua riflessione nel libro: “Pensiero, azione, autonomia”, come Carniti si ispiri esplicitamente a storie di un tempo diverso, anche molto precedente al suo, riproponendole nel cuore della modernità industriale.

Il primo passo non può che essere quindi un ritorno alle origini valoriali di una straordinaria e più che centenaria esperienza collettiva: riscoprire il desiderio di fare ed essere sindacato, la felicità, in senso antropologico, quell’habitus che Bordieu definisce “desiderio di essere”. Rileggere Carniti, oggi, dopo che il soffio della sua fragilità ci ha terrenamente lasciato, discutendolo e non trasformandolo in una comoda icona, facendogli un torto, ci permette, pur nelle difficoltà del nostro tempo frantumato, di sentirci dentro un Kairòs collettivo, un tempo opportuno e condiviso per la Speranza.

Carniti ci ha ammonito immediatamente nel suo testo biografico affermando che il fare sindacato è “cosa impossibile da dire” e che avrebbe provato a trasmettere alcuni ricordi e riflessioni senza rinunciare alla sua “vista da presbite sul mondo di domani”. Il suo volume3, con l’ampio corredo di saggi e testimonianze sul lavoro che lo completano, ha intrecciato, molto opportunamente e senza forzature, passato, presente e futuro

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PUNTI BIOGRAFICI

Una prima riflessione su Carniti ce la suggerisce proprio il soprannome “Pierre” alla francese, un nome scelto dal padre, “cattolico-socialista”, per prendersi gioco dell’ordine del regime fascista di dare ai bambini nomi autarchici.

Un altro spunto ce lo dà il luogo di nascita: Castelleone, centro agricolo del cremonese, non troppo lontano da Bozzolo, luogo in cui operò don Primo Mazzolari (che era di casa nella dimora della famiglia Carniti) e ancor più vicino al luogo di azione di un altro grande cattolico sociale “non ordinario”: Guido Miglioli. Di quest’ultimo, Carniti, ricordava la promozione di scioperi durissimi, in ambito agricolo, e, soprattutto, i primi esperimenti di “conduzione associata” in ambito agrario, una sorta di autogestione ante litteram, in cui anche lui stesso giovanissimo si impegnò, prima di venire notato da amici di quello che sarà per lui guida e maestro: il futuro segretario generale della Cisl Luigi Macario.

Carniti rifiutò la prima chiamata della Cisl al già “mitico” Centro Studi di Firenze nel 1955 e partecipò al celebre corso “lungo” nel 1956, un’annata particolarmente fruttuosa per la Cisl poiché suoi compagni furono, tra gli altri, Eraldo Crea, Mario Colombo, Franco Marini.

Peculiare, nel libro, la testimonianza sul rapporto del sindacalista cremonese con Vincenzo Saba, braccio destro di Mario Romani e, all’epoca, direttore del Centro

Studi di Firenze.

Carniti ha ricordato nel volume la proficua trattativa con l’austero, ma disponibile professore per la concessione della chiave del portone al fine di permettere le uscite notturne e prevenire le fughe dal muro di cinta dei corsisti più esuberanti, ma anche una differenza di vedute, significativa, rispetto alla natura del capitalismo e alla sua capacità, apparentemente quasi scontata per Saba, di autoriformarsi. Ha ricordato, scherzosamente, il suo rapporto con “l’accademico direttore”, anche nella sua ultima lettera, citando ancora la trattativa, vittoriosa, per avere la chiava del Centro Studi ed evitare, lui, insieme ai suoi giovani intraprendenti compagni di corso, gli scavalcamenti notturni.

Molto interessanti sono poi le citazioni che l’ex segretario della Cisl ci ha regalato sulle letture più importanti che hanno accompagnato il suo percorso formativo al Centro Studi di Firenze, luogo che la Cisl volle, fin dagli inizi, pluralista nei docenti, nei collaboratori, nei riferimenti culturali: a Maritain e Mounier (poi riletto in maniera critica), si affiancavano, ad esempio, Perlman e Ferrarotti.

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ILANO

Fu così che Carniti, che aveva richiesto di rimanere nell’ambito del sindacalismo agricolo, (paradosso della storia, se pensiamo al complesso scontro nella Cisl degli anni settanta) fu, invece, inviato presso la Fim di Milano, allora guidata da Pietro Seveso, sindacalista non giovanissimo, ma aperto al cambiamento, con una scelta che avrebbe inciso fortemente, negli anni a venire, non solo sulla Cisl, ma sull’intero sindacalismo confederale italiano.

Molto interessanti da leggere sono le pagine sulla costruzione dal basso dell’unità d’azione sindacale, sono gli anni del sodalizio dialettico con figure significative come quella, tra le altre, di Franco Castrezzati a Brescia, delle varie battute d’arresto, degli “esili”, delle battaglie di minoranza nella Fim, come, ancor di più, nella Cisl, guidata da un Bruno Storti, allora lontano dalle innovazioni proposte da Carniti e dagli “innovatori” che erano riuniti intorno alla sua azione e al suo carisma.

