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Dentro il museo A cielo aperto di Latronico, tra opere permanenti e laboratori artistici

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Academic year: 2022

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Dentro il museo ‘A cielo aperto’ di Latronico, tra opere permanenti e laboratori artistici

L’Associazione Culturale Vincenzo De Luca nasce nel 2005 a Latronico, in Basilicata, dal desiderio dei famigliari e degli amici di ricordare Vincenzo De Luca, operaio e pittore, prematuramente

scomparso. L’obiettivo è la crescita culturale e condivisa di un luogo che è stato considerato spesso ai margini. Stabilendo che le attività siano interamente sostenute tramite la sottoscrizione delle persone che scelgono di diventare socie, i fondatori rimarcano la dimensione partecipativa e civica.

In questa cornice si sviluppa nel 2008 il progetto A Cielo Aperto, curato dagli artisti Bianco-Valente e Pasquale Campanella, per creare un “museo all’aperto” di opere che si pongono in dialogo con l’ambiente naturale e con la parte più vecchia e inabitata del paese. Invitati in residenza, gli artisti sono chiamati ad avviare azioni laboratoriali e processi partecipativi con gli abitanti stabili e temporanei. Recuperando le matrici della storia e della memoria della comunità, le opere diventano le emergenze visibili di un lungo percorso di scambio.

Per il quinto appuntamento di Comunità Contemporanee, con Bianco-Valente e Campanella indaghiamo gli esiti di A Cielo Aperto e le direzioni progettuali che possono favorire lo sviluppo di un “localismo consapevole”.

[Un ringraziamento particolare a Elisabetta De Luca, ai soci e alle socie dell’Associazione, ai

latronichesi che hanno partecipato ai laboratori per le loro testimonianze che illuminano il senso di un fare.]

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BiancoValente, Ogni Dove – A Cielo Aperto, 2015

Inizierei dal margine, definireste Latronico un luogo marginale?

Pino Valente: non sento Latronico come un luogo marginale, geograficamente è a soli dieci minuti dall’autostrada e ha una storia di continua innovazione. È stato il primo paese del circondario dove è stata prodotta e diffusa l’elettricità. A differenza di altri luoghi anche più popolosi, qui il cinema è ancora attivo, ed esiste una naturale propensione delle persone ad incontrarsi in piazza e intessere dei ragionamenti. Pur essendo un piccolo centro, conta molte associazioni culturali.

Giovanna Bianco: mi è difficile pensarlo come marginale, tutto dipende dalle relazioni che hai con il luogo, e anche quando qui ci abitavo non ho mai sentito l’isolamento. Mi stava stretto perché desideravo andare in una città per proseguire gli studi, ma c’è sempre stato molto dialogo e scambi culturali tra le persone.

Pasquale Campanella: un luogo non è marginale nel momento in cui riesci a instaurare dei

rapporti con le persone. Se questi rapporti diventano dei riferimenti, quel luogo diventa un contesto per te importante che ti fa dimenticare l’eventuale isolamento culturale e sociale. L’altro aspetto è che negli anni Cinquanta la Basilicata era in una posizione di povertà assoluta, oggi anche nelle situazioni meno confortevoli e locali è possibile avviare una progettualità che abbia la capacità di porsi in una dimensione globale.

Veniamo a un punto centrale: i soci dell’Associazione Vincenzo De Luca hanno messo per iscritto nello statuto di non volere soldi pubblici, una presa di posizione forte. Quali sono le ragioni? Avete condiviso la decisione?

Bianco: col tempo questo si è rivelato un elemento chiave del progetto. Nel momento in cui cambia l’assetto politico di un’amministrazione, rischi di non avere più supporto economico. Per noi, invece,

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è importante mantenere la continuità del progetto.

Campanella: per i soci era significativo il fatto di non dipendere dai fondi pubblici. Quasi li criticavo, all’inizio. Invece poi ho capito che avevano ragione perché loro conoscevano questo territorio, ci erano nati, sapevano come funzionavano le cose. L’associazionismo del paese viveva di pochi finanziamenti dati dal Comune e nel momento in cui venivano a mancare, l’attività si

interrompeva. I soci volevano garantirsi continuità e autonomia. Hanno avuto lungimiranza.

Beatrice Catanzaro parlando della fondazione di Bait Al Karama in Palestina ha detto che il modello di gestione di un progetto, il suo bilancio, non deve essere fuori scala rispetto alla realtà del luogo. Mi sembra che l’Associazione operi sulla base di questo principio che pone una questione etica.

