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Salsa Fatalee Ortopiccante

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Academic year: 2022

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Salsa Fatalee Ortopiccante

Questa salsa nasce qualche anno fa da un’idea di un carissimo amico svizzero di nome Mich. Ho fatto delle variazioni dei pesi e ingredienti alla ricetta originale rivisitandola, ma mantenendo come base fatalii, peperoni e ananas . Ingradienti:

1 kg di peperoni gialli 650 gr carote

500 gr di Fatalii maturi 700 gr ananas

400 gr cipolla rossa 200 gr scalogno 500 ml aceto di mele 200 ml olio EVO

2 cucchiaini di pepe nero macinato 6 cucchiai di zucchero di canna Succo di due limoni

400 ml di aceto balsamico 1 rametto di rosmarino sale q.b.

Preparazione:

Fare soffriggere nell’olio EVO lo scalogno, le cipolle lavate e tagliate a pezzi con un rametto di rosmarino. Aggiungere le carote e continuare la cottura.

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Lavare aprire e privare della placenta i peperoni gialli e successivamente tagliarli a piccoli pezzi

Una volta appassite le cipolle, lo scalogno e diventate morbide le carote, aggiungere i peperoni e il succo di limone cuocere per una decina di minuti.

Aggiungere l’ananas tagliato a pezzi anch’esso,lo zucchero di canna, l’aceto di mele, 1 cucchiaino colmo di sale e cuocere per altri 30 minuti mescolando ogni tanto.

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Una volta che tutti gli ingredienti saranno cotti, e quindi diventati morbidi, frullare con frullatore ad immersione l’intera massa.

Questo e il momento di aggiustare di sale qualora manchi, perchè

successivamente verranno introdotti i Fatalii e la percezione di sapidità potrebbe essere falsata dalla piccantezza.

Lavare e privare dei piccioli i fatalii, e tritarli con un tritaverdure elettrico. I semi potete lasciarli, se non vi servono per la semina

successiva , tanto poi la salsa verrà setacciata e quindi verranno via con minor perdita di tempo.

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Aggiungete i Fatalii tritati nella pentola con la massa in cottura.

Mescolate e proseguite la cottura per altri 30 minuti.

Una volta terminata la cottura lasciare raffreddare (Io la lascio “maturare”

24 ore in pentola così oltre a raffreddarsi si uniformano i sapori).

Setacciare con un setaccio o un colino e rimettere in pentola. Riportare ad ebollizione e aggiungere 400 ml di aceto balsamico e mescolare.

Preparare i vasetti lavati e asciugati con tappi tipo clik-clak NUOVI , invasare a caldo la salsa, chiudere immediatamente i vasetti.

Una volta raffreddati pastorizzare. Eseguire la pastorizzazione in pentola con acqua, e far cuocere per almeno 40 minuti dall’inizio dell’ebollizione.

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Spegnere il fuoco e far raffreddare. Togliere i vasetti dall’acqua

controllare l’avvenuto sottovuoto, asciugarli e riporli in luogo fresco e asciutto fino al momento del consumo.

Marmellata di Zucca Piccante

Questa non è una vera e propria ricetta di cucina, ma un “condimento” diverso per antipasti e stuzzichini diversi……

Si accompagna bene in maniera particolare a formaggi stagionati e saporiti.

La preparazione è un po’ laboriosa, ma solo perché, avendo a che fare con lo zucchero io preferisco girarlo in continuazione per non farlo attaccare.

Ingredienti:

600 gr di Zucca Gialla ( la si trova già porzionata, se è di più o di meno aumentate o diminuite lo zucchero)

400 gr di zucchero

1 limone (sia spremuto che la buccia grattugiata)

Cannella 1 pizzico ( non me dite a quanto corrisponde, fate a piacere senza esagerare)

Peperoncino in polvere mezzo cucchiaino da caffè (potete usare qualsiasi peperoncino e una dose maggiore se siete abituati) .

Preparazione:

Prendiamo la zucca e togliamo completamente la buccia ed i filamenti , poi tagliamola a cubetti dello spessore max di 1cm (più si riesce a farli piccoli meglio è); mettiamola poi in una casseruola spremiamoci il limone e

grattugiamone la buccia, aggiungere la cannella e metà dello zucchero, mescoliamo bene e lasciamo a macerare per ALMENO 12 ore anche in frigo.

