Carte italiane
Journal of Italian Studies
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VOL. 17
Department of Italian, UCLA
Carte
A Journal of Italian Studies
Volume 17 Fall 2001 Department of
ItalianUniversity of
California,Los Angeles
Edilorial
Board
Editors-in-chief: JacqualineDyess, AlessioFilippi, Francesca Leardini
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design:JacqualineDyess, AlessioFilippiThe
editorial board forthis edilionwas comprised of
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theDepartment of
Italian,UCLA.
Specialthanksto ProfessorEugenio Ragni
for hishelpin reviewinganumbcr
ofthe articlesand
toali the professorsof
thedepartment of
Italian for theircontinued support.Advisory Board
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UCLA
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Harrison, Italian,UCLA
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UCLA
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Linguistics,UCLA
Department ofItahanand isiargelyfunded bythe
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2001 b) theRegents ofthe LlniversityofCalifornia.AH
rights reserved.Contents
L'idealedella
monarchia
costituzionale in Della tirannide, inDel
prineipee dellelettere ene
//Misugallo: perun ridimensionamento
delle distanzetra lediverse "fasi"del pensieropolitico alfieriano In-ancesca Leardini
E donna
san, cantraledonne
dico: 17
il canzonierediIsabella di
Morra Nunzio
Rizzinotturni della
Gerusalemme
Liberata: 31
tradizioneerilancio
Giuseppe Cavatorta
L'avventura scenica
àéW Orlando Furioso 45
Antonella Valorosotirannide^
inDel principe e
dellelettere ene
Il
Misogallo: per un ridimensionamento
delle
distanze
tra lediverse "fasi" del pensiero
politicoalfìeriano
Ispiralo agli avvenimenti della Rivoluzione francese, //
Misogallo è importante per
comprendere
il pensiero politico alfìeriano', in quanto esprime lacondanna
nei confronti dei fattirivoluzionari e nei riguardi del
popolo
francese che li ha originati. Iltitolo vuol essere,com'è
noto,una
contrapposizione diretta all'opuscoloVoewc d'un
gallophile pubblicato nel 1785da
Anacharsis Cloots. // Misogallo è vistoda
alcuni critici (adesempio
Masiello 257-73;Boni
63-85)come
un'opera che contraddice il punto di vista politico enunciato dall'autore inalcune sue opere precedenti (in particolare in Della tinmnicle e in
Del
principee dellelettere),mentre secondo
altrinon
farebbe checonfermare
posizioni già presenti in quelle opere.A
questo proposito, siveda
quanto affermato dalSapegno,
che considera Alfieriun
reazionario,un
conservatore e tale sin dai suoi primiscritti, sicché
non
ci sarebbe affatto contraddizione tra le opere politichegiovanili e//Misogallo.Secondo
lostudiosotutti gli storici sono più o
meno
disposti a riconoscere ilripiegamentodell'Alfierivecchio su posizioni di fatto reazionarie.
E
c'è chi lo attribuisce a una sortad'involuzione senile, da spiegarsi con argomentidimerapsicologia. C'èchi insiste,enonatorto, sulla
CARTE ITALIANE
2fondamentale coerenza delle sue dottrine;
ma
è costretto poi a sorvolare e a trattarecome
secondari e trascurabili gli sviluppi particolari di codesto suo atteggiamento. C'è infine chi tenta di rintracciarele lineeericostruire le fasi diuno svolgimento continuo di idee; e finisce col perdersi in un groviglio inestricabile di contraddizioni. Sta di fatto che TAlfieri del Miso^aìlo e dellecommedie
si giustifica e si chiarisce pienamente solo a chi sia disposto a riconoscere il noccioloreazionario presente,nonostanteleapparenze, anche nelFAIfìeri della prima maniera, quello delle operette politiche edelletragedie libetlarie. Giànel trattatello Della tirannide,cheè l'esposizione più lucidae speditadel suopensiero,e quella in cui il suo giovanile fervore sembra a prima vista meglio concordare con gli impulsi rivoluzionari dell'epoca, non è difficile scorgere la reale sostanza e la portata effettiva del suo ideale di libertà. Attraverso le ragioni e gli schemi dottrinali frettolosamente attinti alla pubblicistica contemporanea, si illumina la singolarità e l'astrattezzadella rivolta alfieriana (32-3).
Per
Sapegno, dunque,
lo spirito rivoluzionario deirAlfierigiovane
è tale soltanto in apparenza, e le opere più tardenon
fanno che rivelarecon maggiore
evidenza quelle posizioni conservatricida sempre
presenti nel suo pensiero.Continua Sapegno:
Che
il concetto alfieriano della libertà rimanga in ogni tempo coerente con se stesso, incapace sempre di riconoscersi in un tipo qualsivogliadi ordinesociale;chedelsuoantirivoluzionarismo degli ultimi anninon sidebbacioèfarglicolpacome
diun rinnegamento e capovolgimentodellesue ideegiovanili,è certo.Alla fine Alfieri
non
rinnegherebbe leprecedenti convinzioni politiche,ma
uscirebbe soltanto più allo scoperto,mostrando
punti di vista chesembravano non
appartenergli in precedenza:in realtà si tratta di
"una
difesa più aperta, più frequente del privilegio di casta, del diritto di proprietà, delle leggi e dell'ordine costituito" (41), e odio contro i sovvertitori di quest'ordine.Nell'opera
Del
principe e delle lettere Alfieri definisce cosa egli intendacon
il termine di "principe": esso è "colui chepuò
ciòche
vuole, e vuole ciò che più gli piace; né del suo operare rende ragione a persona, né v'è chi dal suo volere il diparta, né chi al suo potere e volere vaglia ad opporsi" (1 12-3). In Della tirannide,prima
ancora di rimandare alla definizione di"principe" proposta nel
Del
principe e delle lettere. Alfieri sottolinealadiscrepanzaesistente tra inomi
e le cose,dovuta
al fatto che inomi sono
immutabili neltempo, mentre
le cosecambiano
neltempo
e nello spazio. Per questo a volte inomi possono
diventaremera
apparenza, celandouna
realtà che ad essinon
corrisponde. I tempimoderni
siavvalgono
proprio di questa"confusionedeinomi
e delle idee"percamuffare larealtà della tirannide: essendo ilnome
di "tiranno"spregevole,ai tempi nostri, i principi stessi che la tirannide esercitano gravemente puresioiTendono diesserenominatitiranni (...). Etanta è la cecità del moderno ignorantissimo volgo, con tanta tàcilità si lascia egli ingannare dai semplici nomi, che sotto altro titolo si va godendoitiranni, ecompiangegliantichi popolichea sopportaregli
aveano.