Campanella: la crescita di un progetto come il nostro è possibile nella misura in cui si sviluppa in modo proporzionato alla popolazione, altrimenti il rischio è che diventi nostro, dell’arte, ma che non abbia nessun confronto reale e di comprensione da parte della gente del luogo. La crescita è

possibile quando va di pari passo. Appartenere al territorio è questo.

Valente: crediamo che A Cielo Aperto sia da considerare un’esperienza che fa da contraltare a strutture che lavorano con budget milionari. Cerchiamo di produrre sul posto, quando possibile, in modo che ci sia anche una ricaduta economica. Sono orgoglioso di questi aspetti che spingono gli artisti ad avere un confronto più concreto con il territorio. Il Museo esiste, nonostante il piccolo budget di cui disponiamo, e tutte le opere non solo vengono prodotte, ma anche manutenute con grande cura nel tempo.

Giovanni e Giuseppe Giacoia, (T)here – A Cielo Aperto, 2018

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Da quando avete iniziato nel 2008 c’è stato qualche cambiamento che rilevate in paese in una direzione che possa dirsi sociale, culturale, economica?

Bianco: il progetto, con le tante persone venute a Latronico, ha permesso lo sviluppo di una microeconomia, come alcuni B&B che sono nati nella parte antica del paese. Ciò che all’inizio presentavamo con A Cielo Aperto, poteva sembrare estraneo a persone che si confrontavano per la prima volta con l’arte contemporanea. Nel tempo, grazie agli artisti presenti sul territorio, si è smitizzata la figura stessa dell’artista. C’è stata una percezione diversa del fare arte, anche

attraverso la partecipazione delle persone ai laboratori o alla realizzazione dei progetti, con le opere che sono entrate a far parte del quotidiano degli abitanti. E quando succede che alcuni cittadini ci chiedono cosa abbiamo in cantiere per la nuova edizione di A Cielo Aperto, capiamo che il lavoro che stiamo facendo è importante e che siamo riusciti ad incidere in qualche modo sul territorio, pur non essendoci mai posti in maniera assertiva.

Valente: chi vive a Latronico ha molte più possibilità di avere un rapporto diretto con gli artisti rispetto a chi vive in una grande città. Abbiamo lavorato sempre con grande rispetto per gli abitanti e crediamo che ci sia un sentimento reciproco, anche in chi decide di non prendere parte alle iniziative dell’associazione.

Campanella: il discorso sul rispetto mette in campo un altro problema importante: non abbiamo mai pensato che i grandi numeri facessero un progetto partecipato. Invece, la qualità è delle persone che realmente vivono quella esperienza in una dimensione che è lontana dal quotidiano. Piano piano le persone hanno familiarizzato con il linguaggio dell’arte. È un processo lungo, ci vogliono anni perché ci siano cambiamenti reali. I primi dieci anni sono serviti a prendere coscienza che questo fosse possibile.

Cosa possiamo intendere per esito? Quali sono i punti da considerare per una riflessione critica sugli esiti delle pratiche artistiche territoriali?

Campanella: secondo il sapere comune l’esito è una conclusione valutabile, conforme alle aspettative. È esattamente ciò che a Latronico non abbiamo perseguito. L’esito per noi non è il raggiungimento di un obiettivo prestabilito ma l’insieme di dinamiche che si sviluppano nel

territorio, in un tempo non determinato. Uno degli esiti dell’esperienza progettuale di A Cielo Aperto è l’acquisizione di un localismo consapevole, facendo riferimento all’urbanista Alberto Magnaghi, il sorgere nelle persone di una “coscienza del luogo” che miri a tutelare le produzioni locali, il

paesaggio, i saperi. È la capacità di rendersi conto dei propri bisogni culturali che alimentano lo sviluppo culturale globale, non solo locale. L’essere consapevoli mette in campo la propria storia come memoria collettiva, una maggiore coscienza e visione del proprio territorio. Con una doppia funzione: culturale, nel recupero e superamento del folklore e dei riti ancora molto presenti in Basilicata, rinnovando appunto le strategie culturali; materiale, nella capacità di mettere insieme iniziative di sussistenza e di sviluppo anche turistico.

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Elisa Fontana, Domini Públic (Children Version) – A Cielo Aperto, 2013

Nella progettualità di A Cielo Aperto non c’è una durata prestabilita della residenza.

