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Sommario Cult Marzo 2011

periodico di attualità, costume, moda, turismo e società.

L’altro volto del MAGHREB PLUS 12 03 2011

Il «mal di budget» non passa PLUS 12 03 2011

- SCENE DA UNA FUSIONEdi Nicola Borzi Accordo fatto sulla riorganizzazione di B@nca 24/7 PLUS 12 03 2011

Equitalia in sciopero il 21 marzo - Lo ha deciso l'attivo unitario dei delegati Emendamento extrema ratio Il Sole-24 Ore del lunedì - 2011-03-14

«La rotazione sta riscoprendo le banche»

Il Sole-24 Ore del lunedì - 2011-03-14

Il lento risveglio di Piazza Affari - Le valutazioni sono a sconto rispetto alle medie storiche e ad altri listini europei

Il Sole-24 Ore del lunedì - 2011-03-14

Le obbligazioni high yield conquistano i portafogli LA REPUBBLICA lunedì 14 marzo 2011

"Contro il deficit serve la moneta da un dollaro"

LA REPUBBLICA lunedì 14 marzo 2011

Caro greggio, stangata per luce e gas - La crisi nordafricana si ripercuote sulle nostre bollette: più 25 euro nell´anno - La previsione di Nomisma Energia per il secondo trimestre del 2011

ITALIA OGGI lunedì 14 marzo 2011

Quantificato il danno: è pari al 10% del valore della gara ITALIA OGGI lunedì 14 marzo 2011

Poste italiane perde i privilegi - La società è responsabile dei ritardi. E scatta il risarcimento CORRIERE DELLA SERA lunedì 14 marzo 2011

Polizze La Vita? Non vale i Btp - Ma dal 2001 chi le ha scelte ha guadagnato meno che con l’acquisto dei titoli di Stato. Colpa delle spese troppo salate

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CORRIERE DELLA SERA lunedì 14 marzo 2011 Fondi Il lungo periodo? Sempre più lungo CORRIERE DELLA SERA lunedì 14 marzo 2011 Caro-polizze, protestano gli agenti

CORRIERE DELLA SERA lunedì 14 marzo 2011

Anticipazioni Domani l’ufficialità. C’è ottimismo, anche se pesa il radicamento in un territorio che cresce solo all’1% - Intesa I veri conti del Sistema-Italia

CORRIERE DELLA SERA lunedì 14 marzo 2011

Personaggi Sarà il responsabile del «Corporate and investment banking» Unicredit Arriva Mustier Doppia voglia di ripartire - L’ex banchiere francese da oggi sostituisce Sergio Ermotti Dopo l’uscita da SocGen ha l’occasione per il riscatto

CORRIERE DELLA SERA lunedì 14 marzo 2011

Un futuro diversificato - Quelle fondazioni meno bancarie CORRIERE DELLA SERA lunedì 14 marzo 2011

La squadra europea di Tremonti e Draghi LA VOCE.info 11.03.2011

DALLA CEDOLARE VANTAGGI SOLO PER I PROPRIETARI

Return Articoli

Cult Marzo 2011

periodico di attualità, costume, moda, turismo e società.

L’altro volto del MAGHREB

Storie di donne e uomini nordafricani che hanno avuto successo sull’isola e sono riusciti ad integrarsi anche nella società.

Perché nonostante tutto la Sicilia dall’altra sponda del Mediterraneo, è vista come un paese accogliente.

Manel Belbachir

―Fortunata e testarda‖

Tra le donne che sono riuscite a ritagliarsi uno spazio nel mondo del lavoro a Palermo conseguendo una posizione elevata c’è Manel Belbachir, araba nata a Parigi da padre marocchino e madre tunisina. Oggi è responsabile del nucleo crediti presto Prestinuova Spa, ha lavorato per altre banche, è stata traduttrice e mediatrice per diversi enti e si è occupata, inoltre, della traduzione dall’arabo all’italiano di reportage per il programma

―Mediterraneo‖ del tg3.

Cosa l’ha condotta a Palermo?

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―Sono arrivata a Palermo nel ’94 per uno stage formativo all’estero tramite l’università, l’‖Istitut Superieur de Gestion‖ di Tunisi. Tra i paesi da scegliere ho preferito l’Italia, perché sconoscevo l’italiano. Dopo lo stage a Palermo sono tornata nel mio paese per laurearmi in Informatica di gestione‖

Perché è tornata in Sicilia?

―Palermo è una città che colpisce, nel bene e nel male. Durante lo stage ho avuto offerte di lavoro, avendo così la possibilità di rimanere in Sicilia. Prima del mio attuale lavoro presso Prestinuova, dove sono responsabile del nucleo crediti, ho lavorato nel back office di Banca Nuova, per la Banca Popolare Sant’Angelo e per diverse aziende private e statali, società di credito al consumo, sono state interprete e traduttrice per il Comune di Palermo e il Teatro Massimo. Inoltre ho collaborato con Rai, dove mi occupavo di tradurre dall’arabo all’italiano i reportage dei giornalisti per il programma ―Mediterraneo‖ del Tg3. Oggi, inoltre, sono dirigente sindacale a livello provinciale della Federazione Autonoma Bancari Italiani‖

Si definisce fortunata?

―Fortunata e testarda. Dall’inizio ho lottato per trovare un buon lavoro qui. Sono finalmente riuscita a ottenere quello che desideravo grazie alla mia tenacia‖

E dal punto di vista sociale ha avuto difficoltà a integrarsi?

―Qui ho tantissimi amici, anche se a Palermo manca una vera conoscenza della cultura arabo-islamica e questo conduce il più delle volte a una chiusura verso altri usi e costumi. Occorrerebbero più iniziative in questa direzione. Noi facciamo un grande sforzo per farci accettare e per dimostrare quanto valiamo‖

Come vive l’essere musulmana a Palermo?

―Mi piace coinvolgere gli amici palermitani durante le mie festività. Le condivido in ufficio con i colleghi‖

Return PLUS 12 03 2011 Il «mal di budget» non passa

Le pressioni commerciali allo sportello sono un fiume carsico: affiorano e sprofondano ma corrono sempre.

Da anni «Plus24» parla del "mal di budget", il conflitto di interessi tra obiettivi di vendita di sportellisti e reti retail, collegati a parti variabili della retribuzione, e tutela del risparmiatore. Molte cose sono cambiate dal Far west precedente: gli interventi del legislatore e delle Autorità di vigilanza sono stati fondamentali. Nonostante accordi sindacali, bilanci sociali, regolamenti e norme, però, il tema resta caldissimo.

Il 4 maggio 2010 la Consob, dopo una verifica sulle modalità di applicazione della direttiva Mifid nel settore del credito, in base agli strumenti di vigilanza preventiva previsti dal Testo unico della Finanza chiese a cinque delle principali banche nazionali (Intesa Sanpaolo, UniCredit Banca, Mps, Banca Popolare di Verona - gruppo Banco Popolare - e Bnl-Bnp Paribas) di convocare i consigli di amministrazione per rivedere le procedure di vendita dei servizi finanziari. Secondo l'Autorità, le politiche di incentivazione del personale

«sono risultate in larga parte imperniate su logiche di prodotto (quantitativi di prodotti da vendere, di norma di raccolta propria o del gruppo) anziché di servizio reso nell'interesse della clientela», rendendole inidonee

«a contenere i potenziali conflitti d'interesse tra banca e cliente», visto che il bancario poteva «essere indotto a collocare i prodotti, spesso quelli sviluppati dalla casa, secondo criteri a budget, indipendentemente dall'adeguatezza degli investimenti per la clientela».

Ma negli ultimi mesi la questione è tornato d'attualità in tutte le principali banche nazionali. In Unicredit ne hanno trattato le note unitarie di Fabi, Fiba/Cisl, Fisac/Cgil, Ulg Credito, Sinfub e Uilca del 9 e 15 febbraio sul sistema incentivante del "bancone". In Intesa Sanpaolo se ne è discusso nella nota della Fisac/Cgil sul sistema incentivante 2011 della Banca dei Territori del 4 marzo e della Fabi del 2 marzo, come pure nel volantino unitario delle segreterie di CariVeneto del 28 febbraio ("Pressioni commerciali: riprendono i comportamenti lesivi della dignità dei lavoratori"), nella nota "La sindrome della bella figura" delle segreterie di Banca dell'Adriatico e i quella delle segreterie di gruppo del 15 dicembre. In Bnl se ne è parlato su una

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nota del 3 novembre delle Rsa di Verona ("Pressioni commerciali, la storia infinita"), nella mozione conclusiva dell'organo di coordinamento Fabi del 30 novembre, in una nota unitaria delle segreterie nazionali del 30 giugno 2010 ("Qual è il valore etico delle pressioni commerciali").

