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S.O.S. STUDENTI SUD CAMPANIA NO PROFIT ONLUS DISPENSA DEL LIBRO. Il contratto. Galgano CAP. 1 : INTRODUZIONE

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S.O.S. STUDENTI SUD CAMPANIA – NO PROFIT ONLUS

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DISPENSA DEL LIBRO

“Il contratto”

Galgano

CAP. 1°: INTRODUZIONE

I concetti di fatto giuridico e di atto giuridico sono utilizzati dall’art. 1173 c.c. (fonti delle obbligazioni: “le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”), per indicare quali sono le fonti delle obbligazioni e specificando che il contratto appartiene al genere dell’atto giuridico ed il fatto illecito a quello del fatto giuridico. Ma andiamo nel dettaglio.

Si suole definire fatto giuridico ogni accadimento, naturale od umano, al verificarsi del quale l’ordinamento giuridico ricollega un qualsiasi effetto giuridico, costitutivo o modificativo od estintivo di rapporti giuridici. Fatto giuridico può essere:

- un accadimento naturale, del tutto indipendente dall’opera dell’uomo (es. l’alluvione, art. 941 c.c.);

- un fatto umano, quando la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto giuridico si produce come effetto di un consapevole e volontario comportamento dell’uomo (es. il “fatto illecito”, di cui all’art. 2043).

E’ possibile distinguere poi fra:

- fatti leciti, se conformi al diritto, e - fatti illeciti, se contrari al diritto;

- comportamenti o fatti umani discrezionali, se il soggetto è libero di compierli, e

- comportamenti o fatti umani dovuti, se il soggetto è obbligato a compierli, come nel caso dell’adempimento dell’obbligazione.

Tutti i fatti umani discrezionali producono effetti nei confronti del soggetto che li ha posti in essere sul solo presupposto che questi goda della capacità naturale d’intendere e di volere. Ciò si desume dall’art. 2047 c.c. (danno cagionato dall’incapace: “in caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto”), che esonera da responsabilità per fatto illecito l’incapace d’intendere e di volere. Quanto ai fatti dovuti, per essi non è richiesta neppure la capacità naturale, a norma dell’art. 1191.

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Gli atti giuridici compongono una sottocategoria dei fatti umani e li si può definire come fatti umani destinati a produrre effetti giuridici. Per essi, affinché possano produrre effetti giuridici, non basta la sola capacità naturale d’intendere e di volere, come per i fatti umani discrezionali, ma occorre anche la legale capacità d’agire. Gli atti giuridici si distinguono in:

- atti o dichiarazioni di volontà, qui bisogna fare una precisazione,

 ci sono alcuni fatti umani che, consapevolmente compiuti dall’uomo, producono i loro effetti giuridici anche senza la volontà dell’uomo stesso. E’ il caso del fatto illecito, che produce l’effetto giuridico di obbligare al risarcimento del danno cagionato, chi lo ha commesso per il solo motivo di essere un fatto doloso o colposo, anche se l’autore non l’ha voluto.

 Ci sono altri fatti che producono effetti giuridici solo perché effettivamente voluti, che necessitano sia della volontarietà del comportamento umano che della volontarietà degli effetti. Non basta, come per i primi, che il soggetto abbia voluto il fatto, ma qui occorre anche che il soggetto abbia altresì voluto l’effetto. È il caso del contratto, che è atto giuridico risultante dall’accordo di due (contratto bilaterale) o più parti (contratto plurilaterale), diretto a costituire, regolare od estinguere un rapporto giuridico patrimoniale (art. 1321 c.c.). La differenza specifica è, perciò, questa: mentre il fatto umano in genere produce gli effetti che il diritto gli ricollega, purché fatto consapevole e volontario, l’atto o dichiarazione di volontà, al contrario, non produce effetti se risulta che il soggetto non li aveva voluti;

- atti o dichiarazioni di scienza, con i quali il soggetto dichiara di avere conoscenza di un fatto giuridico (es. la dichiarazione con cui il creditore dichiara di avere ricevuto il pagamento del proprio credito, c.d. quietanza di pagamento). L’effetto delle dichiarazioni di scienza non è, come per le dichiarazioni di volontà, di costituire o modificare o estinguere rapporti giuridici, ma di provare l’esistenza di fatti giuridici, di per sé costitutivi o modificativi od estintivi di rapporti;

- partecipazioni e comunicazioni, riguardano

 da un lato le dichiarazioni permissive, quelle proibitive (opposizioni), quelle determinative (le istruzioni del mandante al mandatario) e,

 dall’altro le notificazioni (es. la notificazione della cessione del credito al debitore ceduto), le denunce, le diffide, ecc.

CAP 2°: IL CONTRATTO E L’AUTONOMIA CONTRATTUALE Al contratto il codice civile assegna due specifiche funzioni:

- l’art. 922 (modi di acquisto: “la proprietà si acquista per occupazione, per invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o commistione, per usucapione, per effetto di contratti, per successione a causa di morte e negli altri modi stabiliti dalla legge”) lo annovera, anzitutto, fra i modi d’acquisto della proprietà (e degli altri diritti reali), quale strumento per la circolazione dei beni;

- l’art. 1173 (fonti delle obbligazioni: “le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”), lo include fra le fonti delle

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obbligazioni, attribuendogli l’ulteriore funzione di strumento mediante il quale ci si procura il diritto alle altrui prestazioni.

Le due funzioni sono svolte congiuntamente nei contratti traslativi a titolo oneroso, come la vendita, con la quale si trasferisce la proprietà ed al tempo stesso, è fonte di obbligazione per il venditore di consegnare la cosa venduta e, per il compratore di pagarne il prezzo; altri contratti invece sono solo fonti di obbligazioni come la locazione, il contratto di lavoro, ecc. Infine va considerato che per contratto si possono trasferire, oltre che diritti reali, anche diritti di credito, come nel caso della cessione dei crediti, regolata dagli artt. 1260 ss.

Premesso ciò il codice civile dà all’art. 1321 una nozione generale, che unifica le due distinte funzioni in una sola, e allude ad ulteriori funzioni che il contratto può svolgere.

Definisce il “contratto come l’accordo di due o più parti per costituire, regolare od estinguere fra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Non è però una sintesi molto felice visto che l’effetto traslativo di un preesistente diritto da un soggetto ad un altro, non può essere ricompreso nella

“costituzione” di un rapporto giuridico; con qualche sforzo lo potremmo ricomprendere nella funzione di “regolare” un rapporto giuridico patrimoniale. Proprio la capacità del contratto di

“regolare” rapporti giuridici patrimoniali si coordina con la libertà riconosciuta alle parti di determinare il contenuto dei contratti tipici (art. 1322) e delle figure contrattuali atipiche. Le determinazioni mediante le quali si manifesta la funzione regolatrice del contratto si prestano una triplice classificazione:

a) determinazioni concrete, suscettibili di una sola applicazione, come nei contratti che prevedono, per i contraenti, un unico atto d’esecuzione (es. la clausola del contratto di vendita che regola le modalità di consegna della cosa venduta, troverà una sola applicazione all’atto della consegna della cosa);

b) determinazioni astratte, suscettibili di applicazioni ripetute, come nei contratti di durata che prevedono, per i contraenti, più atti d’esecuzione (es. la clausola del contratto di somministrazione che regola le modalità d’esecuzione delle prestazioni periodiche o continuative di cose, troverà applicazione ogni qualvolta il somministrante eseguirà le prestazioni dovute);

c) determinazioni astratte, suscettibili di applicazioni solo eventuali, come nei c.d. contratti normativi o contratto preparatorio, e nei contratti-tipo. La caratteristica principale del contratto normativo sta nel fatto che le parti determinano, in tutto: contratto tipo o in parte: contratto normativo in senso stretto, il contenuto di futuri ed eventuali contratti, che però restano libere di concludere o non concludere. Solo se e solo quando il contratto particolare sarà da esse concluso, il contratto normativo produrrà su di loro effetti vincolanti e li produrrà, secondo l’opinione più diffusa, direttamente (c.d. efficacia reale del contratto normativo), senza bisogno di una loro apposita dichiarazione di volontà in tal senso (c.d. efficacia obbligatoria del contratto normativo).

