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NOME E COGNOME. L Eutanasia: le tesi e le antitesi di una pratica ormai possibile. a.a.

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Academic year: 2022

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1 NOME E COGNOME

L’Eutanasia: le tesi e le antitesi di una pratica ormai possibile.

a.a.______________

Con il continuo sviluppo delle tecnologie e di modo speciale delle cosidette biotecnologie si è fatta strada l’idea che l’intervento medico possa preseguire obiettivi ulteriori rispetto la semplice cura e restutizione della salute. Il ruolo primario della medicina che era soltanto quello puramente curativo viene ampliandosi verso una catena di ambiti diversi dalla salute tradizionalmente intesa. La medicina attraverso diversi strumenti si propone anche ad alleviare la sofferenza degli esseri umani in condizioni di malattie difficili. Il presente elaborato pretende essere una riflessione attorno l’eutanasia che è uno dei problemi che ha scaturito in ambito della medicina.

Etimologicamente il termine eutanasia deriva di due espressioni greche: eu che vuol dire, bene;

thànathos che vuol dire morte. Quindi si potrebbe dire che euthanasia significa “buona morte”1. Dal punto di vista teorico l’euthanasia in quanto “buona morte”, viene accettata da parte di buon numero delle persone. Dal punto di vista applicativo è ancora centro di diversi dibattiti poiché ha che fare con la vita umana. Il dibattito nasce dalle domande che il problema sopprammenzionato solleva se si deve o no praticare l’eutanasia? Chi ha autorità sulla vita umana?

Concettualmente l’eutanasia è procurare intenzionalmente e nel proprio interesse la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, sia menomante sia psichica. Tale intenzione può essere attiva o passiva. Nel primo caso il medico accetta la richiesta di un’ammalato terminale, per il quale non vi siano speranze, non solo di guarigione o miglioramento e amministra un’azione letale. Nel secondo, il medico sospende su richiesta del paziente o della famiglia di quest’ultimo una terapia che serva a prolungare la vita e le sofferenze del paziente stesso.

L’euthanasia è una pratica non nuova, rissale addirittura al diciottesimo secolo. Ciononostante non è del tutto giusta, invero, la vita è un dono e nessuno deve togliersela o toglierla ad un’altra persona anche se essa è sofferente. Quest’ultima è uno dei ragionamenti più comune nei circoli di pensiero sia da parte della bioetica laica sia da parte della bioetica cristiana. Però, non del tutto indiscutibile seppur sia radicata.

1 Cfr. Enciclopedia Treccani, in www.treccani.it. (Ultimo accesso, 20 maggio 2018).

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2 Dal punto di vista teorico, l’eutanasia è un tema frequentato dagli autori utilitaristi ma prima di questi ultimi si sono interessati del tema i pensatori della sacralità della vita che, come si evidenzierà in seguito la vita è sacra e va assolutamente diffesa da tutti i mezzi.

La posizione più diffusa in merito è probabilmente rappresentata dagli argomenti di Rachels contro l’eutanasia. Nonostante ciò, come vedremo, non mancano tesi utilitariste contrarie, sopratrutto per quanto riguarda la sua legalizzazione. Rachels è stato fra i primi a criticare analiticamente le tesi tradizionali a favore dell’uccisione e in particolare le distinzioni che mirano a giustificare l’omissione di trattamenti vitali nel contesto della teoria della sacralità della vita2.

Rachels come altri pensatori della teoria della sacralità della vita affermano il principio secondo il quale “è assolutamente vietato porre intenzionalmente termine alla vita perché ogni vita umana, independentemente dalla sua qualità o tipo, è inviolabile e di egual valore3”.

Come si può notare, è un principio assoluto che, è stato ripetutamente affermato, per esempio, nell’insegnamento della Chiesa Cattolica nella forma del divieto di uccidere intenzionalmente un essere umano innocente4.

