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Ordinanza di liquidazione del compenso agli arbitri, ricorso per cassazione ed incensurabilità del vizio logico della motivazione, tra Sezioni unite e riforme legislative - Judicium

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ROBERTA TISCINI

Ordinanza di liquidazione del compenso agli arbitri, ricorso per cassazione ed incensurabilità del vizio logico della motivazione, tra Sezioni unite e riforme legislative

1.Tristemente si conclude (per il momento) la vicenda interpretativa che ha visto protagonista l’art. 814 c.p.c. negli ultimi anni. E si conclude con una absolutio ab instantia da parte della Corte di cassazione, la quale rinuncia ad esaminare profili che, seppure “noti”, avrebbero meritato una più consapevole riflessione.

Questi in breve i termini della questione.

Con due pronunce gemelle del 3 agosto 2009 (la n. 155861 e la n. 15592), le Sezioni unite dichiarano che il procedimento dell’art. 814 c.p.c. (nella formulazione anteriore alla riforma di cui al d.lgs. n. 40/2006) per la liquidazione del compenso agli arbitri svolge una funzione giurisdizionale non contenziosa, concludendosi con una ordinanza di natura essenzialmente privatistica, perciò carente di vocazione al giudicato ed insuscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111 comma 7 cost.

Successivamente, la Seconda sezione della Corte di cassazione (ordinanza n. 17209, dell’11 agosto 2011)2 rimette il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale ritorno alle Sezioni unite, sollecitandone un ripensamento sul tema.

Le Sezioni unite – con la sentenza in epigrafe – confermano l’orientamento già condiviso, seppure per il diverso ordine di considerazioni “attinenti all’esigenza di assicurare un sufficiente grado di stabilità agli indirizzi giurisprudenziali formatisi riguardo all’interpretazione di norme che, come l’art. 814 c.p.c., presentano in proposito margini di opinabilità”.

Nonostante l’approfondita – e pienamente condivisibile – motivazione sviluppata nell’ordinanza di rimessione dell’11 agosto 2011, le Sezioni unite si astengono dal pronunciarsi sulla questione già decisa in tempi recenti, invocando lo stare decisis, il quale – ancorché non riconosciuto nel nostro sistema per regola vigente – “tuttavia costituisce un valore o, comunque, una direttiva di tendenza immanente all’ordinamento in base alla quale non ci si può discostare da una interpretazione del giudice di legittimità, investito istituzionalmente della funzione nomofilattica, senza delle forti ed apprezzabili ragioni giustificative”.

1 In questa Rivista, 2009, 687, con nota di Tiscini; Riv. dir. proc., 2010, 487, con nota di Corrado; Corr. merito, 2009, 1100, con nota di Travaglino; Giust. civ. 2010, I, 1714; Foro it. 2009, I, 3340; Corr. giur., 2009, 1038.

2 Cass. 11 agosto 2011, n. 17209.

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Diverse ragioni non ci consentono di condividere la decisione, ragioni che oscillano dal ruolo della Corte di cassazione, al modo di intendere ed assicurare rebus sic stantibus la tutela dei diritti3.

2. Affermano le Sezioni unite di non poter tornare sulla questione (già decisa) del procedimento per la liquidazione del compenso agli arbitri, non potendosi il giudice di legittimità – chiamato ad assicurare “nomofilachia” - discostare da una interpretazione condivisa “senza forti ed apprezzabili ragioni giustificative”. Sicché, “una diversa interpretazione giurisprudenziale di una norma di legge rispetto a quella precedentemente affermatasi non ha ragione di essere allorché entrambe siano compatibili, come nella fattispecie, con la lettera della legge, essendo da preferire l’interpretazione sulla cui base si è formata una certa stabilità di applicazione”.

Rilievo questo che si impone vieppiù con riferimento alle norme processuali “non potendo l’utente del servizio giustizia essere esposto al rischio di frequenti modifiche degli indirizzi giurisprudenziali, con evidenti gravi ripercussioni sulla effettiva tutela dei propri diritti pur garantita dall’art. 24 Cost.” (non è perciò consentita una nuova riflessione sulla questione, essendosi su di essa pronunciate le Sezioni unite “in epoca piuttosto recente”).

La necessità di valorizzare il principio dello stare decisis anche nel nostro ordinamento sarebbe poi evidenziata dall’introduzione dell’art. 360 bis c.p.c.4, il quale “ha accentuato l’esigenza di non cambiare l’interpretazione della legge in difetto di apprezzabili fattori di novità (Cass. SU 5 maggio 2011 n. 9847), in una prospettiva di limitazione dell’accesso al giudizio di legittimità coerente con l’esercizio della funzione nomofilattica”5.

Volendo sintetizzare il pensiero del giudicante, esso può riassumersi nel principio immanente secondo cui, rendendosi fittiziamente vincolante il precedente giurisprudenziale (di legittimità), sono impedite inversioni di rotta su questioni su cui la Corte ebbe a pronunciarsi. Ciò allo scopo di assicurare stabilità al sistema dando certezza all’operatore del diritto circa soluzioni interpretative che pur sempre risultino compatibili con la lettera della legge.

Lo scetticismo verso siffatta conclusione è rilevabile sotto più profili.

3 In queste brevi considerazioni si oscillerà tra profili interpretativi attinenti al giudizio di legittimità e la questione specifica di natura e funzioni del procedimento dell’art. 814 c.p.c., problema quest’ultimo su cui vd. già, si vis, Tiscini, Nuovi voli pindarici della giurisprudenza di legittimità per porre un argine all’accesso: è insindacabile il provvedimento di liquidazione del compenso agli arbitri emesso dal presidente del tribunale ai sensi dell’art. 814 c.p.c., in questa Rivista, 2009, 692 ss. a commento di Cass. n. 15586/2009.

4 Introduzione avvenuta con l. n. 69/2009.

5 Chiarisce la sentenza che il richiamo all’art. 360 bis c.p.c. “non applicabile al presente giudizio ratione temporis, viene valorizzato soltanto per evidenziare un ulteriore elemento di riscontro nell’ordinamento al principio sopra affermato sulla sussistenza di limiti oggettivi alla modificazione degli orientamenti giurisprudenziali del giudice di legittimità”.

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Cominciamo col dire che essa confligge con il meccanismo di recente introduzione che contempla un vincolo delle Sezioni semplici al precedente delle Sezioni unite (innovazione di cui da tempo si discuteva, che già era stata oggetto di taluni progetti di riforma6, e che con il d.lgs. n.

40/2006 diviene legge vigente7).

Ai sensi dell’art. 374 comma 3 c.p.c. “se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso”8. In prossimità della sua entrata in vigore, la disposizione non ha mancato di sollecitare le critiche della dottrina9 proprio per il sospetto che si trattasse di meccanismo capace di introdurre nel nostro ordinamento un sistema di “precedente vincolante” (sul tipo dello stare decisis) finora ignoto ed incompatibile con la soggezione del giudice solo alla legge (art. 101 cost.10). Critica, questa, presto superata dall’osservazione – condivisibile – secondo cui il

6 Analoga proposta era contenuta nel cd. progetto Vaccarella. Vd. sul tema (anche con riferimento ai precedenti progetti di riforma), Luiso, Il vincolo delle sezioni semplici al precedente delle sezioni unite, in Giur. it., 2003, 817 ss. spec.

820; Taruffo, Una riforma della Cassazione civile?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 755; Proto Pisani, Crisi della cassazione: la (non più rinviabile) necessità di scelta, in Foro it., 2007, V, 122.