Il rapporto giuridico del contratto

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Il rapporto giuridico, che il contratto costituisce, regola od estingue, deve essere un rapporto giuridico patrimoniale, cioè deve avere ad oggetto cose o prestazioni personali suscettibili di valutazione economica.

Il requisito della patrimonialità delimita l’area del contratto, escludendo ad es. che sia qualificabile come contratto il matrimonio. Se è vero che contratto e matrimonio vengono presentati quali specie di un medesimo genere (negozio giuridico) e che nel matrimonio il rapporto giuridico o il rapporto di famiglia si costituisce “per accordo delle parti”, come nel contratto, non è altrettanto vero che si tratta di un rapporto giuridico patrimoniale.

Ma ancora l’area del contratto, per quanto circoscritta ai rapporti giuridici patrimoniali, non coincide però con la sfera degli interessi patrimoniali o degli scopi economici. La patrimonialità del rapporto non dipende, secondo il criterio desumibile dall’art. 1174 c.c. (carattere patrimoniale della prestazione: “la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore”), dalla natura dell’interesse perseguito dalle parti, che può essere “anche non patrimoniale”, ossia non economico, ma si determina in ragione del fatto che le prestazioni, cui le parti si sono obbligate, siano suscettibili di valutazione economica. Perciò, l’atto costitutivo delle associazioni a scopo ideale è un contratto perché le parti si obbligano con esso ad eseguire apporti economicamente valutabili, mentre la natura non economica degli interessi, che tali apporti tendono a soddisfare, non influisce sulla natura contrattuale del vincolo.

Le parti del contratto

Il contratto è, per l’art. 1321, l’accordo di “due o più parti”. Il contratto è bilaterale quando le parti sono due (es. nella vendita), è plurilaterale quando le parti possono essere più di due (es. il contratto di società). Si parla, tradizionalmente, anche di contratto unilaterale, come il contratto a titolo gratuito, dal quale sorgono le obbligazioni a carico di una sola parte.

Il concetto di parte del contratto non coincide con quello di persona, in quanto per parte si deve intendere un “centro d’interessi” e ciascuna parte di un contratto può essere formata anche da più persone, c.d. parte complessa o plurisoggettiva (es. i comproprietari di una cosa comune, che decidono di venderla, rappresentano una delle due parti del contratto, e quindi un unico centro di interessi). Perciò la vendita resta un contratto bilaterale anche se ad essa partecipano più di due persone.

Parti di un contratto possono essere, oltre che privati, anche enti pubblici, che con lo strumento del contratto perseguono le loro finalità istituzionali e realizzano interessi generali, in sostituzione dei precedenti e privilegiati atti amministrativi.

Le norme generali sui contratti

La disciplina del contratto si articola, nel codice civile, in due serie di norme:

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- norme che riguardano i “contratti in generale” (artt. 1321-1469 bis), comuni a tutti i contratti e si applicano a ciascuno di essi (art. 1323 c.c. norme regolatrici dei contratti: “tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare, sono sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo”);

- norme che riguardano i “singoli contratti”, ossia quei contratti che trovano nel codice civile, o in altre leggi, una disciplina particolare, specifica di quei determinati tipi contrattuali. Esse sono contenute in gran parte, nel IV libro del c.c. (delle obbligazioni) ma anche nel II libro (come la donazione) o nel V libro (come il contratto di lavoro).

Ciò però non vale in assoluto poiché alcune norme dettate per i “singoli contratti” risultano applicabili anche ad altri tipi, e alcune norme dettate per i “contratti in generale” non sono applicate a tutti i contratti, rimanendone esclusi alcuni.

Quando poi ad una medesima fattispecie (es. inadempimento del contraente) risulta in astratto applicabile sia una norma sui “contratti in generale” sia una norma sui “singoli contratti”, si stabilisce che quest’ultima, in linea di massima, è destinata a prevalere sulla prima, in applicazione del principio che le norme speciali derogano a quelle generali.

Può accadere infine che la norma generale e la norma speciale si integrino fra di loro formando una nuova norma, che risulta dalla combinazione di entrambe, come nel caso dell’art. 1662 c.c.

(verifica nel corso di esecuzione dell’opera: “il committente ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato. Quando, nel corso dell’opera, si accerta che la sua esecuzione non procede secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte, il committente può fissare un congruo termine entro il quale l’appaltatore si deve conformare a tali condizioni; trascorso inutilmente il termine stabilito, il contratto è risoluto, salvo il diritto del committente al risarcimento del danno”), che:

- permette la risoluzione dell’appalto in corso d’opera, qualora questa non proceda in conformità del contratto e l’appaltatore non vi si conforma nel termine fissatogli dal committente;

- deroga ai principi generali sui contratti, che non ammettono la risoluzione se non è scaduto il termine per l’adempimento.

Ma la norma speciale viene integrata con le norme generali quando si decide che il committente può agire per la risoluzione ex art. 1453 c.c. (risolubilità del contratto per inadempimento: “nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”) senza alcun invito all’appaltatore. Qui ci si avvale della norma speciale e, ad un tempo, della norma generale per formare un’ulteriore norma: l’appalto può essere risolto anche in corso d’opera (secondo la norma speciale) con l’azione di risoluzione (secondo la norma generale) quando la difformità dell’opera in corso sia insanabile (ipotesi non prevista né dalla norma speciale, né da quella generale).

Detto ciò due punti sono evidenti:

1) non tutte le norme che l’art. 1323 c.c. definisce come “generali” sono realmente tali, risultando quindi in un numero più limitato di quanto lo stesso articolo faccia supporre;

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2) non tutte le norme che riguardano i singoli tipi sono realmente relative solo a quel tipo contrattuale cui sono riferite, risultando quindi in un numero più esteso di quanto lo stesso articolo faccia supporre.

Autonomia contrattuale e limiti alla stessa

per l’art. 1321c.c. ciò che costituisce o regola od estingue un rapporto patrimoniale è l’accordo delle parti, ossia la loro concorde volontà. Ma un rapporto patrimoniale può essere costituito, regolato od estinto in molteplici altri modi: sono molti, infatti, i modi d’acquisto della proprietà diversi dal contratto, così come molti sono i modi da cui le obbligazioni possono sorgere, oltre che da contratto, da fatto illecito o da altri atti o fatti (art. 1173).

