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La nascita della Repubblica e le lotte sociali. Dagli scontri tra patrizie e plebei, alla guerra con gli alleati italici

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Academic year: 2022

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La nascita della Repubblica e le lotte sociali. Dagli scontri tra patrizie e plebei,

alla guerra con gli alleati italici

7-10 aprile 2020

Giovanna Cicala

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1. Le secessioni tra patrizi e plebei 2. Le riforme dei Gracchi

3. La guerra con gli alleati italici

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Le tensioni tra patrizi e plebei risalgono al V (494 a.C.), IV e agli inizi del terzo secolo a.C. e si esplicitano nelle richieste dei plebei di accedere agli stessi diritti politici detenuti dai patrizi.

La cosiddetta serrata del patriziato, per adoperare un’espressione coniata da De Sanctis, ha indotto a ipotizzare che alcuni plebei si fossero affermati economicamente così da essere in grado di competere nell’assunzione di cariche sacerdotali e magistratuali mettendo a repentaglio il ruolo esclusivo detenuto dai patrizi, i soli ai quali fosse consentito trarre gli auspicia

Le tensioni tra patrizi e plebei risalgono al V (494), IV, e agli inizi del terzo secolo a.C. e si esplicitano nelle richieste dei plebei di accedere agli stessi diritti politici detenuti dai patrizi.

La cosiddetta serrata del patriziato per adoperare un’espressione coniata da De Sanctis, ha indotto a ipotizzare che alcuni plebei si fossero affermati economicamente così da essere in grado di competere nell’assunzione di cariche sacerdotali e magistratuali mettendo a repentaglio il ruolo esclusivo detenuto dai patrizi, i soli ai quali fosse consentito trarre gli auspicia

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In quegli anni Roma era attraversata da una forte crisi economica, testimoniata dal crollo delle importazioni di ceramica greca intorno alla prima metà del V secolo, da un forte calo demografico e un impegno militare estenuante, che la vide coinvolta lotte con gli italici.

Dopo avere affrontato con felice esito la lega latina e avere stipulato con essa il foedus Cassianum, Roma ingaggiò una serie di conflitti con Equi, Sabini e Volsci e tre guerre con Veio, tra il 438 e il 396 a.C., che comportarono un tributum a spese dei cittadini per lo stipendio dei soldati impiegati nell’assedio; nel 390 a.C.

la città subì il saccheggio e la devastazione dei Galli

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I proprietari di piccoli appezzamenti di terra, che da essa traevano sostentamento, subirono gravi disagi economici e furono costretti a indebitarsi con chi era più ricco e deteneva ampi possedimenti, senza riuscire spesso a saldare il dovuto, incorrendo in questo modo nel nexum, una forma di schiavitù che asserviva i debitori inadempienti. Non è chiaro se questo particolare tipo di schiavitù fosse determinata da un magistrato o se fosse una scelta inevitabile intrapresa da chi non aveva mezzi, né se fosse uno stato temporaneo che si accettava sino alla remissione del debito o se la perdita dei propri diritti fosse permanente. Cattivi raccolti e devastazioni inflitte dai nemici nel proprio territorio, inoltre, indebolivano i meno abbienti che, indeboliti dalla fame, furono anche le prime vittime di epidemie.

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Stando alle fonti la plebs si sarebbe ritirata per la prima volta nel 494 sull’Aventino, colle al quale era legata secondo la tradizione, o, secondo altri, sul monte Sacro.