Schiacciare con una forchetta grossolanamente i cubetti e mettere in cottura a fuoco basso ed aggiungere lo zucchero restante, mescolando frequentemente, aggiungere il peperoncino e continuare a mescolare, appena il composto inizia a diventare cremoso, frullare il tutto con un mixer in modo da triturare completamente tutti i cubetti e continuare la cottura per 10-15 minuti.

Nel frattempo avremmo pulito e possibilmente bollito alcuni vasetti in vetro, devono essere ben asciutti, a cottura finita, con il composto ancora caldo, iniziare a metterlo nei vasetti una prima cucchiaiata per scaldare il vasetto poi riempirli fino sotto il bordo, pulire bene da eventuali sgocciolamenti e

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chiudere il coperchio, capovolgere e lasciare freddare in questa posizione ( in modo da creare il vuoto d‘aria).

Questa ricetta l’ho realizzata più volte nell’arco degli anni ed è veramente eccellente, la trovai anni fa su un forum di cui non ricordo il nome, se qualcuno lo trova me lo comunichi che aggiungo la fonte. Grazie!

Focaccia Multicereali con Cipolle rosse

Ingredienti:

Biga (da impastare 5-8h prima dell’impasto finale) Lievito di birra fresco 6gr

Acqua 80gr

2 cucchiaini di miele Farina Multicereali 160gr Impasto finale:

Biga

Acqua 140gr

Patata lessa (stracotta e ben passata) 100gr Farina Multicereali o cmq una farina 0 220gr Sale 15gr

Salamoia:

65gr olio EVO 65gr acqua tiepida 10gr sale

Impastare in sequenza la biga spezzettata e sciolta nell’acqua, la patata lessa, il sale, la farina .

Non lasciatevi ingannare dall’idratazione relativamente “bassa”, le patate

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lesse includono acqua.

Eventualmente partite con meno acqua e aggiungetela a filo se ce n’è bisogno ma senza perdere l’incordatura. Se l’incordatura dovesse dare dei problemi, meglio aggiungere una manciata di farina .

Dopo circa 2 h potrete stendere l’impasto sul banco spolverato di

abbondante farina di semola che darà un aspetto più rustico e aumenterà la croccantezza.

Nel frattempo ungete ABBONDANTEMENTE di olio evo la teglia che ospiterà la focaccia.

Come si fa per la stesura della pizza in teglia, una volta allargato l’impasto all’80-90% della

dimensione della teglia, lo si porta sugli avambracci, scrollando un po’ la farina e lo si dispone sulla superficie della teglia.

Non preoccupatevi se non è perfettamente grande come la teglia, meglio un impasto ridotto che steso troppo .

Ungete con olio EVO la superficie dell’impasto con il palmo della mano oun pennello di silicone e ponete nel forno domestico pre-riscaldato con la sola luce accesa (circa 28-30°).

Passata 1 h estraete la focaccia dal forno e conditela con le cipolle precedentemente tagliate e mescolate con un po’ di olio e sale.

Reinserite nel forno per 1 h

Passata l’ora estrarre e fare i buchi con le dita, delicati ma ben decisi.

A questo punto prendete gli ingredienti per la salamoia e emulsionateli con una frusta e successivamente distribuitela su tutta la superficie della focaccia, dovrete coprire ALMENO tutti i buchi fatti in precedenza.

A questo punto siete pronti ad infornare…250° C posizionando la teglia a ¼ di altezza partendo dal basso, almeno per i primi 15minuti. Se poi verso la fine si nota che la parte superiore fatica a prendere colore, si può spostare la teglia a mezza altezza.

Appena cotta estraetela dalla teglia e adagiatela su di una griglia per farla raffreddare.

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Se volete una focaccia più “croccante”, tenetela in forno per qualche minuto in più, stando attenti al grado di cottura.

Fatemi sapere, se la realizzerete, come vi è venuta o chiedete pure se avete dei problemi.

Suggerimenti & Consigli

In questo post potete interagire dandomi suggerimenti e consigli su cosa potrei integrare o migliorare in questo blog appena nato. Ringrazio anticipatamente a chi collaborerà.

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Jalapenho Corn

Jalapeño CORN Ingredienti : Jalapenho

Ingredienti PER LA pastella Farina di mais 150g

Farina tipo00 65g Uova 1

Latte fresco200g Bicarbonato 5g

Zucchero semolato15g Paprika dolce 1g Sale 4 g

Per il ripieno:

Prosciutto cotto Mozzarella

Preparazione

Per preparare i Jalapeño corn iniziate dalla preparazione della pastella. In una ciotola capiente versate la farina di mais e la farina 00. Unite anche il sale e lo zucchero.

