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Brevi osservazioni alla proposta di legge dal titolo “Norme per il contenimento dell’uso dei suolo e la rigenerazione urbana”

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Brevi osservazioni alla proposta di legge dal titolo “Norme per il contenimento dell’uso dei suolo e la rigenerazione urbana”

31-05-2013 Paolo Maddalena

Brevi osservazioni alla proposta di legge dal titolo “Norme per il contenimento dell’uso dei suolo e la rigenerazione urbana”, presentata alla Camera dei deputati il 15 marzo 2013, da Realacci ed altri.

La proposta di legge in esame dichiara di voler contenere l’uso dei suoli e di voler incentivare il

“riuso” degli immobili abbandonati, affermando all’art. 1, primo alinea, che: “La Repubblica tutela la risorsa suolo e le funzioni che essa svolge in quanto elemento essenziale per la vita degli

ecosistemi e del genere umano. Per suolo si intende lo strato superiore della crosta terrestre, costituito da componenti minerali, organici, acqua, aria e organismi viventi”.

Un’ottima definizione, soprattutto perché pone in evidenza che il suolo è elemento necessario per l’origine e la conservazione della vita sulla Terra, e che distruggere porzioni sempre crescenti di suolo vuol dire distogliere zone rilevanti della Terra dalla insostituibile funzione di assicurare la vita del pianeta. Considerato anche che il “consumo di suolo” ha superato ogni limite di “sostenibilità ambientale”.

La conseguenza che ci si aspetterebbe dovrebbe, quindi, essere il “divieto di costruire” al di fuori delle aree già urbanizzate e che l’unica attività edilizia ammissibile debba riguardare soltanto il

“riuso degli immobili abbandonati”.

Ma la disillusione è immediata. Nessun divieto. Anzi si dice subito nello stesso art. 1, al comma 3, che “la presente legge detta principi fondamentali in materia di pianificazione del territorio per il contenimento del consumo del suolo, la mitigazione e la compensazione degli impatti ambientali provocati, l’orientamento degli interventi edilizi verso aree già urbanizzate degradate e le aree ad uso produttivo dismesse da riqualificare, anche al fine di promuovere e tutelare l’attività agricola, il paesaggio e l’ambiente”.

Ciò di cui ci si occupa è, dunque, una nuova ”pianificazione del territorio”, e “pianificare il territorio” vuol dire che su tutto il territorio, suolo libero compreso, è possibile edificare.

Il “consumo del suolo” non è affatto negato. Anzi il primo provvedimento che si adotta concerne la possibilità di consumare il suolo, purché si “paghi un contributo per la tutela del suolo e la

rigenerazione urbana”, il che vuol dire che, per ristrutturare le aree urbane si deve offrire ai

costruttori altro suolo libero, farsi dare un “contributo” e con questo contributo, che non è altro che il corrispettivo del consumo di altro suolo, si rende possibile la ristrutturazione urbana.

Sembra il gioco delle tre carte. Ma il trucco è chiarissimo: non si indirizza direttamente l’attività edilizia nelle aree già urbanizzate, ma si concede di costruire dove i proprietari vogliono, beninteso nei limiti della pianificazione edilizia, purché si paghi una certa somma di danaro. E ciò all’art. 2, comma 2, lo si dice espressamente: “il contributo di cui al comma 1 si applica in tutto il territorio nazionale con riferimento ad ogni attività di trasformazione urbanistica ed edilizia che determina un nuovo consumo di suolo”.

Inoltre, nulla si dice sul reale ammontare del contributo, dichiarandosi solo che esso “è legato alla perdita del valore ecologico ambientale e paesaggistico, che esso determina”. Magnifico!

L’ammontare, allora, sarà determinato da un accordo tra costruttori ed amministratori comunali, e,

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naturalmente, vincerà il più forte, mentre i poveri cittadini subiranno ignari gli effetti.

Ma non è tutto, poiché c’è un’altra norma a difesa degli edificatori. Infatti, il comma 3, dello stesso art. 2 sancisce che: “il contributo può essere sostituito, previo accordo con i comuni, da una

cessione compensativa di aree a finalità di uso pubblico, per la realizzazione di nuovi sistemi naturali permanenti quali siepi, filari, prati, boschi, aree umide e di opere per la sua fruizione ecologica e ambientale, quali percorsi pedonali e ciclabili”.

Non si capisce se la “cessione compensativa” implichi anche il trasferimento ai comuni dell’area, oppure non. Sennonché, poiché il legislatore ubi voluit, dixit et ubi noluit, tacuit, se ne deve dedurre che le aree in questione restano in proprietà dei costruttori, i quali, non solo consumano, versando un contributo, suoli liberi, ma sono autorizzati anche a costruire percorsi pedonali e ciclabili, a spese di chi, non si sa.

Il comma 4, dell’art. 2, dice finalmente come si riqualifica il tessuto urbano: “i comuni destinano i proventi del contributo a un fondo per interventi di bonifica dei suoli, di recupero e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, di demolizione e ricostruzione di edifici posti in aree a rischio idrogeologico, di acquisizione e realizzazione di aree verdi”.

Insomma, i costruttori consumono altro suolo, pagano un contributo, e con questo contributo i comuni finanziano ai costruttori (probabilmente agli stessi che hanno pagato il contributo) altre opere edilizie, da effettuare in aree urbane.