L'accordo di gruppo firmato a fine novembre in Ubi sul premio di risultato ha sancito come saranno limitate

«le pressioni commerciali, diventate particolarmente insostenibili negli ultimi tempi», diceva la Fabi. Ma già l'8 marzo Dircredito, Fabi, Fiba/Cisl, Fisac/Cgil e Uilca della Banca Popolare di Bergamo chiedevano che la

"commissione sul clima" verifichi se il nuovo concorso della rete commerciale retail per il 2011 risponda alle regole sulle politiche commerciali firmate a novembre. Quanto al Banco Popolare, come riportato da

«Plus24» di sabato 19 febbraio, l'11 gennaio «ha adeguato alla direttiva Mifid le circolari aziendale sui servizi di consulenza. Per i sindacati, «la recente circolare 2011C7, modificando la circolare 2008-c-217 dell'ottobre 2008, dà ragione alle osservazioni più volte formulate dal sindacato rendendo non più possibile l'operatività su titoli branded in caso di esito negativo del test di adeguatezza. Viene sanata un'evidente anomalia rispetto alla Mifid». In Monte dei Paschi di Siena ne hanno parlato il 10 agosto 2010 le Rsa di Arezzo e l'11 giugno quelle di Messina. Resta dunque aperta la domanda su come queste banche si siano adeguate all'intervento della Consob. Con il rinnovo del contratto nazionale di categoria alle porte, la domanda non è retorica. nicola.borzi@ilsole24ore.com

Return PLUS 12 03 2011

- SCENE DA UNA FUSIONEdi Nicola Borzi Accordo fatto sulla riorganizzazione di B@nca 24/7 Sono mesi non facili per il settore del credito al consumo, alle prese con le difficoltà delle famiglie e con la contrazione dei volumi erogati. Per questo fa notizia la firma, apposta il 2 marzo, sull'intesa sulla riorganizzazione di B@nca 24/7, la società del gruppo Ubi specializzata nei finanziamenti al consumatore.

Lo annunciano, con una nota del 7 marzo, le segreterie di coordinamento di Dircredito, Fabi, Fiba/Cisl, Fisac/Cgil, Sinfub, Ugl Credito e Uilca. L'accordo, che nonostante i disagi per i dipendenti coinvolti si presenta come sostanzialmente indolore – specie se paragonato alle centinaia di esuberi che stanno colpendo altre realtà del comparto –, ha riguardato le ricadute sul personale dipendente e distaccato della nuova collocazione della produzione di mutui, attualmente svolta a Bergamo, che verrà indirizzata sui poli Ubis di Milano e Varese, mentre cesserà la lavorazione a Cuneo delle pratiche di istruttoria dei mutui generati dalla società Altachiara.

Secondo la nota sindacale «queste operazioni avranno, da un lato, l'effetto positivo di contenere la mobilità territoriale derivante dall'applicazione del piano industriale 2007/2010 a 36 dipendenti residenti nelle province di Milano e Varese, mentre dall'altro genereranno la necessità di ricollocare 25 bancari attualmente impiegati nelle sedi di B@nca 24/7 a Bergamo (15 dipendenti) e Cuneo (10)». La gestione della transizione sarà effettuata con limiti territoriali alla riallocazione dei dipendenti, per la quale sarà introdotto un trattamento economico, colloqui gestionali per attribuire nuovi compiti e mansioni, valutazione delle domande di trasferimento e di passaggio infragruppo. Particolare attenzione sarà posta alla formazione del personale interessato alla mobilità territoriale. nicola.borzi@ilsole24ore.com

Return PLUS 12 03 2011

Equitalia in sciopero il 21 marzo - Lo ha deciso l'attivo unitario dei delegati Emendamento extrema ratio

Il dado è tratto. Dopo settimane e settimane di tensioni crescenti, nei giorni scorsi i sindacati dei circa 8.200 lavoratori del settore della riscossione hanno deciso: lunedì 21 marzo i lavoratori di Equitalia sciopereranno.

Lo ha stabilito, il 3 marzo, l'attivo unitario dei quadri sindacali del settore (Dircredito, Fabi, Fiba/Cisl,

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Fisac/Cgil, Snalec/Sinfub, Ugl Credito e Uilca) al quale hanno partecipato oltre 450 delegati provenienti dalla società della riscossione, partecipata al 51% dall'Agenzia delle entrate e al 49% dall'Inps, e dalle 16 società pdel gruppo (gli Agenti della riscossione).

«Plus24» aveva già dato notizia della marea montante del malcontento degli esattoriali sul numero di sabato 26 febbraio. L'astensione dal lavoro è stata decisa contro l'applicazione anche al gruppo Equitalia della legge 122 del 30 luglio 2010 ("decreto anticrisi"). La norma, ribadita il 23 dicembre dalla circolare 40 della Ragioneria Generale dello Stato, equipara i dipendenti della riscossione a quelli pubblici. L'effetto è di far scattare il congelamento delle retribuzioni e lo stop alle progressioni di carriera e ai passaggi tra aree. Per tre anni, dal 2011 al 2013, gli oltre 8.200 dipendenti esattoriali vedrebbero precluso ogni aumento contrattuale. "Piccolo" particolare: questi lavoratori, che sono confluiti in Equitalia da aziende di credito, non sono soggetti al contratto del pubblico impiego (la loro controparte contrattuale non è l'Aran) ma a quello del credito, tant'è vero che gli si applica il contratto Abi. Oltre al danno emergente, c'è dunque anche un lucro cessante: cadendo l'equiparazione al contratto dei bancari Abi, i dipendenti di Equitalia "perderebbero" gli aumenti che scatteranno con il rinnovo del Ccnl del credito la cui discussione inizierà tra qualche mese.

L'attivo dei delegati degli esattoriali non si è comunque limitato a indire lo sciopero per il 21 marzo, ma ha anche varato un pacchetto di 10 ore di astensione dal lavoro che saranno amministrate a livello aziendale.

Inoltre, per fare conoscere le loro ragioni, i lavoratori indiranno una ulteriore giornata di manifestazione nazionale della categoria, che si terrà a Roma. Non solo: secondo la nota unitaria, «le segreterie nazionali hanno ritenuto assolutamente indispensabile ribadire con forza la necessità di confermare l'impegno ad attuare sia la sospensione delle prestazioni di lavoro straordinario (comprese, ovviamente, quelle richieste dalle aziende per le giornate di sabato e domenica, necessarie soprattutto ai fini delle migrazioni informatiche) sia nell'improntare ciascuna attività lavorativa alla rigida osservanza delle norme di legge e contrattuali, fino ad arrivare a pretendere indicazioni per iscritto nei casi anche di solo dubbio rispetto a richieste informali dell'azienda».

Ma non basta. I sindacati intendono agire anche a livello parlamentare, presentando alla commissione Bilancio del Senato un emendamento mirato a modificare la legge n. 196/2009 per ottenere «una diversa e più corretta lettura della composizione della lista predisposta ogni anno dal l'Istat, con riferimento alle amministrazioni, agli enti e alle società pubbliche o considerati tali». La circolare della Ragioneria dello Stato ha infatti inserito nell'elenco di queste ultime anche Equitalia, ritenendola "equiparata" e quindi

"condannandola" al congelamento degli stipendi. Non solo: il sindacato intende intervenire anche per vie legali con «la consultazione di professionisti del diritto, ai quali è stato chiesto di fornire in tempi brevi indicazioni sulle modalità e le possibilità di successo di un eventuale ricorso alla magistratura».

nicola.borzi@ilsole24ore.com

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Il Sole-24 Ore del lunedì - 2011-03-14

«La rotazione sta riscoprendo le banche»

Nonostante la proverbiale pragmaticità del mondo degli investimenti il dubbio resta. Chi crede nelle potenzialità del listino di casa fa esercizio di ottimismo della volontà o si tratta di ottimismo della ragione? Il recente passato di Piazza Affari giustifica qualche perplessità, anche alla luce del fatto che gli handicap strutturali non sono cambiati. «Ma nel mio caso - commenta Mario Spreafico, direttore investimenti di Schroders Italia - si tratta di ottimismo della ragione, basato su cambiamenti macroeconomici avvenuti nel 2010».

A quali elementi si riferisce?

Quello dello scorso anno è stato un mercato asimmetrico, che ha premiato le aree di forte sviluppo, i paesi emergenti, e le economie più coinvolte in questo processo, a partire da Usa e Germania. L'Italia è stata

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invece penalizzata per due motivi: l'incertezza sul fatto di appartenere o no al disastrato gruppo dei Pigs e la composizione del suo mercato. Si è ritenuto che le piccole capitalizzazioni e le società finanziarie, che abbondano in Piazza Affari, fossero meno profittevoli di altre.

Questi però sono problemi annosi. Cosa è cambiato?

È cambiato il quadro. In un mese, tra dicembre 2010 e gennaio di quest'anno, si è verificata un'imponente rotazione di mercati e settori. Gli operatori si sono resi conto che alcune aree mondiali erano sopravvalutate e la rotazione ha fatto sì che molti capitali siano tornati a casa. Un rientro che è stato accelerato dalla crisi del Nordafrica.

Verso quali comparti si stanno dirigendo?