Qui i plebei si riunivano in assemblea e formularono alcune disposizioni a cui oggi ci si riferisce come leges sacratae; secondo l’interpretazione del giurista Feliciano Serrao, tali provvedimenti erano così chiamati in quanto chi non vi si sarebbe attenuto sarebbe stato consacrato ai Mani

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Secondo la storiografia romana la prima secessione risale all’anno 494 a.C. e fu allora, nel corso di tali assemblee che, pare, sia stato concesso che la plebe accedesse alle magistrature attraverso i tribuni e, forse, gli edili, aediles. I tribuni erano eletti nelle assemblee della plebe e ne erano i rappresentanti; inizialmente erano due, ma nel tempo il loro numero crebbe sino a 10. Chi era eletto a questa magistratura aveva il potere aiutare un cittadino rispetto all’azione di un magistrato (ius auxilii); forse da questo diritto si sviluppò in senso più ampio il diritto di veto dei tribuni, il potere cioè di bloccare qualsiasi provvedimento di un altro magistrato ritenuto lesivo ‘per la plebe nel suo insieme, intesa come collettività’ (ius intercessionis)

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La loro persona divenne protetta dall’inviolabilità personale (sacrosantitas): chiunque cioè si fosse permesso di commettere un atto violento nei loro confronti avrebbe potuto essere messo a morte senza conseguenze, essendo divenuto sacer, e ogni suo averi sarebbe stato confiscato in favore del tempio di Cerere, Libero e Libera sull’Aventino, luogo di culto della plebe, almeno a partire da questa testimonianza nelle fonti. Pare anche che offese all’indirizzo dei tribuni fossero punite con sanzioni pecuniarie

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I tribuni della plebe avevano anche il diritto di convocare le assemblee e di sottoporre a esse i provvedimenti che ritenevano opportuni (ius agendi cum plebe); diversamente il potere di convocare il senato fu acquisito successivamente, quando i plebiscita finirono per interessare l’intera cittadinanza. Più tardi il tribuno della plebe avrà un altro diritto, quello di porre il veto alle decisioni del collega, cosa che avveniva nelle altre magistrature

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Spurio Cassio

Nel 486 a.C. il console Spurio Cassio cercò di trarre consenso popolare dalla situazione di disagio economico che pativa la popolazione. Antesignano rispetto alle riforme graccane, propose una redistribuzione delle terre, ma accusato di aspirare alla tirannide fu eliminato in accordo con la plebe. Questo evento lascia pensare che la protesta della plebe fosse soprattutto legata a motivi politici più che economici o, quanto meno, che famiglie plebee più abbienti non fossero esattamente intenzionate a riformare determinati ambiti che avrebbero comportato un esproprio redistributivo delle proprietà terriere

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Il collegio di decemviri e le XII tavole

Una prima importante tappa nel cammino delle rivendicazioni della plebe fu la costituzione di un collegio di decemviri patrizi, dotati di potere assoluto, ai quali fu affidato il compito di redigere un codice di leggi. I poteri straordinari dei quali furono investiti erano resi necessari dalla necessità di governare e nel contempo non essere ostacolati da altre magistrature, come il tribunato della plebe e il consolato.

“Quando sembrò che le leggi avessero subìto sufficienti emendamenti alla luce delle opinioni espresse dalla gente sulle singole sezioni, i comizi centuriati approvarono e adottarono definitivamente le leggi delle X tavole, che ancora oggi, restano la fonte di tutto il diritto pubblico e privato” (Liv. 3, 34, 6; trad.

G. Reverdito)

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Poiché dopo avere stilato 10 leggi, trascorso un anno i decemviri non avevano completato il compito loro assegnato, la commissione fu rinnovata per l’anno seguente. Al termine dei lavori furono aggiunte altre due tavole, tra cui la più nota, quella con il divieto di conubium tra patrizi e plebei, che non manca di destare una certa sorpresa se solo si considera che tra i decemviri c’erano anche due plebei. L’insieme delle leggi redatte costituisce le XlI tavole, la prima legislazione scritta di Roma, che fu poi esposta nel foro