In ogni caso, fra i tanti modi di costituzione, regolazione od estinzione dei rapporti patrimoniali, il contratto rappresenta sicuramente quello per eccellenza e con esso fondamentale è il ruolo svolto dalla volontà: le parti contraenti si accordano “per costituire, regolare od estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Per definire questo ruolo della volontà si parla di libertà od autonomia contrattuale, che si manifesta sotto un duplice aspetto, negativo e positivo:

a) libertà od autonomia contrattuale significa, in senso negativo, che nessuno può essere costretto ad eseguire prestazioni a favore di altri contro o senza la propria volontà, a meno che non è vincolato dalla legge. Il contratto infatti vincola solo chi ha partecipato all’accordo;

b) libertà od autonomia contrattuale significa, in senso positivo, che le parti con un proprio atto di volontà, possono costituire o regolare od estinguere rapporti patrimoniali, cioè possono disporre dei propri beni e possono obbligarsi ad eseguire prestazioni a favore di altri.

L’autonomia, in senso positivo si manifesta in varie forme:

 libertà di scelta fra i diversi tipi di contratto previsti dalla legge, a seconda degli scopi che i privati si prefiggono di raggiungere;

 libertà di determinare il contenuto del contratto, entro i limiti posti dalla legge, art. 1322 c.c.

(autonomia contrattuale: “le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”). Ciascuna determinazione delle parti, inserita in un contratto scritto, si compone di una pluralità più o meno estesa di clausole che nel loro insieme formano il c.d. regolamento contrattuale. Per “clausola o patto” del contratto intendiamo ogni determinazione volitiva/della volontà inscindibile, non frazionabile cioè in ulteriori determinazioni volitive a sé stanti. L’importanza di ciò sta nel fatto che, a determinati effetti, singole clausole possono ricevere una considerazione normativa specifica, diversa da quella relativa al contratto nel suo insieme;

 libertà di concludere contratti atipici o innominati (art. 1322 c.c.), ossia di concludere contratti non corrispondenti ai tipi contrattuali previsti dal codice civile o da altre fonti normative, ma ideati e praticati dal mondo degli affari. Molti degli odierni contratti tipici sono infatti nati e diffusi nella pratica degli affari prima che la legge li prevedesse e li regolasse.

Sotto quest’aspetto la libertà contrattuale assume un duplice significato:

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 è libertà di perseguire finalità diverse da quelle perseguibili con i contratti tipici;

 è libertà di perseguire con modalità contrattuali atipiche finalità già perseguibili con contratti tipici.

I contratti atipici sono validi purchè siano diretti “a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico” e questo requisito di validità dei contratti atipici è fondamentalmente il requisito essenziale dei contratti che è la causa. Essi sono sottoposti, come i contratti tipici, alle norme sui contratti in generale (art. 1323), eventualmente integrate con le norme dettate per il tipo contrattuale con il quale presentano affinità e sono infine regolati, per il resto, dalle loro clausole contrattuali;

 è libertà di utilizzare contratti tipici per realizzare finalità atipiche oppure di combinare fra loro varie figure contrattuali, tipiche o atipiche, per realizzare interessi ulteriori e diversi da quelli sottostanti a ciascun contratto isolatamente considerato.

I limiti all’autonomia contrattuale

Circa i limiti all’autonomia contrattuale lo stesso art. 1322 c.c. stabilisce che le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto “nei limiti imposti dalla legge”.

I limiti all’autonomia contrattuale si manifestano essenzialmente sotto due aspetti:

- limiti imposti all’autonomia contrattuale di entrambe le parti. E’ il caso del c.d. contratto isolato, ovvero il contratto che è frutto di trattative avvenute fra le parti contraenti, nel corso delle quali discutono sulle condizioni che formeranno il contenuto del futuro contratto;

- limiti imposti all’autonomia contrattuale di una delle parti e, quindi, a vantaggio dell’altra parte.

E’ il caso del c.d. contratto in serie (detto anche contratto standard o contratto di massa o contratto per adesione), contrapposto al primo, ovvero il contratto il cui contento è interamente predeterminato da una delle parti e l’altra non può trattare: può solo “prendere o lasciare”, quindi o concludere il contratto così come è, o rifiutarsi di concluderlo.

Il contratto in serie trova maggiore applicazione nella produzione industriale su scala di bei o di servizi, in quanto così come i beni o i servizi sono prodotti o sono distribuiti secondo procedimenti di produzione o di distribuzione uniformi, così vengono regolati in modo uniforme i rapporti contrattuali con i consumatori dei prodotti o con gli utenti dei servizi. Ciò che però è importante è l’efficacia che la legge attribuisce alle condizioni generali di contratto:

- condizioni predisposte in modo uniforme da uno dei contraenti e destinate a valere per tutti i contratti che verranno conclusi con i consumatori o con gli utenti;

- condizioni efficaci nei confronti dell’altro contraente, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza, art. 1341 c.c. (condizioni generali di contratto: “le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza. In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente

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decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria”). La conoscenza effettiva del regolamento contrattuale è qui sostituita dalla mera conoscibilità, essendo l’altro contraente vincolato anche se, in fatto, non lo aveva conosciuto e non poteva, quindi, averlo voluto.

Ci si domanda quale sorte subisca il contratto qualora il predisponente non abbia reso conoscibili le condizioni generali all’accettante:

a) se viene travolto l’intero contratto, o

b) se viene travolta solo la parte di esso che è retta da condizioni generali.

A favore della prima soluzione a), si potrebbe argomentare che, poiché la conoscibilità sostituisce la conoscenza effettiva, e poiché questa è presupposto necessario del consenso, la non conoscibilità provoca le medesime conseguenze della mancata conoscenza, e quindi della mancata volizione del contratto, cioè impedisce la formazione stessa del contratto. Una simile equiparazione della conoscibilità alla conoscenza non è però sostenibile senza incorrere in artificiose finzioni, perché la conoscibilità non può essere in assoluto equiparata ad una conoscenza presunta, di conseguenza la non conoscibilità non produce necessariamente gli stessi effetti di una mancata conoscenza e di un mancato consenso.

Lo stesso art. 1341 c.c. suggerisce allora l’altra soluzione b), la quale fa riferimento, nel I comma (..le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza..) all’efficacia delle condizioni generali di contratto, e nel II comma (..In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria..) all’efficacia delle

“clausole contenenti condizioni generali” c.d. vessatorie.

Secondo l’opinione tradizionale, conforme al generale principio dell’art. 1419 c.c., l’intero contratto dovrà intendersi travolto se l’una o l’altra parte potranno provare che la presenza o l’assenza delle clausole recanti le condizioni generali era circostanza determinante del loro consenso.

Il produttore di beni o di servizi su larga scala è posto dall’art. 1341 nella condizione di “dettare legge” alla massa di consumatori. La sua volontà è unilateralmente vincolante, visto che egli non deve, secondo i principi generali sull’accordo delle parti, ricercare il loro consenso ma ha solo l’onere di far conoscere loro la propria volontà.