La prossima spinta potrebbe arrivare dal settore bancario e da quello assicurativo. Le aziende di credito italiane sono nettamente sottovalutate rispetto ai competitor europei. Ma ci sono anche altre storie interessanti: le piccole e medie capitalizzazioni in genere hanno potenzialità ancora inespresse dai corsi.

Va bene l'ottimismo, ma nei prossimi mesi non mancheranno certamente i nodi da sciogliere...

Il vero punto di domanda riguarda il fatto che la crescita in Europa si consolidi in misura tale da rendere meno pericolosa la condizione dei paesi più deboli, come Grecia e Spagna. Dipenderà dall'andamento delle economie di queste nazioni, ma anche dalle volontà politiche. E naturalmente resta aperto il rischio di possibili estensioni della crisi del Nordafrica, con le prevedibili conseguenze su prezzo del petrolio e inflazione.

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Il Sole-24 Ore del lunedì - 2011-03-14

Il lento risveglio di Piazza Affari - Le valutazioni sono a sconto rispetto alle medie storiche e ad altri listini europei

Piazza Affari è come un vicino di casa un po' burbero. Nel quartiere tutti ne conoscono pregi e difetti, gli operatori più smaliziati come i piccoli risparmiatori - quelli che spregiativamente furono definiti "parco buoi" - che hanno imparato a loro spese a diffidarne. Di solito nessuno si preoccupa più di tanto dei suoi capricci.

Ma tra le abitudini un po' scontrose della Borsa italiana c'è un vezzo nuovo che inquieta parecchio, anche senza considerare le recenti tensioni internazionali. Il nostro piccolo mercato ha infatti adottato l'usanza di amplificare le fasi negative e smussare quelle positive. Un andamento evidente da quando nel mondo si è cominciato a parlare di ripresa e altri mercati - a partire da quello statunitense - hanno cercato di cambiare marcia (pur con qualche incertezza). Se ci si limita a considerare gli ultimi 15 mesi, il paragone tra i benchmark che si riferiscono alle Borse mondiali, all'Europa e a Piazza Affari (vedi grafici a fianco) è sconfortante. Dal 1° gennaio 2010 l'Msci World ha guadagnato l'11,5%, lo Stoxx Europe si è difeso bene con un incremento del 10,5%, mentre l'indice Ftse Mib ha perso il 4,7 per cento.

Ora però c'è chi sostiene che le cose potrebbero cambiare già entro la fine del 2011. L'ultima indicazione in questo senso è riassunta efficacemente nei risultati del sondaggio realizzato da «Il Sole 24 Ore Radiocor» in collaborazione con Assiom Forex. La ricerca è stata svolta in occasione del congresso annuale dei soci Aiaf Assiom Forex (operatori e analisti finanziari), tra il 25 febbraio e il 2 marzo, e alla rilevazione hanno partecipato 300 esperti. Il dato saliente riguarda proprio le previsioni per Piazza Affari. Secondo il 40,3% del campione (121 risposte), l'indice Ftse Mib continuerà a crescere fino a superare quota 25.000 punti entro fine anno, buttando così il cuore oltre l'ostacolo di una soglia psicologica ancora piuttosto distante dalle quotazioni di questi giorni. Non mancano naturalmente i prudenti (33,7% del campione), che prevedono un andamento stabile, e i pessimisti (26%), per i quali lo scenario più probabile è una correzione (fino al 10%

rispetto ai valori attuali).

«In effetti - commenta Santina Percassi, responsabile del Servizio gestioni di Banca Monte dei Paschi di Siena - dopo le delusioni degli ultimi anni il 2011 potrebbe essere un anno di buone performance relative per

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le azioni italiane. Il target di quota 25.000 rappresenta un livello raggiungibile, date le attuali valutazioni a sconto».

Una considerazione che trae origine dalle caratteristiche del listino. «La sua composizione - riprende Percassi - è fortemente sbilanciata verso il comparto energetico e quello finanziario. Ci aspettiamo un rialzo dei tassi che, in presenza di crescita economica, potrebbe portare benefici al margine d'interesse del settore bancario. L'aumento dei prezzi energetici, causato dalle tensioni geopolitiche, farà invece migliorare l'outlook per il comparto petrolifero e per le utilities».

Tuttavia la posizione degli ottimisti, per quanto diffusa, non è l'unica e basta modificare l'approccio concentrandosi su elementi strutturali per capire le ragioni degli scettici. «La ripresa economica è partita - osserva Luigi Tardella, advisor specializzato nell'analisi di performance e piani industriali, partner della Ambers & Co -, ma se gli investimenti vanno altrove, e lo stanno facendo, e se il processo di sviluppo industriale avviene in altri bacini europei, l'Italia come può crescere? A ciò si aggiunge l'onda lunga della stagnazione dei consumi. Disoccupazione in crescita e riduzione del potere d'acquisto ci dicono che il recupero, se ci sarà, sarà lungo e che ci sono altre aziende a rischio, di cui al momento non si sa nulla.

Infine c'è un'altra spia rossa accesa: l'economia italiana vive di export, ma è in corso un processo di deindustrializzazione strisciante, con spostamenti di impianti all'estero, mentre non assistiamo a un flusso contrario. Il risultato non potrà che essere un aumento dell'import».

Insomma, se Piazza Affari correrà, lo farà con la palla al piede e inevitabilmente qualche settore resterà indietro. «Noi - conclude Percassi - preferiamo prendere posizione sui comparti legati alle materie prime energetiche e sui titoli industriali più esposti agli investimenti infrastrutturali. Abbiamo invece una posizione neutrale sul settore finanziario, in attesa della conclusione della reportistica trimestrale e pensiamo che possano soffrire i comparti più dipendenti dai consumi privati».

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Il Sole-24 Ore del lunedì - 2011-03-14 Le obbligazioni high yield conquistano i portafogli PAGINA A CURA DI Alberto Ronchetti

I rischi sono maggiori, è inutile nasconderlo. Ma resta il fatto che i fondi obbligazionari high yield – e in genere le emissioni di questo tipo – continuano a conquistare spazio nei portafogli degli investitori, anche perché il rendimento offerto è comunque appetibile.

Lo si vede dai dati di Assogestioni (la raccolta netta dei fondi obbligazionari ad alto rendimento è stata positiva per 251 milioni di euro, il dato più positivo fra gli strumenti gestiti della categoria bond). E lo consigliano gli strategist delle case di investimento (che oggi raccomandano di tenere fra il 20 e il 50% della componente obbligazionaria del portafoglio, dipende dalla singola propensione al rischio, in questo asset).

Oltretutto non stiamo parlando di bond spazzatura a bassissimo rating, ma di emissioni che – nella gran parte dei casi (mai inferiore a Bb/b) – vengono da aziende di elevata qualità, ingiustamente penalizzate dalla percezione del rischio.

«Il segmento Bb/B del mercato high yield – scrivono gli analisti di Muzinich & Co, una casa d'investimento che da oltre vent'anni opera nel comparto –, quando supportato da un'adeguata analisi fondamentale e da una gestione attiva, può dare agli investitori un ritorno molto soddisfacente». L'obiettivo di Munzinich è quello di assicurare ai propri clienti, investendo in high yield bond, un rendimento superiore del 5% rispetto all'inflazione corrente.

«L'opportunità offerta dai bond ad alto rendimento è particolarmente interessante oggi – continua lo studio di Muzinich – per le poche opportunità di rendimenti interessanti disponibili sul mercato, per il calo del tasso di fallimento delle imprese emittenti e per i rischi connessi alle obbligazioni sovrane (esplosione dei debiti)».

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Anche gli analisti di Credit Suisse raccomandano di aumentare in portafoglio il peso di obbligazioni societarie high yield con scadenza breve-media, scambiate al di sotto del prezzo di rimborso. Questo segmento di mercato è da preferire all'investment grade per sfruttare il livello più alto delle cedole», a rischio sostanzialmente C.

I timori per una forte crescita dell'inflazione nei paesi emergenti, secondo Credit Suisse, stanno spingendo gli investitori a trasferirsi dalle obbligazioni sovrane emerging alle corporate ad alto rendimento delle nazioni sviluppate.

«Il mercato dei titoli high yield in generale – osservano all'istituto di emissione svizzera – sta beneficiando di vari fattori: ricerca di rendimenti più alti, tassi di default bassi e la stretta correlazione con il ciclo economico americano. L'80% circa dei titoli high yield in circolazione è in dollari: via via che gli Usa emergono dalla recessione, gli investitori preferiscono asset correlati alla crescita, come titoli a elevata cedola e azioni dei mercati sviluppati. Questo si riflette anche nella flessione dei titoli a reddito fisso investment grade. Il risultato è la recente sovraperformance degli high yield bond rispetto a quelli degli emergenti».

Un ulteriore elemento a favore – sempre però vanno scelti sulla base di un'attenta analisi e con un giusto timing – è la performance di lungo periodo (vedi grafico in pagina). Il ritorno accumulato negli ultimi vent'anni – l'esempio riguarda gli Stati Uniti, ma è sostanzialmente analogo per gli altri mercati principali – è migliore di quello dei Treasuries e dell'S&P 500.