E
i popolimoderni chiamano,
infatti, i tirannicon
ilnome
di re o principe.Ma mentre
i veri tirannisono
coloro che"hanno
(...)
una
facoltà illimitata di nuocere", l'appellativo di re o principe"sidovrebbe
darea quei pochi che, frenati dalle leggi e assolutamente minori di esse, altronon sono
inuna
data società che i primi e legittimi e soli esecutori imparziali delle già stabilite leggi"(8-9).Alfieriattua cosìuna
distinzione,quellatra tiranno e re, chemi
pare essenziale per mitigare,come
si vedràanche
in seguito, l'eventuale contraddizione tra le presunte opposte fasidel suo pensieropolitico.Com'è
noto, //Miso^allo è un'opera mista di prosae di versi.I
componimenti
e le prose che lacompongono,
relativi ai fattiCARTE ITALIANE
4della Rivoluzione francese,
vengono
aggregali in un'opera unitaria solodopo
il 1795,anno
della trascrizione delprimo
esemplare ordinato dell'opera (A), di cui si parla per laprima
volta nella l'ita a propositodiun Rendimento
di conti relativo al 1795.Già
dal1789
Altieriaveva
però incominciato acomporre
i testi che sarebbero confluiti ne // Misogaìio,
anche
se,come
afferma
Mazzotta
("Introduzione" a Altieri, //Misogal/o
xlviii- xlix),prima
di quell'annonon aveva
ancoradefinitoneanche
iltitolo dell'opera. Al
momento
della fugada
Parigi nel1792
itesti erano circa
una
dozzina; in seguito altri sene
aggiunsero,andando
a formare, nel 1795, l'esemplareA,
in cui l'autore seguiva per laprima
volta idue
criteri organizzativi della successione cronologica e dell'alternanza dei generi.Al 1796
risale
un
altro autografo (B) a cui Alfieri lavorò perdue
anni, nel corso dei quali l'opera raggiunse laforma
definitiva (1798) descritta nell'indice in versi posto alla fine de // Misogallo.Alfieri fece eseguire
numerose
copie manoscritte del libello (nel1799
erano già pronti dieci esemplari)con
l'intento di preservare la propria opera dal pericolo delle truppe francesi dilaganti in Toscana.Un
altroscopo
che pare aver guidato ladecisione alfieriana di fare delle copie
de
//Misogallo
fu ildesiderio di far circolare la sua opera in reazione alla pubblicazione,
avvenuta
contro la sua volontà, delle quattro opere giovanili Rime, L'Etniria vendicata,Del
principe e delle lettere. Della tirannide (cfr. Alfieri, Vitascrittada
esso 282-3).Alfieri
disconobbe
quelle opere che,avendo
egli lasciato a Parigi in occasione della sua fugadalla cittànel 1792, gli erano staterubate e stavano per essere pubblicate, anni dopo, senza lasua
approvazione
e il suo controllo.Mi
pare importante considerare, a questopunto
e in funzione diun
ridimensionamento
di quella discrepanza che spesso si suole vedere tra le opere giovanili e le ultime posizioni politiche dell'Alfieri de // Misogallo,quanto
Alfieriha
afTermato nellaVita, a proposito della pubblicazioneclandestina delle sue opere giovanili. Altieri
non
disconosce quanto espresso inquelleopere giovanili,ma
è preoccupato per la loro ricezione presso i contemporanei, che potrebbero fraintenderlo in tempi storici e politicimolto
mutati rispetto aquando
leaveva
scritte. Inoltre, è intimorito dalla suamancanza
di controllo su testi pubblicati senza la suaapprovazione
(eben
è nota lacura quasi maniacalecon
cui Altieri tornava in continuazione sui propri testi, rivedendoli senzaposa
persino in sede di stampa) e forse addirittura adulterati dacambiamenti
arbitrari ad opera di altri.Scrive
dunque
Alfieri nella Vita:Fin dalfanno'93 in Firenze, quandovidi assolutamente perduti i
miei libri, fecipubblicare unavvisoin tutte leGazzetted'Italia, ove diceva essermi stati presi, confiscati, e venduti i miei libri, e carte,
onde io dichiarava già fin d'allora non riconoscer per mia nessun'altra opera,fuorché le tali etali pubblicateda me. Lealtre,o alterate, o supposte, e ceilamente sempre suiTepitemi, non le amiTietteva. Oranel '99udendoquestomanifestodel Molini,il quale prometteva per l'SOO venturo la ristampa delle suddette opere, il
mezzo più efficace di purgarmi agli occhi dei buoni e stimabili, sarebbe stato di fare un contromanifesto, e confessare i libri miei, dire il
modo
con cui in'erano stati barati, e pubblicare per discolpa totaledelmiosentire epensare, ilMisogallo,checerto èpiùcheatto ebastante a ciò (282-3).Altieri, però,
non
pubblicòmai
// Misogallo, il cui intento sarebbestato diesentarlouna volta per sempre dall'infame ceto degli schiavi presenti, che non potendo imbiancare sé stessi, si compiacciono di sporcare gli altri, fingendo di rederli e di annoverarli tra i loro; ed io per aver parlatodilibertàsono undiquelli,ch'essisiassocianovolentieri,
