Stralcio da
“”UN TESTIMONE OCULARE””
promemoria scritto da Sebastiano D’Oria
Era l’anno 1939, metà di giugno, l’Italia entrò in guerra e per la circostanza furono internati molti Ebrei alla Scuola Agraria, detta la costruzione Rossa; prima di allora c’erano stati giovani e ragazzi che venivano a studiare l’Agrario…. non appena la detta scuola servì per uso bellico, (de)i ragazzi non ci fu più traccia.
…. e così vennero moltissimi Ebrei, internati per ragione della politica del tempo, anche se non avevano fatto niente, solo (per) il fatto di essere Ebrei e basta. C’erano uomini e donne.
Un bel momento ebbero bisogno di un sarto per l’esigenza di curare i loro indumenti, perché nessuno era capace di mettere qualche punto ai loro straordinari vestiti e cappotti, … indumenti da sogno senza esagerazione.
…. mio maestro Angelo Peruzzi fu chiamato sul Comune e gli fu proposto dell’impegno … e siccome lui era certo che ero capace di questo impegno perché venivo dalla sartoria di Alino Rossi, puntò con certezza…
mi chiese subito… spiegandomi di che cosa si trattava… io non trovai niente di strano… ma senza capire della cosa complessa… all’epoca avevo solo 14 anni.
… andai anch’io sul Comune giacchè avevo accettato questo impegno, per dare il mio nome e cognome e i dati di nascita; in pochi giorni ci prepararono i documenti, penso anche dalla Questura; all’epoca quel documento lo chiamavano il -Passo- per poter entrare in quell’ambiente molto controllato dalle forze dell’ordine. Dopo un po’ di tempo che frequentavamo appena avevano bisogno per le riparazioni da fare, diventammo un po’ familiari… sia con i poliziotti, che …venivano a prenderci, ed anche con i detenuti…
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Ricordo che la prima volta che andammo per conoscere la situazione, entrando nell’atrio, ci trovammo davanti una signora molto anziana che fumava la pipa; almeno per me sembrò molto strano: non avevo mai visto una donna fumare, e con la pipa. Dopo di che mi abituai a vedere delle cose a me strane.
Dopo un bel po’ di tempo che io capitavo spesso in quel posto, ci venne un impegno per suonare che c’era un matrimonio… ricordo che la sposa si chiamava Maria, era una ragazza molto bella; lo sposo era un militare, infatti si sposò con gli indumenti militari. Ricordo che era all’apparenza un giovane tranquillo; la sposa, lo ricordo molto bene, indossava un vestito bianco corto per come gli fu possibile; ricordo che il velo era una zanzariera, ma nell’insieme era già troppo. Durante la cerimonia nuziale nella piccola cappella della scuola ci fu qualcuno che suonò l’Ave Maria, accompagnato da Franco Longo il violinista del nostro complesso: fu una cosa toccante e straordinaria, tra organo e violino ognuno di noi pianse oltre tutti i presenti, abbastanza commossi, come anche i militari addetti al loro servizio d’ordine.
Ricordo che allo sposo gli fu concesso di poter restare non più di due giorni per poi raggiungere il suo comando militare, e penso che andò così e chissà se gli fu concesso qualche altro giorno.