Sembrerebbe quindi che il contratto in serie, così come analizzato, cesserebbe di essere espressione dell’autonomia contrattuale di entrambe le parti per diventare qualcosa di molto simile alla legge, ovvero vincolante per i suoi destinatari non appena costoro siano posti in condizione di conoscerne il contenuto. C’è, però, una sostanziale differenza rispetto alla legge, visto che un atto di volontaria adesione al contratto in serie è pur sempre necessario, giacché il consenso del singolo, superfluo per la determinazione del contenuto del contratto, è indispensabile per la conclusione del contratto; anche se è spesso un atto di adesione solo formalmente volontario ma

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sostanzialmente non libero: di fronte al contratto predisposto dalla grande impresa l’utente non ha infatti alcuna facoltà di scelta perché dovendo aderire al contratto, per necessità salvo rinunciare ai beni o ai servizi che la grande impresa gli offre. Dunque il consumatore o l’utente è, rispetto al contraente che predispone le condizioni generali del contratto, un contraente debole che la legge si preoccupa di proteggere; e proprio il II comma dell’art. 1341 c.c. prevede alcune eccezioni alla regola posta dal I comma, ovvero le c.d. “clausole vessatorie o onerose”debbono essere specificamente approvate per iscritto (quindi, conosciute e volute, non solo conoscibili). Dobbiamo però precisare che sono soggette all’approvazione espressa non le clausole vessatorie in quanto tali, ma solo quelle predisposte per i contratti in serie e destinate a regolare una serie indefinita di rapporti. L’elenco legislativo delle clausole vessatorie è comunemente inteso come tassativo, suscettibile d’interpretazione estensiva, ma non d’applicazione analogica e le modalità dell’approvazione espressa, non previste dall’art. 1341, II comma, sono state di conseguenza determinate dalla giurisprudenza, la quale ha stabilito che non basta un’unica sottoscrizione onnicomprensiva e priva di riferimenti specifici alle singole clausole vessatorie ma bisogna richiamare le singole clausole onerose espressamente approvate, con l’indicazione del numero e del suo contenuto o anche del solo numero, affinché il contraente debole possa rendersi conto del regolamento contrattuale predisposto dalla controparte.

In mancanza di sottoscrizione, non è ammessa la prova della conoscenza della clausola; mentre in presenza della sottoscrizione, non è ammessa la prova dell’ignoranza della clausola. La mancata sottoscrizione rende inefficace la clausola non sottoscritta e si tratta d’inefficacia assoluta, che può essere fatta valere anche dalla parte che ha predisposto il contratto e può essere rilevata d’ufficio.

Infine per il contratto in serie vengono spesso predisposti moduli o formulari, che al momento della conclusione del contratto vengono riempiti con il nome dell’altro contraente e gli estremi del contratto mancanti nel modulo. Ulteriori e più rigorose norme a tutela del contraente debole, relative alle clausole vessatorie a danno della persona fisica consumatore finale sono state introdotte dal Codice del consumo.

Obbligo a contrarre

Altro limite all’autonomia contrattuale di una delle parti può derivare da norme di legge che, in date situazioni, gli impongono di concludere un contratto, privandolo della libertà di scelta se contrattare o non contrattare. A volte il limite all’autonomia contrattuale è posto a carico del contraente forte ed a protezione del contraente debole: è l’ipotesi, prevista dall’art. 2597 c.c.

(obbligo di contrattare nel caso di monopolio: “chi esercita un’impresa in condizione di monopolio legale ha l’obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa, osservando la parità di trattamento”), dell’obbligo di contrattare del monopolista. Chi esercita un’impresa in condizioni di monopolio legale “ha l’obbligo di contattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa, osservando la parità di trattamento”. Qui il limite all’autonomia contrattuale non riguarda il contenuto del contratto, ma investe la scelta se concluderlo o no, scelta che è libera per l’utente ma non per l’imprenditore che, di fronte all’altrui proposta, è tenuto ad esprimere la propria accettazione non potendosi rifiutare, come può invece fare il comune privato in forza della propria autonomia contrattuale, senza dover motivare il rifiuto. Egli è tenuto a giustificare le ragioni del diniego di prestazione e, in ogni caso, a rispettare

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la parità di trattamento, dovendo soddisfare le varie richieste non secondo il proprio arbitrio, ma secondo l’ordine delle richieste o secondo altri obiettivi criteri, come quelli della maggiore urgenza o della maggiore necessità. Sono principi che proteggono gli utenti di fronte all’imprenditore monopolista: valgono, però, solo nel caso di monopolio legale, ossia autorizzato dalla legge; non, invece, nel caso di monopolio di fatto, anche se pure in questo caso l’utente potrebbe rivendicare uguale protezione.

Il contratto imposto

In altri casi ancora l’autonomia contrattuale può essere limitata per entrambi i contraenti, come quando il limite è posto a tutela di superiori interessi, ad es. la determinazione, da parte dei pubblici poteri, dei prezzi di vendita di beni di largo consumo o delle tariffe di determinati servizi pubblici. L’organo pubblico che, in forza di specifiche norme speciali, provvede alla periodica variazione dei prezzi e delle tariffe è il Comitato interministeriale prezzi (Cip). Gli interessi protetti sono, in questi casi, quelli connessi alla gestione dell’economia pubblica, come il controllo del costo della vita, la lotta all’inflazione, lo sviluppo delle attività produttive, ecc.

Integrazione del contratto e le clausole d’uso

Da quanto detto risulta evidente che, il contenuto del contratto non è solo frutto “dell’accordo delle parti”, ma è piuttosto il risultato di una pluralità di fonti.

Sono essenzialmente quattro le fonti del regolamento contrattuale cui si fa riferimento:

a) la volontà espressa dalle parti;

b) la legge;

c) gli usi o consuetudini, applicati/e per le materie non regolate dalla legge e per le materie dalla legge regolate, ma solo se richiamati espressamente;

d) l’equità, che differisce sia dalla legge sia dagli usi perché non è, come questi fonte di diritto oggettivo, ma è frutto di determinazioni del giudice, destinate al pari della legge e degli usi a formare il contenuto. L’equità cui allude l’art. 1374 c.c. (integrazione del contratto: “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità) è quella cui ricorre il giudice per contribuire a determinare il contenuto del contratto e deve distinguersi fra due diverse funzioni:

- equità integrativa del contratto, che ricorre quando la legge consente al giudice di rimediare ad un’incompleta determinazione del contenuto contrattuale, esprimendo stime, fissando prezzi, assegnando valori alle prestazioni delle parti (es. la determinazione dell’oggetto del contratto, che il terzo ha omesso o eseguito in modo errato; ma anche tutti gli altri casi nei quali la legge, pur senza menzionare il criterio dell’equità, attribuisce al giudice il compito d’integrare il contratto);

- equità correttiva, che ricorre quando il giudice non si limita a rimediare ad un’incompleta determinazione pattizia del contenuto contrattuale, ma si cura di modificare la stessa

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determinazione pattizia, ove questa risulti iniqua. Tipico è il caso della riduzione della penale eccessiva di cui all’art. 1384 c.c. (riduzione della penale: “la penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte o se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento”), dove la nullità è parziale, in quanto la clausola è nulla nei limiti della sua eccessività, restando invece valida per la misura in cui appare equa. L’equità contrattuale si presenta dunque come uno dei due strumenti principale con cui regolare la discrezionalità contrattuale, assieme a quello della buona fede contrattuale, nelle sue molteplici forme legislative: buona fede nella formazione del contratto, nell’interpretazione del contratto, nell’esecuzione del contratto, ecc.

Infine possiamo distinguere un’ulteriore tipologia di equità che è quella correttiva, con la quale il giudice può correggere il contenuto del contratto, sostituendo la clausola contraria a buona fede con una diversa clausola ad essa conforme.