Uno di questi “esili”, lo ricorda proprio Carniti si verificò quando, nel 1960, fu messo alle strette proprio dall’Unione di Milano che gli propose, alla vigilia del matrimonio una significativa riduzione di stipendio, dal sapore tutto politico.

Non riuscita a liberarsi, in questo modo di Carniti, la Cisl di Milano lo spedì, “in esilio” nella zona di Legnano e Magenta.

Qui Carniti si inserì subito nel tessuto sociale e sindacale del territorio e, come racconta nella sua biografia raccolta da Paolo Feltrin, si impegnò in una vertenza molto complessa in un’azienda scarsamente sindacalizzata del settore meccano-tessile, come la Franco Tosi. Nel raccontare l’accordo alla Franco Tosi, mediato con l’allora sindaco di Legnano, dirigente dell’azienda, Carniti ricorda: “Avevamo messo in discussione l’ordine naturale delle cose, ci accusarono di sconvolgere la catena degli equilibri locali, a nostro avviso basati sul quieto vivere. Di

questo non mi sono mai preoccupato molto: gli equilibri crollano, poi si ricostituiscono e l’eccesso di tatticismo non ha mai fatto parte dei peccati di cui debba chiedere venia.” Nell’autobiografia Carniti ricorda l’anno e mezzo passato a Legnano anche come “confino”; una condizione che si conclude nell’autunno del 1961, con il ritorno a Milano e l’ingresso in segreteria della Fim di Milano: una segreteria formata dal saggio Seveso, dall’innovatore “anarchico” Gavazzeni e da Carniti stesso.

Sono anni, annota il sindacalista cremonese, di enorme crescita anche quantitativa del sindacato, sia a livello di categorie industriali che, più in generale, confederale. Una crescita, “un boom”, particolarmente pronunciato a Milano e provincia.

I dati ci confermano che essa fu percentualmente superiore anche a quella del 1968-1969 e si accompagnò progressivamente anche ad una significativa estensione della contrattazione aziendale articolata.

Sull’innovazione nella Cisl Carniti è stato molto netto e preciso: “non credevamo in una Cisl diversa, ma in una Cisl che mettesse in pratica realmente quanto predicava da anni: sul ruolo delle categorie, sugli aumenti salariali legati alla produttività, sull’autonomia, sulla contrattazione aziendale”.

Sono quindi gli anni dell’impegno nel sindacato per la verticalizzazione, l’incompatibilità con le cariche politiche, il superamento delle differenze normative tra impiegati ed operai, sul rinnovamento delle forme di lotta e sull’unità di azione che culminerà con il comizio unitario al Vigorelli di Milano, non pienamente autorizzato né dalla Fim, né dalla Cisl nazionali e condiviso con il neoeletto segretario generale della Fiom, allora, ancora un po’ impacciato nell’arte oratoria, Bruno Trentin.

3 “Pensiero, azione autonomia. Saggi e testimonianze per Pierre Carniti”, a cura di R. Morese e M. Colombo

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Milano, intorno alla figura del futuro segretario generale della Fim e della Cisl, cominciò ad animarsi e raccogliersi un mondo culturale “militante” che sarà importantissimo negli anni successivi per l’organizzazione di Via Po e per le relazioni industriali italiane in generale: pensiamo, ad esempio, a Guido Baglioni, Bruno Manghi, Gian Primo Cella, Tiziano Treu.

E’ qui che si manifesta un cardine dell’originalità dell’esperienza carnitiana con un’azione sindacale che trascende il limite delle vertenze aziendali e con una prassi rivendicativa che si trovava ad assumere, senza perdere nulla in concretezza, un valore autonomo: politico e culturale.

Carniti ricordò e con lui diversi altri, in particolare Gian Primo Cella, un anno importantissimo, il 1964, l’anno della nascita della rivista Dibattito Sindacale che diventerà uno strumento fondamentale per il suo “gruppo milanese”.

Il 1964 è anche l’anno del primo viaggio negli Stati Uniti, di cui, inevitabilmente, la tappa più importante è Detroit, con l’incontro con il sindacato dell’auto e la riflessione sul campo rispetto agli aumenti diretti del salario in base alle performance aziendali, alle pensioni integrative, all’assistenza sanitaria, al tema delle qualifiche sul posto di lavoro, al controllo della linea di produzione, al risparmio contrattuale, al welfare negoziato, tutti temi di grande attualità anche oggi.