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La commissione tentò di rimanere insediata, ma questo tentativo di prolungare il potere assoluto dei suoi membri, ai quali apparteneva il noto Appio Claudio Cieco, fu sventato dagli elementi più moderati sia plebei, sia patrizi (Marco Orazio e Lucio Valerio). Pare che Appio Claudio arrecò violenza a Virginia, la giovane figlia di un centurione impegnato a combattere gli Equi e i Volsci. Ne scoppiò una secessione, e nel 449 a.C. il consolato sarà ripristinato con M. Orazio e L. Valerio che, riconoscendo il ruolo della plebe resero i plebisciti leggi, a cui dovevano sottostare tutti i Romani. La norma che vietava i matrimoni misti, invece, fu abrogata nel 445 dalla lex Canuleia

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Secondo la storiografia romana dal 444 a.C., oltre a una coppia di consoli di estrazione patrizia, il senato consentì che diversamente potessero essere eletti tribuni militum consulari potestate, tribuni con lo stesso potere dei consoli, ma ai quali non era consentito trarre auspicia. In un primo momento, i tribuni furono tre, poi le fonti ne registrano 4, sino a un massimo di sei nel 376 a.C. Questa narrazione non pare molto credibile; si ritiene piuttosto che i patres non volessero perdere il controllo sul monopolio della magistratura più importante dello stato, e che piuttosto i tribuni militum affiancassero i consules

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Le leggi Licinie Sestie furono proposte da Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano. Il loro programma comprendeva più provvedimenti: l’accesso dei plebei al consolato, la redistribuzione delle terre pubbliche e il problema dei debiti. Nel 367 a.C. secondo un iter non chiarito le proposte divennero legge.

La presenza però di consoli plebei prima del 367 a.C. fa sorgere interrogativi sulla tradizione.

Secondo quanto proposto nelle leggi, gli interessi pagati per i debiti potevano essere detratti dalla somma dovuta, e il debito residuo poteva essere rimesso in tre rate annuali. Il secondo provvedimento riguardava l’estensione massima di ager publicus da detenere, una cifra questa che ad alcuni pare poco credibile per il IV secolo. La legge avrebbe comportato una multa a chi si fosse impadronito di maggiori estensioni di terra e non ne prevedeva confisca e redistribuzione

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Tiberio Gracco

Nel 133 a.C. Tiberio Gracco in qualche modo

riprese l’idea delle leggi Licinie Sestie di

redistribuire le terre confluite in latifondi coltivati da

schiavi per ripristinare quel ceto di piccoli

coltivatori che era venuto a scomparire. Eletto

tribuno della plebe propose una legge che fissava

l’occupazione dell’agro pubblico a un massimo di

500 iugeri (125 ettari) con la possibilità di

incrementarlo per ogni figlio di 250 iugeri sino a un

massimo complessivo di 1000 iugeri

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Tale pratica sarebbe stata intrapresa da un collegio apposito di triumviri i tresviri agris dandis iudicandis adsignandis eletto dal popolo -formato dallo stesso Tiberio, dal fratello Caio e dal suocero Appio Claudio Pulcro, allora princeps senatus, insieme ai giuristi Publio Licino Crasso e Publio Muzio Scevola, console lo stesso anno- al quale sarebbe spettato il compito di recuperare i terreni e redistribuirli. La riforma prevedeva anche indennizzi, incentivi per i nullatenenti che sarebbero stati ricavati dal tesoro del re Attalo III di Pergamo che aveva lasciato il suo regno e ogni suo bene al popolo Romano

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Avvenne poi che l’altro tribuno della plebe, Marco Ottavio, chiaramente indotto dagli ambienti più conservatori, pose più volte il proprio veto all’iniziativa graccana. Così, senza che ci fosse un precedente, Tiberio Gracco propose la sua destituzione in quanto non rappresentava come avrebbe dovuto gli interessi dei popolari, escludendo di fatto lo stesso Marco Ottavio dal proprio incarico. Il tribuno fu destituito e la lex agraria fu approvata. Tuttavia, poiché i procedimenti di realizzazione richiedevano tempo, e volendo adempiere agli stessi e per il timore di perdere l’inviolabilità della sua persona (la sacrosanctitas) che gli conferiva il tribunato, Tiberio Gracco propose nuovamente la propria candidatura per l’anno successivo. Allora fu accusato di aspirare alla tirannide poiché aveva infranto la lex Villia che impediva la reiterazione ravvicinata delle cariche, e per il tribunato della plebe prevedeva un intervallo decennale.