ma
me
ne dissoderàampiamente poi il Misogallo, agli occhi anchedei malignie degli stupidi,che soni soli,chemi posson confondere con codestoro;ma
disgraziatamente, questeduecategoriesonoidueterzi emezzo
delmondo
(282-3).CARTE ITALIANE
Dunque
la funzione de //Misogallo
sarebbe stata di rendere evidente la presa di posizione politica del suo autore nei confronti della Rivoluzione francese, posizione forsenon
altrettanto palese negli scritti giovanili, che avrebbero invece potuto
anche
essere travisati, più omeno
intenzionalmente, impugnati a difesa dei recenti eventi rivoluzionari e piegati a significare ediffondereuna concezione
politica di fatto estranea al loro autore (ovvero quella diuna
qualsivogliaapprovazione
dei fatti francesida
parte di Alfieri, sulla base della trattazione, affrontata in quelle opere, dei concetti di tirannide e di libertà).Dunque
//Misogallo
è considerato da Alfieri un'opera ingrado
di parlare più esplicitamente dei punti di vista del suo autore di
quanto non
potrebbero forse fare le sue opere giovanili, esposteanche
al rischio di essere state manipolateprima
della pubblicazione.Pur non rinnegando quanto aveva
espresso in quelle opere precedenti. Alfierinon
ne riteneva affattoopportuna
lapubblicazione, alla luce dei più recenti
avvenimenti
politici europei.A
questo proposito, è interessante fare riferimentoanche
alla nota lettera di AlfierialPamico Caluso
del 1802, in cui l'autoreesprime
il suo disappunto perquellapubblicazioneene
spiega in parte le ragioni.Alcuni
criticihanno
considerato quella lettera un'evidente palinodia di Alfieri nei confronti delle sue posizioni politiche giovanili. Si veda, per esempio,quanto ne
scrive V. Masiello, per il quale la lettera sarebbe un"'angosciatapalinodia",una "drammatica
excusalio'" ericonoscimento, dunque, in astratto e in contrappunto assiduo di riserve prudenziali e di cautele, della validità dei principi un tempo
professati, e più per la base di onestà, di buona fede e di sincerità sentimentaleda cui nascevano, che per la loro intrinseca, oggettiva consistenza, intorno allaquale ora pare legiuimo il dubbio(...);
ma
ripudioesconfessionedellaloroutilità,esplicitacondannadella loro
legittimità; denunzia apertadella loropericolosità sociale(...): cheè
come
dire, loro effettivosvuotamentoedenegamento(271).Scrive, invece,
Sapegno:
Mentre [Altieri]ammette,nella famosaletteraalCalusodel 1802, che la pubblicazione delle operette politiche giovanili sia stato un erroreesi sia risolta inundannoassai maggioredell'utile,si guarda bene peraltro dal rinnegarne il "raziocinio" che seguita a parergli
"vero e fondato" e per nulla in contrasto con i suoi intendimenti attuali,edichiara che, "interrogato sutali punti,tornerebbesemprea direlostesso,ovverotacerebbe"(43).
La
posizione di Alfieripuò
apparireambigua,
soprattuttoquando
afferma cheil contenutodi quei librigiovaniliè approvabile in quanto che l'ho scritto ex corde, e col senso intimoche fosse cosìai miei occhi;
ma
questonon provachefosse cosìpersestesso'"(Lettere edite einedite di Vittorio Alfieri402-3)."Ciò
è, però, spiegabilecon
la volontàda
parte dell'autore di differenziare il suopunto
di vista personale da quella che lui ritiene l'essenza delle cose in sé,comunque
imperscrutabile.Dunque,
difesa delle proprie posizioni,con
le quali si dichiara ancora d'accordo,ma
timore che esse, mutati i tempi a causa della Rivoluzione francese,possano
essere fraintese. Per questola pubblicazioni di quegli scritti
non
è approvatada
Altieri,non
celloper il loro contenuto, nel quale ancoracrede, pur lasciando aperta l'eventualitàche le sue convinzioni,da un
presuntopunto divistaoggettivo,possano
forse essereeiTate inse stesse.Alfieri torna ripetutamente a sottolineare la sua condivisione attuale diquantoè negliscritti giovanili:
Il raziociniodicodesti librimi pare incatenatoededotto,e quanto piùv'ho pensato dopo,tanto più mi è sembrato verace, e fondato;e inten-ogato sutalipuntitornereisemprea dire lo stesso,otacerei.
CARTE ITALIANE
8Ed
ancora:Indue parole, ioapprovodi belnuovo solennementetuttoquanto quasi è in quei libri;
ma
condannosenza misericordia chilihafatti,ed i libri medesimi, perché non c'era bisogno che ci fossero, e il
danno può essere maggiore assai dell'utile {Lettere edite e inedite 402-3).