Questa libertà fa parte della logica di una progettualità che si vuole aperta al tempo della ricerca che non può essere imbrigliato. Giovanna sottolineavi però il limite di concentrare il progetto – la presentazione dell’opera, i laboratori – durante l’estate, nel periodo più

“felice” del paese quando si ripopola. Mi sembra di capire che anche per questa ragione nel 2019 avete avviato un nuovo progetto di residenze per artisti durante la stagione fredda, Stato in luogo, che affianca A Cielo Aperto e a cui avete dato un tempo preciso, dieci giorni.

Bianco: per il progetto A Cielo Aperto invitiamo un artista una prima volta a Latronico, per

permettergli di esplorare il luogo e conoscere le persone. L’artista sceglie il suo tempo, dettato dalle sue esigenze e può tornare tutte le volte che vuole, in agosto invece torna per concludere il lavoro.

Inoltre, da un paio di anni, abbiamo avviato Stato in luogo, un programma di residenze per giovani artisti, che si svolgono in primavera o in autunno, e non in estate, periodo in cui molti turisti ed emigrati affollano il paese, questo perché ci sembrava importante avere una presenza progettuale durante tutto l’arco dell’anno.

Vivete a Napoli e Milano, non siete sempre presenti a Latronico. Vi chiedo se questo non sia un limite e se non sia un obiettivo formare giovani del posto che possano prendere il vostro testimone, magari abitando sul luogo per portare avanti il progetto tutto l’anno.

Valente: è un desiderio e un obiettivo, ma per portare avanti il progetto c’è bisogno di persone che siano profondamente calate nell’arte contemporanea. Finora non si è ancora formato un ricambio e questo è sicuramente un problema. Anche noi, come Pasquale, intendevamo dimetterci dal comitato scientifico, ma i soci ci hanno chiesto di soprassedere. Pensavamo che qualcun altro avrebbe potuto

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ricoprire questo ruolo ma non è stato così. Per questo abbiamo deciso di coinvolgere Giovanni Viceconte, un curatore che vive ad Altomonte, non lontano da Latronico, per affidargli la curatela di Stato in luogo.

Pasquale mi sembra che tu percepisca una differenza tra progetti di residenza portati avanti da artisti per artisti e progetti affidati a un curatore, in che senso vivi questo scarto?

Campanella: il fatto che entri un curatore di mestiere cambia la prospettiva. Non è più degli artisti che invitano altri artisti, con un’idea un po’ in progress. Diventa un passaggio più istituzionale per il progetto. Vedevo come sviluppo il fatto che non ci fosse nessuna curatela e l’Associazione potesse diventare un collettivo di lavoro, senza firma. Anche se oggi c’è già condivisione del lavoro, per il ricambio generazionale forse ci vorranno molti più anni.

A Cielo Aperto nasce da vostra riflessione di artisti, in questo senso non siete sostituibili.

Quali sono le vostre motivazioni e cosa genera l’esperienza del lavorare assieme?

Bianco: Nel 2007, quando l’Associazione Vincenzo De Luca ci invitò a fare una mostra a Latronico, A Cielo Aperto non era ancora nella nostra immaginazione. Eravamo dubbiosi, pensavamo non avesse senso fare una mostra nel paese in cui ero nata, per questo, dopo aver conosciuto i soci e avere apprezzato il modo in cui si attivavano per coinvolgere i giovani con l’arte, immaginammo di realizzare alcune video-installazioni nel centro storico. Fu emozionante vedere in quell’occasione tanta partecipazione, probabilmente erano in molti a trovarsi per la prima volta di fronte a un modo nuovo di fare arte. In quell’occasione conoscemmo Pasquale e proprio da quell’incontro nacque il progetto A Cielo Aperto, grazie al quale ci rendemmo subito conto di quanto fosse importante il lavoro che l’Associazione stava sviluppando sul territorio. Per me è stato fondamentale proseguire questa progettualità, qui ho le mie radici, e questo ritornare continuo per le attività di A Cielo Aperto mi ha fatto ristabilire un legame ancora più forte con questo territorio.

Valente: ci piace lavorare in un paese montano della Basilicata con lo stesso approccio che

useremmo in una galleria o in un museo. Agli esordi di Bianco-Valente sembrava inevitabile spostarsi al Nord per avere più visibilità, perpetuando però la storia di emigrazione che aveva segnato le nostre famiglie di origine. Ho voluto spezzare questo incantesimo restando a Napoli, il luogo che mi ha formato, ed è per questo che mi impegno a sviluppare un progetto radicale qui a Latronico, lontano dai grandi centri. E la cosa sembra funzionare a giudicare dal rapporto molto stretto che si è creato con gli artisti coinvolti che esprimono sempre il desiderio di tornare a Latronico.