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I lavori della commissione triumvirale proseguirono con alterne vicende, e l’inserimento di nuovo membri. Al posto di Tiberio fu inserito Publio Licinio Crasso Dives Muciano, sino al 121 a.C. quando Gaio Gracco e Fulvio Flacco, caduti per il senatusconsultum ultimum, furono sostituiti da C. Sulpicio Galba e L. Calpurnio Bestia. Ce lo testimoniano anche i cippi graccani che consentono di seguire il proseguimento delle assegnazioni nel Piceno, in Campania, in Lucania. Stava però sorgendo un nuovo malcontento: gli alleati italici, che avevano esteso come i romani i propri possedimenti a spese dell’ager publicus, si trovarono come la nobilitas a dovere restituire terreni in favore dei nullatenenti romani. Fulvio Flacco, conseguito il consolato nel 125 propose di estendere la cittadinanza romana a quanti ne avessero fatta richiesta

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Nel 123 fu eletto Caio Gracco, fratello di Tiberio e mentre si proseguiva e perfezionava la legge agraria, propose la deduzione di nuove colonie di cittadini romani. Gaio Gracco organizzò un approvvigionamento di grano costante dell’Urbe.

Circa i diritti delle popolazioni asservite a Roma, Caio propose la concessione del diritto romano a coloro che godevano del diritto latino e del diritto latino agli italici. Ma mentre era all’estero, a Cartagine per seguire le pratiche necessarie alla deduzione di una nuova colonia, in patria si affermò un nuovo personaggio, il tribuno della plebe Marco Livio Druso, che riuscì a scalzarlo dal favore popolare con una serie di proposte ben più ampia, come la deduzione di ben 12 colonie; così la prima conseguenza del mutato quadro politico fu che Caio Gracco non fu rieletto al tribunato nel 121 a.C.

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La guerra con gli alleati italici.

Le premesse

Sul principio del I secolo a.C. il malcontento delle comunità di diritto latino e degli alleati italici che desideravano godere a pieno titolo della cittadinanza romana divenne pressante. Per comprendere gli eventi che seguiranno è indispensabile conoscere il diverso regime giuridico delle colonie romane e latine e quali leggi regolavano il rapporto con gli alleati italici

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Le colonie romane

Le colonie romane erano fondate in base a un atto formale.

In genere erano costituite da 300 famiglie di coloni che erano cittadini romani, cives Romani optimo iure. Le comunità insediate dipendendo direttamente da Roma, erano inizialmente prive di un proprio governo locale e amministrate da prefetti; successivamente si dotavano di proprie amministrazioni attraverso duoviri, un senato locale e un'assemblea popolare. Sino al II sec. a.C.

sorgevano prevalentemente lungo la costa della penisola.

Gli abitanti godevano del privilegio di essere esentati dal servizio militare, proprio in quanto costituivano, almeno all’inizio, un presidio di controllo sulla costa.

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I diritti dei cives Romani

I cives Romani godevano del diritto elettorale attivo e una serie di privilegi giudiziari, tra cui quello di essere condannati secondo le leggi dello diritto civile, e di non essere indemnati, cioè condannati senza processo, né di subire punizioni corporali o infamanti. La cittadinanza si acquisiva per discendenza in età repubblicana e il titolo di civis spettava per diritto ai cittadini originari dell'Urbe, figli di genitori romani, e ai fondatori delle coloniae Romanae che si fossero trasferiti all'interno della città di Roma oppure per concessione dello Stato, nel caso i forestieri si fossero resi meritevoli di particolari servigi o benemerenze a Roma e ai magistrati delle comunità locali.