Tra i compagni di strada, a Milano e poi a Roma, uno merita una menzione e un ricordo particolare: si tratta di Pippo Morelli con la sua passione per l’educazione degli adulti che sarà alla base dell’esperienza eccezionale delle 150 ore per il diritto allo studio e di un approccio alla formazione che giustamente Carniti

ha definito: “pratica di libertà e processo di liberazione”. A quella mobilitazione seguì, sulla stessa scia, la mobilitazione dal basso sui temi dell’ambiente e della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e non solo, mobilitazione che nella zona milanese fu molto diffusa e profonda. La metà degli anni sessanta rappresenta, secondo studiosi come Achille Ardigò, un crinale decisivo nella storia del sindacalismo cislino, con un mutamento di ruolo, pur nella continuità descritta da Carniti.

Il sindacato, in sostanza, ritiene di dover fare “politica”, rivendicando certamente ancora l’autonomia del sociale ma per influire sulla società politica in direzione delle riforme di struttura e sulla base delle rivendicazioni sociali generali dal basso. Si prepara quindi l’età del “potere contro potere” (slogan coniato da Storti che in realtà all’epoca non era piaciuto a Carniti che lo aveva giudicato strumentale), senza, però mai perdere di vista la centralità della contrattazione, aziendale e settoriale, nell’azione sindacale.

Si tratta di una lezione e di un approccio cui Carniti terrà pienamente fede e che rivendicherà più volte anche da segretario generale aggiunto e segretario generale della Cisl (1977- 1985).

Firmare il contratto significa ottenere risultati concreti e misurabili per i lavoratori, ma anche trasformare la società: per Carniti il sindacato non era solo movimento, ma un’istituzione della società moderna. Ha sempre rifiutato l’etichetta di “sindacalista d’assalto” che, almeno nei primi tempi della sua esperienza sindacale, gli veniva spesso affibbiata (divenendo poi anche il titolo di un famoso libro4).

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Non si può non ricordare, solo per fare un esempio, la concomitanza temporale a fine 1969 tra le bombe di Piazza Fontana e la risposta del mondo del lavoro con la firma del contratto dei metalmeccanici a valle dell’autunno caldo il 21 dicembre di quell’anno che vide Carniti, Benvenuto e Trentin protagonisti e guida di un movimento rivendicativo fortissimo. Carniti fu firmatario di quel contratto, è bene ricordarlo, perché, pur avendo portato la maggioranza congressuale della Cisl, insieme a Macario, su posizioni favorevoli all’incompatibilità e al percorso di unità sindacale, perse, nel luglio del 1969, per pochissimi voti, il congresso e decise di lasciare la segreteria confederale tornando alla Fim.

Nel suo intervento dalla tribuna congressuale il sindacalista cremonese fu molto netto nel commentare la “giravolta” politica del segretario generale Bruno Storti. Si esprimeva così Carniti nel luglio del 1969: “Oggi però non è questione di aggiornare le proprie carte d’identità, passando da uno schema ideologico all’altro, modificando magari il linguaggio, rendendolo più duro, più di “sinistra”, inventando formule combattive. Questi artifici demagogici, questi tentativi maldestri di recuperare un ruolo di “contestatari” non ci interessano. I lavoratori della CISL, e molti fuori di essa, si attendono scelte chiare e molto concrete, non fumo, non trasformismo, non compromessi, non accordi di vertice (…).

Molti importanti le sue parole sullo scontro interno e sul mantenersi, nonostante tutto, in un quadro condiviso di valori: “Penso perciò che proprio il fatto che oggi, al Congresso della CISL, si delinei uno scontro aperto tra posizioni e uomini diversi, non sia un pericolo per l’unità dell’organizzazione, non generi sfiducia alla base, ma sia un punto a favore di una organizzazione che non cela i contrasti, che anzi punta sulla chiarezza, sulla trasparenza del suo dibattito, per ritrovare la strada di un impegno risolutivo, tanto più che nella CISL il confronto non è tra gruppi di persone, ma sale ed è cresciuto dalla base al vertice centrato su linee politiche, su modi diversi di delineare le nostre azioni a partire dai medesimi valori di fondo”.

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L’

ORIZZONTE DI

C

ARNITI

L’orizzonte di Carniti non è solo italiano e non è solo sindacale: si pensi alle riflessioni, contenute nel libro, sulla sua curiosità ed interesse (e anche una qualche delusione) rispetto al Concilio Vaticano II°. Nel delineare gli anni successivi Carniti ha riflettuto sull’”anticomunismo di sinistra” proprio e della Fim che, negli anni settanta, attirò nel sindacato dei metalmeccanici cislini, proteso verso l’unità sindacale organica, significativi gruppi di extraparlamentari di sinistra.

Siamo al 1972, ad un anno fondamentale, poiché avrebbe dovuto essere, ma non fu, dopo le “spinte” degli impetuosi ’68 e ’69, quello dell’unità dei metalmeccanici e, di federazione di categoria in federazione di categoria, quello dell’unità sindacale organica.