Oggi, restando nel settore del reddito fisso, il rendimento più basso ottenibile con gli high yield è del 7%, contro il 3,4% delle emissioni investment grade e il 3,4% di quelle sovrane. Inoltre, osservano ancora a Muzinich, esiste «la possibilità di un potenziale apprezzamento in caso di aumento del rating aziendale, di una ripresa economica del l'azienda o di un miglioramento delle performance di bilancio dell'emittente».

Infine c'è da considerare che, sul lungo periodo, i guadagni in conto capitale sono sostanzialmente simili a quelli azionari, ma con una volatilità molto meno elevata.

Per questo gli high yield possono essere considerati dall'investitore con un profilo conservativo come un'alternativa, molto attraente, all'equity.

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LA REPUBBLICA lunedì 14 marzo 2011

"Contro il deficit serve la moneta da un dollaro"

Gli americani potrebbero dire addio al biglietto da un dollaro. Il General Accountability office - la Corte dei Conti statunitense - ha di nuovo suggerito la sostituzione della banconota con la moneta: la mossa comporterebbe risparmi per 5,5 miliardi di dollari in 30 anni.

Nella documentazione che il Geo ha inviato al Tesoro e alla Fed si fa notare come la moneta da un dollaro, durando più del biglietto verde, ridurrebbe i costi di sostituzione e stampa della nuova valuta. Il General Accountability - che nel lanciare la sua proposta si ispira a Gran Bretagna e Canada - ammette che nei primi 4 anni il passaggio dal biglietto verde alla moneta implicherebbe elevati costi, ma assicura che i benefici arriverebbero in tempi brevi e che i disagi psicologici dei cittadini svanirebbero presto. Basterà evitare fasi transitorie troppo lunghe. Se la proposta verrà accolta, l´America di Obama dirà quindi addio al più "piccolo dei suoi biglietti.

Qualche anno fa, il ministro Tremonti aveva proposto all´Europa il passaggio inverso: trasformare in carta la moneta da un euro, per scongiurare inflazione e speculazioni sui prezzi.

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LA REPUBBLICA lunedì 14 marzo 2011

Caro greggio, stangata per luce e gas - La crisi nordafricana si ripercuote sulle nostre bollette:

più 25 euro nell´anno - La previsione di Nomisma Energia per il secondo trimestre del 2011 LUCIO CILLIS

ROMA - I primi effetti della crisi libica cominciano a farsi sentire. Ogni famiglia a partire da aprile, spenderà quasi 25 euro in più l´anno per l´energia con nuovi picchi dei prezzi previsti durante tutto il 2011.

La stima arriva da Nomisma energia che "vede" in aumento le bollette di luce e gas a partire dal prossimo trimestre. «Un incremento che per l´energia elettrica potrebbe essere anche più forte di quanto stimato nelle ultime ore», spiega il presidente Davide Tabarelli, «infatti dopo 24 mesi di calma da aprile potrebbero ripartire i prezzi dell´energia elettrica. Nel prossimo trimestre aprile-giugno le bollette del gas potrebbero registrare un incremento del 2% a 76,5 centesimi al metro cubo che nel caso di una famiglia tipo - il cui consumo è pari a 1.400 metri cubi l´anno - porteranno un aggravio di 21,2 euro su base mensile. Questa stima - aggiunge Tabarelli - è basata sul calcolo automatico fissato dalle regole dell´Autorità». Anche se la stessa Authority ha più disconosciuto questo tipo di stime e di solito tenta di limitare gli effetti immediati del caro greggio sulle tariffe finali.

Previsioni «più difficili», invece, per la luce, anche se al momento il rincaro stimato è dello 0,8% che corrisponde a 15,7 centesimi al chilowattora. Per la famiglia tipo che consuma 225 chilowattora al mese con una potenza impegnata di 3 chilowatt, rappresenta un incremento annuo in bolletta superiore ai tre euro.

Nomisma energia prevede che la tendenza agli aumenti del settore proseguirà senza soste nel corso del 2011. A marzo dovrebbe verificarsi il del secondo aumento trimestrale consecutivo per il gas e del primo rincaro delle bollette elettriche da oltre due anni. A gennaio il rincaro complessivo per una famiglia tipo si era attestato a 30 euro, come risultante di un aumento dell´1,3% delle tariffe del gas (+37 euro) e di un calo della bolletta elettrica di 0,2% (-7 euro). A conti fatti dall´inizio dell´anno il rincaro si attesterebbe a 55 euro per famiglia.

Nomisma ricorda che «L´Italia è tra i paesi più esposti alle dinamiche internazionali del petrolio, e lo si vede proprio nelle bollette, con il prezzo del gas che di fatto, con un ritardo di nove mesi, è ancorato a quello del barile. Ed è anche la fonte più usata nella generazione elettrica».

L´aumento delle tariffe energetiche non pesa, però, soltanto sulle spalle delle famiglie. Secondo la Coldiretti anche le imprese dovranno fronteggiare una risalita preoccupante dei costi di produzione, che in agricoltura nel 2011 saliranno del 4,4% con punte del 16,9% per i mangimi e del 6,4% per i carburanti agricoli.

Ma già da oggi gli occhi degli automobilisti tornano sugli impianti di benzina e gasolio dove potrebbero muoversi per l´ennesima volta verso l´alto, i prezzi dei carburanti. Il prossimo muro psicologico che potrebbe infrangersi è infatti quello del gasolio a 1,5 euro al litro, che seguirebbe il picco di 1,6 euro al litro toccato dalla verde in alcuni impianti del Meridione. Un nuovo scossone sui listini potrebbe presto trasferirsi sui prezzi, che gli economisti della Banca centrale europea rivedono al rialzo. Secondo il bollettino mensile dell´Eurotower il tasso medio d´inflazione per il 2011 salirà dalla stima dell´1,8% al 2,3%. E resta sotto osservazione anche il prezzo del petrolio che alla chiusura di venerdì scorso, nonostante la tragedia vissuta dal Giappone, ha subito solo un piccolo calo. Al Nymex il Light crude americano è arretrato di 1,54 dollari (a 101,16 dollari al barile), dopo aver toccato un minimo di 99,01 dollari. Il Brent, greggio di riferimento europeo, ha invece ceduto 1,92 dollari, a 113,51 dollari al barile, dopo aver sfiorato un minimo di 112 dollari.

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ITALIA OGGI lunedì 14 marzo 2011

Quantificato il danno: è pari al 10% del valore della gara

Per la mancata partecipazione all'appalto per ritardo nella consegna del plico contenente l'offerta il risarcimento a carico delle Poste può arrivare al 10% del valore della gara.

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A questo importo è arrivato il tribunale di Lecce (senza 28 marzo 2008 n. 640) che ha affrontato un caso analogo a quello giudicato dalla Corte costituzionale (sentenza 46/2011).

Come nel caso della sentenza della Consulta una società è stata esclusa da una gara pubblica in conseguenza del ritardo, con cui è stato consegnato il plico contenente la domanda e l'offerta di partecipazione, spedito a mezzo del servizio posta celere. In conseguenza della esclusione, la ditta, considerato che la propria offerta sarebbe risultata aggiudicataria, ha chiesto un risarcimento pari al 10%

dell'importo complessivo dell'appalto (oltre 56 mila euro). Le Poste si sono difese sostenendo di non avere, in base al dlgs 261/99, alcuna responsabilità nell'espletamento di servizi postali se non nei limiti della misura del rimborso predeterminato (articoli 12, 14 e 19 del dlgs n. 261/99). Insomma al massimo si restituisce quanto pagato per il servizio.

Il tribunale di Lecce ha però ribattuto che il dlgs 1 agosto 2003 n. 259, abrogando l'articolo 6 del dpr 156/73, ha sancito la contrattualizzazione del rapporto tra Poste e utenti: si applicano le norme del codice civile.

Passando alla quantificazione del danno il tribunale ha utilizzato il criterio equitativo e ha accolto la tesi della valutazione del 10% dell'importo complessivo dell'appalto. Naturalmente se l'utente è in grado di quantificare esattamente il danno subito, non ci sarà alcun bisogno di ricorrere (come invece nel danno da perdita di chance) alla valutazione equitativa del giudice.

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ITALIA OGGI lunedì 14 marzo 2011

Poste italiane perde i privilegi - La società è responsabile dei ritardi. E scatta il risarcimento Pagina a cura di Antonio Ciccia

Poste italiane senza salvagente: la società risponde dei danni causati dal ritardo nell'invio della corrispondenza. Come è successo a un'impresa, che non è riuscita a partecipare a una gara d'appalto, che addirittura avrebbe vinto, visto che, a posteriori, ha scoperto che la sua offerta era la più bassa.