7 Secondo taluno (Proto Pisani, Su alcuni problemi organizzativi della Corte di Cassazione: contrasti di giurisprudenza e tecniche di redazione del ricorso, in Foro it., 1988, V, 28; Rordorf, Stare decisis: osservazioni sul valore del precedente giudiziario nell’ordinamento italiano, in Foro it., 2006, I, 279 ss., spec. 282 ss., spec. 284), pure il regime previgente conduceva verso un meccanismo analogo a quello poi codificato: si riteneva che anche in precedenza le Sezioni semplici avessero l’obbligo di conformarsi al precedente delle Sezioni unite, di talché, ove non avessero ottemperato, avrebbero dovuto avvalersi del potere-dovere di rimettere d’ufficio il ricorso a queste ultime. Fonte normativa dell’obbligo era, oltre allo stesso art. 374 comma 3 c.p.c., l’art. 65 ord. giud.

8 Ratio della norma è evitare i frequenti contrasti tra Sezioni semplici e Sezioni unite, non già imponendo un potere conformativo delle Sezioni unite sulle Sezioni semplici, bensì individuando una dinamica procedimentale volta ad evitare inutili oscillazioni interpretative, quando non funzionali alla effettiva uniformazione della giurisprudenza. Così Luiso, Il vincolo delle sezioni semplici, cit., 822; Prestipino, Il nuovo ruolo delle Sezioni Unite, in Il nuovo giudizio di cassazione, a cura di Ianniruberto-Morcavallo, Milano, 2007, 37 ss. spec., 61. La disposizione in qualche modo muta il rapporto tra Sezioni semplici e Sezioni unite: non si tratta più di una mera “assegnazione” alle une o alle altre (cioè di una disposizione organizzativa tra le sezioni), bensì di una vera e propria regola di “competenza” – di natura processuale – che attribuisce maggior peso alla pronuncia delle Sezioni unite (ed un vincolo di quelle semplici alla decisione delle prime).

9 Vi è stato chi ha individuato una sorta di “vincolo negativo”, una forma di debole regola dello “stare decisis”, quale decisa novità nel nostro ordinamento in cui il precedente ha una valenza meramente persuasiva: Rordorf, Stare decisis:

osservazioni sul valore , cit., 279; Amoroso, Commento all’art. 374, in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Briguglio e Capponi, Padova 2009, vol. III/1, 195 ss., spec. 205. Il sospetto era tanto più forte nel progetto provvisorio della norma, mentre l’approvazione del testo definitivo ha eliminato buona parte dei dubbi. Per una ricostruzione dell’evoluzione legislativa della norma, vd. Caporusso, Commento all’art. 374, in La riforma del giudizio di cassazione, a cura di Cipriani, Padova, 2009, 236.

10 È stato piuttosto diffuso in effetti il sospetto che la disposizione in esame fosse in contrasto con il vincolo del giudice soltanto alla legge. Cfr. Chiarloni, Prime riflessioni su recenti proposte di riforma del giudizio di cassazione, in Giur.

it., 2003, 817 ss., spec. 818; Id, Prime riflessioni sulla delega per la riforma del procedimenti in Cassazione, in Rass.

for., 2005, 901 ss., spec. 906; Carratta, La riforma del giudizio in cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 1105 ss., spec. 1119; De Cristofaro, L’edificazione della Corte suprema tra risolutezza e “timidezze” del legislatore delegato, in Corr. giur., 2005, 1763; Consolo, Deleghe processuali e partecipazione alla riforma della Cassazione e dell’arbitrato, ivi, 2005, 1189 ss., spec. 1193; Id, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2012, 366;

Tommaseo, La riforma del ricorso per cassazione: quali i costi della nuova nomofilachia?, in Giur. it., 2003, 826 ss., spec. 827. Analogo sospetto è stato espresso nel parere dell’Assemblea generale della Suprema Corte di cassazione del 21 luglio 2005 (che poi nella sostanza ha confermato il contenuto della disposizione). Contra, Sassani, Il nuovo giudizio di cassazione, in Riv. dir. proc., 2006, 216 ss., spec. 238; Luiso-Sassani, La riforma del processo civile, Milano, 2006 , 82; Tedoldi, La nuova disciplina del procedimento di cassazione: esegesi e spunti, in Giur. it., 2006, 2002 ss., spec.

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meccanismo di rimessione alle Sezioni unite su iniziativa delle Sezioni semplici (che vogliano discostarsi dal precedente delle prime) sarebbe volto a creare un vincolo di carattere processuale11, ma non ad incidere sul contenuto sostanziale della decisione rispetto a cui tanto la giurisprudenza di legittimità, quanto quella di merito conservano piena autonomia.

A ben vedere, la lettura che offrono oggi le Sezioni unite circa il potere nomofilattico di guidare la giurisprudenza altera il meccanismo dell’art. 374 comma 3 c.p.c. ed esalta quei sospetti che infondatamente erano stati ventilati intorno alla più genuina lettura della norma. Così facendo, il “vincolo” solo processuale delle Sezioni semplici al precedente delle Sezioni unite si estende alla soluzione nel merito delle singole questioni prospettate (assumendo perciò connotati sostanziali), in modo tale da vincolare la giurisprudenza alla stregua di qualsiasi fonte normativa.

L’art. 374 comma 3 c.p.c. in altri termini va riletto nel senso che il meccanismo - in base al quale la Sezione semplice, ritenendo di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite, rimetta a queste ultime la decisione del ricorso - non può funzionare quando la questione verte sull’alternativa tra due opzioni interpretative entrambe compatibili con il testo della norma, soluzioni rispetto alle quali le Sezioni unite hanno già espresso preferenze12 in epoca

“piuttosto recente”. Si tratta quindi di riformulare la norma nel seguente modo: “se la Sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite, rimette a queste ultime con ordinanza motivata la decisione del ricorso, in tutti i casi, tranne:

a)quando sono prospettate due alternative interpretazioni della medesima norma entrambe compatibili con il testo di legge e la Corte ha già aderito ad una di esse (enunciando il principio che la Sezione semplice punta a rimuovere).

b)Quando il principio di diritto è stato enunciato dalla Corte in tempi “piuttosto recenti”.

Se l’obiettivo della Corte di cassazione – nell’offrire siffatta lettura interpretativa – è quello di assicurare “stabilità di applicazione” alla legge (soprattutto processuale), si può sin da ora dubitare che il risultato sarà mai conseguito.

Il profilo sub a) esprime in effetti una contraddizione in termini. L’intervento delle Sezioni unite si impone proprio in presenza di una questione facilmente risolvibile in due modi entrambi compatibili con il testo di legge. Se ciò non fosse, potrebbe escludersi il contrasto di giurisprudenza, essendo difficile pensare ad un contrasto intorno a due opzioni interpretative solo una delle quali compatibile con il dato testuale (a meno di non ritenere che la giurisprudenza – come in effetti sta accadendo – aderisca a soluzioni interpretative talmente estravaganti da rivelarsi incompatibili con

2011; Monteleone, Il nuovo volto della Cassazione civile, in Riv. dir. proc., 2006, 943 ss., spec. 951; Amoroso, Commento, cit., 214.

11 Luiso, op. cit., 822; Sassani, op. cit., 234; Luiso-Sassani, La riforma, cit., 81; Prestipino, Il nuovo ruolo delle Sezioni Unite, cit., 60. Parla di vincolo “interpretativo” Amoroso, Commento, cit., 207.