Le battaglie di Carniti si sposteranno nella confederazione di Via Po, che vivrà momenti duri e complessi, verso la fine della segreteria Bruno Storti (“convertitosi” gradualmente alle posizioni della “sinistra” cislina e di cui si ricorda la storica relazione congressuale del 1969: “Potere contro potere”). Carniti diverrà prima segretario generale aggiunto durante la guida

del suo antico mentore Luigi Macario (1977-1979) e poi, indimenticato ed indimenticabile segretario generale (1979-1985).

Vanno ricordati, in forma critica, nel ricordo carnitiano la figura e un dialogo, mai interrotto quanto mai “risolto”, con Bruno Trentin.

La Fim realizzò il proprio congresso di autoscioglimento nel 1972, la Fiom nemmeno lo convocò. Trentin, personalmente favorevole all’unità

organica, si fermò, in primis di fronte alla contrarietà del Pci.

Anche in anni successivi, inevitabilmente riferiti al periodo del referendum sulla scala mobile, ma non solo, il rapporto fortemente dialettico, con il Pci, è un tema ricorrente, visto da un “cristiano nella sinistra”, come si definiva Carniti, in un ‘ottica pienamente europea, come ampiamente traspare nella sua bella prefazione al libro di Giorgio Tonini sull’esperienza dei cristiano sociali: “La rosa rossa, la rosa bianca”. 5 Tonini, è stato, fra l’altro, anche autore, dopo la scomparsa di Pierre Carniti, di uno dei ricordi più belli, in memoria del sindacalista cislino6.

Quello con Trentin fu un rapporto singolare, per nulla semplice, ma duraturo, a volte anche a parti “invertite”, si pensi ai passaggi fondamentali del 1985 con Trentin fiero e convinto avversario dell’accordo con il governo Craxi sulla scala mobile (segnato, tragicamente dalla scomparsa di Enrico Berlinguer e dal barbaro assassinio di Ezio Tarantelli, consulente comunista della Cisl, ucciso dalle Brigate Rosse) e del 1992, con un Carniti, ormai fuori dal sindacato, ma esplicitamente critico sull’accordo unitario che vedrà la famosa, tormentata firma del sindacalista italo-francese.

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supporto proprio dello sviluppo territoriale, a partire dal Mezzogiorno. Va poi ricordato, se ci vogliamo soffermare ancora un momento sulla concezione puramente sindacale di Carniti, il suo coltivare e, quasi, estremizzare alcune concezioni della Cisl delle origini. Si pensi appunto al risparmio contrattuale o all’idea che gli associati al sindacato (union shop) dovessero avere dei vantaggi rispetto ai Non mi soffermo sul passaggio

fondamentale del 1984-1985 e di un segretario generale Cisl, in precedenza grande artefice dell’unità sindacale che compì, invece, un rottura storica, lasciando poi la segreteria generale a soli quarantanove anni, oltre che per ragioni di salute, perché: “era importante ricucire, e

ciò non poteva essere fatto dalla stessa persona che, per ragioni di merito, aveva dovuto, invece, rompere”.

free riders.

I

L SENSO DEL LAVORO NELLE PIÙ RECENTI RIFLESSIONI

Vi sono altri temi ricorrenti nel pensiero di Carniti, assolutamente attuali.

Nel dicembre del 2017, in occasione di un incontro presso l’Università di Parma, di presentazione del suo libro, cui non aveva potuto partecipare perché: “relegato agli arresti domiciliari sanitari”, l’anziano sindacalista aveva registrato un significativo video7, volendosi concentrare su un tema antico e a lui carissimo, ma di piena attualità: la riduzione dell’orario di lavoro al tempo della digitalizzazione. La questione della ripartizione del lavoro in collegamento con il problema della disoccupazione e dei cambiamenti tecnologici è stata una costante della riflessione dell’ex segretario generale della Cisl, sul quale, è importante che, creativamente e, in un’ottica europea, il sindacato continui a riflettere e, possibilmente, agire. E’ un tema, peraltro, che si collega a quello, altrettanto dirimente, di un sindacato inclusivo e dell’unità di azione.

Ricordo, inoltre, che Carniti ci suggerì, nel video inviatomi per trasmetterlo alla Cisl di Parma e Piacenza, come la riduzione contrattata dell’orario di lavoro, oltre che auspicabile da un punto di vista economico, fosse un’efficace risposta ai facili

innamoramenti sul “reddito di cittadinanza”.

Rimanendo, come desiderava e ci insegnava il “vecchio” Pierre, alle questioni dell’oggi: non era più rimandabile, secondo Carniti, che accompagnò l’ascesa e il declino dei consigli di fabbrica, una riflessione sul rapporto tra sindacato e democrazia partecipativa, su uno sguardo che ritrovi il pieno collegamento con un mondo del lavoro sempre più frammentato e vorticosamente in cambiamento.

Si chiedeva, ci chiedeva (e chiede) Carniti: come mettere a sistema le buone prassi che certamente ci sono?