Campanella: a Pino non piace il termine politico, ma quando dice “voglio lavorare al Sud”, fa una scelta di tipo politico. Noi funzioniamo assieme anche se siamo diversi. Questa progettualità ha allargato le maglie del lavoro personale di ciascuno di noi. Mi sono reso conto che il nostro progetto sembra facile e mi sono chiesto come mai? Ho capito che lavorare con Giovanna e Pino, con altri artisti, avere un confronto reale, concreto, non fittizio, dà la possibilità di smussare alcuni aspetti del proprio lavoro. L’essere costantemente in rapporto tra noi, con i soci, nella costante attesa di

confronto, ha dato una concreta possibilità al progetto di sembrare facile, anche se non lo è.

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Wurmkos Cénte, A Cielo Aperto, 2010

Le opere permanenti si trovano nel paesaggio che circonda Latronico e in paese. Qui si concentrano nella parte alta, che è quella vecchia che ha perduto popolazione, con quale intento?

Bianco: durante la mia infanzia l’emigrazione era già un fenomeno ricorrente, ricordo di persone che abbandonavano il paese, per lavoro o per studio, e spesso non facevano più ritorno. È stato doloroso per chi è rimasto e anche l’economia ne ha molto risentito, per questo sento forte il desiderio di ritornare e fare qualcosa per questo luogo. Negli anni Ottanta hanno cementificato la parte a valle del paese, dove si sono trasferite le persone che abitavano nella parte più a monte, meno accessibile perché ci si arriva solo a piedi. C’è una dicotomia tra le due zone del paese, per questo le opere sono prevalentemente concentrate in quella alta e antica, proprio con l’intento di ristabilirvi un legame. La nostra installazione Ogni dove (2015) interagisce con le due zone ed è visibile dalla piazza, a valle, luogo abituale di incontro dei cittadini, e racconta di coloro che sono emigrati, ma anche di quelli che hanno lasciato una traccia nella mente delle persone. Anche l’opera di Michele Giangrande (Faro, 2009), che ha trasformato con una luce rossa temporizzata il

campanile dell’antica chiesa di San Nicola in un faro, crea una connessione fra le due aree,

diventando un punto di riferimento per gli abitanti e, idealmente, per tutti i latronichesi che vivono altrove.

Perché avevate deciso di produrre opere permanenti se l’aspetto processuale e relazionale è un punto nodale del progetto, se il focus sono i laboratori?

Valente: essendo anche noi artisti, capiamo quanto sia importante per un artista lasciare una traccia del proprio pensiero e dell’esperienza vissuta a Latronico. Qui l’opera è liberamente fruibile da tutti, non ci sono cancelli da aprire o orari da rispettare, e ognuno può usare le proprie chiavi di

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lettura. L’opera ti interroga, invitandoti a porti in relazione con la formalizzazione di un pensiero.

Campanella: la formalizzazione è importante nel momento in cui emerge il processo; se l’opera viene installata in un luogo senza che sia percepibile la pratica che l’ha preceduta, per noi non è interessante. Nel momento in cui l’oggetto che vive nello spazio ha messo gli artisti in rapporto con le persone, allora per noi diventa una testimonianza di quella esperienza.

Dopo dodici anni di lavoro con A Cielo Aperto avvertite che sia arrivato un punto di svolta e di possibile cambiamento verso un percorso che porti oltre la creazione di un “museo”

all’aperto?

Campanella: siamo sempre stati vigili affinché il paese non diventasse “una bomboniera”. Siamo consapevoli che non è possibile risolvere tutti i problemi con l’arte, ma che è possibile una crescita culturale. Non è un format. Non ci interessa ripetere l’operazione come un festival. Bisogna pensare a una ricerca che porti alla individuazione di alcune progettualità più articolate che mettano in campo il centro storico del paese, non intervenendo solo con un’opera ma in modo più strutturale, con una visione culturale che dal presente si proietti nel futuro. Per dare organicità al progetto territoriale entra in gioco l’ente pubblico, la politica. Questo è il punto.

Immagine di copertina: Francesco Bertele, Centocapre – A Cielo Aperto, 2014

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