Peccato che il plico con la documentazione di gara è arrivato a destinazione dopo la scadenza del termine previsto dalla stazione appaltante. E le poste non possono più invocare esenzioni di responsabilità. Lo ha sancito la Corte costituzionale con la sentenza 46 del 2011, con la quale ha accolto la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 6 del dpr 156/1973. Una norma ormai abrogata dal Codice delle comunicazioni elettroniche: ma la pronuncia ha comunque il significato di affermare la piena responsabilità del soggetto incaricato del recapito. Vediamo come sono andati i fatti.

Una società ha fatto causa alle Poste Italiane spa al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito del ritardato recapito di un plico spedito con il servizio di postacelere.

La società aveva spedito a mezzo postacelere la documentazione necessaria per la partecipazione a una gara per l'affidamento di alcuni lavori da parte di un ente pubblico.

Per un equivoco le Poste anziché recapitare il plico a Reggio Emilia, lo hanno indirizzato a Reggio Calabria:

con la conseguente esclusione della società dalla gara, in quanto l'offerta è arrivata a termine scaduto. E questo per una colpa delle Poste che la Consulta ha ritenuto evidente.

La società ha avuto dalle Poste solo un assegno, ma di 7,23 euro, per «ritardo recapito invio». Ovviamente insoddisfatta, la società ha iniziato la causa, rivendicando un risarcimento pieno alla luce del fatto che sarebbe rimasta aggiudicataria della gara, avendo offerto un ribasso maggiore delle altre concorrenti.

Poste Italiane spa in giudizio ha riconosciuto il proprio inadempimento, ma ha sostenuto di dovere esclusivamente rimborsare le spese sostenute, in applicazione del dpr n. 156 del 1973.

Da qui il giudizio di costituzionalità sull'articolo 6 del dpr citato. E la Consulta non ha avuto dubbi. Quella norma è incostituzionale. In base a quella disposizione (ormai abrogata) le Poste non incontravano alcuna responsabilità per i servizi postali, di bancoposta fuori dei casi e dei limiti espressamente stabiliti dalla legge.

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Insomma era, come si legge nella sentenza, «un anacronistico privilegio in favore del concessionario del servizio postale, nonostante la natura privatistica della rapporto». Ora la Consulta non ha contestato il fatto che sia possibile una disciplina speciale di favore per le Poste, e questo a causa della complessità tecnica della gestione del servizio e all'esigenza del contenimento dei costi, ma non si può stabilire un privilegio in tutti i casi ai danni dell'utente.

Dunque anche per il servizio di postacelere, la previsione della semplice restituzione del costo per la spedizione significa un esonero di responsabilità, senza che l'utente possa avere il risarcimento del danno e senza che questa limitazione sia in qualche modo giustificabile con le esigenze del servizio postale. Da qui l'illegittimità costituzionale dell'articolo 6 citato nella parte in cui dispone che l'Amministrazione e i concessionari del servizio telegrafico non incontrano alcuna responsabilità per il ritardato recapito delle spedizioni effettuate con il servizio postacelere.

Si è detto che la disposizione in esame è stata abrogata dall'articolo 218 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche). Tuttavia la norma dichiarata incostituzionale avrebbe dovuto essere applicata in tutti i processi pendenti, relativi a fatti precedenti all'abrogazione.

In ogni caso la pronuncia finisce per stabilire un principio generale, per cui eventuali limitazioni di responsabilità delle Poste non sono legittime e si può sempre contestare in giudizio il disservizio.

Se dal disservizio sono derivati danni, questi devono essere risarciti integralmente, sempre che conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento.

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CORRIERE DELLA SERA lunedì 14 marzo 2011

Polizze La Vita? Non vale i Btp - Ma dal 2001 chi le ha scelte ha guadagnato meno che con l’acquisto dei titoli di Stato. Colpa delle spese troppo salate

DI GIUDITTA MARVELLI

Voglia di sicurezza assoluta. A qualsiasi costo e, finora, a rendimenti che non sono proprio da buttare via, visto che sembrano quelli di un Btp: poco più del 3%netto. Il bilancio delle polizze vita rivalutabili negli ultimi anni racconta con tre numeri la crisi e la ricerca di un antidoto alla paura. Tra il 2008 e il 2009 la raccolta premi di questi strumenti è raddoppiata da 31 miliardi a 64. E nel 2010 i dati, appena pubblicati, parlano di 67,8 miliardi, con un ulteriore incremento del 5%quasi. Investire in un paracadute — uno in più o uno nuovo

— è sembrato insomma a molti italiani un onorevole impiego dei risparmi e un antidoto alla crescente insicurezza. E il boom, nonostante tutto, ci lascia tra i popoli meno assicurati d’Europa, visto che il rapporto tra il Prodotto interno lordo e i premi vita è di poco superiore al 5%, contro il 7%dei francesi e il quasi 10%degli inglesi. Conti Ma quanto rendono? A scorrere i risultati netti (vedi altro articolo ) è difficile dire che è stata una scelta sbagliata: i primi della classe hanno offerto il 5%netto e anche di più. La media vale un 3,4%netto, vale a dire quello che oggi offre un Btp a cinque anni. Ma per valutare con più cognizione di causa le polizze, CorrierEconomia ha fatto un’analisi comparata mettendo nella macchina del tempo le polizze, i Btp e le azioni di Piazza Affari, riavvolgendo il nastro tra il 2001 e il 2010. Su tutti e tre gli asset si fa un investimento annuo di 1.000 euro. E poi si comincia un esercizio di allontanamento che aiuta a mettere a fuoco quel che non si vede troppo da vicino. Chi vince? I Btp con un capitale di 11.600 euro contro i 10.967 delle polizze. E le azioni che, considerate nel loro decennio più nero, hanno fatto perdere quasi 2.000 euro agli investitori. Nella tabella anche l’indicazione di quanto varrebbero in termini di rendita quei capitali accumulati. Per arrivare al risultato sono stati considerati i diversissimi meccanismi di costo, che prevedono i caricamenti (cioè la parte di capitale non investita) per le polizze, le commissioni di custodia e quelle di acquisto per quel che riguarda invece le azioni e i titoli di Stato. Dunque le polizze nel decennio perduto delle azioni avrebbero battuto a man bassa le azioni, offrendo 278 euro in più l’anno. Ma le assicurazioni sulla vita non sarebbero comunque riuscite a far meglio dei titoli di Stato, che mettono sul piatto 65 euro in più. E nei

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prossimi dieci anni? La verità è che quel che è successo fino ad oggi può non essere affatto scontato d’ora in poi. E’ vero che i tassi potrebbero salire e che quindi in prospettiva tutti i prodotti finanziari con un rendimento garantito potrebbero trovarsi nelle condizioni di adeguare al rialzo le proprie promesse. Limiti Ma è anche vero che gli ultimi investimenti degli assicuratori — come fanno notare alcuni analisti — sono stati fatti già a tassi molto bassi. E che i rendimenti minimi garantiti mostrano una preoccupante anemia, più verso l’ 1%che verso il 2%(vedi altro pezzo ). La polizza, quindi, è uno strumento indispensabile, adatto a tutti i profili di rischio. Sopporta però una notevole zavorra di costi impliciti — il premio netto investito è di 900 euro più basso di quel che capita con Btp e azioni — e non può essere l’unico protagonista di un piano finanziario nei mercati che verranno.

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CORRIERE DELLA SERA lunedì 14 marzo 2011 Fondi Il lungo periodo? Sempre più lungo

Le aspettative di vita crescono e gli italiani rischiano troppo poco. La sfida del Salone F ondi italiani alla sfida della maturità, della riforma fiscale e del mercato aperto europeo. Il Salone del risparmio, che si terrà tra il 6 e l’ 8 aprile nelle aule dell’Università Bocconi, si prepara all’insegna di molte riflessioni e di una novità importante. Con il decreto Milleproroghe è arrivata finalmente in porto la parificazione fra il metodo di tassazione delle casse comuni italiane e quelle del resto d’Europa. Dove, nel giro di poco, la direttiva Ucits 4 spalancherà le frontiere commerciali, permettendo ai protagonisti del mercato di vendere e comprare ovunque nell’Unione i prodotti del risparmio gestito, che verranno dotati di una sorta di passaporto unico. Il Salone, organizzato e voluto da Assogestioni, la Confindustria dei fondi italiani guidata da Domenico Siniscalco, è intitolato: «Opportunità di investimento per il prossimo decennio» . Il programma prevede 80 conferenze, seminari, tavole rotonde e corsi di formazione, con la partecipazione di 60 società del settore.