E’ una riflessione importante, ovviamente collegata al tema dell’unità sindacale oggi, ricordato in uno dei suoi ultimi interventi organici, pubblicato nel settembre 20178. Una lettera molto significativa, a partire dal titolo: “Se il sindacato vuole avere un futuro”, che poneva in primis la necessità di costruire un sindacato confederale maggiormente inclusivo.

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all’inizio degli anni ottanta sui “mestieri del sindacato”. Affermava Carniti, criticando l’approccio del comunista Chiaromonte: “la democrazia non vive senza il pluralismo. Che significa, non solo pluralità di partiti, ma di poteri e di ordinamenti, per non sacrificare la società civile allo Stato o agli equilibri politici, che comporterebbe un progressivo e intollerabile svuotamento della democrazia stessa e quindi un rischio crescente di degenerazione autoritaria”.9 Due ultimi accenni legati alla parte “saggistica” del libro “Pensiero, azione autonomia”. Senza nulla togliere agli altri, sono, a mio parere, particolarmente significativi i contributi di Gian Piero Cella, sulla cultura sindacale di Carniti, e di Tiziano Treu sulla vicenda individuale e collettiva nella Cisl rispetto al rapporto tra legge e contratto che ha avuto, ovviamente, un passaggio fondamentale con l’adozione, nel 1970, dello Statuto dei Lavoratori.

Cella ci regala l’immagine di un Carniti come vero e proprio “inventore” di una originale cultura sindacale che il sociologo milanese intende come l’ambito o l’antefatto delle politiche contrattuali, una sorta di collegamento tra gli aspetti rivendicativi e materiali dell’attività sindacale e il più ampio riferimento alla società e alle sue trasformazioni.

Scriveva Carniti nell’editoriale del numero 3 di Dibattito Sindacale nel 1964: “Il sindacato non può rimanere estraneo alle grandi correnti di pensiero, alle idee e alle proposte che si elaborano al fine di una soluzione dei problemi economici e sociali di breve come di lungo periodo ed il dialogo rappresenta in questo campo la possibilità e la condizione affinchè il sindacato non si isoli, ma diventi forza socialmente viva e stimolatrice dell’evoluzione sociale”.

5 G. Tonini: “La rosa rossa e la rosa bianca, materiali di lavoro dei Cristiano Sociali, Cittadella Editrice, Assisi 2001.

6 G. Tonini: “Quel pomeriggio con Carniti, aspettando il risultato del referendum sulla scala mobile”:

http://www.conquistedellavoro.it/sindacato/quel-pomeriggio-con-carniti-aspettando-il-risultato-del- referendum-sulla-scala-mobile-1.13783

7 Il video, dopo la scomparsa di Pierre Carniti, è stato ripubblicato su vari siti internet tra cui: http://www.eguaglianzaeliberta.it/web/content/carniti-sullorario-di-lavoro

8 P. Carniti: “Se il sindacato vuole avere un futuro”:

http://www.eguaglianzaeliberta.it/web/content/se-il-sindacato-vuole-avere-un-futuro . 9 I mestieri del sindacato. Il dibattito di “Rinascita” intorno al caso Fiat, Roma, 1982

Scriveva Carniti

nell’editoriale del numero 3 di Dibattito Sindacale nel 1964:

“Il sindacato non può rimanere estraneo alle grandi correnti di pensiero, alle idee e alle proposte che si elaborano al fine di una soluzione dei problemi economici e sociali di breve come di lungo periodo ed il dialogo rappresenta in questo campo la

possibilità e la condizione affinchè il sindacato non si isoli, ma diventi forza socialmente viva e stimolatrice

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U

N RICORDO PERSONALE

Chiudo, con commozione, ricordando cosa ha rappresentato e cosa rappresenta Pierre Carniti per me.

Il 25 settembre 2016, in occasione dei suoi ottant’anni, scrissi in un giornale locale toscano un articolo che si intitolava così: “Gli ottant'anni

di Pierre Carniti: kairòs della speranza e desiderio di futuro”.

Ancora oggi, per chi, come me, è entrato alla Cisl, ormai oltre quindici anni fa, (tramite il Cesos centro studi animato da Domenico Paparella e Guido Baglioni,) sulla scia del mito del sindacato negli anni sessanta e settanta, Carniti rappresenta, forse non un’icona, come in altre epoche, ma certamente un punto di riferimento imprescindibile.

Dico di più, per chi lo ha fatto sulla scia degli echi del cattolicesimo sociale, post conciliare e progressista, lui, il cattolico nella sinistra, non democristiano, che ha guidato la Fim e la Cisl in epoche diverse, ha esercitato un fascino ancora potentissimo.

Non posso vantare, anche per motivi anagrafici, una frequentazione assidua e profonda, ma non mi sono limitato a conoscerlo sui libri.

Ricordo, con emozione, la prima volta che lo vidi, oltre una decina di anni fa, ad Assisi al seminario annuale dei Cristiano Sociali, con il suo immancabile sigaro, insieme ad Emilio Gabaglio.