12 Nel caso dell’art. 814 c.p.c., dal momento che entrambe le soluzioni interpretative sono compatibili con il testo della norma considerata, e dal momento che la Corte di cassazione si è già espressa a favore di una di esse, non può ammettersi una reinterpretazione a favore dell’altra.

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il testo di legge!). In altre parole, mancando due soluzioni alternative compatibili con il dato testuale delle disposizioni da interpretare, verrebbe a priori ad escludersi l’esigenza di una rimessione alle Sezioni unite (la fattispecie sarebbe al di fuori dell’art. 374 comma 3 c.p.c.).

Quanto al profilo sub b), non dà “certezza” una linea interpretativa che imponga di distinguere la giurisprudenza “piuttosto recente” da quella che recente non è, consentendo la rimessione dalle Sezioni semplici alle Sezioni unite solo nel secondo caso ed escludendola nel primo.

In effetti, quella di tre anni anteriore (come nella specie) può dirsi “giurisprudenza piuttosto recente” ma non è certo delineabile a priori - secondo categorie precostituite - la linea di confine tra la giurisprudenza “meno” e quella “più” recente (linea di confine, peraltro, da misurare diversamente a seconda della materia trattata, essendo variabile l’intensità e frequenza dei mutamenti giurisprudenziali in ciascuna di esse). Il che vieppiù crea incertezza se si considera che si tratta di linea funzionale alla definizione del campo di applicazione di uno strumento nato quale meccanismo esclusivamente processuale (così la primigenia versione dell’art. 374 comma 3 c.p.c.).

Il nuovo schema interpretativo imposto intorno al potere delle Sezioni semplici di rimettere la questione alle Sezioni unite è perciò lungi dall’offrire certezza… proprio quella certezza del diritto che la sentenza in esame invoca (forse pretestuosamente).

In sintesi, sul punto. Il meccanismo dell’art. 374 comma 3 c.p.c, pensato per uniformare la giurisprudenza13, secondo le Sezioni unite è troppo stretto e non consente di raggiungere l’obiettivo:

esso - al contrario - rischia di procurare incertezza ed instabilità nella giurisprudenza e va perciò disapplicato ogni qualvolta le Sezioni unite si siano già pronunciate sulla questione (in epoca recente). Sicché, il precedente delle Sezioni unite - che costituisce il presupposto per l’applicazione della norma - secondo la lettura che oggi propone la sentenza in commento, si rivela il limite di applicazione della stessa, non potendo essa operare (non potendo la Sezione semplice rimettere la questione alle Sezioni unite), ogni qualvolta vi sia un precedente pronuncia sul tema già resa dalle stesse Sezioni unite.

3. La sentenza invoca – seppure in obiter dicum – l’art. 360 bis c.p.c. a conferma del fatto che quest’ultimo istituto (passato alla storia come cd. “filtro” in cassazione14) “ha accentuato

13 Alla luce dell’art. 374 comma 3 c.p.c. si può distinguere il ruolo delle Sezioni unite e delle Sezioni semplici: alle prime spetta il compito di far evolvere la giurisprudenza, alle seconde quello di stimolare questa evoluzione, fornendo alle Sezioni unite, attraverso l’ordinanza di rimessione, le ragioni che rendono opportuno il ripensamento (Luiso, op.

loco cit.).

14 La dottrina sul tema è vastissima. Senza alcuna pretesa di completezza, vd. Briguglio, Commento all’art. 360 bis, in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Briguglio e Capponi, cit., 50 ss.; Menchini, Commento sub art.

360 bis, in Balena, Caponi, Chizzini, Menchini, La riforma della giustizia civile, cit., 110 ss.; Genovese, Ricorso per cassazione, in Nuovo processo civile, Il civilista, Milano, 2009, 48; Consolo, Una buona “novella” al c.p.c.: la riforma

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maggiormente l’esigenza di non cambiare l’interpretazione della legge in difetto di apprezzabili fattori di novità”.

Il contesto è ben diverso: quello dell’art. 360 bis c.p.c. è strumento che vale quale monito per le parti, inducendole a desistere dal costruire ricorsi palesemente infondati15. Nel caso in esame invece l’esigenza di stabilizzare la giurisprudenza è un obiettivo che si impone alle Sezioni semplici, e dunque una regola applicabile internamente alla stessa Corte di cassazione. Si tratta di un monito proveniente dalle Sezioni unite e destinato alle Sezioni semplici, nel senso di indurre queste ultime ad astenersi dal sollevare questioni già decise in assenza di valide ragioni di novità (una sorta di “filtro” voluto dalla Corte ed applicato a sé medesima). Con la precisazione che la qualificazione in termini di “novità” della questione o delle opzioni interpretative su di essa prospettate è rimessa all’insindacabile valutazione delle Sezioni unite abilitate ad ammettere o negare nuove linee per la giurisprudenza senza controllo alcuno nonché libere da ogni parametro valutativo16.

Ciò è sintomo di una precarietà degli equilibri internamente alla Corte Suprema. Si stanno facendo strada strumenti di self restraint che la Corte impone a sé stessa, i quali impediscono la duttilità delle questioni e la loro mobilità all’interno dell’Organo. Prevalgono meccanismi che, allo scopo di impedire il flusso dei ricorsi, irrigidiscono talune linee interpretative asseritamente dominanti, favorendo così indirettamente un precoce “invecchiamento” della giurisprudenza. La capacità delle Sezioni semplici di sollevare questioni interpretative su cui le Sezioni unite avevano già avuto modo di pronunciarsi era da leggere quale strumento idoneo ad assicurare il giusto equilibrio tra l’autorevolezza delle pronunce dell’organo Supremo nella sua massima composizione e l’esigenza di dare voce a nuove e diverse prospettazioni provenienti dal basso.

Ci si può chiedere cosa rimarrà di quella impostazione ora che, prima di sollevare nuovamente la questione, le Sezioni semplici dovranno fare i conti con il nuovo “filtro” che la Corte ha imposto a sé stessa.

del 2009 (con i suoi artt. 360 bis e 614 bis) va ben al di là della sola dimensione processuale, in Corr. giur., 2009, 737 ss.; Consolo-De Cristofaro, Codice di procedura civile commentato. La riforma del 2009, Milano, 2009, 234 ss.;

Carratta, Il “filtro” al ricorso in cassazione fra dubbi di costituzionalità e salvaguardia del controllo di legittimità, in Giur. it., 2009, 1563 ss.; Bove, in Bove-Santi, Il nuovo processo civile tra modifiche attuate e riforme in atto, Matelica, 2009, 66; Sassani-Tiscini, Commento all’art. 360 bis, in Commentario alla riforma del codice di procedura civile, a cura di Saletti e Sassani, Torino, 2009, 155 ss.; Reali, Commento all’art. 360 bis, in La riforma del giudizio di cassazione, cit.,117 ss.; Balena, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile, in Giusto proc. civ., 2009, 749 ss., spec.

790; Raiti, Brevi note sul “filtro” in Cassazione secondo la legge di riforma al codice di rito civile 18 giugno 2009, n.

69, in Riv. dir. proc., 2009, 1601 ss., spec. 1603.

15 Prevale la lettura della norma nel senso che si tratta d una ipotesi di infondatezza seppure vestita dei panni dell’inammissibilità. In questo senso la prima giurisprudenza, secondo cui “L'art. 360 bis c.p.c., introdotto dall'art. 47 l.