Tra le diverse fonti del regolamento contrattuale, appena analizzate è possibile stabilire una sorta di gerarchia:

- gli usi e l’equità assumono carattere suppletivo e valgono solo “in mancanza” della volontà espressa dalle parti o di disposizioni di legge;

- la volontà delle parti rispetto agli usi prevale per l’evidente considerazione che le norme consuetudinarie non hanno mai natura imperativa, e sono sempre derogabili per accordo fra le parti. Rispetto all’equità, ed in particolare quella integrativa, la volontà invece desiste/recede;

- la legge invece, se prima lasciava il vertice della gerarchia alla volontà delle parti, adesso è concepita come autonoma fonte del regolamento contrattuale, concorrente con la volontà delle parti su un piano di parità, e vincolante per i contraenti, indipendentemente dal fatto che la conoscessero al momento del contratto.

La generale conseguenza che deriva da tale gerarchia è che la violazione delle norme di legge o consuetudinarie e delle determinazioni equitative del giudice dà luogo a responsabilità contrattuale, e non a responsabilità extracontrattuale, perché chi le viola ha violato il contratto, non già la legge o l’uso o il provvedimento del giudice. Così la violazione della clausola generale sulla buona fede nell’esecuzione del contratto dà luogo, secondo un’ormai costante giurisprudenza, ad un inadempimento contrattuale, e può comportare risoluzione del contratto per inadempimento.

Le clausole d’uso

Diversi dagli sui normativi, prima visti tra le fonti integrative del contratto, sono gli usi contrattuali o clausole d’uso, che si considerano inserite nel contratto se risulta che sono state volute dalle parti (art. 1340 c.c.).

Gli usi normativi sono norme non scritte di diritto oggettivo vincolanti per i contraenti, e vincolanti anche per i contraenti ignari di essi al momento della conclusione del contratto.

Gli usi contrattuali sono invece clausole non scritte del contratto, vincolanti per i contraenti alla stessa maniera delle clausole scritte; sono insomma pratiche contrattuali abituali applicate in un dato luogo o in un dato settore economico (nel caso della vendita se si comperano cose da un

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abituale venditore “si presume che le parti abbiano voluto riferirsi al prezzo normalmente praticato dal venditore”).

Ciò che però importante sottolineare è la loro efficacia vincolante che è propria delle clausole contrattuali, e che pertanto, a differenza degli usi normativi, prevale sulle norme dispositive di legge. Tutt’altra cosa sono le clausole di stile, ossia le clausole meccanicamente ripetute in moduli contrattuali a stampa, oppure le clausole che, altrettanto meccanicamente, il notaio ripete nel redigere contratti per atto pubblico.

CAP. 4°: I REQUISITI DEL CONTRATTO: ACCORDO DELLE PARTI, CAUSA, OGGETTO E FORMA

I requisiti del contratto

Il codice civile quattro distinti “requisiti del contratto (art. 1325):

1) l’accordo delle parti, 2) la causa,

3) l’oggetto, 4) la forma.

Analizziamoli singolarmente.

L’accordo: totale e parziale

1)L’accordo delle parti è l’incontro delle manifestazioni o dichiarazioni di volontà di ciascuna di esse: il contratto è perfezionato solo se, e solo quando, si raggiunge piena e totale coincidenza fra le dichiarazioni di volontà provenienti dalle diverse parti contraenti. Un accordo solo parziale, che le parti abbiano raggiunto nel corso della trattativa, non ha alcun effetto vincolante, anche se le parti hanno annotato i punti di convergenza in un apposito documento: c.d. minuta di contratto; il mancato accordo sui punti ancora da concordare farà venire meno anche quelli già concordati, salva l’eventuale responsabilità precontrattuale, per violazione del principio di buona fede nelle trattative, art. 1337 c.c. (trattative e responsabilità precontrattuale: “le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”), della parte che abbia senza giustificazione interrotto la trattativa contrattuale.

L’accettazione vale come tale, solo se è in tutto e per tutto conforme alla proposta, se non è conforme ha il valore di nuova proposta, art. 1326 c.c. (conclusione del contratto: “il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte.

L’accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi. Il proponente può ritenere efficace l’accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso all’altra parte. Qualora il proponente richieda per l’accettazione una forma determinata, l’accettazione non ha effetto se è data in forma diversa. Un’accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta”) e richiede l’accettazione dell’originario proponente. Queste

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regole inducono la giurisprudenza a ritenere che il contratto non è perfezionato se l’accettazione escluda un elemento contenuto nella proposta o contenga un elemento in essa non presente, sia che si tratti di elemento accessorio e non essenziale. Di qui la più generale deduzione che non è sufficiente, per la conclusione del contratto, il solo accordo raggiunto sui punti essenziali ma è necessario l’accordo raggiunto su ogni elemento del contratto, sia esso essenziale oppure secondario.

Il giudizio sull’essenzialità o non essenzialità delle singole clausole è normalmente sottratto al giudice, anche se la giurisprudenza glielo concede in sede di ricostruzione della comune intenzione delle parti, ed in tal caso è la volontà delle parti, seppur ricostruita dal giudice, il criterio con cui decidere se il contratto si è perfezionato, avendo le stesse parti valutato come non essenziali gli elementi ancora da negoziare, tali perciò da non impedire la conclusione del contratto.

L’accordo: espresso e tacito Il contratto può essere concluso:

- in modo espresso, quando la volontà delle parti viene esplicitamente dichiarata, per iscritto o oralmente o con qualsiasi altro segno;

- in modo tacito, quando la volontà delle parti, o di una di esse, non viene dichiarata esplicitamente, ma si desume dal loro comportamento, c.d. “comportamento concludente”.

Il loro comportamento corrisponde all’esecuzione di un dato contratto e, perciò, lascia presupporre che esse abbiano voluto concluderlo. La supposizione si basa sull’incompatibilità del comportamento con una volontà contraria e caso tipico di contratto tacito è la società di fatto: più persone si comportano, di fatto, come soci senza avere mai dichiarato, né per iscritto, né oralmente, la volontà di concludere un contratto di società (o più semplicemente contratto tacito è, nell’esperienza quotidiana, prelevare nel supermercato merci che vi sono esposte, concludendo tacitamente un contratto di vendita).

La formazione tacita del contratto o manifestazione tacita dell’accordo può riguardare o tutte le parti del contratto o alcune soltanto; un’ipotesi di accordo modificativo tacito è la proroga tacita della società di persone, la quale interviene “quando, decorso il tempo per cui fu contratta, i soci continuano a compiere le operazioni sociali”. A volte, invece, l’ammissibilità di una tacita manifestazione di volontà è dalla legge esclusa: così la volontà di liberare il debitore deve essere espressamente dichiarata nella delegazione, nell’espromissione e nell’accollo (che sono modalità di circolazione dei crediti-debiti).

Alla luce di ciò il silenzio, in sé e per sé, non ha valore giuridico di tacito consenso, può assumerlo solo se le circostanze che lo accompagnano sono tali da attribuirgli il significato di comportamenti concludenti. Caso in cui la legge attribuisce al silenzio valore di consenso è, in materia di contratti in generale, quello del contratto con obbligazioni del solo proponente, art. 1333 c.c. (contratto con obbligazioni del solo proponente: “la proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata.