Tra i relatori ci saranno il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, il premio Nobel Michael Spence, Andrea Beltratti, presidente del Consiglio di gestione di IntesaSanpaolo e Jean-Baptiste de Franssu, presidente di Efama, l’associazione che raduna le case di gestione di tutta Europa. La manifestazione, di cui CorrierEconomia è media sponsor, è già cominciata online dove le iscrizioni sono aperte. Tutti coloro che vogliono partecipare possono dare l’adesione o semplicemente fare un giro virtuale sul sito: www.

salonedelrisparmio. it. Gli iscritti sono già 4 mila, tra cui brillano promotori e professionisti della finanza. Ma non mancano privati cittadini e studenti (27%dei pass ad oggi), interessati alla fiera dei fondi per i motivi più vari. «Speriamo che la partecipazione dei piccoli risparmiatori diventi veramente significativa — spiega Fabio Galli, direttore generale di Assogestioni —. Perché la crisi ha reso i mercati ancora più complicati e lontani. E chi non prende in considerazione l’opportunità del risparmio gestito si esclude, per esempio, dall’investimento nei Paesi emergenti, i luoghi della crescita futura» . Il tema centrale, che può interessare non solo gli operatori ma anche e soprattutto i risparmiatori più attenti, è l’investimento ragionato nel lungo periodo. Quello che può mettere le basi per una pensione più serena o per cominciare a costruire un gruzzolo da lasciare a figli e nipoti. E il lungo periodo — come spiega nella news letter del Salone Massimo Greco, amministratore delegato di JP Morgan am, uno dei main partner della manifestazione — non è più quello di una volta. A un sessantenne si raccomandano impegni a basso rischio e con scadenza ravvicinata, ma le statistiche, anche quelle dell’ente che gli dovrà dare la pensione dicono che questo signore ha un’aspettativa di vita di altri venti o addirittura trent’anni. In un caso del genere, dice ancora Greco, limitarsi ad investimenti a basso rischio riduce le aspettative di rendimento e può erodere il capitale in termini reali.

«Se poi pensiamo a un lavoratore che ha trent’anni — dice ancora Greco — il suo orizzonte di vita è di ben 57 anni. Ma se andiamo a vedere come investono gli iscritti ai fondi pensione, si scopre che anche tra i più giovani prevalgono di gran lunga i profili a bassissimo rischio» . Tant’è. Ma la cultura finanziaria non si inventa dall’oggi al domani. E nemmeno la propensione al rischio che deve avere alle spalle adeguato

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patrimonio e adeguata preparazione. Ai signori dei fondi italiani ed esteri, che vorrebbero convincere gli italiani a rischiare di più, non resta che diventare più convincenti. Con il Salone. Ma anche con performance, prodotti e consulenze che invoglino le famiglie a pianificare più di quanto non abbiano fatto finora. Intanto, con il primo luglio, la direttiva europea Ucits 4 e la riforma fiscale dovrebbero diventare operative.

Proiettando l’industria italiana in un’inedita dimensione di concorrenza internazionale europea. Saremo pronti? GIUDITTA MARVELLI

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CORRIERE DELLA SERA lunedì 14 marzo 2011 Caro-polizze, protestano gli agenti

Le assicurazioni in Italia sono troppo care. E le polizze rc auto addirittura carissime. A dirlo, per una volta, non sono consumatori esasperati dagli aumenti, ma gli agenti di assicurazione, che così facendo si smarcano pubblicamente dalla politica delle compagnie, cui pure sono legati. Lo Sna, il sindacato che raccoglie 9 mila dei 23 mila agenti di assicurazione italiani, ha infatti avviato una raccolta di firme per una petizione popolare da consegnare la prossima settimana: obiettivo 500 mila firme. Non ne mancano molte.

Nella petizione, indirizzata al presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, si chiede tra l’altro di attuare misure di contenimento dei costi assicurativi, contrastare l’abbandono da parte delle compagnie di alcune zone d’Italia e costituire un efficace sistema di contrasto alle frodi. «Dal 1994 a oggi, gli incrementi fatti registrare dalle polizze auto — dice Giovanni Metti, da due anni presidente dello Sna — sono stati del 173 per cento, a dimostrazione del fatto che soltanto in questo settore la liberalizzazione tariffaria ha prodotto un effetto contrario agli obiettivi prefissati» . Preoccupante, secondo dati dello Sna, il confronto con gli altri partner europei. Il premio medio per la Rc auto è di 229 euro in Spagna, di 222 euro in Germania, di 172 euro in Francia e arriva a 407 euro in Italia. Tra gli obiettivi dello Sna anche un rapporto più aperto e costruttivo con l’Ania e il nodo degli intrecci azionari tra le compagnie che portano a una duplicazione di incarichi in capo ai medesimi manager. S. RIG.

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CORRIERE DELLA SERA lunedì 14 marzo 2011

Anticipazioni Domani l’ufficialità. C’è ottimismo, anche se pesa il radicamento in un territorio che cresce solo all’1% - Intesa I veri conti del Sistema-Italia

La ripresa dell’export delle aziende dovrebbe aver favorito l’utile. Ma resta il nodo dei bond

Le grandi banche italiane — che sono tra le meno capitalizzate d’Europa; che chiedono 3 euro per restituire al cliente quanto avuto in deposito; che impiegano fino a 87 giorni per rendere noti i conti di un trimestre, mentre i concorrenti europei chiudono la pratica in 34 giorni — iniziano domani la stagione dell’approvazione dei bilanci del 2010. Radicamenti

Apre le danze IntesaSanpaolo, primo istituto per sportelli in Italia, che legittimamente si fregia del titolo di banca di sistema. Intesa, infatti, è caratterizzata da un forte radicamento territoriale, che si sostanzia in una quota di mercato di circa il 17 per cento, la presenza in grandi operazioni di politica industriale, come Alitalia e in micro realtà locali.

Proprio questo forte legame con il territorio italiano rappresenta, nelle ore della vigilia, al tempo stesso l’incognita e il punto di forza del gruppo guidato da Corrado Passera. Intesa ha superato le tempeste della crisi senza fare ricorso ad aumenti di capitale, dimostrando una capacità di tenuta che nessun altro nel settore, in Italia, ha avuto la forza di mettere in campo.

Di convesso, proprio le caratteristiche che hanno permesso di navigare con maggior sicurezza i mari più agitati, potrebbero dimostrarsi meno propedeutiche alla crociera in condizioni meteorologiche meno estreme.

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È evidente che se i risultati del gruppo maturano per la maggior parte in un territorio il cui prodotto interno lordo cresce al ritmo dell’1 per cento all’anno il confronto con banche di pari caratteristiche, ma che insistono su zone in cui la crescita è più accentuata, come in Germania, risulta sfavorevole.

Inoltre, Intesa Sanpaolo — che oltre a non avere fatto ricorso a operazioni sul capitale non ha neppure emesso Tremonti-bond — si trova in questi e nei prossimi mesi a fare fronte a scadenze importanti in ambito obbligazionario.

Altri bond

Ci sono circa 39 miliardi di bond in scadenza. Di questi la maggior parte sono nei portafogli della clientela (24 miliardi), mentre la quota restante (15 miliardi) va rimborsato sul mercato wholesale . Il rapporto fiduciario con la clientela, dopo che si è saputo recuperare le identità delle 22 banche che compongono il gruppo, con un’adeguata attenzione della rete, dovrebbe essere tale da garantire il rinnovo della maggior parte di quei 24 miliardi in mano ai clienti retail del gruppo. Diversa l’attenzione che meritano i 15 miliardi in mano agli operatori professionali.

Per assicurarsi la restituzione, Intesa ha messo in atto una politica accorta e, anticipando i tempi, già nei primi due mesi di quest’anno, ha operato sul mercato del funding , assicurandosi 9 dei 15 miliardi in scadenza. Una politica accorta, come detto, che mette la banca in una situazione di estrema liquidità, ma a prezzo di una possibile redditività prospettica. Intesa, infatti, per non rischiare ha giocato d’anticipo, ma lo ha fatto nel momento di forti tensioni sui tassi, quando il differenziale dei titoli di Stato italiani sul bund tedesco è arrivato a toccare i 200 punti base (ovvero il 2 per cento), prima di scendere a 128 punti a fine febbraio e risalire la scorsa settimana a quota 170.

Cosa significa questo? Che IntesaSanpaolo ha già risolto per il 60 per cento il problema del rimborso dei bond in scadenza nel 2011, ma a prezzo di una redditività prospettica. Infatti, rispetto ai primi due mesi del 2010, Cà de Sass ha pagato il denaro 110 punti base in più. Il che significa far provvista pagando l’1,1 per cento in più. Un aumento dei costi che andrà pur a riverberare da qualche parte.

Fattore export

A fronte di queste tematiche esogene, influiranno sui conti del gruppo anche tematiche endogene, peraltro non tutte negative. Se è vero che l’Italia cresce troppo poco rispetto a molti partner europei, è altresì vero che il 2010, specie nella seconda metà, è stato l’anno di una consistente ripresa delle esportazioni per molte aziende. Di questo dovrebbe risentire positivamente anche il gruppo bancario.

I risultati dovrebbero però essere garantiti soprattutto da una consistente attività di hedging — operazione finanziarie di copertura dei rischi — che dovrebbe garantire il bilancio che si licenzia in queste ore. In prospettiva, soprattutto se si realizzerà il ventilato aumento dei tassi, IntesaSanpaolo avrà meno leva da alzare, proprio per quanto detto in precedenza. Il gruppo è poi compratore di ultima istanza di quote importanti del debito pubblico italiano — l’esposizione in titoli di stato italiani è pari a circa 1,5 volte il valore di bilancio — e questo potrebbe aumentare i rischi di svalutazione dei titoli in portafoglio qualora si accentuasse la pressione sui tassi.