18 giugno 2009 n. 69, va interpretato nel senso che il ricorso deve essere rigettato, perché manifestamente infondato, e non dichiarato inammissibile, se, al momento in cui la Corte pronuncia, la derisione di merito si presenta conforme alla propria giurisprudenza e il ricorso non prospetta argomenti per modificarla (Cass.SU 6 settembre 2010, n. 19051, in Giust. civ., 2011, I, 403, con nota di Terrusi; Foro it., 2010, I, 3333, con nota di Scarselli; in in Giust. proc. civ., 2010, con nota di Luiso).

16 Vd. anche le considerazioni svolte supra § precedente.

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4. A voler trovare una ragione nella decisione in commento, si potrebbe dire che effettivamente non è sintomo di “stabilità” della giurisprudenza il fatto che le Sezioni unite siano chiamate a pronunciarsi sulla medesima questione già decisa pochi anni prima. Il che potrebbe provocare uno squilibrio nella stessa giurisprudenza, nullificando il contributo interpretativo offerto in tempi recenti.

Tutto sta a vedere se nel caso di specie le cose stiano veramente così. Ci sembra al contrario che l’intervento delle Sezioni unite del 200917 sia stato lungi dall’assicurare chiarezza sulla questione di natura e funzione del procedimento per la liquidazione del compenso agli arbitri ex art.

814 c.p.c. ed anzi che esso abbia ulteriormente alterato equilibri precari.

Vi era in effetti un limitato contrasto interpretativo nella precedente giurisprudenza (sia di merito, sia di legittimità) e nella dottrina intorno alla qualificazione del procedimento dell’art. 814 c.p.c.18: oscillavano le opinioni tra il ritenerlo rito giurisdizionale contenzioso19 (da concludere con ordinanza ricorribile per cassazione ex art. 111 comma 7 cost.), ovvero di volontaria giurisdizione, non contenzioso20 (la cui pronuncia inidonea al giudicato non è quindi impugnabile).

Tuttavia, prevaleva nettamente soprattutto nella giurisprudenza la soluzione che attribuiva carattere contenzioso al procedimento dell’art. 814 c.p.c., e che perciò apriva (per chi ne avesse interesse) le porte del ricorso straordinario ex art. 111 comma 7 cost.21

Di contro, le Sezioni unite nel 2009 hanno aderito alla soluzione minoritaria e con ciò, non solo hanno privato le parti di un apposito strumento di doglianza (così alterando un equilibrio che – seppure instabile – contraddistingueva il regime previgente), ma anche hanno introdotto un ulteriore elemento di incertezza privilegiando l’opzione interpretativa all’epoca recessiva.

Quella del 2009 è stata decisione - criticabile e criticata22 – che in astratto avrebbe dovuto uniformare la giurisprudenza, ma che in concreto non ha conseguito i risultati sperati. Seppure le

17 Supra § 1.

18 Altre erano (e sono) le più dibattute questioni interpretative che ruotano intorno all’art. 814 c.p.c.: ad esempio, quelle relative al rapporto tra il procedimento in esame e l’impugnazione del lodo, all’oggetto della cognizione, al profilo soggettivo ecc.

19 Cecchella, L’arbitrato, Torino, 1991, 130 ss., spec. 132; Lanfranchi, Liquidazione delle spese e dell’onorario degli arbitri e tutela giurisdizionale dei diritti, in Giur. it., 1983, 1102 ss.; Garbagnati, Sull’ordinanza di liquidazione dell’onorario agli arbitri, in Giur. it., 1968, I, 1, 763.

20 La China, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Milano, 2004, 75; Vecchione, Determinazione delle spese e dell’onorario degli arbitri e “ius postulandi”, in Giur. it. 1968, 356.

21 Così tra le tante, Cass. 4 giugno 2008, n. 14799, in Riv. arb., 2008, 361, con nota di Vaccarella; Cass. 26 maggio 2004, n. 10141, in Foro it., 2005, I, 782, con nota di Caponi; Cass. 15 aprile 2003, n. 5950, in Arch. civ., 2004, 227;

Cass. 2 marzo 2001, n. 3035, in Giust. civ., 2001, I, 1523; Cass. 6 maggio 1998, n. 4548, in questa Rivista, 1998, 701, con nota di Grossi; Cass. 29 novembre 1996, n. 10660.

22 Per lo più critici risultano i commenti di dottrina sulla pronuncia citata (Corrado, Sul procedimento ex art. 814 c.p.c.

di liquidazione degli onorari degli arbitri, in Riv. dir. proc., 2010, 492 ss., spec., 494; Vigoriti, La “frequente evenienza”: problemi del contenzioso sui compensi degli arbitri, in Nuova giur. civ. comm. 2010, II, 597; Tiscini, Nuovi voli, cit., 692), o comunque dubbiosi circa la sua tenuta per il futuro (Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato,

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pronunce a seguire hanno in linea generale confermato l’indirizzo23 inaugurato da Cass.

15586/2009, non mancano nell’esperienza successiva decisioni di segno contrario. Così ad esempio, Tar Napoli Campania, sez. IV, 12 luglio 2011, n. 373224, che non esita a riconoscere efficacia di giudicato al provvedimento di liquidazione del compenso agli arbitri ex art. 814 c.p.c., ancorché al diverso scopo di aprire avverso quel giudicato le porte dell’ottemperanza25.

Non si può dire quindi che sul tema vi fosse una “stabile applicazione” dell’art. 814 c.p.c., nel senso privilegiato dalle Sezioni unite, tale che un ulteriore intervento delle stesse Sezioni unite si sarebbe rivelato destabilizzante. Piuttosto, si sarebbe potuto sperare il contrario: tornando alla soluzione più garantista per le parti (quella che riconosce intorno al compenso un vero e proprio

“diritto” da far valere in sede contenziosa) si sarebbe ricostruita la stabilità che dopo il 2009 era parsa vacillare.

Padova, vol. I, 2012, 624 ss.). In senso favorevole invece, Menchini, Il procedimento dell’art. 814 c.p.c. di liquidazione del compenso agli arbitri dopo la sentenza n. 15586 delle sezioni unite, in Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 519 ss., spec. 527. Sembra accettare la nuova linea interpretativa, ma con qualche correzione, Verde, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2010, 92.

23 Cass. 4 marzo 2011, n. 5264; Cass. 28 aprile 2010, n. 10221; Trib. Prato, 22 marzo 2011, in Foro it., 2011, I, 2555.

24 In Foro amm., Tar, 2011, 2451. Questa la massima: “L’ordinanza ex art. 814 c.p.c. non reclamata (e, come tale, idonea a definire la controversia relativamente al compenso degli arbitri tra le parti del lodo e gli arbitri stessi), ha autorità di "res iudicata" ai fini della proposizione del ricorso per ottemperanza di cui all'art. 37, l. Tar ed all'art. 27 n.

4), t.u. Cons. St. (ora art. 112 comma 2 lett. c, d.lg. n. 104 del 2010), non essendo condizionata dalle vicende riguardanti la validità e l'efficacia esecutiva del lodo stesso, in quanto il diritto dell'arbitro di ricevere il pagamento dell'onorario sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico, senza che, nella sommaria procedura di liquidazione apprestata dall'art. 814 c.p.c., sia consentita al Presidente del Tribunale alcuna indagine sulla validità del compromesso e del lodo e sulla regolarità della nomina degli arbitri (materie comprese nella previsione dell'art. 829 c.p.c. e riservate alla cognizione del giudice dell'impugnazione indicato dal precedente art. 828)”.