Poi versate il bicarbonato e la paprika. Ora prendete una frusta a mano e cominciate ad amalgamare gli ingredienti mentre unite poco alla volta il latte a temperatura ambiente.

Aggiungete un uovo e continuate a frustare fino ad ottenere un composto privo di grumi ed abbastanza denso. Versate la pastella in un recipiente cilindrico dai bordi alti e tenetela da parte.

Tagliate a striscioline o dadini il prosciutto cotto e unite la mozzarella tagliata a dadini. Una volta svuotati gli Jalapeño procedete a riempirli con questo composto con l’utilizzo di un cucchiaino o con le mani.

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Infilzate la parte non tagliata dello Jalapeño con lo spiedino o le stecche tipo ghiaccioli (le trovate su Amazon) . Ripetete l’operazione per tutti i peperoncini . Quindi passateli nella farina avendo cura di ricoprire

interamente la superficie e poi immergetelo nella pastella precedentemente preparata . Lasciate scolare leggermente la pastella in eccesso,e immergeteli uno per volta nell’olio di semi , precedentemente scaldato e portato alla temperatura di 170° (aiutatevi con un termometro da cucina per raggiungere la temperatura esatta) .

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Friggete ciascun pezzo per circa 3-4 minuti fino a quando non sarà ben dorato. Posizionate i Jalapeño corn su un foglio di carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso, quindi serviteli ancora caldi. Io li ho realizzati anche con un ripieno di carne trita di manzo e cipolla fatti andare come si il chili, ma senza sugo.

Vi lascio liberi di darmi nuovi suggerimenti per il ripieno. Bene ora odiatemi pure

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Guida alla coltivazione user frendly

Per cominciare a muovere i primi passi nella coltivazione del peperoncino piccante, cosa c’è di meglio di una guida user frendly scritta da un grandissimo amico e appassionato di peperoncini?

La risposta è niente ! Quella che vi linko di seguito è una guida, in formato pdf, per il peppercoltivatore neofita scritta da Adriano Campoli, amico e socio AISPES.

Guida al peppercoltivatore di razza Buona lettura!

Fare le Auxine in casa

L’auxina esercita una vasta gamma di effetti sull’accrescimento e sulla morfogenesi vegetale, già Darwin nel 1800 ne aveva avuto la

prova della loro esistenza, grazie ai suoi esperimenti incentrati principalmente sulla dominanza apicale.

Qui vorrei porre l’attenzione solo su alcuni di essi ed in particolare:

Stimolazione della distensione cellulare in fusti e coleoptili

Aumento dell’estensibilità della parete cellulare nei coleoptili e nei giovani fusti in via di sviluppo

Regolazione dell’accrescimento nelle radici e nelle foglie

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Regolazione dello sviluppo dei frutti

Girando in rete ho trovato un po’ di materiale (in lingua spagnola) su come prodursi in casa un ‘ormone radicante’ a partire dalle lenticchie.

In sostanza si prende 1 tazza di lenticchie secche e si mettono in ammollo con 4 tazze di acqua non clorata.

È importante rispettare questa proporzione lenticchie/acqua per avere una buona percentuale di germinazione.

Lasciare a bagno pe 7/8 ore poi scolare sommariamente l’acqua e conservarla in frigorifero per non farla marcire.

Si copre il vaso con le lenticchie per tenerlo al buio e lo riponiamo in un luogo caldo.

Dopo 3 giorni la maggior parte di esse saranno germinate e con una radichetta di qualche centimetro.

In questa fase le lenticchie produrranno molte auxine, essenziali affinché possa avvenire l’accrescimento della pianta. Riaggiungiamo l’acqua scolata e attendiamo ancora un giorno, quindi andremo a sfruttare le auxine che si sono naturalmente formate. Dobbiamo quindi frullare le lenticchie germinate insieme all’acqua in cui sono immerse e poi andremo a filtrare il composto.

Quello che otterremo è una sorta di ‘latte’ pieno di auxine. Il liquido può essere diluito 1 a 3 o 1 a 5 con acqua e usato come ormone radicante per fare le talee.