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Le colonie di diritto latino

Le colonie latine, invece, nascevano da contingenti coloniari ben più ampi, di alcune migliaia di persone (da 2000 a 6000 persone) ed erano formalmente i n d i p e n d e n t i d a R o m a , i n d i p e n d e n t i p e r amministrazione e magistrature, ma legate a Roma da trattati di alleanza. Erano in genere dislocate in territori della penisola non pacificati, spesso nell’interno.

Diversamente dalle colonie di diritto romano, in caso si guerra, fornivano agli eserciti di Roma contingenti secondo la formula ius togatorum ed erano tenute al pagamento di un tributo.

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I diritti dei coloni latini

I coloni di diritto latino non potevano accedere alle magistrature di Roma (ius honorum), ma avevano il diritto di contrarre matrimonio (ius conubii), di commerciare (ius commercii) con cittadini Romani e di trasferirsi a Roma (ius migrandi). Inoltre, in caso si trovassero a Roma, potevano esercitare il diritto di voto (ius suffragii), ma soltanto per i comizi tributi, inclusi in un’unica tribù, sorteggiata di volta in volta

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I diritti degli abitanti delle città federate

Gli abitanti delle città federate – che con Roma avevano stretto un patto, foedus, di alleanza - erano chiamati soci o alleati, godevano di autonomia amministrativa, ma non avevano diritti politici a Roma e non potevano accedere a cariche pubbliche o godere dei privilegi fiscali riservati ai cittadini romani. Avevano l’obbligo di fornire a Roma contingenti di truppe (auxilia) che combattevano a fianco dell’esercito romano.

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Le civitas sine suffragio, infine, erano comunità indipendenti che godevano esclusivamente dello ius connubii e dello ius commercii. Erano però soggette a Roma per la politica estera, e, in caso di guerra, erano tenuti a fornirle contingenti per l’esercito e, nel caso fossero città localizzate sulla costa, contribuivano alla flotta romana

Le civitas sine suffragio

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Le ragioni del malcontento sociale

Quanti non erano cittadini romani non avevano diritto ai bottini di guerra (o minima parte), alle distribuzioni agrarie e frumentarie. Inoltre avevano assistito alla redistribuzione dei terreni che avevano a lungo coltivato ai cittadini romani. A fronte del loro oneroso impegno bellico non partecipavano allo sfruttamento economico delle province e non partecipavano in alcun modo alle decisioni economiche, politiche e militari nelle quali pure erano coinvolti

Per aggirare il proprio status, italici e latini cercavano di farsi essere a Roma e farsi registrare durante le operazioni di censo.

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Le premesse della Guerra sociale

•  Legge Licinia Mucia (95 a.C.). Revisione delle liste di censo

•  Le leggi di M. Livio Druso: una riforma agraria volta a una nuova distribuzione di terre e nuove colonie, una legge frumentaria che abbassava il prezzo delle distribuzioni granarie. Restituì inoltre ai senatori il controllo dei tribunali per le cause di concussione, aumentò il numero dei senatori da 300 a 600, consentendo l’accesso ai cavalieri e concesse la cittadinanza romana ai coloni latini

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•  lex Iulia de civitate latinis et sociis danda (90 a.C.) proposta da C. Giulio Cesare che prevedeva la concessione della cittadinanza ai cittadini di diritto latino e agli alleati che l’avessero richiesta

•  lex Calpurnia de citate sociorum (89 a.C.) consentiva ai comandanti militari di concedere la cittadinanza ai socii meritevoli

•  lex Plautia Papiria (89 a.C.) concedeva la cittadinanza romana ai ribelli che avrebbero cessato le ostilità e si fossero registrati entro 60 giorni presso il pretore di Roma

•  lex Pompeia de Tranpadanis (89 a.C.) prevedeva la concessione del diritto latino ai residenti a Nord del Po

Le leggi emanate durante il conflitto

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