In questo caso,
mi
pare che l'espressione "chi li ha fatti"non debba
essere riferita all'autore dei libri,ma
piuttosto a chi li ha stampati, cioè liha
resi "libri", infatti qui Alfieri riprende esattamente leparolechepoche
righeprima ha
usato ariguardo, appunto,dellostampatore:Ma
per tutto questo, si doveva egli fare, né stampare, né pubblicare mai colali scritti?Ioprimodico di no; ebiasimo chil'ita fatto' {Lettere edite einedite402-3).E
si noti lasequenza
sinonimica in cuisono
sistemati i verbi"fare, stampare e pubblicare", per cui
mi
pareda
escludere che"fare" possa qui riferirsi all'atto dello "scrivere" di Alfieri, al
suo
aver "creato" quei lesti, e che sia bensì usatocome
verbo più generico, rispetto agli altridue
sinonimi, ad indicare pursempre
l'operazione dellostampare
e del pubblicare.Senza
considerare che,appena una
riga sopra, Alfieri ha affermato di approvare"solennemente
tuttoquanto
quasi è in quei libri",facendo seguire a questa sua affermazione l'avversativa
"ma condanno
senza misericordia chiliha
fatti, ed i librimedesimi":
e
dunque
pare evidente cheuna
cosa è l'averscritto quei libri, l'averlicreati,qual è l'operadiuno
scrittore; altracosaè l'averli fatti,ovvero
stampati, pubblicati.Dunque
per "libri"sarà qui da intenderenon
l'operacome
frutto dilavoro intellettuale, bensì illibro a stampa, nella sua fisicità, il libro "fatto"
ovvero
pubblicato.La condanna non
è per chiha
scritto i libri né per illorocontenuto,
ma
perchi liha
stampati.Tale interpretazione delle parole di Altieri al Caruso, permetterebbe di ridimensionare in parte quelle contraddizioni spesso rilevate,
come
si è già detto, tra le operegiovanili dauna
partee //Misogallo, lecommedie
e leSatire dalTaltra.Altieri
non
fece circolare // Misogallocome aveva
pensato inizialmente, né lo pubblicò essendo ancora in vita. Diffuse soltantoun
estratto di esso,con
ilnome
diContravveleno
Poeticoper
la Pestilenza Corrente e prestò a volte copie manoscrittedell'interaopera ad amici fidati.// Misogallo
non
è un'opera teoricacome
idue
trattati giovanili Della tirannide eDel
principe e delle lettere, sipossono
però rilevare tra queste opere, delle forti somiglianze tematiche e di posizione politica.Anche
ne // Misogallo, cosìcome
nelle opere giovanili e in tutte le altre opere allieriane, resta difondamentale
importanza iltema
della libertà.Neir^Avviso
al lettore" posto ad apertura de // Misogallo, subitodopo
ilRame
allegorico. Alfieriespone
la materia dell'opera, riassumibile,come
l'autore afferma, indue
"sentenzie sole":
"Che
libertà è virtude;/ E, che i Galli esser liberi son fole" (197). Iltema
principale di questo ''Mescuglio garrulo" èdunque, ancorauna
volta, la libertà, stato virtuosochei francesi
non
possiedono. In questocaso, iltema
della libertàè trattato in relazione alla Francia ed alla ''tirannide" che in quel paese si sta manifestando. Inoltre, politicamente, la libertà sirealizza
secondo
Altieri attraverso laforma
digoverno
dellamonarchia
costituzionale e questo viene espresso già a partire dalle sue opere giovanili.Come ho
già ricordato, per Alfieri iveri tiranni
sono
coloro che"hanno
(...)una
facoltà illimitatadi nuocere",mentre
l'appellativodi reo principe"sidovrebbe
dare a quei pochi che, frenati dalle leggi e assolutamente minori di esse, altronon sono
inuna
data società che i primi e legittimi eCARTE ITALIANE
10soli esecutori imparziali delle già stabilite leggi" [Della tirannide... 8-9).
Nella Prosa II
de
// Misogallo, nella quale Alfieriesprime
la"Ragion
dell'opera", l'autore afferma di aver egli stesso nutrito inizialmente delle simpatie per la Rivoluzione,sperando
che l'autorità del re, fino ad allora assoluta, potesse finalmente essere limitatada
leggi giuste, frutto diaccordo
tra i tre stati sociali e la monarchia.Afferma dunque
Alfieri: "io stesso stoltamente m'indussi a sperareun buon
esito di si fatto tumulto.Io,
mal
avveduto, credei,che un Re
a cui sfuggiva dimano
un'autoritàillimitata, avrebbe potuto poi, rivestito di un'autorità piùlegittima emisurata,
con
utile ditutti esercitarla" (222).Ne
// Misogallu, LuigiXVI
è descritto positivamente e vistocome una
vittima della Rivoluzione, la quale,assumendo
tonisempre
più anarchici,aveva
impeditouna
soluzione politica di accordo tra il trono e i tre stati. Siveda quanto
asserisce lo stessore, nellaprosa IIIde
//Misogallo, in cui Alfieriimmagina
le ultime parole pronunciate
da
LuigiXVII prima
di morire: "Inme
tuttaviaquel Principe stesso io sento, e quel sono, chedi sua spontanea libertà liberissima; signore di voi tutti assoluto; da niun'altraforza costretto, senon
dall'amor delben
pubblico; gli Stati Generali di questomio
regno intimava.Ed
a tal fine intimavali, perché le tre diverse classi del Popolo,con
giusto equilibrio perpetuo, i loro diritti e quelli del trono adun tempo, con un nuovo
ripartimento rettificati, consolidassero.Indistruggibile reciprocità di diritti; unica base perenne, e sola cagione della verace libertà di ciascuno,
come
dellamassima
sicurezzae prosperità dello Stato" (285-6).Un'altra occasione in cui l'Alfieri de //
Misogallo esprime
lasua simpatia per la
forma
dellamonarchia
costituzionale èl'Epigramma XXVI.