25 L’esigenza di riconoscere autorità di cosa giudicata a provvedimenti suscettibili di esecuzione mediante ottemperanza risiede, nel processo amministrativo, nella regola (già vigente ed) oggi consacrata nell’art. 112 lett. c) c.p.a. secondo cui sono suscettibili di esecuzione mediante ottemperanza, oltre alle sentenze passate in giudicato, anche “gli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario”, tutti provvedimenti rispetto ai quali l’azione di ottemperanza ha lo scopo di “ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato”. E’ evidente dunque che in questo contesto, l’accezione di giudicato ha funzione diversa ed ulteriore rispetto a quella nota al processo civile; il che tuttavia non toglie valore alla tendenza – fortemente avvertita nella giurisdizione amministrativa – di riconoscere stabilità a provvedimenti del giudice civile pure resi in forma diversa dalla sentenza e connotati da decisorietà. Un fenomeno analogo a quello qui in esame riguarda ad esempio l’ordinanza di assegnazione del credito ex art. 553 c.p.c. (citata in motivazione dal Tar Napoli Campania, sez.

IV, 12 luglio 2011, n. 3732, cit. unitamente al decreto ingiuntivo non opposto), sulla quale è di recente intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato conformandosi alla soluzione privilegiata per il provvedimento reso ex art.

814 c.p.c. A componimento di un precedente contrasto afferma infatti Cons. Stato, Ad. Plen., 10 aprile 2012, n. 2, in Riv. dir. proc., 2012, in corso di pubblicazione con nota di Tiscini; Corr. merito, 2012, 629, con nota di Storto; Riv.

esec. forz., 2012, … con nota di Delle Donne, che “l’ordinanza di assegnazione del credito resa ai sensi dell’art. 553 cod. proc. civ. nell’ambito di un processo di espropriazione presso terzi, emessa nei confronti di una pubblica amministrazione o soggetto ad essa equiparato ai sensi del cod. proc. amm., avendo portata decisoria (dell’esistenza e ammontare del credito e della sua spettanza al creditore esecutante) e attitudine al giudicato, una volta divenuta definitiva, per decorso dei termini di impugnazione, è suscettibile di esecuzione mediante giudizio di ottemperanza”.

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5. Si è già avuto modo in altra sede di rappresentare i profili di criticità che mostra la pronuncia delle Sezioni unite n. 15586/200926. Su di essi non si tornerà.

Un breve cenno però merita la questione (di cui le Sezioni unite avrebbero dovuto occuparsi principaliter) della liquidazione del compenso agli arbitri e della qualificazione del relativo procedimento. Negare carattere contenzioso ad una procedura pensata per risolvere i (circoscritti ma non perciò irrilevanti) conflitti intorno alla determinazione del quantum di prestazioni professionali significa abdicare alla tutela dei diritti in casi in cui è quanto mai evidente la presenza di un

“diritto” da tutelare (al pagamento di un corrispettivo per l’opera prestata).

Che sia questione di diritti soggettivi quella che ruota intorno alla quantificazione del compenso agli arbitri è quanto dimostra la storia del ricorso straordinario in cassazione27 (presupposti di ammissibilità, ambito di applicazione)28.

Si ha difficoltà a dubitare che la “lite” tra Tizio arbitro che domanda 100 e Caio parte che contesta quell’importo sia di “volontaria giurisdizione”; né a tale conclusione può giungersi per il solo fatto che in questo caso (così vuole astrattamente il procedimento dell’art. 814 c.p.c., seppure le dinamiche concrete screditano l’assunto29) si discute del quantum senza dubitare dell’an della prestazione. Per non dire che la linea di confine tra l’una e l’altra questione è tutt’altro che netta (la quantificazione oscilla tra 0 e l’infinito, mentre lo 0 ruota anche intorno all’an della debenza).

Di tutto ciò è conferma la cristallina ordinanza di rimessione30. Le ragioni poste a fondamento dell’esigenza di attribuire carattere contenzioso alla procedura dell’art. 814 c.p.c. (con le dovute conseguenze in punto di ricorribilità per cassazione del relativo provvedimento) possono così sintetizzarsi31:

a) il procedimento dell’art. 814 c.p.c. non è inquadrabile tra gli “atti integrativi della volontà negoziale” ex art. 1349 c.c. espressa nel contratto d’arbitrato32 per il solo fatto che, mentre il meccanismo dell’art. 1349 c.c. attribuisce alle parti la facoltà di rivolgersi al tribunale per ottenere la determinazione della prestazione non effettuata dal terzo a cui era stato demandato il relativo compito nel contratto, nella disciplina dell’art. 814 c.p.c. “tale potere è sottratto alle parti e sono gli arbitri, in caso di non accettazione della determinazione del proprio compenso, a rivolgersi al presidente del tribunale per ottenere un suo provvedimento”33. Si tratta in altri termini di un

26 Tiscini, Nuovi voli pindarici della giurisprudenza di legittimità per porre un argine all’accesso, cit., 692.

27 Su cui sia consentito rinviare a Tiscini, Il ricorso straordinario in cassazione, Torino, 2005, passim.

28 Basti ricordare che la granitica giurisprudenza formatasi intorno alla nozione di cd. sentenza in senso sostanziale (inaugurata con Cass. SU. 30 luglio 1953 n. 2593, in Giur. it., 1954, I, 1, 453, con nota di Azzolina; in Foro it., 1953, I, 1248; in Giur. compl. cass. civ., 1953, VI bim., 205, con note di Bianchi d’Espinosa e Mogiardo) nasce proprio su controversia avente ad oggetto la liquidazione di compensi, in particolari di quelli spettanti ad avvocati e procuratori, secondo il procedimento di cui alla l. n. 794/1942.

29 Vd. infra testo e note.

30 Cass. 11 agosto 2011, n. 17209, cit.

31 Secondo lo schema prediletto dall’ordinanza di rimessione (Cass. 11 agosto 2011, n. 17209, cit.).

32 Così invece Cass. 3 luglio 2009, n. 15586, cit., in adesione alla cd. tesi contrattualistica.

33 In questo senso l’ordinanza di rimessione, Cass. 11 agosto 2011, n. 17209, cit.

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procedimento in cui l’intervento giurisdizionale non assolve alla funzione di conseguire un

“arbitraggio”, perché l’iniziativa giudiziale è assunta da un soggetto (l’arbitro) che è parte contrapposta al litigante che ha stipulato il compromesso arbitrale per conseguire una prestazione propria34.

b) la contenziosità del procedimento trova conferma nel fatto che esso si colloca quale alternativa ad un diverso (e più ampio) procedimento ordinario (o speciale)35 che le parti possono attivare per ottenere la determinazione del quantum contestualmente all’accertamento della sussistenza del diritto al compenso36.

d) A sostegno del carattere contenzioso del procedimento milita il contenuto dell’accertamento che svolge il giudice, per come esso opera in concreto: non finalizzato solo alla quantificazione numerica del credito dell’arbitro37, bensì sovente destinato ad accertare anche la sussistenza di presupposti della prestazione dai quali è ragionevolmente difficile pensare che il tribunale adito ex art. 814 c.p.c. possa prescindere38. D’altra parte, pure limitando l’ambito dell’accertamento giudiziale alla sola quantificazione del credito, nulla impedisce di riconoscere al

34 Così Cass. 11 agosto 2011, n. 17209, cit., riprodotta dalla motivazione della decisione in commento pur senza prendere posizione sul tema.