In un report di mercoledì scorso, firmato da Morgan Stanley, gli analisti della banca d’affari statunitense stimano in 2,521 miliardi di euro l’utile netto per l'intero 2010, in calo dai 2,805 del 2009, ma sensibilmente meno di quanto atteso per il 2011 (2,878 miliardi) e per il 2012 (3,464 miliardi).

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CORRIERE DELLA SERA lunedì 14 marzo 2011

Personaggi Sarà il responsabile del «Corporate and investment banking» Unicredit Arriva Mustier Doppia voglia di ripartire - L’ex banchiere francese da oggi sostituisce Sergio Ermotti

Dopo l’uscita da SocGen ha l’occasione per il riscatto

È arrivato a Milano all’inizio di marzo. Oggi sarà ufficialmente il suo primo giorno di lavoro. Per ora però si mostra poco. Jean Pierre Mustier si è fin qui limitato a studiare le mappe del suo nuovo universo di riferimento, il sempre complesso gruppo Unicredit, cercando di smarcarsi dall’ingombrante profilo di chi lo ha preceduto — Sergio Ermotti è già in Svizzera e pronto a saltare ai vertici di Ubs dal prossimo mese — e al contempo di chiarire alcuni punti controversi del suo recente passato.

Ragazzo prodigio

Nato cinquant’anni fa a Chamalieres, nella zona del Massiccio centrale, l’uomo a cui Unicredit affida, con il grado di vicedirettore generale, la responsabilità del settore Corporate and investment bank (Cib) — il più redditizio della galassia — è entrato a 26 anni in Société Générale, gruppo da cui è uscito solamente nell’agosto 2009.

Dopo aver guadagnato molto e fatto guadagnare alla banca parigina svariati miliardi di euro con le attività di finanza, Mustier proprio alla finanza deve la sua uscita da SocGen. Il caso è noto e vede come soggetto attivo Jérôme Kerviel, un trader di SocGen che tra il 2007 e il 2008 è arrivato ad assumere posizioni di trading sui prodotti derivati per complessivi 49,9 miliardi di euro. La chiusura di queste posizioni, alla fine del gennaio 2008, è costata a SocGen quasi 5 miliardi di euro. Il successivo processo a Kerviel si è concluso con la sua condanna a 5 anni di carcere (2 con la condizionale) e a una multa pari al danno causato alla banca. Mustier di Kerviel era responsabile.

Ma nessuno dei superiori di Kerviel è stato riconosciuto colpevole della frode dal tribunale, né è stato coinvolto dalla sentenza, tanto meno Mustier che, come capo del settore Cib della banca, pur non essendo il capo diretto del trader , aveva la responsabilità ultima della divisione. Certo, un’avventura di cui avrebbe fatto a meno.

La multa

Come l’altra, avvenuta all’epoca dell’euforia finanziaria che caratterizzava il 2007 e la prima parte del 2008.

Una vicenda di insider trading che ha portato la Amf francese, l’autorità di vigilanza sulla Borsa, assimilabile all’italiana Consob, a multare nel giugno 2010 Jean Pierre Mustier proprio per insider trading . Una sanzione da 100 mila euro. L’accusa è di aver venduto azioni di Société Générale, nell’agosto del 2007, essendo a conoscenza di informazioni privilegiate. Mustier ha spiegato di aver venduto una parte del suo portafoglio titoli personale, inclusa una minima parte di azioni Société Générale, dopo aver letto di un significativo calo dei tassi dei Treasury bills americani. Una notizia pubblicata a fine agosto 2007 dal Financial Times e quindi di dominio pubblico. Mustier poi ha dimostrato di aver mantenuto in portafoglio la maggioranza dei suoi titoli SocGen, coerentemente con la sua carica di top manager del gruppo e ha ricorso in appello. Il Tribunale di Parigi, lo ha scagionato da ogni accusa e ha ritenuto di non dover procedere contro di lui in questa vicenda, che rimane quindi a livello di sanzione amministrativa.

Le consulenze

Da quando nel 2009 è uscito da SocGen, Mustier ha poi scoperto l’altro valore del denaro, impegnandosi per diverse Ong con finalità di promozione sociale. Ma in questi 18 mesi ha anche svolto attività di consulenza per alcune società finanziarie, fra cui la boutique francese Tikehau Capital Advisors, specializzata nella gestione di prodotti creditizi di diversa tipologia (legati ai prestiti bancari, immobiliari, crediti legati al private equity , finanziamenti alle pmi aggiuntivi ai prestiti bancari…) e con 575 milioni di euro di attivi. In Tikehau Capital Advisors Mustier ha anche preso una quota minoritaria, che ha venduto prima di venire nominato capo del Cib di UniCredit. Giunto a Milano, ha poi facilitato il contatto fra Tikehau e UniCredit in vista di una partnership che è ora in via di finalizzazione. UniCredit sta infatti operando una due diligence in vista della

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possibile acquisizione di una quota minoritaria (circa il 10 per cento) in Tikehau Capital Advisors, che potrebbe rappresentare un’opportunità di business giudicata «interessante» dalla stessa Unicredit.

Da oggi però molto di questo è da considerarsi al passato. Mustier ha una seconda chance . Ed è una chance importante, in un gruppo che ha saputo unire un mosaico italiano e proiettarlo tra le banche più dinamiche d’Europa. Da lui molti si aspettano tanto. Lo ha fortemente voluto il presidente Dieter Rampl, lo ha benedetto il ceo Federico Ghizzoni, risponderà direttamente al direttore generale Roberto Nicastro. Avrà tutti gli occhi addosso. Ma è il prezzo che deve pagare per iniziare, da piazza Cordusio, una nuova storia. E non tutti hanno una seconda possibilità.

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CORRIERE DELLA SERA lunedì 14 marzo 2011 Un futuro diversificato - Quelle fondazioni meno bancarie

A vent’anni dalla legge istitutiva firmata da Giuliano Amato, le fondazioni di origine bancaria provano a disegnare il loro futuro. Lo fanno con una riflessione pubblica (stasera alle 18 alla Fondazione Crt di via XX settembre a Torino; lunedì 28 marzo sempre alle 18 nella Sala Buzzati del Corriere della Sera , in via Balzan 3 a Milano), attorno a un volume maturato all’interno del proprio mondo, che sottolinea fin dal titolo (Da Frankenstein a principe azzurro — Le fondazioni bancarie tra passato e futuro , Marsilio editore), un’ambizione darwiniana, l’evoluzione della specie sociale, da partner settoriale a nucleo sistemico. Cosa sarà delle fondazioni fra dieci anni? Saranno probabilmente meno legate agli istituti di credito conferitari, perché davanti alle crescenti necessità di capitale delle banche, anche a fronte di asset non strategici che potranno venir ceduti, qualcuna accetterà di diluire la propria quota. E saranno più differenziate. Questo viene distintamente evidenziato. Ma senza nulla togliere agli informatissimi autori (Fabio Corsico è direttore delle relazioni istituzionali del gruppo Caltagirone e consigliere della Fondazione Crt; Paolo Messa, già responsabile della comunicazione dell’Udc è direttore della fondazione Formiche), il volume è arricchito da due preziosi contributi, la prefazione del presidente emerito della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi e la postfazione di Giuseppe Guzzetti, guida dell’Acri e della Fondazione Cariplo. Ciampi, che con Amato firmò le leggi che diedero vita alle fondazioni, nella sua nota introduttiva, scrive riferendosi al processo di privatizzazione del sistema bancario degli anni Novanta che questo «aveva anche l’obiettivo di impedire che la politica nelle sue articolazioni, soprattutto locali, potesse interferire nell’allocazione del credito». Sono le fondazioni la soluzione al problema? Guzzetti ne è convinto. Tanto da scrivere in coda al volume:

«l’indipendenza della banca è un punto irrinunciabile per le fondazioni; e non saranno certo loro a riportare i partiti nelle banche». Qualche dubbio è lecito. Unicredit è per il 12,87 per cento in mano alla fondazioni, IntesaSanpaolo per il 24,83 per cento, Carige per il 43,37 per cento, il Monte dei Paschi per il 55,48 per cento. Quote di capitale che, forse, hanno qualche peso sulle decisioni delle banche, come anche recentemente si è visto a Verona e a Torino. Indubbia invece è la funzione svolta in questi due decenni e il ruolo centrale giocato oggi. Ma è un ruolo di potere, ambito da cui il Principe Azzurro era avulso. S. RIG.