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Il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi. In mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso”).

La comune valutazione è quindi quella secondo cui il silenzio vale sempre e comunque come consenso ed è, perciò, sottoposto alle impugnative contrattuali per vizi del consenso o per incapacità. Una diversa opinione, elaborata dalla dottrina, è invece quella secondo cui il silenzio o il comportamento omissivo “non è mai consenso”, ma è stata disattesa.

L’accordo tra persone lontane Ancora l’accordo si può formare:

- in modo simultaneo fra contraenti presenti,

- per fasi successive fra contraenti lontani, le dichiarazioni di volontà delle diverse parti prendono, in tal caso, il distinto nome di proposta ed accettazione.

La proposta è la dichiarazione di volontà di chi assume l’iniziativa del contratto, es. la dichiarazione di voler vendere una data cosa per un dato prezzo che l’aspirante venditore rivolge, per lettera o altrimenti, ad un possibile compratore.

L’accettazione è la dichiarazione di volontà che il destinatario della proposta rivolge, a sua volta, al proponente.

Il destinatario della proposta è pienamente libero di accettarla o di respingerla, libertà che è tipica dell’autonomia contrattuale. Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta riceve notizia dell’accettazione dell’altra parte, art. 1326 c.c. (conclusione del contratto: “il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte.

L’accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi. Il proponente può ritenere efficace l’accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso all’altra parte. Qualora il proponente richieda per l’accettazione una forma determinata, l’accettazione non ha effetto se è data in forma diversa. Un’accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta”). Ma l’accettazione, per essere tale, deve pervenire entro il termine stabilito dal proponente o, in mancanza, in un tempo che possa ritenersi ragionevole (non certo dopo anni) in relazione alla natura dell’affare o secondo gli usi (art. 1326), deve assumere la forma richiesta dal proponente e deve essere conforme alla proposta valendo altrimenti come nuova proposta.

La conclusione del contratto è retta, nel nostro sistema, dal “principio della cognizione”, che i compilatori del codice civile hanno preferito all’opposto “principio della spedizione”, vigente nei paesi di common law ed in Francia.

Secondo il principio della spedizione il contratto è concluso quando c’è contemporanea presenza di volontà conformi, dunque è concluso nel tempo e nel luogo in cui il destinatario della proposta spedisce la propria accettazione, con la conseguenza che il vincolo contrattuale si perfeziona prima ancora che il proponente ne abbia conoscenza.

Il principio della cognizione richiede, invece, che ciascuna delle parti abbia conoscenza della corrispondente volontà dell’altra e ciò perché non si può ammettere che un soggetto resti

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volontariamente obbligato ad un altro, senza avere prima la conoscenza dell’esistenza del vincolo;

coscienza che si acquista appunto con la pervenuta notizia della volontà di aderire/accettare alla proposta. Di fatto il principio della cognizione addossa all’accettante il rischio del ritardo nella trasmissione della sua risposta: il ritardo offre al proponente un ulteriore lasso di tempo per pentirsi della proposta e revocarla. In questo lasso di tempo l’accettante è, però, protetto in qualche modo dalla norma secondo la quale, se egli aveva in buona fede intrapreso l’esecuzione del contratto, il proponente è tenuto ad indennizzarlo delle spese e delle perdite subite per l’iniziata esecuzione (art. 1328). Un principio intermedio fra principio della cognizione e principio della spedizione è il principio della ricezione, vigente nei paesi dell’area tedesca, in forza del quale il contratto è concluso nel momento in cui l’accettazione è pervenuta all’indirizzo del proponente, mentre è irrilevante che questi ne abbia avuto, o potuto avere, conoscenza. La “conoscenza dell’accettazione”, richiesta dall’art. 1326, è convertita in mera conoscibilità dall’art. 1335 c.c.

(presunzione di conoscenza: “la proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia”), per il quale l’accettazione si reputa conosciuta quando giunge all’indirizzo del proponente, se questi non prova d’essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia. Sicché il principio tedesco della ricezione differisce dal principio della cognizione solo perché il proponente non è ammesso a dare la prova che l’accettazione, sebbene pervenuta al suo indirizzo, è stata da lui senza colpa ignorata. Particolari tecniche di formazione dell’accordo riguardano:

a) i contratti con obbligazioni del solo proponente, dove il silenzio del destinatario della proposta è valutato come tacita accettazione ed il contratto si perfeziona se, entro il termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi, il destinatario non rifiuti la proposta (art. 1333);

b) i contratti che ammettono esecuzione prima della risposta dell’accettante. Per l’art. 1327 c.c.

(esecuzione prima della risposta dell’accettante: “ qualora, su richiesta del proponente o per la natura dell’affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione. L’accettante deve dare prontamente avviso all’altra parte della iniziata esecuzione e, in mancanza, è tenuto al risarcimento del danno”) il proponente può chiedere o la natura dell’affare o gli usi possono ammettere che la prestazione dell’altra parte sia eseguita senza una preventiva risposta. È, nel linguaggio commerciale, il caso dell’ordine che un’impresa rivolge ad un’altra impresa ed al quale fa senz’altro seguito l’inoltro della merce ordinata. Qui “il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione”.

Qui c’è accettazione tacita della proposta per fatto concludente, qual è l’iniziata esecuzione della prestazione e c’è, in deroga al generale principio della cognizione, un’eccezionale applicazione del principio della spedizione, per effetto della quale “non si è più richiesto il requisito dello scambio delle sue dichiarazioni”. S’intende poi che il contratto è sottoposto alla regola generale dell’art.

1326 se, nonostante la natura dell’affare o gli usi, il proponente abbia chiesto espressamente la preventiva accettazione della controparte.

Un più generale contemperamento fra principio della cognizione e principio della ricezione è attuato dall’art. 1335, ai sensi del quale la proposta e l’accettazione, come anche la loro revoca e, in genere, ogni dichiarazione diretta a persona determinata, si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia. La conoscenza effettiva del’accettazione è così sostituita dalla

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sua conoscibilità ed p imposto al proponente l’onere di provare che l’accettazione, sebbene giunta al suo indirizzo, è stata da lui incolpevolmente ignorata. La proposta contrattuale può essere rivolta ad un destinatario determinato, ma può anche assumere la forma della proposta o offerta al pubblico: chiunque, in tal caso, può esprimere al proponente la propria accettazione, con l’effetto di perfezionare il contratto nel momento in cui questa giunga a conoscenza del proponente (art.

1336). Può accadere che la morte colpisca una delle parti nel corso della formazione del contratto, prima che questo sia concluso. La morte del proponente toglie ogni efficacia alla proposta ( e all’accettazione non ancora pervenuta al proponente): il destinatario di questa non può comunicare all’erede la propria accettazione, giacché la morte ha privato il proponente della possibilità, altrimenti spettante gli, di revocare la proposta. Alla regola fa eccezione la proposta irrevocabile 8art. 1329), che è vincolante per l’erede del proponente defunto. Altra eccezione è relativa al caso in cui proponente o accettante sia un imprenditore non piccolo: se l’imprenditore nuore prima della conclusione del contratto, la sua proposta o la sua accettazione contrattuale conserva efficacia (art. 1330), ed il contratto sarà concluso quando il suo successore avrà ricevuto notizia dell’accettazione dell’altra parte o quando questa avrà ricevuto notizia dell’accettazione dell’imprenditore nel frattempo defunto.