35 E’ pacifico che la liquidazione del compenso non avvenga in via esclusiva con il procedimento dell’art. 814 c.p.c., bensì che quest’ultimo possa concorrere, tanto con un ordinario giudizio cognitivo, quanto con il procedimento monitorio o altro procedimento speciale (ad esempio il sommario di cognizione dell’art. 702 bis c.p.c.: Menchini, Il procedimento dell’art. 814 c.p.c., cit., 524). Cfr. sul tema, Cecchella, Commento all’art. 814, in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di Menchini, Padova, 2010, 156 ss., spec. 161; Punzi, Disegno sistematico, cit., 624; Giovannucci Orlandi, Commento all’art. 814, in Arbitrato, Commentario diretto da Carpi, Bologna, 2008, 271 ss.; Vigoriti, Regole e tendenze in tema di liquidazione degli onorari degli arbitri, in Giur. it., 1998, 518 ss., spec. 520.

36 In questo senso Cass. 11 agosto 2011, n. 17209, cit. Per alcune considerazioni sul punto, sia consentito rinviare a Tiscini, Nuovi voli pindarici, cit., 703.

37 Vi è chi ritiene che il presidente del tribunale possa conoscere della fattispecie relativa al diritto al compenso in tutti i suoi elementi costitutivi (l’adempimento di un valido ed efficace mandato) o modificativi, impeditivi, estintivi, della responsabilità per colpa grave o dolo degli arbitri, del danno provocato alle controparti, ancorchè conosciuto incidenter tantum : così Cecchella, Comento all’art. 814, cit., 160. Contra Garbagnati, Sull’ordinanza di liquidazione dell’onorario agli arbitri, cit., 763, secondo cui il procedimento sarebbe utilizzabile solo nei casi in cui sia indiscusso l’an della prestazione (nel qual caso quest’ultima andrebbe dirottata in un giudizio ordinario). Sulle difficili questioni intorno alla delimitazione dell’oggetto della cognizione del giudice nel procedimento dell’art. 814 c.p.c., nel rapporto tra an e quantum della prestazione vd. Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 628; Corrado, Sul procedimento, cit., 496. Dubita che nel procedimento dell’art. 814 c.p.c. il giudice si possa astenere dall’accertare anche l’an della prestazione, Verde, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., 92 secondo cui il giudice non si limita ad emanare un parere vincolante sul quantum debeatur, ma emana un provvedimento esecutivo; sicchè “se è vero che egli non esamina come la prestazione è stata effettuata, è anche vero che deve accertare che la stessa è stata resa e ciò fa in quanto devono essergli prodotti la convenzione d’arbitrato ed il lodo”. Si tratta quindi di un caso limite in cui si può sostenere che il provvedimento non è decisorio soltanto perché, comunque, non è idoneo a definire in maniera irretrattabile il rapporto tra le parti e gli arbitri. Vigoriti, La “frequente evenienza”, cit., 598, rileva come nel proporre ricorso gli arbitri devono dare prova dei fatti costitutivi del diritto vantati, mentre i resistenti possono (debbono, a pena di acquiescenza) contestare l’an e quindi allegare i relativi fatti ostativi. La giurisprudenza prevalente non ammette in linea di principio capacità di accertamento al presidente diversa dalla quantificazione del compenso, pur senza negare carattere decisorio all’indagine sul quantum (Cass. 25 maggio 2004, n. 10141, cit.; Cass. 17 settembre 2002, n. 13607; Cass. 25 maggio 2000, n. 6937; Cass. 26 novembre 1999, n. 13174, in Foro it., 2000, I, 326; Cass. 27 maggio 1987, n. 4722; Cass. 3 luglio 1968, n. 2217, in Giust. civ., 1968, 87, con osservazioni di Vaccarella), ma nella sostanza non è facilmente delineabile il confine dell’accertamento giudiziale nell’ipotesi considerata.

38 Anche sul punto, Cass. 11 agosto 2011, n. 17209, cit.

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procedimento carattere contenzioso, ben potendo il giudice circoscrivere l’indagine alla questione quantitativa, ma accompagnando la decisione con la stabilizzazione degli effetti39.

c) Né il carattere contenzioso del procedimento può essere negato in ragione delle forme semplificate che lo caratterizzano: è frequente ai nostri giorni che la giurisdizione contenziosa sia calata in modelli sommari40, i quali non perciò vanno privati della funzione di risolvere una controversia tra parti contrapposte41.

e) Alla medesima conclusione conduce poi il confronto con analoghi procedimenti per la liquidazione di altre prestazioni professionali (non ultimo quello per i diritti ed onorari di avvocato);

procedimenti ai quali la giurisprudenza è stabile nel riconoscere carattere contenzioso e nei quali è perciò consentito l’accesso in cassazione. La situazione non può dirsi diversa nell’arbitrato la cui vocazione “privatistica” (se quest’ultima si voglia far prediligere a quella giurisdizionale) a nulla rileva quando si discute di somme dovute ad un professionista per la propria prestazione42.

f) La scelta per la natura non giurisdizionale del procedimento in esame contraddice quella – attualmente dominante43 - di imporvi la difesa tecnica44.

g) Non vale invocare la prospettiva deflazionistica che la Corte persegue da tempo:

precludendo la strada del sindacato in Cassazione del provvedimento reso ex art. 814 c.p.c, il lavoro della Corte sarebbe non del tutto bandito, ma solo posticipato, restando possibile giungervi o per le vie del giudizio cognitivo eventualmente instaurato in alternativa a quello dell’art. 814 c.p.c., ovvero in sede di opposizione esecutiva, la quale (una volta riconosciuta natura non contenziosa al procedimento dell’art. 814 c.p.c. e carattere di titolo esecutivo instabile al provvedimento che ne è conclusione) non sarebbe vincolata da alcuna efficacia preclusiva, alla stregua di quanto avviene per i titoli esecutivi stragiudiziali45.

6. Le Sezioni unite tacciono su un profilo evidenziato dall’ordinanza di rimessione. Nella sua nuova formulazione (dopo le modifiche apportate dal d.lgs. n. 40/2006), l’art. 814 comma 3 c.p.c. contempla la reclamabilità del provvedimento che contiene la liquidazione del compenso.

39 Questa era peraltro l’impostazione della giurisprudenza decisamente dominante prima dell’intervento delle Sezioni Unite del 2009 (vd. le pronunce citate supra nt. 37).

40 Si ritiene tradizionalmente che a tale procedimento vada assicurata la garanzia del contradittorio (Cass. 25 novembre 1993, n. 11664, in Riv. arb. 1994, 281; Cass. 5 agosto 1988, n. 4847, in Nuova giur. civ., comm., 1989, 333).

41 Cass. 11 agosto 2011, n. 17209, cit.

42 Anche sotto questo profilo, ci troviamo in un momento esterno al contratto che contiene la clausola compromissoria, perché concernente i diritti degli arbitri e non delle parti (in questo senso Cass. 11 agosto 2011, n. 17209, cit.).

43 La necessità dell’assistenza tecnica è da sempre avvertita: vd. Cass. 29 marzo 2006, n. 7128, in Foro it. 2006, I, 2776; Cass. 21 gennaio 2004, n. 900; Cass, 27 luglio 1990, n. 7602, in Riv. arb., 1992, 92; Cass. 5 agosto 1988, n. 4847, cit.; Cass. 27 maggio 1987, n. 4722. Briguglio, in Briguglio-Fazzalari-Marengo, La nuova disciplina dell’arbitrato, Milano, 1994, 84; Vigoriti, Regole, cit., 520; contra Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1959-1962, IV, 2, 267. Essa è poi confermata dall’intervento delle Sezioni Unite del 2009.