In questocomponimento
i tedeschi, gli italiani e gli spagnolivengono
contrapposti agli inglesi: fautore afferma che è naturale che i tedeschi, gli italiani e gli spagnoli,CARTE ITALIANE
1"genie cui batte regia onnipotenza", essendo loro stessi sciiiavi,
condividano le imprese della Rivoluzione. Strana risulta invece l'approvazione proveniente dal
popolo
inglese, "al cui Re/Vere
leggi incatenano lemani". Nella nota all'Epigramma, si dicechegli inglesi
hanno
goduto, infatti, della "libertà vera",da
identificarsi
dunque con
quella condizione politica in cui "vere leggi incatenano lemani"
al re. Altieriprosegue affermando
cheuna
recente corruzione,dovuta
alla politica coloniale ed alle ricchezze derivanti dalcommercio,
sta allontanandoanche
gli inglesi dall'esseredegnidi vera libertà, purgoduta
e meritata in passato.C. Mazzotta, in
un
suo articolo sull'interpretazione delRame
allegorico posto ad apertura de//
A
fisogallo, ritiene che il leone posto al centro della rappresentazione, possa simboleggiare proprio l'Inghilterra, verso la quale Altieri nutriva simpatia("L'Europa
imbestialita" 503-14).Dopo
aver proposto per illeone varie interpretazioni possibili ,
Mazzotta
ritiene che per riuscire a sceglieretra levarie interpretazioniproposte,occorra seguire il filo del rapporto di assoluta polarità che s'instaura nel
Rame
fra leone e conigli: se i conigli,come
mi è sembrato di poter sostenere, rappresentatno le nazioni europee piegatesi ai francesi, è estremamente probabile che, ispirato dallo stemma nazionale inglese, il leone alluda all'Inghilten'a. Tutti gli elementi della descrizione allegorica le si adattano a perfezione, considerando che negli ultimianni delsecolo,mentreilMisogallo si cristallizza nel suo assetto definitivo, l'Inghilterra, pur costretta a non intervenire sul continente per il mancato appoggio delle altre potenze,continuaa battersi suimari, difendecon coraggio lapropria sovranitàei propriprincipie,fermanellasuainveterata francofobia, rappresenta agli occhi del poeta l'ultimo valido baluardo opposto all'espansione militareeideologica rivoluzionaria (509).Oltre ai passi già citati, ne //
Misogallo
si trovano altri riferimentiallaforma
digoverno
dellamonarchia
costituzionale, vistanell'operacome
laforma
migliore di governo. Peresempio
CARTE ITALIANE
12si
veda
il Sonetto III:"O Dea,
tu figlia di valor, che aggiungi/Duo
gran contrarj,Indipendenza
eLeggi"
(238). Alfieri siappella qui alla
"Dea"
Libertà, ingrado
dicongiungere
l'indipendenzacon
le leggi,due
elementi inapparenza
inconciliabili.
Dunque
ilgoverno monarchico
costituzionale viene direttamente ispirato dalTideale della libertà; euna forma
libera di
governo
per costituzione, inquanto
creata dalla stessa"Dea
Libertà".Il parlare in termini positivi dell'Inghilterra s'identifica
con
l'elogiarne laforma
di governo, che è ciò che valorizza quella nazionee la distingue dalle altre europee, rendendolaveramente
libera\ Siveda
adesempio
il Sonetto XVIII:"Di
libertà maestrii Galli? Insegni/ Pria servaggio il Britanno; insegni pria/
Umiltade
l'Ispano (...)" (//Misogallo
264):dunque
ilpopolo
inglese è ilpopolo
libero per antonomasia, parlare degli inglesi significa parlare della libertà.Anche
il SonettoXLI
fa riferimento alla libertà degli inglesi:"Liberainnanzi, e libera più poscia/ Era, etuttora ell'c,
fanglica
gente:/ Gallia, all'incontro, che in mertata angoscia/Soggiacque
aun
soloRe
dianzi servente,/Or
sotto ai milleesanime
s'accoscia"(//Misogallo
405).L'idea della
monarchia
costituzionalecome forma
digoverno
auspicabile,secondo
alcuni critici, si affermerebbe in Alfieri inoccasione della Rivoluzione o negli anni subito precedenti ad essa. E'
quanto
ritiene, per esempio, ilBoni
(74 e segg.),secondo
il quale laRivoluzione, purnon avendo
creato dal nulla quell'ideale politico in Alfieri,ha
però portato in effetto alcuni atteggiamenti già "innuce"
nello scrittore.Ed
è ilcostituzionalismo della
"prima
Rivoluzione" a prospettare ad Alfieri la possibilità diuna
tale soluzione di incontro tra lamonarchia
e le leggi, tra l'autorità e la libertà.Quel
suo costituzionalismo apparirebbe per laprima
volta,secondo
ilBoni, nella tavoletta
Le mosche
e le api, essendo poianche
esaltatowQWOde a
Parigisbastigliatae approvatonella Vita.Mi
pare però chenon
vi sia in realtàun
grande divario tra gli ideali politici manifestati da Alfieri inDel
principe e delle lettere e in Della tirannide, daun
lato, e quelli manifestati successivamente ne//Misogallo
cosìcome anche ne Le mosche
e le api,
ncWOde a
Parigi sbastigliata o nella Vita, dall'altro.Ritengo che nelle
due
operemeno
recenti Altieri abbiasemplicemente
posto l'accento su concetti che lo interessavanomaggiormente
in quel periodo,ovvero
quello di tirannide o quello del rapporto chedeve
intercorrere tra il principe ed iletterati.
Ciò non
toglie chegiàda
alloraper Alfieri fossevalido e auspicabileun governo
monarchico-costituzionale, propriocome
losaràne//Misogallo.Francesca Leardini
University
of
California,Los Angeles
NOTE
' Per questo studio ho fatto riferimento all'edizione de // Misogallo contenuta in: V. Altieri, Scritti politici e morali. Voi. 3.
A
cura di C.Mazzotta.Asti:Casad'Altieri, 1984.
" In particolare, si cita dalla lettera"All'abate di Caluso" (in questa e nelleseguenticitazioni,i corsivisonomiei).