Proposta contrattuale ed invito a proporre, adesione al contratto plurilaterale, revoca della proposta, patto di opzione e patto di prelazione

Dalla vera e propria proposta contrattuale bisogna distinguere il semplice invito a proporre (c.d.

invitatio ad offerendum). È tale, anzitutto, una dichiarazione che non contenga tutti gli estremi essenziali del contratto da concludere. Un cartello con la semplice scritta “vendesi”, posto su una casa non può certo vincolare l’aspirante venditore: vale solo come invito, rivolto al pubblico, a formulare proposte contrattuali o, comunque, ad iniziare trattative per la vendita. L’art. 1336 autorizza questa diversa qualificazione della dichiarazione al pubblico come semplice invito a proporre, anche se contenga gli estremi essenziali del contratto: essa vale come proposta contrattuale “salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi”. Una vera e propria offerta al pubblico si deve, piuttosto, ravvisare nella vendita a mezzo di macchine automatiche e nella vendita a self service: qui il sistema di vendita prescelto esclude, esso stessi, ogni possibilità di diniego del venditore. Per le vendite all’asta o al pubblico incanto vale la medesima conclusione.

Altro discorso vale per le aste televisive: le offerte espresse per mezzo del telefono attengono alla fase delle trattative precontrattuali e non vincolano ancora l’offerente. Una specifica forma di proposta o d’accettazione contrattuale è l’adesione di nuove parti, quando sia consentita, ad un già formato contratto di scambio o, più frequentemente, plurilaterale: l’adesione di nuovi membri ad un’associazione o di nuovi soci ad una cooperativa, la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione nel caso dell’aumento di capitale di una società per azioni. Nei contratti plurilaterali a struttura aperta, destinati per loro natura a successive adesioni l’adesione di nuove parti non implica modificazione del contratto originario. La proposta di adesione, detta anche richiesta d’ammissione, deve essere rivolta all’organo costituito per l’attuazione del contratto deve essere rivolta all’organo costituito per l’attuazione del contratto o, in mancanza, a tutti gli originari contraenti (art. 1332) ed ha la medesima natura dell’originaria partecipazione al contratto:

l’aderente si pone, al pari delle parti originarie, nella posizione di contraente. L’adesione si perfeziona nel momento dell’incontro delle dichiarazioni di volontà dell’aderente e

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dell’associazione: momento che sarà diverso a seconda che l’iniziativa dell’adesione sia assunta dall’aderente oppure dall’associazione e che coinciderà, nel primo caso, con il momento in cui all’aderente venga notificata la deliberazione di ammissione oppure, nel secondo caso, con quello in cui l’associazione riceva notizia dell’accettazione dell’aderente (art. 1326). A loro volta, l’organo, o gli originari contraenti, sono liberi di accettare o rifiutare la richiesta d’ammissione del nuovo membro, senza essere tenuti a motivare la ragione della scelta, che è atto di autonomia contrattuale, incensurabile ed insindacabile. La clausola dell’atto costitutivo e dello statuto che prevede le condizioni per l’ammissione dei nuovi associati, si rivolge agli organi interni dell’associazione ed impone loro di attenersi, nell’accoglimento o nella reiezione delle domande d’ammissione, ai criteri da essa previsti. La clausola non è, invece, rivolta ai terzi e non vale quale offerta contrattuale al pubblico. Significativo al riguardo è l’art. 2528 c.c., il quale stabilisce, in rapporto alle società cooperative, che “l’ammissione di un nuovo socio è fatta con deliberazione degli amministratori su domanda dell’interessato”; norma, questa, che colloca l’aspirante socio nella posizione di proponente ed attribuisce alla società la facoltà d’esprimere o di non esprimere, attraverso la “deliberazione degli amministratori”, l’accettazione contrattuale. Nel contratto plurilaterale a struttura chiusa l’adesione di nuove parti richiede una previa modificazione del contratto: a norma dell’art. 2252 c.c. (modificazioni del contratto sociale: “il contratto sociale può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci, se non è convenuto diversamente”) nelle società di persone; secondo la tecnica dello’aumento di capitale nelle società di capitali (art. 2438 ss. c.c.). La deliberazione assembleare di aumento del capitale è, al tempo stesso, deliberazione modificativa del contratto di società ed offerta al pubblico ex art. 1336. Dall’art. 2439 risulta che l’importo del capitale in aumento è, di regola, determinante della volontà espressa della deliberazione di aumento del capitale: l’offerta al pubblico potrà, perciò, dirsi accettata solo se l’intero aumento deliberato venga sottoscritto. Ne deriva che ciascuna sottoscrizione può rivelarsi o quale accettazione conforme alla proposta contrattuale o quale accettazione non conforme alla proposta.

La sottoscrizione dell’aumento di capitale, quando è effettuata da nuovi soci, avendo i vecchi soci rinunciato al diritto di opzione o avendolo ceduto, tuttavia, la medesima forma imposta per la costituzione della società, che a questo modo si rivela quale forma dell’atto costitutivo in quanto tale, non quale forma del contratto di società di capitali.

Fino al momento in cui il contratto non sia concluso, le parti conservano la propria autonomia contrattuale: la proposta e l’accettazione possono, fino a quel momento, essere revocate da chi le ha formulate. La proposta, perciò, può essere revocata fino a che al proponente non sia giunta notizia dell’accettazione, se si tratta di contratti retti dalla regola generale dell’art. 1326; fino a quando il destinatario non abbia iniziato l’esecuzione, se si tratta di contratti assoggettabili alla particolare regola dell’art. 1327. L’accettazione, a sua volta, è revocabile purché la revoca giunga a conoscenza del proponente prima dell’accettazione (art. 1328). La proposta di contratto con obbligazioni del solo proponente è, invece, revocabile solo se la revoca giunga a conoscenza del destinatario prima della proposta (art. 1333). Con la revoca della proposta il proponente riacquista la propria piena libertà contrattuale; ma a questi effetti, non è sempre necessaria una dichiarazione di revoca. Così, se il destinatario emette un’accettazione non conforme alla proposta e, perciò, equivalente a nuova proposta, l’originario proponente riacquista la propria libertà contrattuale, essendo libero d’accettare o meno la controproposta, senza necessità di revocare l’originaria proposta. Il medesimo effetto è prodotto dal rifiuto espresso della proposta da parte del destinatario, che dispensa il proponente dall’attesa del termine di cui all’art. 1326, II comma (c.d. caducazione