Alla resa dei conti, chi ha pagato è il suolo, cioè un bene territoriale in appartenenza, anzi in

“proprietà collettiva” dei cittadini, i quali sono i veri pagatori di questo intricato sistema per migliorare le aree urbane.

Ma non è finito. All’art. 3, comma primo, si prevede l’individuazione da parte dei comuni di

“ambiti caratterizzati da degrado delle aree e dei tessuti urbani”, da assoggettare ad interventi di rigenerazione urbana, ambientale e sociale”.

Sembrerebbe che si tratti soltanto di “aree già urbanizzate”, ed invece no. Infatti, nel comma 2, si prevede che “i comuni possono disporre, per un periodo massimo di dieci anni, un regime

agevolato, consistente, nella riduzione del “contributo di costruzione”. Se, dunque, è previsto una riduzione del contributo di costruzione, vuol dire che gli “ambiti” individuati contengono anche suolo libero, e si capisce, allora, perché, furbescamente, al primo comma, si è detto che gli “ambiti di cui si parla non sono “limitati” alle aree urbanizzate, ma sono semplicemente “caratterizzati”

dall’esistenza negli ambiti stessi di aree urbane degradate. L’inganno è così svelato. Sennonché, questa incredibile proposta di legge, non si ferma qui e, pronta a soddisfare i desideri dei costruttori, continua affermando che, oltre alla diminuzione del contributo, i comuni possono prevedere

“l’applicazione di una aliquota ridotta dell’IMU” e, sentite, sentite: “l’attribuzione di diritti edificatori alle proprietà immobiliari”. Ancora un altro colpo mortale al suolo libero ed addirittura la concessione gratuita di altri “diritti edificatori”. A questo punto non è chi non vede che qui si tratta di una vera e propria legge truffa, che anziché limitare il “consumo di suolo, lo “aumenta, favorendo in ogni modo i costruttori”, con i quali, poi, i comuni stipulano “accordi”, come è detto all’art. 2, comma 3.

E’ davvero incredibile, ma non è ancora tutto. Per agevolare i costruttori, il comma 5 dell’art. 3, in esame, prevede “uno strumento finanziario da parte della Cassa depositi e prestiti SpA, anche garantito da beni demaniali, che prevede…..condizioni finanziarie e tassi di interesse vantaggiosi per l’investimento dei privati”. Siamo nell’assurdo! La garanzia per le agevolazioni in favore dei costruttori è costituita da “beni demaniali”, cioè da beni in “appartenenza demaniale collettiva” del

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popolo italiano, che sono “inalienabili, inusucapibili ed in espropriabili”. La proposta di legge disserta di beni indisponibili del popolo sovrano, come se si trattasse di beni commerciabili in proprietà privata dell’ente, persona giuridica, “comune”, ovvero, direttamente degli “amministratori comunali”.

La proposta, poi, proseguendo su questa strada parla di una “perequazione urbanistica” (art. 4, comma 1), cioè una distribuzione del diritto di costruire a “tutti gli immobili che si trovino in analoghe condizioni di fatto e di diritto”. Il ius aedificandi è dunque divenuto moneta sonante nelle mani degli amministratori comunali. Ma il ius aedificandi, il diritto di costruire, non è una

“dotazione” da concedere ad immobili che si trovino nella stessa condizione di fatto e di diritto, ma è un “diritto del popolo sovrano” da “concedere o non” ai singoli proprietari, se la costruzione corrisponde o non all’”utilità sociale”, di cui parla l’art. 41 della Costituzione, ed alla “funzione sociale”, di cui parla l’art. 42 della Costituzione medesima.

Si tratta di norme di “ordine pubblico economico”, che devono essere rigorosamente rispettate e che questa proposta sembra ignori completamente. Ed in proposito, si deve solo notare che l’art.7 di questa proposta considera i “diritti edificatori” un “diritto reale di superficie”, soggetto alla trascrizione di cui all’art. 2643 del codice civile. Dunque, oggetto di scambio con i costruttori è addirittura la costituzione di un diritto reale, il “diritto di superficie”, come si è appena detto.

In questa proposta di legge si parla ancora di altre amenità: il “il comparto edificatorio tra i

proprietari che consumano suolo libero” (art. 5); l’edificabilità di questo comparto tramite un “piano urbanistico attuativo convenzionato”, cioè concordato dai comuni con i costruttori (ma quale sarà la voce dei cittadini?), nonché “un permesso di costruire convenzionato” con i proprietari; l’acquisto gratuito da parte dei comuni di beni immobili privati, offrendo in cambio “l’attribuzione di quote di edificabilità (detta di compensazione) da utilizzare in loco, ovvero da trasferire in altre aree

edificabili, previo accordo (ed è il terzo accordo) per la cessione delle aree stesse al Comune” (art.

6), e, lo si creda, l’elenco potrebbe continuare.

Ma ci fermiamo qui, tale è il disgusto per questa proposta di legge, che si presenta come diretta a limitare il “consumo ei suoli” e che è invece diretta a “consumare altro suolo”, per tutelare gli interessi dei costruttori e degli amministratori comunali.

Paolo Maddalena

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