^ Il leone potrebbe rappresentare, secondo Mazzotta, sia l'Alfieri stesso, oppure il futuro popolo italiano, destinato a risorgere sotto lo
sprone della poesia alfieriana; un'altra interpretazione potrebbe essere quella che vede rappresentato nel leone il simbolo del "misogallisino francofobico".
CARTE ITALIANE
14"*
Ingenere rAHìeri parlasemprepositivamente deiringhilterra,anche
se,
come
si è visto, a volte anchegli inglesi sono esposti alle critiche: sivedaperesempioV
Epigramma XXI
Ie lanotarelativa, incui èdetto chegli inglesi si sonolasciaticorromperedallospirito delcommercioe dalla richezza da quello derivata. Altrove si afferma che gli inglesi si sono comportati a loro volta"da schiavi" in America, combattendo contro le colonieche volevano l'indipendenzadalla madrepatria. Ciònon intacca,
comunque, l'opinione positiva che Alfieri ha della monarchia costituzionale,daluiconsideratalaformamiglioredigoverno. Gliinglesi sonocriticatiquando nonpaionopiùessemedegni.
^Si veda quantoappena affermato circail Sonetto 111. incui è lastessa
"Dea Libertà" che mette insieme l'indipendenza e le leggi e che crea dunque la formadigoverno in cui la libertà di un popolocoesiste con le leggi.
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E donna san, cantra
ledonne
dico', ilcanzoniere
diIsabella
diMorra
Numerosi
studi sulla lirica delRinascimento hanno
propostouna
radicale rilettura del petrarchismo "al femminile": al contrario della criticapiù datata, che tradizionalmente liquida lavoce
liricafemminile
come un
esercizio di stileminore
intorno adun canone
congeniale alla sua natura "sentimentale", quella più recente individuavelate strategie sottostanti allasuperficiale imitazionedelcanzoniere-modello
petrarchesco, le quali sottintendonoun
tentativo di riscrittura,non
solo nel caso delle antipetrarchiste,ma
anche
in quello di autrici tradizionalmente considerate fedeli seguaci di Petrarca. Studiando leRime
diGaspara Stampa,
Fiora Bassanese ha preso occasione perdescrivere ilcanone
petrarchistacome una
costrizione impostaalladonna-poeta
rinascimentale, che aderisce aun canone
maschile inmancanza
di unmodello
femminile alternativo: considerata la critica maschile intorno allaStampa
(non ultima, quella crociana),Bassanese conclude
cheuna donna-
poeta, alla lucedi talecritica, è inevitabilmente considerata inferiore al suo modello, oppure, imitandolo eccessivamente,non
trovaun
suo spazio edeve
esprimersicon una voce
chenon
è lasua (47-48).
Ann
Rosalind Jones suggerisce inoltre l'inconciliabilità fra petrarchismo e autore-donna: ladonna-poeta
mette in discussioneun canone
stabilitoda un
autore e largamente praticato da autori uomini, sovvertendo l'ordine su cui la poesiad'amore
si fonda,un
ordine incui ladonna
èoggetto piuttostoche soggettod'amore
(136).CARTE ITALIANE
18Il
minuscolo
canzoniere di Isabella diMorra (comprendente
dieci sonetti e tre canzoni)
aggiunge un
importante contributo a questa discussione: il vissuto marginale della poetessa lucana influenza la natura particolare della sua poesia, che eredita dal petrarchismo soloT
aspetto superficiale, purconservando
profondi legamicon
il canzoniere-modello: tuttavia la sua opera, nonostanteT
impronta petrarchista, èun
prodotto cosi "altro"rispetto
anche
alla liricafemminile
circostante, da essere debitrice della petrosità diDante
piuttosto che dell'armonia del Petrarca,o da assumere
addirittura alcuni connotati che saranno propri delbarocco
e del romanticismo.Mi propongo
qui di evidenziare la posizione ambivalente della poesia di Isabella diMorra
nei confronti del subtesto petrarchesco per sottolineare, poi, il suo carattere antagonistanon
solo nei confronti del petrarchismo,ma anche
del petrarchismo ''alfemminile":
mi
riferirò, a questo scopo, soprattutto alla figura di Fortuna,che
nel canzonieremorriano
costituisce amio
giudizio laprova più evidente del tentativo di
una voce
poetica eccentrica ed isolatatantoda
trovareun
proprio spazio.Per ripercorrere l'itinerario poetico di Isabella di
Morra
occorre accennarebrevemente
allecomponenti
ambientali e storiche deltempo
in cui la poetessa visse, visto che ilmondo
esterno si riflette realisticamente nei versi del suo canzoniere
come
in un'autentica autobiografia in versi.
La
poesia della diMorra,
infatti,
impiega
senza esitazioni l'io lirico e autobiografico petrarchesco, infrangendo inmaniera
sistematica i confini tra lirica e autobiografia: PaolaMalpezzi
Price parla dellavita di Isabella diMorra come
diun
pre-testo della sua poesia (147) in cui affiorano le invettive contro Carlo V, responsabile della sua separazione dal padre(esiliato allacorte di I-rancia), l'elogio di Francesco 1, Vallo re nel quale viene riposta la speranza di sottrarsi al suo triste destino, iltema
dell'abbandono e dell'attesa del padre lontano, lo squallore del luogoin cui fu costrettaa trascorrere lasua breve vita (Favale, in Basilicata) e l'incomprensione della gente irrazional.priva d'ingegno insensibile al suo spirito artistico.