Dopo la funzione nella cappella ci condussero insieme agli sposi all’interno, dove c’era un grande salone che io già conoscevo… però nell’entrare m’incantai a vederlo: dal tetro prima e poi messo a festa, e come! Io… mi soffermai abbastanza: sapevo il salone con due lampadine coperte da un piccolo piatto sopra e mi trovai di fronte a cose di pregio e m’incantai a quello che vidi. Uno dei detenuti era decoratore e decorò prima di tutto le due lampade da così poco materiale, dalle solite stelle filanti (ma) decorò così bene e con arte (che) sembravano veri lampadari importanti;
anche i muri furono decorati per l’occasione con lo stesso gusto e competenza. Ripeto, stetti un bel po’ ad ammirarli: anche queste piccole cose dettero un senso
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all’occasione. Ricordo anche che lo sposo suonava la fisarmonica e ci chiese se poteva fare una suonatina e fu quello anche molto bello…
Sono molto convinto che di quel matrimonio molto probabilmente ci sarà traccia anche in chiesa perché il matrimonio non era assolutamente soggetto al solito decreto fasullo o leggi occasionali… lo chiamavano l’ARTICOLO TREDICI, che facilmente veniva usato, anzi si poteva sciogliere l’unione per comodo di uno dei due; infatti ne abbiamo avuto anche alcuno in Alberobello. Era una cosa fittizia, giusto per stare insieme provvisoriamente… ad effetto zero; erano questi decreti giusto per il periodo di guerra anche perché per la chiesa non aveva nessun valore, mentre quello celebrato alla scuola agraria senz’altro era in piena regola come ogni unione, specie che c’era il sacerdote per la vera funzione e con le firme dei due sposi e dei testimoni.
…anche se ragazzo, ma ero già all’altezza di eseguire il lavoro che richiedevano gli indumenti, anzi spesso manifestavano quelle persone apprezzamento per il lavoro eseguito con una certa competenza e che era lo stimolo di mettere sempre più impegno, come ho fatto da sempre con la nostra clientela di un certo livello e competenza, e spesso sempre più esigente…
Dopo la cerimonia nella cappella ci portarono nei locali della scuola:
entrando nel salone refettorio… c’era una tavolata molto lunga e penso che per la loro porzione giornaliera avevano deciso di fare un pranzo apposito per l’occasione del matrimonio, di cui sia il sacerdote che noi del complesso c’inclusero al pranzo ed alla cerimonia. Dopo di che fecero un po’ di allegria per l’occasione; noi ci impegnammo altrettanto come loro per gli sposi e per tutti i presenti, ospiti della scuola; intonarono qualche loro canto, prestandoci nel seguire alla meglio quello che era possibile.
Ricordo il menu: ci portarono subito un polpettone fatto a modo loro, che era abbastanza accettabile; poi un secondo, come avevano potuto disporre; poi una bevanda analcolica e caffè e qualche dolcetto, ma
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nell’insieme era più che sufficiente data la loro condizione di vita; era, ripeto, abbastanza, ed anche un momento per tutti noi non molto facile.
NOTE A COMMENTO
Ho ricevuto direttamente da Sebastiano la copia del manoscritto la mattina del 19 gennaio 2005 ed è stato il miglior regalo per il mio onomastico.
Ovviamente, l’ho …divorato in un sol boccone e, subito, sono stato sollecitato a queste brevi considerazioni.
Il pezzo è senza dubbio molto significativo, sotto vari punti di vista.
Anzitutto, è pregevole la descrizione dei luoghi e dei fatti:
- la Scuola Agraria, che da luogo per ragazzi e studenti diventa “”per uso bellico””;
- la sartoria Peruzzi in Piazza XXVII maggio e la sartoria di Alino Rossi;
- la signora anziana con la pipa, che appare all’improvviso nell’atrio;
- il clou del matrimonio: in particolare il vestito della sposa “”bianco corto per come gli fu possibile”” e per velo “”una zanzariera”; il salone della festa addobbato con “”cose di pregio”” e dove due lampadine diventano
“lampadari importanti””; la “suonatina” dello sposo alla fisarmonica; la
“tavolata” e il “menu”;
- fino alla descrizione, ben riuscita nella sostanza, degli atti burocratici inerenti il “Passo”, il permesso accordato allo sposo militare e “l’articolo tredici… ad effetto zero”.
In secondo luogo, l’Autore rivela una straordinaria padronanza letteraria, con l’uso di espressioni lapidarie ma capaci di comunicare al lettore immediatamente il significato voluto:
- “(de)i ragazzi non ci fu più traccia”;
- “solo il fatto di essere Ebrei e basta”;
- il maestro Peruzzi “puntò con certezza”.