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CORRIERE DELLA SERA lunedì 14 marzo 2011 La squadra europea di Tremonti e Draghi cura di Ivo Caizzi icaizzi@corriere.it

Il premier Silvio Berlusconi non è riuscito a far vincere i candidati italiani alla presidenza dell’Europarlamento, alla guida degli Esteri Ue e a capo dell’Eurogruppo. Il ministro degli Esteri Franco Frattini è partito male nell’assegnazione dei posti nel nuovo euroservizio diplomatico di Bruxelles. Ma il ministro dell’Economia Giulio Tremonti e il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, in varie fasi e senza troppi clamori, hanno ottenuto che tecnici da loro apprezzati emergessero negli organismi dell’Europa più importanti e strategici

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per i rispettivi settori di competenza. L’ultimo colpo è stato doppio e consente all’Italia di contare su una vera rete di connazionali in grado — pur rispettando l’indipendenza istituzionale dei loro incarichi — di far affrontare meglio a Roma le scelte imposte dalla crisi internazionale. Tremonti ha fatto nominare il fidato direttore generale del ministero dell’Economia, Vittorio Grilli, anche alla presidenza del Comitato Ecofin dell’Ue, attivo nella preparazione delle riunioni mensili dei ministri finanziari europei.

Andrea Enria, stretto collaboratore di Draghi alla Banca d’Italia, è stato scelto per presiedere a Londra la nuova Autorità europea di supervisione bancaria (Eba), coinvolta anche nella delicata indagine sulle difficoltà di numerose banche nazionali (soprattutto tedesche, francesi, britanniche, olandesi, belghe) sgradita ai governi intenzionati a mantenere riservate da una gran massa di esposizioni a rischio fino alle carenze di liquidità.

In precedenza Tremonti aveva appoggiato la nomina dell’euroburocrate Marco Buti alla direzione generale per gli Affari economici e monetari della Commissione europea, che controlla le politiche di bilancio dei 27 Stati membri. Nel 2005 il ministro dell’Economia aveva imposto il suo sherpa Lorenzo Bini-Smaghi nel comitato esecutivo della Banca centrale europea di Francoforte (Bce). Nel 2007 Dario Scannapieco, uno dei

«Draghi boys» al ministero di via XX settembre, era stato nominato vicepresidente della Banca europea degli investimenti di Lussemburgo (Bei).

A Bruxelles, sulle competenze tecniche e sulle capacità individuali di Grilli, Bini-Smaghi, Buti, Enria e Scannapieco, si ascoltano giudizi positivi e critici. Naturalmente questo quintetto potrebbe notevolmente rafforzarsi se Draghi diventasse presidente della Bce (con uscita di Bini-Smaghi). Ma già ora, complessivamente, consentirebbe all’Italia di poter contrastare — almeno nel settore economico-finanziario

— l’asse franco-tedesco, da sempre impegnato a conquistare influenza proprio imponendo i connazionali nei ruoli strategici dell’Ue. Anche perché le decisioni dei governi dell’Eurozona sulle iniziative anticrisi e, soprattutto, sulla politica economica nazionale ormai vengono sempre più condizionate dai 17 ministri finanziari dell’Eurogruppo e dagli altri organismi comunitari.

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LA VOCE.info 11.03.2011

DALLA CEDOLARE VANTAGGI SOLO PER I PROPRIETARI di Raffaele Lungarella 11.03.2011

Il decreto legislativo sul federalismo fiscale municipale approvato con voto di fiducia è molto diverso dal testo originale. Anche nella parte che riguarda la cedolare secca sugli affitti. Intanto, non diventerà più un tributo proprio dei comuni. Poi, il nuovo regime di tassazione rende inefficace il ricorso alla leva fiscale quale strumento di contenimento dei canoni. Ad avvantaggiarsene sono unicamente i proprietari delle abitazioni.

Soprattutto quelli che affittavano a canone di libero mercato e collocati negli scaglioni di reddito più elevati.

Con il voto di fiducia della Camera dei deputati del 2 marzo scorso, il decreto legislativo sul federalismo fiscale municipale ha concluso il suo cammino parlamentare. È stato un percorso travagliato dalla mancata pronuncia della commissione bicamerale sul federalismo e dell’originaria impostazione è stato conservato ben poco nel testo finale, che nel tempo ha avuto diverse versioni. (1) Anche quella che era una delle novità con maggior presa mediatica, l'introduzione della cedolare secca per la tassazione degli affitti, ha subito una evoluzione, ma gli originari difetti (si veda i precedenti articoli "L'affitto langue anche con la cedolare secca",

"Cedolare con molti difetti") sono stati aggravati dal venire meno della prospettiva di diventare un tributo proprio dei comuni.

UN ROVESCIAMENTO DI PROSPETTIVA

La prima versione del decreto legislativo prevedeva la devoluzione ai comuni del gettito della cedolare secca, con la previsione di attribuire allo Stato una compartecipazione sul gettito di questo come di altri

(18)

tributi, relativi agli immobili, che dovrebbero fornire le risorse finanziarie al federalismo municipale. In prospettiva, la cedolare sarebbe dovuta (o almeno potuta) diventare un tributo proprio dei comuni.

Nella versione ora approvata, ai comuni viene devoluta una quota della cedolare secca pari al 21,7 per cento del gettito totale per il 2011 e al 21,6 per cento a partire dal 2012, a compensazione della riduzione di trasferimenti erariali di pari importo.

Ma se non è destinata a diventare un perno dell’autonomia finanziaria dei comuni, è legittimo chiedersi perché introdurre la cedolare secca.

IL DOPPIO REGIME DEI CANONI PRE-CEDOLARE

Uno dei maggiori difetti della originaria proposta della cedolare secca ad aliquota unica, applicata all'intero ammontare dei ricavi da canoni, consisteva nella constatazione che decretava la sostanziale fine del doppio regime per la tassazione Irpef dei canoni, introdotto dalla legge 431/1998, e che prevede l'applicazione dell'imposta sull'85 per cento dei canoni liberi e del 59,5 per cento su quelli concordati. La differenza nella percentuale di imponibile da percuotere con l'Irpef (che con le differenze di durata e di imposta di registro configura due distinti regimi contrattuali) permette di utilizzare la leva fiscale per consentire canoni più bassi di quelli di mercato a parità di redditi netti per i proprietari degli alloggi.

Nella seconda colonna della tabella 1 è riportata, per ogni scaglione di reddito, la riduzione percentuale di cui, con il regime di tassazione Irpef, può essere ridotto il canone di mercato ottenendone uno equivalente al primo, quanto a reddito al netto della tassazione. La percentuale è, ovviamente, crescente passando da uno scaglione di reddito a quello successivo. Non raggiunge mai livelli molto elevati; tuttavia, i locatori con un reddito imponibile superiore a 28mila mila euro avrebbero potuto affittare le loro abitazioni a canoni concordati di un 13-15 per cento inferiori a quelli di mercato, senza accusare alcun danno finanziario.

L'ordine di grandezza di queste percentuali costituisce anche un obiettivo riferimento nella

negoziazione, tra le associazioni dei proprietari immobiliari e quelle degli inquilini, per la determinazione dei canoni concordati.

UNA SPINTA ALL’AUMENTO DEI CANONI CONCORDATI

La cedolare secca ad aliquota unica, nella versione del decreto legislativo sottoposta al parere della commissione bicamerale, tassando in ogni caso l'intero importo dei canoni, decretava la fine di fatto del regime contrattuale del canone concordato. Il decreto legislativo approvato tassa con un'aliquota del 21 per cento il canone libero e con una del 19 per cento quello concordato, entrambi per l'intero importo percepito.

Ma le condizioni previste non sono sufficienti per far sopravvivere il regime dei canoni concordati. La tabella 1 riporta la percentuale di cui un canone concordato può essere inferiore rispetto a uno di mercato per permettere al locatore di ottenere lo stesso reddito netto: non raggiunge il 2,5 per cento (naturalmente uguale per tutti gli scaglioni di reddito).

Con una percentuale di riduzione di quest'ordine di grandezza, è probabile che si determini un innalzamento del livello dei canoni concordati, che verrebbero portati molto a ridosso di quello dei canoni di mercato. Il potenziale effetto inflazionistico sui canoni concordati del nuovo regime di cedolare secca è sintetizzato nella tabella 2, nella quale sono riportati i valori dei canoni concordati equivalenti di un canone annuo di mercato di 10mila euro.

Con la tassazione Irpef, il valore del canone concordato equivalente a questo canone di mercato oscillava tra i 9.280 euro per i proprietari delle abitazioni con redditi appartenenti allo scaglione più basso, e gli 8.472 euro per i proprietari con reddito superiore a 75mila euro. Con la nuova normativa, il canone concordato equivalente diventa di 9.753 euro, per tutti gli scaglioni di reddito, con un aumento rispetto agli importi ottenuti con la tassazione Irpef oscillante tra il 5,1 e il 15,1 per cento.

PER GLI INQUILINI BENEFICI IRRISORI

L'introduzione del nuovo regime di tassazione dei canoni rende, quindi, inefficace il ricorso alla leva fiscale quale strumento di contenimento dei canoni: fa venire meno, in sintesi, un'opportunità per gli inquilini. Ad

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