Ricordo il dibattito organizzato con lui nel 2009, al Teatro San Genesio di Roma sulla riforma contrattuale con giovani sindacalisti di tutte le provenienze, anche se le sue posizioni, in quel caso, non coincidevano pienamente con quelle della Cisl.

Ricordo le riunioni di Eguaglianza & libertà, cui ho per un po' partecipato: i suoi interventi ironici e profondi, e quella volta che mi ha regalò l'autobiografia con dedica personale di Luigi Scricciolo, il sindacalista Uil ingiustamente accusato di far parte delle Brigate Rosse, sapendo che mi stavo occupando del tema. Ricordo il momento, indimenticabile, in cui ho

avuto l’onore di accompagnarlo verso il palco dell’ultimo congresso confederale nazionale della Cisl, mentre tutta la sala si alzava in piedi, emozionata, a salutarlo.

Penso alla mia ultima notte in cui ho avuto casa a Roma, nell'ottobre del 2012. Lo andai ad intervistare a casa sua sull'Appia antica, sui suoi rapporti con Pippo Morelli, di cui ho già fatto cenno precedentemente.

Quella sera lo ritrovai un po' scorbutico, ma lessi comunque l'emozione nei suoi occhi quando mi indicò, all’ingresso di casa, i quadri regalatigli da Morelli, in occasione delle nozze. Erano gli ultimi mesi di Pippo Morelli in vita, dopo oltre vent'anni vissuti dovendo convivere con le gravissime conseguenze di un ictus. L’ultimo anno di Pierre è stato dedicato anche a portare a compimento e dare continuità alla sua intuizione del Premio Astrolabio del Sociale per i giovani ricercatori sui temi del sindacato e della rappresentanza del lavoro, poi proseguito in altre forme dopo la sua scomparsa.

Voglio condividere la riflessione che Pierre Carniti non è (non riesco qui, nonostante i tre anni trascorsi ad usare un verbo al passato) solo un sindacalista eccezionale, una figura che rimarrà nei libri di storia italiana, un “padre della patria”, come è stato definito, ma soprattutto un testimone autentico, un protagonista del sindacato, e più in generale dell'impegno sociale, che è importante, fondamentale far conoscere ai ragazzi e ai sindacalisti di oggi, non solo della Cisl e della Fim. Chi volesse approfondire i "mitici" anni sessanta, può leggere la sua testimonianza tratta dal libro: "Era il tempo della speranza"10, sempre con l’attenzione non nostalgica di un

“kronos” lontano e ormai esaurito, ma di un

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I

L LAVORO SENZA LAVORO E LE NUOVE ESPERIENZE POSSIBILI

Un importante e recente testo sul lavoro redatto da Carniti che aggiunge molti contenuti di attualità rispetto al già citato volume autobiografico, è rappresentato da:

“La risacca – Il lavoro senza lavoro”, in cui si

affronta il lavoro non solo come fatto economico, ma come fatto “sociale e relazionale”11.

“Se il lavoro è sempre esistito e sempre continuerà ad esistere ci troviamo oggi - scriveva Carniti nel testo - di fronte ad un grave paradosso: mentre la disoccupazione cresce in tutto il Mondo ed in particolare nei paesi “sviluppati” chi lavora, complice il sempre più evidente mischiarsi del tempo del lavoro e del non-lavoro, invece di riuscire a ridurre le ore di impegno le vede accrescere.”

Ammoniva Carniti nel 2013: “In gran parte delle dottrine economiche e delle politiche dei governi l’elemento decisivo del “senso” del lavoro per le persone ha scarso o nessun rilievo. Invece è proprio dal “senso” che non si può assolutamente prescindere per mettere concretamente in campo

politiche finalizzate alla stessa riduzione della disoccupazione. La mancanza del lavoro, infatti, non è separabile anche dal suo “senso” sociale e umano […]”.

“La situazione con cui siamo alle prese ‒ continuava Carniti ‒ “dunque, è che troppo spesso la politica moderna non riesce a, o non si preoccupa di mettere gli individui in condizione di dare un senso al

proprio lavoro e quindi alla propria vita. Perché ciò possa diventare possibile sarebbe necessario – continuava l’ex segretario generale della Cisl – il riferimento a valori e finalità in cui i lavoratori si possano identificare e allo stesso tempo riescano a legittimare e affermare il loro legame con le comunità di appartenenza e con l’universo morale che le può tenere unite. Si capisce bene che quando il profitto, il valore degli azionisti, i bonus per i dirigenti, sono anteposti a tutto il resto, la “creazione di senso” per l’intera società diventa piuttosto improbabile. Per non dire del tutto impossibile. Ed è proprio a questo punto che siamo arrivati. Sarebbe quindi indispensabile una correzione di rotta. Possibilmente prima di scoprire disastrosamente – concludeva Carniti – che non sono rimasti più il tempo e lo spazio per effettuare manovre correttive. […]”12

