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University in the 21st Century

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SISSA – International School for Advanced Studies Journal of Science Communication

ISSN 1824 – 2049 http://jcom.sissa.it/

JCOM 6 (2), June 2007  2007 SISSA

Editorial

L’università del XXI secolo

Il 9 marzo scorso la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti d’America ha approvato lo Scientific Communications Act of 2007, una legge (HR1453) con cui si autorizza la National Science Foundation, la grande agenzia che coordina la ricerca pubblica del Paese, a spendere ogni anno per cinque anni, dal 2008 al 2012, dieci milioni di dollari nell’educazione alla comunicazione degli scienziati.

La scelta si impone perchè, agli occhi del legislatore americano, i rapporti tra scienza e società sono ormai così interpenetrati da rendere professionalmente necessario per uno scienziato – in primo luogo per uno scienziato che spende i soldi del contribuente – comunicare con il grande pubblico dei non esperti. Ma anche, e soprattutto, dalla necessità di costruire per tutti una solida «cittadinanza scientifica».

Aver indicato queste due esigenze, quella che impone agli scienziati di saper comunicare e quella che consente al cittadino di acquisire una cultura scientifica sempre più solida, non è in assoluto una novità.

Neppure per una grande istituzione politica. La novità dello Scientific Communications Act of 2007 risiede, invece, in una più precisa indicazione: educare alla comunicazione non solo i ricercatori, ma anche gli studenti di materie scientifiche all’università. In modo che la prossima generazione di scienziati e di tecnici sia già pronta a instaurare un rapporto più consapevole, e quindi più maturo, con la società.

Se la legge verrà attuata e i risultati risulteranno positivi, allora è la natura stessa dell’università che inizierà a cambiare. Perchè alle due missioni originarie dell’università, la formazione e la ricerca, se ne aggiungerà una terza: la diffusione delle conoscenze scientifiche nella società, appunto.

In realtà è da molti anni che negli Stati Uniti (e in alcuni paesi europei) si parla di una Third Mission o di un Third Stream per le università. Ma in genere si interpretato questa esigenza come il semplice

«trasferimento delle conoscenze» dagli atenei e dai centri di ricerca alle imprese.

Compito importante in una società e in un’economia che è definita, ormai, “della conoscenza”. Ma questa interpretazione della Terza Missione ha prodotto secondo alcuni (per esempio secondo alcuni analisti dell’inglese Russell Group), risultati al di sotto delle aspettative. Perchè il trasferimento efficiente delle conoscenze dalle università alle imprese non può essere lineare. E perchè quello che conta, in una società che punta sull’innovazione per svilupparsi, è creare un ambiente con una forte vocazione innovativa in cui il dialogo tra scienza ed economia – o se si vuole tra università e impresa – diventi naturale. Occorre creare, in altri termini, un melieu culturale favorevole alla produzione e all’uso della conoscenza.

In una società democratica questo ambiente è un ambiente partecipativo. In cui i cittadini favoriscono la produzione di nuova conoscenza e, appunto, partecipano alle scelte sulle concrete applicazioni delle nuove conoscenze prodotte. Di più. Nella società democratica della conoscenza tutti devono aver accesso alle nuove conoscenze e tutti devono avere la possibilità di utilizzarle per migliorare – in temini economici, ambientali e culturali – la propria vita.

Tutto ciò non nasce, solo, da una elementare esigenza di giustizia sociale. Ma anche da una esigenza di efficienza. Lo sviluppo di una società che punta sulla conoscenza è più rapido e profondo se la cultura dell’innovazione è diffusa e partecipata.

Se tutto questo è vero, allora è necessario reinterpretare la funzione dell’università. Allora è necessario assegnarle come Terza Missione non solo quella di trasferire conoscenze alle imprese, ma anche e soprattutto quella di collaborare attivamente alla diffusione delle conoscenze nella società e alla costruzione di una vasta cittadinanza scientifica. Ciò significa, naturalmente, che le università devono attrezzarsi. Sia creando nuovi spazi di studio dei rapporti tra scienza e società. Sia formando i propri studenti alla Terza Missione, come indica lo Scientific Communications Act of 2007 della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti. Sia, infine, attribuendo risorse specifiche e riconoscendo autonomia disciplinare alla comunicazione della scienza al grande pubblico.

È questo, forse, uno dei ponti fondamentali da costruire per passare dall’università del XIX secolo a quella del XXI secolo. Dalla società fondata sulla trasformazione della materia alla società fondata sulla diffusione della conoscenza.

Pietro Greco

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