Le suddete preposizioni della teoria della sacralità della vita vengono messi in discussione dalla teoria della qualità della vita. Tale teoria afferma che, il principio della sacralità della vita comporta il divieto di lasciare morire il paziente e il rifiuto di ogni valutazione sulla qualità della sua vita. La vita è un bene in sè ma si non si è in grado di assicurare una vita di qualità al paziente non ne vale la pena prolungarla5.

La nostra presa di posizione in merito a queste due prime teorie in confronto è che sia la teoria della sacralità sia quella qualità della vita presentano delle ambiguità esplicative. Ovvero, la prima si limita a proclamare il divieto assoluto della dinamica quale l’eutanasia, attraverso ragionamenti religiosi escludendo in questo modo una soluzione che sia universalmente valida per chi non è religioso. La seconda teoria invecce, si basa soltanto sulla qualità della vita senza presuppore l’impatto dell’eutanasia in nome di una qualità della vita che sia soltanto del paziente.

2 R. Mordacci, Una introduzione alle teorie morali: Confronto con la bioetica, Milano, 2003, p. 91.

3 H. Kuhse, La sacralità della vita. Dottrine in Medicina, Milano, 2003, p. 5.

4 Infatti, l’Enciclica papale Evangelium Vitae del 1995, nella paragrafo 57, afferma: “l’uccisone diretta e voluntaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale”.

5 R. Mordacci, Una introduzione alle teorie morali: Confronto con la bioetica, Milano, 2003, p. 109.

Commentato [d1]: Assume la…

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3 La questione è talmente accesa che è possibile individuare ancora due prospettive morali in confronto.

La prima è l’utilitarismo. L’utilitarismo è una dottrina filosofica maggiormente conosciuta sia nel contesto della politica che nell’economia, nell’etica, nella biologia, ecc.

Sono tre i posizionamenti dell’utilitarismo: Il primo è conseguenzialismo, che fa dipendere la giustificazione degli enunciati morali esclusivamente dalla valutazione delle conseguenze, ossia, una certa azione è giustificata se produce conseguenze migliori di ogni altra scelta praticabile, cioè se realizza miglior saldo di bene sul male rispetto a qualsiasi azione alternativa6. La seconda alternativa è il “benesserismo o welfarismo” per forza del quale si interpreta specificamente il valoree causato delle azioni in termini di benessere. Le conseguenze negative vanno, dunque evitate perche apportano il danno. Il bene è utile in quanto portatore di maggior beneficio7. Il terzo posizionamento è l’aggregazionismo che afferma che, il benessere ad essere massimizzato non è soltanto quello del seoggetto (egoismo etico), bensì quello di tutti gli individui coinvolti nel loro insieme8.

La conclusione di queste tre prospettive dell’utilitarismo è che le situazioni vanno sempre valutate a secondo delle circonstanze e delle conseguenze utili, negative o positive che possono sorgere dall’azione dei soggetti. Siccome l’individuo in sofferenza al chiedere una “buona morte” soddisfa la sua propria scelta di cui il saldo è praticamente migliore, se considerato che si libera dal dolore (conseguenzialismo); raggiunge un benessere (benesserismo); e la pratica non porta conseguenze per nessuno pur sia egoistica (aggregazionismo), allora è possibile affermare che per l’utilitarismo l’eutanasia è lecita e va praticata per una ragione fondamentale, quale la felicità degli individui.

L’utilitarismo pur sia logico nelle sue posizioni, trova nella scia delle teorie etiche un avversario che è l’etica delle virtu e del comunitarismo. Quest’ultima è stata maggiormente sostenuta da Philippa Foot9.

Conforme Foot, benché la morte sia in generale un male, in certe situazioni essa è piuttosto un beneficio che un danno per il paziente, a causa delle sue condizioni di grave sofferenza senza rimedio.

Ciononostante, la virtù e la giustizia ma anche la carità ci impongono di rispettare la volontà di vivere delle persone e non quella di morire. In effetti, il diritto alla vita di cui la persona afferma finché si trovi bene presuppone anche il divieto di uccidere. Dunque, uccidere e lasciare ou lasciarsi morire sono contrari a virtù distinte: carità e giustizia10.