Fu appunto
inquesta atmosfera
opprimente
che la diMorra
trovò, giovanissima,la morte, massacrata dai fratelli
dopo
la scoperta della sua corrispondenza epistolarecon Diego Sandoval
di Castro,gentiluomo
epoeta spagnolo.In tutti e tredici i
componimenti
del suo canzoniere, la diMorra
sipropone
inprima
persona, sicché, nonostante l'esiguità della raccolta, si intravedono, oltrea quello autobiografico, precisi temi che loconducono
in atmosfera petrarchesca: individualismo, onnipresenza ed esibizionismo dell'io lirico, desiderio di fama, oltread aspetti settorialmentestilisticiche avvicinano ladiMorra
a Petrarca e ai petrarchisti. Fra i tratti stilistici più ricorrentisono da
registrare l'uso disinvolto e ricorrente
dcW enjamhement, che
avvicina la diMorra
al DellaCasa
(Caserta 104) e lamole
di rimandi petrarcheschi (spesso veri e propri calchi lessicali, sintattici e stilistici) individuatida Ruggiero
Stefanelli.Da
sottolineare, poi,
come
il canzoniere della diMorra
presentianche
la suddivisione petrarchesca in
due
stagioni poetiche distinte e contrapposte: laprima
segnata dalla sofferenza e dal rifiuto assoluto della propria condizione, laseconda
(a partire da sonetto XI) illuminata dallaredenzione.Sembrerebbe dunque
di trovarci di fronte al poetare disciplinato di un'osservante petrarchista, nonostante il tono radicalmente diversodel sonetto introduttivo deiRerum
vulgariiimfragmenta
rispetto alprimo
sonetto mon'iano, nel quale la diMorra
si inserisceimmediatamente
nella generale attività del"lamentarsi"petrarchesco:
1fieriassalti dicrudelFortuna scrivo,piangendo lamiaverdeetate,
me
che'nsìviliedorridecontrade spendoilmio temposenzaloda alcuna.Ma
a parte questa decisa coincidenza,sono
evidentianche
alcunitratti innovativi.
Manca
intanto nella diMorra
quella naturaesemplare, didattica e moraleggiante profusi nel sonetto iniziale di Petrarca,
mentre
alla celebrazione diun
io lirico/biografico,CARTE ITALIANE
20rivelata dalla ridondanza del
pronome
personale "io"(un'anticipazione di quella ricorrenza quasi ossessiva nel corso di tutto il
Canzoniere
petrarchesco), corrispondeun
io poetico e biografico circoscritto dalla suamodesta
e (per parafrasare)"orrida" realtà, che le
impone una
poesia sterile,non
diretta verso l'esterno.La
diMorra
è infatticonsapevole non
solo della propria condizione marginale,ma
soprattutto del fattoche
il suo poetare è privo di "loda alcuna"; e alTesibizionismo del Petrarcaoppone
lapropria introversione. Tuttavia, il sonetto iniziale della di
Morra
verrà poi
clamorosamente
smentitoda
un'iterazione individualistica dellaprima
persona che pervade l'intero, brevissimo canzoniere.Anche
nel defmire l'insieme dei suoi testi poetici, la diMorra
ricorre aun
ambivalente attacco aulodenigratorio: al "vario stilo" di Petrarca, alla sua capacità di variare il tono e l'argomento lirico, corrisponde lapresentazione diun argomento
poeticomonocorde
("I fieri assalti di crudel Fortuna"), e la presenzadi Fortunaè, in effetti,cosìopprimente
nel canzonieremorriano
da farla considerarecome una
variante diuno
stesso tema.Contemporaneamente, non
sipuò
negarecome
ilcanzoniere, soprattutto in rapporto alla sua esiguità, mostri
anche una
varietà di destinatari a cui l'io lirico direttamente si rivolge (ilpadre, ilre di Francia, il fratello, il poeta Luigi
Alemanni,
Cristo, ilfiume
Siri, la "valle inferna", i "minati sassi",Giunone,
la Vergine e soprattutto Fortuna) eun
susseguirsi di temi (l'abbandono, l'attesa, l'ineluttabilità della sorte, la solitudine, labramosia
di fama, il senso della natura, il pentimento, la rassegnazione) che invitanoaduna
valutazionemolto
più benevola.La
strategia della diMorra sembrerebbe
ricalcare quella cheBassanese
attribuisce aGaspara Stampa:
la di Morra,come
laStampa,
cerca il cosi detto spazio dell' "inferiorità" (Bassanese 48), riconoscendo lapropria inadeguatezza alcanone
che si sforza di imitare, nel tentativo di circoscrivere un Icnitorioautonomo
d'espressione. Il
primo
sonetto della diMorra
introduce peròdue
elementi notevoli e consequenziali: l'argomento principale dellasua poetica, ossia Fortuna, e il fatto che il suo canzoniere
non
sipropone,quindi,
come un
canzoniere d'amore.Nove componimenti
poetici su tredici, quelli che costituiscono laprima
sezione del canzoniere morriano,hanno
infatti
come motivo dominante
la crudeltà di Fortuna:anche
nei sonetti a leinon
esplicitamente dedicati o in quelli in cuiFortuna non
ricopreun
ruolo centrale, essa ècomunque
presente sullo sfondo.Ad
esempio, nel sonetto IH, dedicato al padre.Fortuna
apparecome
la responsabilenon
solo del destino di Isabellama
anche di quello del genitore; nel sonetto
IV
dedicato auna donna
misteriosa(la "vermiglia
Rosa")
ci si augura che l'intervento della misteriosa signora contribuisca a migliorare le condizioni di vita della poetessa"malgrado
de l'acerba e cruda Diva"; nel sonetto VII, che si aprecon
un'invocazione alla natura circostante ilcastello delladi Morra, si attribuisceallavolubile
Fortuna
lacausa della "dogliaetema"
dell'io lirico; nel sonetto VIII, dedicato alfiume Siri,
Fortuna
ricompare ("a che pensar m'adduci, o fiera stella"), fino ad arrivare allacanzone
X, che costituisce l'apoteosi poetica di Fortuna: un'interacanzone
a lei dedicata in cui si illustra dettagliatamente la persecuzione attuata nei confronti della poetessa"cominciando
dal latte edallacuna".La
scelta diFortuna come
incontestata protagonista del canzoniere stabilisceun
nuovo,momentaneo legame con
Petrarca, vista la notevole presenza di questa personificazioneanche
neiRerum vulgarium fragmenta
. Tuttavia,come
nota Adler, si tratta anchequi di un'analogia debole e inversa: seFortuna
in Petrarca è senz'altromeno
centrale, sitratta peròdiuna
figurapiù complessa;nella di Morra, al contrario, la funzione di
Fortuna
è esclusivamenteuna
funzione persecutoria(205-206).La monotona
attività di tormento che, a detta dell'io poetico.Fortuna
attuacontinuamente
nel corso dellaprima
parte del canzonieremorriano
è innegabile; tuttaviaFortuna
è tutt'altro che una figura univoca costituendone, piuttosto, l'invenzione poetica più originale, quella che permetteuna
lettura diversa rispetto alcanone
petrarchesco: inun
canzoniere in cui l'oggettod'amore
èCARTE ITALIANE
22inesistente.