Temi attualissimi e, sempre, affrontati con

“La situazione con cui siamo alle prese ‒ continuava Carniti ‒ “dunque, è che troppo spesso la politica moderna non riesce a, o non si preoccupa di mettere gli individui in condizione di dare un senso al proprio lavoro e quindi alla propria vita. Perché ciò possa diventare possibile sarebbe necessario – continuava l’ex segretario generale della Cisl – il riferimento a valori e finalità in cui i lavoratori si possano identificare e allo stesso tempo riescano a legittimare e affermare il loro legame con le comunità di appartenenza e con l’universo morale che le può tenere unite. Si capisce bene che quando il profitto, il valore degli azionisti, i bonus per i dirigenti, sono anteposti a tutto il resto, la “creazione di senso” per l’intera società diventa piuttosto improbabile. Per non dire del tutto impossibile. Ed è proprio a questo punto che siamo arrivati. Sarebbe quindi indispensabile una correzione di rotta. Possibilmente prima di scoprire disastrosamente –

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efficacia e originalità.

Se rileggiamo il suo ultimo testo organico, appunto “La risacca” ci sono altri spunti che vale la pena almeno di citare.

C’è un paragrafo del libro che si intitola: “nuove esperienze possibili”.

Carniti raccontava di esperienze incoraggianti anche se ancora minoritarie, modalità concrete, che prefiguravano un possibile: “nuovo modello relazionale, umano del lavoro”.

Modelli che esprimevano la possibilità di un’economia altra rispetto a quella che aveva dissipato risorse economiche e umane.

Il sindacalista cislino si riferiva a forme sperimentali di: “lavoro associato”, forme diverse dai canoni del lavoro dipendente, subordinato, salariato.

Egli si riferiva all’avanzare un nuovo modello di lavoro sociale, di micro imprese nei settori più creativi e innovativi, attraverso forme di lavoro “autogestite” che aiutassero a recuperare

il senso del lavoro attraverso modalità di partecipazione e “comunità di lavoro” nel quale il lavoro diviso si ricompone socialmente, soprattutto mediante nuove e rinnovate modalità di concepire l’impresa cooperativa.

Quello dell’autogestione è, insieme alla riduzione dell’orario di lavoro, un tema ricorrente di Carniti, fin da prima di entrare nel sindacato, frutto anche della conoscenza maturata nei primi anni cinquanta, nel territorio cremonese con una figura significativa della storia sociale del nostro paese: Guido Miglioli e che, anche per dare una risposta alle crisi causate dalla pandemia (e non solo) ha visto il rilancio di strumenti importanti che hanno favorito l’aumento delle imprese in crisi “rigenerate dai lavoratori” attraverso i workersbuyout”, frutto di una legge la c.d. Marcora, approvata proprio nelle settimane in cui lasciava la guida della Cisl, nel 1985.

10 Si veda:

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Q

UALE

EREDITÀ

Mi è spesso risuonata nella mente la famosa, e nei giorni successivi alla scomparsa citatissima, chiusura del suo intervento al congresso nazionale della Cisl, l’11 luglio 1985, dopo le grandi tensioni anche interne che avevano comunque portato alla vittoria nel

referendum sulla scala mobile, quando, lasciando la segreteria a soli 49 anni, concludeva, parafrasando S. Paolo: “Ho

combattuto la buona battaglia. Ho terminato la mia corsa. Ho conservato la fede in quello straordinario fatto di solidarietà umana che è il sindacato, che è la Cisl".

E’ vero, Carniti è stato per me, come per molti altri, quasi indiscutibile, quello che, da giovanissimo ritenevo, un po’ ingenuamente: “avesse sempre avuto e

avesse sempre ragione”.

Lo penso, oggi tornando alla citazione di Paolo Giuntella, con un fiore rosso e le mani aperte, ma lo associo anche ad una “rosa bianca”, per la sua purezza. Una rosa bianca come quella che, inaspettatamente, dopo un giorno di pioggia, è fiorita nel mio giardino a Pistoia, proprio il giorno successivo alla sua morte.

Pierre Carniti, il suo Kairòs, sono anche un’eredità da non disperdere.

Approfondendo la figura del segretario generale della Cisl ho imparato ad apprezzarne due grandi doti, solo apparentemente divergenti: la fragilità e la tenacia.

Mi spiego meglio: di Carniti sono molto interessanti anche le sconfitte. Lo ricordava lui stesso nell’autobiografia quando raccontava della prima “conta” al consiglio generale della Cisl, in cui, credo sul tema dell’incompatibilità, insieme a quella di Pierre Carniti si alzarono solo quattro mani, a fronte di un consesso di oltre cento

persone.