Ora però dalla teoria sappiamo che le auxine non servono solo per far mettere le radici alle talee ma come detto sopra, tra le altre funzioni, svolgono anche quella di accrescimento della pianta e dei suoi frutti. Diciamo che è l’equivalente, per certi aspetti, dell’ormone della crescita umano.

Per cui non mi sono accontentato di usarlo come radicante, ma diluendolo 1 a 5 o 1 a 10 sempre con acqua, l’ho usato come stimolante della crescita. In particolare diluita 1 a 10 per via fogliare ( possibilmente dato sulla pagina inferiore delle foglie che assorbono un 40% in più rispetto alla pagina

superiore) invece la diluzione 1 a 5 è più indicata per darlo in fertirrigazione una volta ogni 15-20 giorni.

I risultati sono stati straordinari, l’ho usato mentre le piante stavano mettendo i fiori e mi ritrovo con molti pomodori che presentano fiori doppi, indice di produzioni abbondanti. L’unico consiglio è rispettare le dosi e se si usa la strategia fogliare, far si che l’irrorazione avvenga verso il tramonto in modo che le foglie non patiscano poi i raggi diretti del sole forte.

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Concetti di Ibridazione

L’ibridazione è la tecnica, per il miglioramento delle specie, molto utilizzata sia nel giardinaggio orticolo, sia fiorifero.

Si tratta di procurare un’impollinazione artificiale tra soggetti della medesima o differente specie, ottenendo cultivar nuove, con caratteri diversi, in genere migliorativi rispetto ai genitori.

L’ibridazione, è effettuata manualmente, strofinando l’organo maschile del fiore sull’organo femminile dell’altro fiore, che si vuole ibridare.

Il risultato è molto imprevedibile, i semi e poi le future piante, avranno i geni di entrambi i fiori/genitori.

La genetica delle piante è complessa, perché hanno nel loro bagaglio, DNA, svariati geni, che ne caratterizza, il profumo, il numero dei petali, il colore e la robustezza ecc.

Ci sono caratteri dominanti e caratteri remissivi, quindi non essendo visibili, è molto difficile prevedere.

Tutte le piante, possono essere diploidi (che hanno un DNA ereditato da entrambi i genitori) o tetraploidi (che hanno un corredo genetico doppio).

Le piante che sono già state soggette a molte ibridazioni (tipo le rose moderne), sono tetraploidi con un bagaglio di DNA, già variato, doppio e complesso, il risultato, in questo caso, è imprevedibile, sia per l’eventuale colore, profumo ecc.

Vista l’imprevedibilità dell’ibridazione, ci vogliono prove, e anni, per ottenere una particolare cultivar, desiderata.

In natura l’Ibridazione di piante, avviene attraverso meccanismi diversi.

Sono gli insetti impollinatori e il vento, a impollinare i fiori.

La Legge di Mendel

L’origine dell’ibridazione risale alle ricerche fatte da Gregor Johann Mendel.

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Attraverso la sperimentazione, su ibridazione vegetali (pisello), Mendel ha scoperto che un tratto ereditario sarebbe essere, sempre dominante, per la sua alternatività recessiva.

Cominciò i suoi esperimenti dividendo, le piante in due gruppi:

-piante con fiore rosso;

-piante con fiore bianco;

-piante con seme verde;

-piante a seme giallo.

In seguito si dedicò alla riproduzione delle piante, procedendo all’impollinare il fiore.

Prese il polline da un fiore e lo spolverò, sul pistillo del fiore di un’altra pianta, per fecondarlo, poi copriva il fiore da fecondare, con un cartoccio, per evitare che altro polline potesse raggiungerlo.

Mendel, incrociando due individui di razze pure che si differenziavano, per un dato carattere o una sola coppia di alleli, ha ottenuto, nella prima generazione, discendenti ibridi, con caratteristiche omogenee rispetto al carattere in questione.

Notò che uno dei caratteri antagonisti scomparse completamente, senza lasciare traccia.

Questo carattere e altri dello stesso tipo sono detti recessivi, mentre quelli che determinano il fenotipo della pianta prendono il nome

di dominanti.

Legge della dominanza (o legge dell’omogeneità di fenotipo)

-gli individui nati dall’incrocio tra due individui omozigoti che differiscono per una coppia allelica, avranno il fenotipo dato dall’allele dominante.

Con significato più ampio rispetto al lavoro di Mendel, può essere enunciata come legge dell’uniformità degli ibridi di prima generazione.