Fortuna
rappresenta ilmaggior punto
di riferimento dell'io poetico, quello chemuove
la poesia e intorno al quale si articola il susseguirsi cronologico deiframmenti
diuna
storia.Fortuna, figura
umanizzata
e femminile, sposta così la poesiamoniana
nel territorio della poesia petrarchesca "al maschile": nel canzoniere della diMorra convivono un
soggetto liricofemminile
eun
referente poetico femminile, al quale incessantemente ci sirivolge.
L'identificazione di
Fortuna con una
figurafemminile
naturalmentenon
sorprende:Hanna
Fenichel Pitkinha
recentemente delineatouna
storia della figura diFortuna con
riferimenti alle figura/ioni iconografiche "alfemminile"
delladea
attraverso i secoli. Interessante è casomai
la scelta regressiva della di Morra: laFortuna
a cui ripetutamentesono
dedicate le sue rime, esplicitamente definita "cieca" nel sonetto di apertura, siallontana dalla più ottimistica visione della
Fortuna
rinascimentale e ritorna a designareuna
forza oscura e incontrollabile di naturapagana
o medievale,segno
ulteriore della natura spesso anacronistica dellasua esperienza lirica.Il sonetto
Vir
dimostra la personalissima appropriazione diFortuna da
parte della diMorra
e il suo utilizzo inun quadro
petrarchesco. Il sonetto èuna cupa
celebrazione della natura, in cui,nonostante l'atmosfera dantesca, ladiMorra non abbandona
iltradizionaletesto-guida nel tentativo di cantare lasua stranaLaura:
è Fortuna, infatti, nella sua volubilità, {Fortuna,
che mai
salda si stassi) adeformare
i connotati della naturae, ancora sulla linea del Petrarca, a farscaturireun
invitoalla natura apartecipare al doloredi chi la stapoeticamente descrivendo {/Piangetemeco). Situazione analoga, dunque, ai
Rerum vu/garium fragmenta
in cui la naturarifictte
sempre
Laura,come
ricordaanche
Adler: alla bellaforma
terrena diLaura
corrispondeuna
natura idillica e armoniosa,quando
invece l'attenzione si concentra sui tormentid'amore
provocati da Laura, leimmagini
della naturatendono
a deteriorarsi.(208)Porre al centro della propria poesia
una
figurafemminile
dalle fattezze così anticonformiste e la celebrazione al negativo, contro Fortuna,provoca
inevitabilmente, nella di Morra, alcune marcate deviazioni dal canone. Il sonetto VI, ad esempio, pare essere un'occasione di totale rifiuto del petrarchismo se,come
sidice nei versi iniziali
(Fortuna che
sollevi in alto stato/ogni depresso ingegno, ogni viicore), la stranaLaura
delladiMorra
hala capacità di sollevare ingegni vili e di bassa natura.
La
consapevolezza nella diMorra
della propria azione di insubordinazionepoetica in questo sonetto è notataanche
da PaolaMalpezzi
Price, che individua nel verso e spesso grido colmio
rozzo inchiostro l'indicazione della distanza dallo stileconvenzionale del
tempo
(153). Gabriele Niccoli,sempre
a proposilo del "rozzo inchiostro" della diMorra
contrapposto al ''ben purgato inchiosto" del poetaAlemanni
a cui è dedicato ilsonetto V, parla apertamente, a proposito della scrittura della di Morra, di"act
of
subversion totheestablished orderof
civil (male) discourse" (165).La mia
convinzione è, tuttavia, che le inversioni di questo stil ruvido e frale(come
viene definito altrove dalla stessa di Morra), siano interpretabili piuttostocome una
sottintesa incapacità di aderire a quelcanone
per inferiorità,con
l'uso diun
fuorviante "lessico di fallimento" (quello stesso "lessico di fallimento"cheBassanese
attribuisceaGaspara Stampa;
49).Il canzoniere
morriano non
tenta, quindi, di sovvertire quantodi sovrapporsi alCanzoniere
petrarchescoe di superarlo: la scrittura della diMorra
èuna
scrittura intorno auna
figura femminile anticonvenzionaleda
parte di un io lirico femminile che utilizzaun canone
maschilecon
l'intenzione di espanderne i confini. Solocon
il sonettoXI
si inizia acomprendere
fino a che punto Isabella diMorra
spinga la competizione del proprio verso con quello petrarchesco ecome
la sua raccolta, purcon
tratti spesso modificati e a voltepoco
riconoscibili, si sia proposta, fino aquel punto,come un aher ego
poetico del testomodello.Si apre,