44 Cass. 11 agosto 2011, n. 17209, cit.

45 Cass. 11 agosto 2011, n. 17209, cit. Anche sul punto sia consentito rinviare a Tiscini, op. cit., 705.

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In proposito, osservava l’ordinanza di rimessione come questa novità legislativa rendeva

“ancor più propizia l’occasione per una rimeditazione della questione. Anche l’ordinanza emessa sul reclamo potrebbe essere infatti oggetto di ricorso straordinario”, sicchè un nuovo intervento delle Sezioni unite avrebbe potuto (e dovuto) costituire la giusta occasione per “interrogarsi in termini generali sulla ricorribilità dei provvedimenti resi ex art. 814 c.p.c.”46.

Sulla possibilità che fosse ammesso il ricorso straordinario avverso l’ordinanza resa in sede di reclamo ex art. 814 c.p.c.47 già avevamo espresso talune perplessità48 dopo l’intervento di Cass.

n. 15586/2009. Negando carattere decisorio al provvedimento di prima istanza, è difficile ritenere ricorribile quello pronunciato sul reclamo che con il precedente condivide la natura (non contenziosa).

Il persistente silenzio della Corte sul punto induce a confermare quelle perplessità. Se veramente si fosse voluta aprire la strada all’impugnabilità in cassazione dell’ordinanza resa in sede di reclamo, si sarebbe data risposta in tal senso alle sollecitazioni dell’ordinanza di rimessione. Di contro, il disinteresse della pronuncia in commento sul tema induce a pensare che, una volta confermata la inammissibilità del ricorso straordinario avverso il provvedimento di liquidazione del compenso agli arbitri ex art. 814 c.p.c., nessuna diversa sorte spetterà a quello reso in sede di reclamo; provvedimento che in ogni caso aggiunge una garanzia in più nel meccanismo, assicurando un secondo controllo sulla decisione di prime cure.

Si impone a questo punto una ultima considerazione intorno al nuovo testo dell’art. 814 comma 3 c.p.c. Stando al dato letterale della norma, “l’ordinanza [di determinazione del compenso resa dal presidente del tribunale ai sensi del comma 2] è titolo esecutivo contro le parti ed è soggetta a reclamo a norma dell’art. 825 quarto comma”. Nonostante il testo della disposizione possa lasciare intendere che la reclamabilità sia legata e dipenda dalla qualificazione del provvedimento come “titolo esecutivo” (che sia quindi reclamabile la sola ordinanza che contenga un quantum e valga perciò quale titolo per l’esecuzione forzata), è senz’altro preferibile estendere il reclamo non

46 Cass. 11 agosto 2011, n. 17209 cit.

47 Soluzione questa che all’indomani dell’entrata in vigore del novellato art. 814 ultimo comma c.p.c. apparve prevalere in dottrina (Luiso-Sassani, La riforma del processo civile, cit., 278; Cecchella Commento all’art. 814, cit., 160;

Odorisio, Prime osservazioni sulla nuova disciplina dell’arbitrato, in Riv. dir. proc., 2006, 256; Marullo di Condojanni, Commento all’art. 814, in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Briguglio e Capponi, vol. III, 2, cit., 653-654; Nela, in Le recenti riforme del processo civile, Commentario diretto da Chiarloni, Bologna II, 2007, 1697;

Vigoriti, Regole, cit., 519), in quanto in linea con l’opinione – all’epoca dominante – che riconosceva carattere decisorio al provvedimento di liquidazione del compenso reso dal presidente del tribunale e quindi che ne ammetteva l’impugnabilità in Cassazione ex art. 111 comma 7 cost. In ogni caso, si è opportunamente osservato come la soluzione intorno alla impugnabilità in cassazione dell’ordinanza resa in sede di reclamo è destinata a riprodurre quella già adottata (ante riforma) quanto alla impugnabilità del provvedimento del presidente del tribunale (Punzi, Disegno sistematico, cit., 618; Menchini, Il procedimento dell’art. 814 c.p.c., cit., 522; Odorisio, op. cit., 526).

48 Tiscini, op. cit., 706. In effetti in quella sede avevamo prospettato una possibile lettura della norma la quale – pure confermando il carattere non contenzioso del procedimento e del provvedimento di liquidazione del compenso agli arbitri – avrebbe aperto ciò nonostante le porte del ricorso straordinario. Lettura in base alla quale, una volta proposto reclamo, quest’ultimo avrebbe potuto trasformare la situazione sostanziale dedotta in giudizio da non contenziosa in contenziosa, con la conseguenza di ritenere ricorribile ex art. 111 comma 7 cost. il provvedimento reso in sede di reclamo. Lettura, questa, che alla luce dei fatti di certo non potrà avere la meglio.

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solo all’ordinanza che abbia contenuto condannatorio, ma anche a quella di qualsiasi altro contenuto, pure solo processuale. Ipotizziamo ad esempio l’ordinanza con cui il presidente tribunale si dichiara incompetente49, ovvero che chiude il procedimento per qualsiasi ragione di rito, o che nega nel merito il compenso50. Stando al tenore letterale dell’art. 814 c.p.c. in queste ipotesi il reclamo non avrebbe spazio, essendo esso da collegare ai casi in cui l’ordinanza vale come titolo esecutivo.

Tuttavia, una volta negato il controllo di cassazione, è bene offrire la lettura più ampia del comma 3 art. 814 c.p.c., estendendo il reclamo ad ogni provvedimento reso sull’istanza ex art. 814 c.p.c. quale che ne sia il contenuto (soluzione peraltro confermata dal richiamo generico che l’art.

814 comma 3 c.p.c. fa all’art. 825 comma 4 c.p.c. il quale a sua volta ammette il reclamo, tanto avverso il decreto che “concede” l’esecutorietà del lodo, quanto contro quello che la “nega”51).

7. Il problema della impugnabilità in cassazione dei provvedimenti resi ex art. 814 c.p.c. (sia quello di prime cure, nella versione ante riforma del 2006, sia quello reso sul reclamo, dopo le modifiche apportate alla norma) assume una coloritura diversa alla luce del nuovo testo dell’art. 360 n. 5 comma c.p.c., come modificato dalla recentissima l. n. 134/2012. La disposizione novellata limita il controllo della motivazione in Cassazione all’“omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”52; il che incide sul sindacato relativo alla logicità della motivazione.

Il tema meriterebbe un approfondimento che non può trovare spazio in queste brevi considerazioni. Basti solo ricordare che la riforma (sicuramente ispirata alla più rigida prospettiva deflazionistica per il giudizio di cassazione) parrebbe volta a bandire il sindacato sulla (insufficienza e contraddittorietà e quindi) logicità della motivazione; anche se – rievocando un testo già noto al c.p.c. del 1942 nella su formulazione originaria, prima della successiva novella del ’5053 – non si possono escludere letture più elastiche del sindacato motivazionale, che in qualche modo (come

49 Non essendo la relativa domanda proposta al tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato ex art. 810 c.p.c.

50 Si è detto che il provvedimento del presidente del tribunale dovrebbe contenere la sola liquidazione del quantum ma non si può escludere che esso si estenda a un sindacato circa l’effettiva sussistenza del diritto al compenso.

51 Anche sotto questo profilo l’art. 825 c.p.c. è frutto della novella del 2006, che – a chiarimento di un precedente dubbio interpretativo – rende palese la reclamabilità non solo del provvedimento concessivo, ma anche di quello che nega l’exequatur.