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automatica della proposta per decorso del tempo). Si ammette che la proposta possa essere revocata tacitamente, con l’assunzione di un comportamento concludente, con l’intrapresa trattativa con altre parti. Un moderno sistema di vendita, quello della vendita a domicilio o “porta a porta”, ha sollevato il problema di una più adeguata tutela di chi si è indotto a sottoscrivere un contratto per sollecitazione di un abile venditore che non gli lasci tempo per una ponderata decisione. Per le vendite a domicilio di valori mobiliari la l. 216/1974 aveva posto la regola secondo la quale l’efficacia del contratto resta sospesa per 5 giorni, entro i quali il compratore può comunicare il suo “recesso” dal contratto; tale termine è stato esteso a 7 giorni dal Testo Unico sull’intermediazione finanziaria del 1998. Questo ius poenitendi del compratore è stato poi esteso ad ogni vendita “porta a porta” dal d.lgs. n. 50/1992 relativo ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali. In questa materia ci si esprime impropriamente in termini di recesso: si deve dire piuttosto che la conclusione del contratto è temporaneamente sospesa e che la dichiarazione contrattuale del compratore può, entro 5 o 7 giorni dalla sua formulazione, essere revocata. Altra norma di tutela del consumatore è introdotta, per i contratti a distanza, ossia stipulati con un sistema di vendita o di prenotazione di servizi organizzato dal fornitore con tecniche di comunicazione a distanza, dal d.lgs. n. 185/1999: il consumatore può recedere entro 10 giorni dal ricevimento dei beni nel caso di vendita, o dal contratto nel caso della prestazione di servizi. Infine, l’art. 64 del Codice del consumo ha unificato la disciplina dei contratti negoziati fuori dei locali commerciali e dei contratti a distanza prevedendo per il recesso da entrambi il termine di dieci giorni. Dalla revoca della proposta va distinto il ritiro della stessa: a differenza della revoca, che è successiva alla ricezione della proposta e vale ad avvertire il destinatario di non tenere alcun conto della proposta in itinere. La distinzione fra le due figure assume rilievo sotto questo aspetto: il ritiro, a differenza della revoca, fa decadere anche una proposta dichiarata come irrevocabile a norma dell’art. 1329. La proposta può essere dal proponente dichiarata come proposta ferma o irrevocabile per un dato tempo: il destinatario può, entro questo tempo, accettarla o non accettarla;

il proponente, invece, non può revocare la proposta, che rimane per lui vincolante, così come formulata, fino a quando non sia scaduto il tempo fissato (art. 1329). Dalla proposta irrevocabile l’opzione differisce per la sua natura di contratto, e si suole perciò parlare di patto di opzione:

ricorre quando una parte del contratto si vincola verso l’altra e l’altra si limita a prendere atto, riservandosi la scelta, appunto l’opzione, se accettare o no. Il patto d’opzione, per essere tale, deve contenere l’intero regolamento contrattuale, in modo che il titolare dell’opzione possa determinare la conclusione del contratto con la sola sua dichiarazione di accettazione, senza necessità d’ulteriori dichiarazioni del proponente. Il patto produce, a carico di chi si obbliga, gli stessi effetti di una proposta irrevocabile (art. 1331), ma con la differenza che è valido anche se non è fissato un termine per l’accettazione, che potrà essere stabilito dal giudice. Se il titolare dell’opzione, anziché accettare semplicemente, formula una controproposta, il meccanismo del patto d’opzione non opera: il contratto di perfezionerà se e quando l’originario proponente accetterà la controproposta.

Talvolta chi acquista per contratto la facoltà d’opzione paga all’altro contraente un corrispettivo, che è il controvalore dell’utilità che l’altrui impegno irrevocabile: si dice, in tal caso, che si è

“comperata un’opzione” su un bene. L’opzione, essendo un contratto, può essere ceduta: chi la consegue ha, diversamente dal destinatario di una proposta ferma, la possibilità di negoziarla. Il patto d’opzione differisce del c.d. contratto preliminare unilaterale, con il quale solo una delle parti s’impegna a concludere il contratto definitivo: il contratto risultante dal patto d’opzione è già un contratto definitivo, destinato a perfezionarsi con l’accettazione dell’optante, mentre il preliminare unilaterale obbliga il promittente alla conclusione di un futuro contratto, ulteriore rispetto al

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preliminare. È qui pertinente ricordare anche il patto di prelazione, con il quale un soggetto si obbliga nei confronti di un altro per l’eventualità che intenda alienare un proprio bene: prima di alienarlo ad un terzo egli dovrà eseguire la c.d. denuntiatio, ossia offrirlo, alle stesse condizioni cui il terzo è disposto ad acquistarlo, a chi ha contrattualmente conseguito il diritto di prelazione. Così è il patto di preferenza nella somministrazione: con esso il somministrato si obbliga, per non altre 5 anni, a dare la preferenza al somministrante nella stipulazione di un successivo contratto per lo stesso oggetto, comunicandogli le condizioni propostegli da terzi (art. 1566). Talvolta un diritto di prelazione è espressamente riconosciuto dalla legge: così, per la locazione d’immobili urbani ad uso diverso di quello d’abitazione, la l. 392/1978, stabilisce che, nell’ipotesi in cui il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l’immobile locato, deve darne comunicazione al conduttore, indicando il corrispettivo e le altre condizioni cui la vendita dovrebbe essere conclusa, mentre il conduttore ha 60 giorni per esercitare il diritto di prelazione. Quando un diritto di prelazione è riconosciuto dalla legge (prelazione legale), esso è opponibile ai terzi, ed il suo titolare può riscattare la cosa presso il terzo acquirente. La prelazione legale è, perciò, prelazione reale; la prefazione contrattuale ha, per contro, efficacia meramente obbligatoria, allo stesso modo del patto di non alienare (art. 1379), con la conseguenza che la violazione del patto non attribuisce che il diritto al risarcimento del danno. Tuttavia, il patto di prelazione è fonte di un obbligo a contrarre, suscettibile d’esecuzione in forma specifica a norma dell’art. 2932: fino a quando la vendita del terzo non sia opponibile all’avente diritto alla prelazione, questi può agire per l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di alienare alle condizioni offerte dal terzo, e, se trascrive la domanda giudiziale prima che il terzo trascriva il suo acquisto, prevarrà su quest’ultimo. In quanto consentita, sia pure genericamente, dall’art. 2355, III comma, la prelazione tra soci viene considerata come prelazione legale e, dunque, reale. All’offerta in prelazione s’attribuisce, in ogni caso, natura di proposta contrattuale, non di semplice invito a proporre: il contratto si perfeziona, a favore del destinatario dell’offerta in prelazione, nel momento in cui l’accettazione di questo giunge a conoscenza della controparte.

La causa

2)La concorde volontà delle parti è requisito necessario, ma non sufficiente. Occorre altresì una causa, che l’art. 1325 c.c. eleva ad ulteriore requisito essenziale dei contratti e, per il richiamo di cui all’art. 1324 c.c., degli atti unilaterali. La causa è la funzione economico-sociale dell’atto di volontà, è la giustificazione della tutela dell’autonomia privata. Il bene non passa e l’obbligazione non sorge, se manca una giustificazione economico-sociale dell’atto di autonomia contrattuale. Così la causa della vendita (art. 1470 c.c.) è lo scambio di cosa con prezzo. Il trasferimento della proprietà del bene o l’obbligazione di pagare il prezzo sono l’uno la giustificazione dell’altra: il primo giustifica l’esborso di danaro del compratore, la seconda giustifica il fatto che il venditore si spoglia della proprietà di un bene. Ai contratti a titolo oneroso, la cui causa si basa su uno scambio di prestazioni, si contrappongono i contratti a titolo gratuito, nei quali la prestazione di una delle parti non trova giustificazione in una controprestazione dell’altra parte. Ma anche i contratti a titolo gratuito hanno una propria causa: così la causa della donazione, art. 769 c.c. (definizione: “la donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione”) è lo spirito di liberalità. I contratti tipici, proprio perché previsti e regolati dalla legge o da altre fonti di diritto oggettivo, hanno tutti

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