6 Ivi, p. 91.

7 Ivi, p. 92

8 Ivi, p. 95.

9 P. Foot, Euthanasia, in G. Abbà, Felicità, vita buona e virtù. Saggio di filosofia morale, Roma, 1989, p. 104.

10 D. Callahan, The troubled Dream of life, New York, 1993, p. 233.

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4 Foot aggiunge che è preferibile non legalizzare l’eutanasia, poiché l’introduzione di una simile pratica su una base routinaria comporterebbe un ordine dei problemi: anzittuto, crerebbe situazioni dificcili da verificare in merito alla richiesta di eutanasia e al rispetto del consenso dell’interessato; in molte situazioni in cui la proposta di un’eutanasia sarebbe pertinente, infatti, mancano le condizioni soggetive del consenso come, capacità di decisione e libertà. In secondo luogo le aspettative di cura, nel contesto di un sistema che prevedesse l’eutanasia per gli incurabili, risulterebbero significativamente ridotte, poiché il paziente saprebbe che, nelle sue condizioni, ci si attende normalmente che egli rinunci a essere curato, e anzi chieda di essere ucciso11.

L’utilitarismo a questo punto viene messo in difficoltà. I pensatori dell’etica delle virtù affermano che non è valido il principio secondo il quale, “se qualcuno vuole qualcosa che la medicina può offrire, egli ne ha diritto, a meno che non si possa dare prova di un immediato e dimostrabile danno ad altri12”. Quindi, l’eutanasia non può essere lecita soltanto perché porta maggior beneficio all’individuo o ad un insieme di individui, va considerato un insieme di raggionamenti e circonstanze legate a ogni caso.

Un occhio attento sulle teorie in dibattito può notare che il criterio per qualsiasi raggionamento è soltanto l’individuo, le sue scelte, decisioni, richieste, ecc. Però la questione è estesa e coinvolge altri soggetti con cui il paziente ha condiviso la maggior parte delle esperienze della sua vita.

I membri della famiglia spesso desiderano passare più tempo possibile coi loro cari prima che muoiano, dunque, non si può decidere tenendo in conto semplicemente della decisione della persona ammalata o del medico ma anche della famiglia che, senza dubbio, vuole bene ai suoi cari seppure in situazioni difficili.

Inoltre, per quanto riguarda la scelta e la decisione dell’individuo è possivile affermare che essa è un fondamentale principio democratico. L’idea che il cittadino sia libero nelle sue opinioni presuppone che egli sia anche il proprietario della sua sfera privata, dove i suoi valori di coscienza sono insindacabili. La possibilità di scelta nelle società liberali ha sempre il suo valore anche se non è del tutto assoluto.

È vero che la “buona morte” piacerebbe a tutti tanto quanto la buona vita piace a tutti. Tuttavia, per quanto riguarda l’eutanasia non si può ridurre tutto a una questione personale o medica. Vi è sempre

11 R. Mordacci, Una introduzione alle teorie morali: Confronto con la bioetica, Milano, 2003, p. 208.

12 Ivi, p. 208.

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5 qualcosa di grande che rimane e che va oltre e nostre decisioni e scelte: la vita. La vita deve essere vissuta fino alla fine costi quel che costi.

Premesso ciò, considerando le diverse posizioni della bioetica di cui questo elaborato si è interessato urge considerare che, la Bioetica in quanto scienza filosofica che ha il consenso di tutti (laici che cristiani) deve affrontare alcune questione fondamentali rispetto il problema discusso. Pensiamo che debba in primo luogo favorire ad una migliore comprensione dell’autonomia. In secondo luogo deve migliorare la comprensione di una medicina socialmente benefica e ripensare dei fini della medicina in vista al bene della comunità. Insomma, se si ritiene che tutte le pratiche scientifiche della medicina abbiano benefici complessivi a tutti gli essere umani senza conseguenze, allora possiamo affermare che si abbia fatto un passo in avante per decidere su taluni pratiche come è il caso dell’eutanasia.

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