52 Per un primo commento alla norma novellata, vd. Consolo, Lusso o necessità nelle impugnazioni delle sentenze?, in www.judiicum.it.; De Cristofaro, Appello e cassazione alla prova dell’ennesima “riforma urgente”: quando i rimedi peggiorano il male (considerazioni di prima lettura del d.l. n. 83/2012), in www.judicium.it. § 1; Caponi, Contro il nuovo filtro in appello e per un filtro in cassazione nel processo civile, in www.judicium.it, § 7; Bove, Giudizio di fatto della Corte di cassazione: riflessioni sul nuovo art. 360 n. 5 c.p.c., in www.judicium.it,; Impagnatiello, Crescita del Paese e funzionalità delle impugnazioni civili: note a prima lettura del d.l. 83/2012, in www.judicium.it, § 8; Panzarola, Commento all’art. 360, in … a cura di Martino e Panzarola, Torino, 2012, in corso di pubblicazione.

53 Per una approfondita ricostruzione della vicenda storica che ha visto protagonista l’art. 360 n. 5 c.p.c., vd. Bove, Giudizio di fatto della Corte di cassazione, cit. § 1 e 2; Impagnatiello, Crescita del Paese, cit., § 8

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già avvenuto in passato) potrebbero far rientrare (per la finestra) il controllo (uscito dalla porta) sulla contraddittorierà dell’argomentazione giuridica. Tutto dipende dalla estrema discrezionalità della Corte nell’interpretare norme che solo ad essa si impongo e rispetto alle quali non esistono confini certi se non quelli che essa stessa riconosce.

Certo è che l’esperienza degli ultimi anni conferma la volontà del Giudice Supremo di porre argini al controllo (talvolta invocando fantasiose letture della norma processuale ben poco compatibili con il testo di legge). Sicché, se prima - invariato l’art. 360 n. 5 c.p.c. – la Cassazione non esitava ad offrire soluzioni interpretative volte a ridurre il carico di contenzioso, è pensabile che una volta legittimato l’abbattimento del sindacato motivazionale – alla luce del nuovo art. 360 n. 5 c.p.c. -, la conclusione più severa sarà confermata dalla giurisprudenza di legittimità. Verosimilmente, non esiterà quindi la Corte di cassazione a brandire l’inammissibilità dei ricorsi per incensurabilità del vizio logico di motivazione.

In questo mutato contesto, occorrerà tornare a riflettere sul ricorso straordinario in cassazione e sulle sue funzioni. Rimedio nato per assicurare un’impugnazione laddove la legge processuale non la contempla54, e ben calato nei procedimenti per la liquidazione di compensi (agli arbitri, non meno che agli avvocati, o altri professionisti per la l’opera prestata), proprio in questi ambiti si rivelerà strumento inutile, in quanto incapace di condurre ad un secondo controllo circa la determinazione e quantificazione delle prestazioni.

Si tornerà così alla vicenda che ha visto protagonista il rimedio dell’art. 111 comma 7 cost.

nel periodo tra il 1992 ed il 2006. E’ del 199255 la nota sentenza delle Sezioni unite che inibì il sindacato sulla logicità della motivazione reso in sede di ricorso straordinario (ammesso solo per

“violazione di legge”); sentenza che, se ex latere della giurisprudenza ebbe un seguito indiscusso, consolidandosi in maniera granitica quell’orientamento, non mancò di destare le critiche della dottrina che rilevò da subito come la nuova immagine del controllo rendeva quel rimedio un’arma spuntata proprio nei contesti per i quali era stato ideato56. Negare il controllo sul vizio logico della motivazione significava infatti inibire ogni possibilità di censura (indiretta, limitata che fosse) sui fatti di causa e dunque nullificare l’utilità di un rimedio pensato per sopperire alle lacune della legge processuale ogni qualvolta essa non contemplava un gravame di merito avverso il provvedimento considerato57. L’inutilità del mezzo era evidente proprio con riferimento ai provvedimenti relativi alla liquidazione di compensi58.

54 Sulle funzioni del ricorso straordinario, sia consentito rinviare a Tiscini, Il ricorso straordinario in cassazione, cit., 373 ss.

55 Cass. 16 maggio 1992, n. 5888, in Giust. civ., 1992, I, 1444; Foro it., 1992, I, 1737, con nota di Barone; Corr. giur., 1992, 751, con nota di Mandrioli; Giur. it., 1992, I, 1, 1671 e ivi 1994, I, 1, 805, con nota di De Cristofaro.

55 Così ad esempio in materia di liquidazione del compenso agli arbitri rituali, ex art. 814 c.p.c.

56 Per tutti, De Cristofaro, Ricorso straordinario per cassazione e censure attinenti alla difettosa motivazione (del rapporto tra art. 360 n. 5 c.p.c. ed art. 111, secondo comma, Cost.), in Giur. it., 1994, I, 1, 805.

57 Si ricorda che la nozione di sentenza in senso sostanziale impugnabile ex art. 111 comma 7 cost. – quale provvedimento avente forma diversa dalla sentenza, ma ad essa corrispondente per sostanza – ruota intorno al duplice

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A quella situazione pose rimedio – provvisoriamente – la riforma del 2006, che, introducendo un nuovo ultimo comma all’art. 360 c.p.c., assicurò la piena equiparazione tra motivi di ricorso ordinario e motivi di ricorso straordinario, così imponendo l’estensione del controllo motivazionale (anche per illogicità) in sede di ricorso straordinario59.

Oggi, la l. n. 134/2012 esclude che la contraddittorietà della motivazione trovi spazio nel giudizio di legittimità (a meno che, come si è detto con qualche scetticismo, non sarà la Corte a riespandere per via interpretativa i confini oggi ristretti del n. 5 art. 360 c.p.c.); e lo fa tanto per il ricorso ordinario quanto per quello straordinario (resta fermo ex art. 360 ultimo comma c.p.c. che entrambi vadano equiparati quanto all’ambito dei motivi).

Torniamo allora al problema di cui si occupa la sentenza in commento. Le Sezioni unite confermano la linea interpretativa che nega l’accesso al giudizio di legittimità avverso il provvedimento di liquidazione del compenso agli arbitri ex art. 814 c.p.c. (nella versione ante d.lgs.

n. 40/2006); regola questa presumibilmente estendibile al provvedimento reso in sede di reclamo (nel regime post d.lgs. n. 40/2006). Una decisione non condivisibile per le ragioni di cui si è detto, ma forse innocua: quand’anche ammesso, si tratterebbe comunque di rimedio inutile una volta sbarrata la strada del controllo sul vizio logico della motivazione60.

requisito della decisorietà (attitudine a decidere o incidere su diritti con efficacia di giudicato) e della definitività (mancanza nell’ordinamento di alcun altro rimedio lato sensu impugnatorio).

58 Per queste considerazioni sia consentito rinviare a Tiscini, Il ricorso, cit., 292 ss.

59 Sulle novità della riforma del 2006 rispetto al ricorso straordinario, Tiscini, Gli effetti della riforma del giudizio di cassazione sul ricorso straordinario ex art. 111 comma 7 cost., in Riv. dir. proc., 2008, 1597; Id, Il giudizio di cassazione riformato, in Giusto proc. civ., 2007, 523 ss.

60 Va chiarito che – ratione temporis – la riforma della l. n. 134/2012 non opera nel caso di specie esaminato dalla pronuncia in esame. Il problema si sarebbe invece posto per gli analoghi casi a venire, se le Sezioni unite non avesse di netto eliminato il “problema” con la decisione esaminata.

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