Rincrociando, a sua volta la prima generazione, scoprì che il carattere scomparso, si ripresentò.

Legge della segregazione (o legge della disgiunzione).

-ogni individuo possiede due fattori per ogni coppia di alleli, uno paterno e uno materno. Quando si formano i gameti, i fattori si dividono e ogni gamete possiede uno solo dei fattori.

Mendel, spiegò questo fatto, asserendo, che i caratteri ereditari, sono

sempre determinati da una coppia di fattori distinti, ciascuno dei quali sono ereditati da uno dei genitori.

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I due geni di una coppia possono essere uguali (nel qual caso gli organismi danno origine a discendenti puri), e l’organismo è detto omozigote per quel particolare carattere.

Nel caso siano diversi, l’organismo è detto eterozigote, (gli organismi, danno origine a discendenti non puri).

I gameti contengono i geni, ma ogni gamete possiede solo uno dei due possibili alleli per ogni carattere.

Quando due gameti si combinano, gli alleli sono presenti nello zigote nuovamente in coppie.

Un allele può essere dominante rispetto a un altro allele, in tal caso l’organismo mostrerà nel suo aspetto esterno, cioè nel suo fenotipo, il carattere proprio dell’allele dominante, anche se nel suo corredo genetico, o genotipo, ciascuno dei due alleli continua ad esistere indipendente e distinto anche se non è visibile.

L’allele recessivo si separerà poi dal compagno dominante durante la formazione dei gameti, nel processo meiotico.

Legge dell’assortimento indipendente (o legge d’indipendenza dei caratteri) -gli alleli, posti su cromosomi non omologhi, si distribuiscono in modo casuale nei gameti.

Ciò implica che le probabilità e quindi, nei grandi numeri, le frequenze di ogni combinazione di genotipi o fenotipi sono il prodotto delle probabilità, di quelli per ogni carattere.

Mendel selezionò alcuni caratteri come il colore dei fiori e ne individuò la linea pura.

Il lavoro di Mendel ha ricevuto poca attenzione da parte della comunità scientifica dell’epoca, ed è stato in gran parte dimenticato.

Solo nel 20° secolo, che il lavoro di Mendel è stato riscoperto e le sue idee utilizzate per contribuire a formare la sintesi moderna.

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Impariamo a Fertilizzare

Tratto dal libro “Il mondo delle orchidee” di Dorothy Morgan nozioni importanti per tutte le piante e concetti base di fertilizzazione.

Nella coltivazione usiamo spesso i fertilizzanti, nella speranza di ottenere piante più rigogliose. Ma di norma non sappiamo perchè fertilizziamo, se è davvero utile fertilizzare e spesso non sappiamo neppure cosa stiamo usando come fertilizzante e la sua reale composizione. Questi fertilizzanti hanno una sigla (N.K.P.), per molti di noi misteriosa.

Cos’è la nutrizione delle piante?

Le piante usano minerali inorganici per la nutrizione, sia che crescano in natura che in un vaso. Complesse interazioni, coinvolgenti la disgrezione delle rocce legata al tempo, la decomposizione del materiale organico,

l’attività di animali e microbi, formano i minerali inorganici nel suolo. Le radici assorbono i nutrienti minerali come ioni nell’acqua del suolo. Molti fattori influenzano la captazione nutriva per le piante. Gli ioni possono essere rapidamente disponibili per le radici o possono essere legati da altri elementi o dal suolo stesso. Suoli troppo alti nel pH (alcalini) o troppo bassi (acidi) rendono indisponibili i minerali alla pianta.

Fertilità o nutrizione

Il termine “fertilità” si riferisce all’intrinseca capacità del suolo a supplire i nutrienti alle piante in adeguate quantità ed in appropriate proporzioni.

Il termine “nutrizione” si riferisce ai passi interconnessi coi quali un organismo vivente assimila cibo e lo usa per la crescita e per il ricambio dei tessuti. In precedenza, la crescita delle piante era pensata in termini di fertilità del suolo o di quanto fertilizzante dovesse essere aggiunto per aumentare i livelli del suolo in elementi minerali. L’uso di substrati senza suolo e le aumentate ricerche sulle culture nutrienti ed idroponiche, come pure l’avanzare delle analisi dei tessuti delle piante, hanno portato ad una più larga comprensione della nutrizione delle piante. Nutrizione delle piante è un termine che tiene conto dell’interrelazione degli elementi minerali nel suolo o nelle soluzioni senza suolo, come il loro ruolo nella crescita delle piante. Queste interrelazioni coinvolgono un complesso equilibrio di elementi minerali essenziali e benefici per un’ottimale crescita della pianta.