Non senza un pizzico di malizia ricordava sorridendo l’ironia finale del segretario generale della Cisl Bruno Storti che, di lì a pochi anni, lo avrebbe raggiunto sulle stesse posizioni.

A livello personale, Carniti mi ha ricordato più volte questo e simili episodi che fanno comprendere il valore rivoluzionario della tenacia e della pazienza, del saper far fare passi avanti, rompendo quando necessario, ma avendo cura, sempre, non dell’immediato, ma della coerenza di una strategia.

Di fronte ad una società che si concentra sempre di più solo sui “vincenti” (salvo poi fomentare la rabbia, a volte rancorosa, degli “altri”), quel suo sapere stare “quasi ai

margini”, quel suo saper tornare, non da

solo peraltro, in periferia, sempre tra i lavoratori e tra gli ultimi, ci consegnano un messaggio potentissimo: non temere, non fuggire la fragilità, la sconfitta, la testimonianza. Non per compiacersi di esse, e di una purezza, questa volta sterile e moralistica, assolutamente. Ma per trovare la forza di un balzo più lungo, più vero, più condiviso.

La Cisl di Carniti fu, sempre, la Cisl del rapporto coltivato e reciproco con gli intellettuali e gli specialisti, un rapporto coltivato e mai succube e che si sviluppò, come ci ricorda Bruno Manghi, prima con i “giovani maestri” della scuola di Firenze, poi con il mondo culturale milanese, fino all’incontro decisivo con, tra gli altri, Vicarelli e Tarantelli.

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15 “Ancora una cosa, prima che scenda la sera.

Davanti a me ho un giovane. Lui ascolta, io termino di raccontare. Osserva con attenzione Il quarto stato di Pelizza da Volpedo: siamo nel 1907, vedi quei lavoratori? Non vogliono il “potere ai soviet”, ma un mondo migliore, un po’ più di eguaglianza e giustizia sociale. Ogni tanto accarezzo l’idea che il ragazzo lì dietro, di lato, con i pugni serrati, assomigli un poco a com’ero io da giovane. I ricordi, quando si è stanchi, cominciano a sovrapporsi fino a dare forma a strani pensieri. Uno di questi mi fa sorridere, in bilico tra passato e futuro. Ha a che fare con la convinzione che in tanti parti del mondo, di sicuro anche qui da noi, ci siano ancora ragazzi e ragazze in tutto simili al giovanissimo tipografo con in mano la licenza media nella Cremona degli anni Cinquanta: un po’ timido, piccolo, magro, capelli cortissimi, tagliati a spazzola. Scoprono, quasi senza volerlo la vocazione a contestare il mondo così come è, per poi apprendere come d’incanto la misteriosa dote di portarsi appresso tanti altri come loro. Cominceranno così la loro avventura di sindacalisti, magari in prima fila, alla testa di un corteo. A seguirli, appena qualche passo più indietro, accanto a un ragazzo con piercing, felpa e zainetto del sindacato a tracolla, intravedo l’ombra sorniona del vecchio Pierre, addosso un vestito fuori moda, stretto tra i denti il suo amato sigaro toscano mai spento.”

Sta a noi, con il nostro sguardo, raccogliere e intrecciare al meglio l’amore per il sindacato, ricostruire dai frammenti un “tutto”, per “fare

giustizia insieme”, attraverso il dialogo, fruttuoso e dialettico, tra le generazioni. Mi ripeto: il primo passo non può che essere un ritorno alle origini valoriali della nostra straordinaria e più che centenaria esperienza collettiva: riscoprire il desiderio di fare ed essere sindacato inclusivo, la felicità, in senso antropologico, l’habitus di Bordieu, il “desiderio di essere”. Abito che quest’ultimo tempo di pandemia, con tutte le sue contraddizioni, non può non averci fatto, almeno provvisoriamente, riscoprire.

C’è, infatti, sempre un Kairòs, un tempo opportuno, per la Speranza, per “sognare da svegli” come ricordava spesso Carniti, citando Aristotele.

In questo tempo, proprio in questo tempo, con le difficoltà e le opportunità che ci sono date, attraverso questo desiderio di essere, non possiamo che ritrovarci infinitamente riconoscenti, fieri di persone, non solo icone, non solo miti, come Pierre Carniti.

Solo così, a tre anni dalla sua scomparsa, ricordando anche la sua lezione di sobrietà, la nostra “fedeltà” a Pierre sarà vera ribellione all’oblio, nella tenerezza.

Scriveva Chesterton: “Noi possiamo prendere le nostre lacrime più alla leggera della tremenda levità degli angeli. Così forse sediamo in una camera stellata di silenzio, mentre la risata dei cieli risuona troppo forte perché possiamo udirla”.

Così, “la morte non avrà l’ultima parola”13 e, mi concedo una citazione antica, da calabroni, potremo ancora, “paradossalmente volare ” o, se vogliamo, “remare controcorrente”.

12 P. Carniti, Op. Cit.

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