Inoltre, non si può tacere il rilievo dell’aspetto psicologico, compreso quello dello stesso Autore, quattordicenne al momento degli eventi descritti:
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- “io non trovai niente di strano… ma senza capire della cosa complessa”;
- “mi abituai a vedere delle cose a me strane”;
- “indossava un vestito bianco corto per come gli fu possibile… ma nell’insieme era già troppo”;
- “mi trovai di fronte a cose di pregio”;
- “anche queste piccole cose dettero un senso all’occasione”;
- “spesso manifestavano quelle persone apprezzamento per il lavoro eseguito…e era lo stimolo di mettere sempre più impegno”;
- il “polpettone… abbastanza accettabile” e il “secondo, come avevano potuto disporre”;
- “nell’insieme era più che sufficiente data la loro condizione di vita… era abbastanza… un momento per tutti noi non molto facile”.
In sostanza, la situazione venutasi a creare aveva comportato ripercussioni senz’altro per gli internati, allontanati con violenza dalle famiglie, dalle residenze e dalle professioni (significativo il riferimento agli “straordinari vestiti e cappotti… indumenti da sogno senza esagerazione” e incapaci “di mettere qualche punto”), ma anche per gli alberobellesi e, in particolare per l’Autore, venutosi a trovare in una “cosa complessa”, in “cose a me strane”, davanti a “cose di pregio”, fino alla quasi-paura, come traspare dalla descrizione autenticamente scenografica dell’…apparizione della signora anziana con la pipa nell’atrio nel corso della prima visita al campo.
Infine, non è possibile non sottolineare la drammaticità degli eventi raccontati:
- “internati… anche se non avevano fatto niente”;
- “poter entrare in quell’ambiente molto controllato dalle forze dell’ordine”;
- “ognuno di noi pianse… anche i militari addetti al loro servizio d’ordine”;
- “dopo la funzione nella cappella ci condussero… ci portarono…”;
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- il “grande salone”, “tetro prima e poi messo a festa” appare come una situazione irreale, forzata, piena di pathos. “mi trovai di fronte a cose di pregio e m’incantai a quello che vidi… le due lampadine sembravano veri lampadari importanti…i muri decorati con gusto e competenza… queste piccole cose dettero un senso all’occasione…”;
- anche la festa si snoda nello stesso scenario: “fecero un po’ di allegria per l’occasione e noi ci impegnammo altrettanto… nell’insieme era più che sufficiente… era abbastanza… un momento per tutti noi non molto facile”.
- che dire della tristissima centralità delle figure degli sposi, per i quali c’è di tutto: dalla canonica bellezza della sposa al paradosso dell’unione tra un militare in servizio e un’internata; dal rituale quasi-vestito bianco con velo alla “suonatina” dello sposo; dagli sforzi del decoratore al “pranzo”
con il “menu”, derivato dalla porzione giornaliera di cibo; dall’impegno di tutti per “un po’ di allegria” alla separazione forzata e immediata dei coniugi.
In conclusione, pregevole si rivela lo scritto di Sebastiano D’Oria, che dopo più di sessant’anni rende ancora viva l’immagine di eventi vissuti da un quattordicenne, con l’immediatezza, lo stupore e una pennellata di egocentrismo adolescenziali. Sono convinto e mi impegnerò perché sia divulgato come esempio di sensibilità e di legame col proprio Paese. Comunicare agli altri le proprie esperienze e far conoscere l’intrinseco contenuto storico del proprio patrimonio mobiliare e immobiliare devono diventare una normale prassi per tutti, se in effetti vogliamo contribuire a creare l’offerta originale e autentica di Alberobello in campo turistico e culturale al di là dei già noti trulli. Senza dimenticare che tale comunicazione contribuisce a rafforzare il senso dell’identità specifica e del destino futuro del Paese.
20 gennaio 2005
Mario Piepoli