Essenziale o benefico

Il termine elemento minerale essenziale ( o nutriente minerale) fu proposto da Arnon e Stout ( 1939). Essi concludevano che tre criteri devono essere incontrati affinchè un elemento possa essere considerato essenziale. Questi criteri sono:

Una pianta deve essere incapace di completare il suo ciclo vitale in 1.

assenza di quell’elemento minerale.

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La funzione dell’elemento non può essere rimpiazzata da un altro 2.

elemento minerale.

L’elemento deve essere direttamente coinvolto nel metabolismo della 3.

pianta.

Questi criteri sono linee guida importanti per la nutrizione delle piante, ma escludono gli elementi minerali benefici. Gli elementi benefici sono quelli che possono compensare gli effetti tossici di altri elementi o possono

rimpiazzare nutrienti minerali in qualche altra funzione meno specifica, come il mantenimento della pressione osmotica. L’omissione di nutrienti benefici in prodotti commerciali può significare che le piante non vengano cresciute al loro potenziale genetico ottimale, ma siano meramente prodotte ad un livello di sussistenza.

Questa discussione sulla nutrizione delle piante include sia gli elementi minerali essenziali che quelli benefici.

Cosa sono gli elementi minerali?

Attualmente 20 elementi minerali sono considerati necessari oppure benefici per la crescita della pianta. Carbone (C), idrogeno (H), ed ossigeno (O) sono forniti dall’aria. I sei macronutrienti, azoto (N), fosforo (P), potassio (K), calcio (Ca), magnesio (Mg), e zolfo (S) sono richiesti in grande

quantità dalla pianta. Il resto degli elementi è richiesto invece in tracce ( micronutrienti). Elementi traccia essenziali includono boro (B), cloro (Cl), rame (Cu), ferro (Fe), manganese (Mn), sodio (Na), zinco (Zn), molibdeno (Mo), e nickel (Ni). Elementi traccia benefici includono silicio (Si) e cobalto (Co). Gli elementi benefici non vengono giudicati essenziali per tutte le piante, ma possono esserlo per alcune. La distinzione tra benefico ed essenziale è spesso difficile nel caso di alcuni elementi traccia. Il cobalto per esempio è essenziale per la fissazione dell’azoto nei legumi. Può anche inibire la formazione di etilene ed estendere la vita delle rose

recise. Il silicio, depositato nelle pareti cellulari, incrementa la

resistenza al calore ed alla siccità ed aumenta la resistenza agli insetti ed alle infezioni fungine. Il silicio, agendo come elemento benefico, può

aiutare a compensare livelli tossici di manganese, ferro, fosforo ed

alluminio, come pure la deficenza di zinco. Un più olistico approccio alla nutrizione delle piante non dovrebbe essere limitata ai nutrienti essenziali, ma dovrebbe includere elementi minerali a livelli benefici per ottenere una crescita ottimale. Con lo sviluppo della chimica analitica e l’abilità di eliminare contaminanti nelle culture nutrienti, la lista degli elementi essenziali potrebbe aumentare nel futuro.

Gli elementi minerali nella produzione di piante

L’uso di suolo per la produzione in serra era comune prima del 1960. Oggi pochi coltivatori usano ancora suolo nei loro substrati. Il grosso della produzione è in substrati senza suolo. I substrati senza suolo devono

provvedere supporto, aerazione, nutrienti e ritenzione di umidità come fà il suolo, ma l’aggiunta di fertilizzanti o nutrienti è differente. Molti misti senza suolo hanno magnesio, fosforo, zolfo, azoto, potassio ed alcuni

micronutrienti incorporati come fertilizzanti pre-impianto. Azoto e potassio devono comunque essere applicati al raccolto durante la produzione.

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Difficoltà nell’ottenere un misto omogeneo usando fertilizzanti pre-impianto può spesso risultare in un incostante raccolto ed in un possibile livello di nutrienti tossici o deficienti. Substrati senza suolo, che richiedano

addizione di micro e macro-nutrienti applicati come liquido durante la

crescita del raccolto, possono attualmente dare al coltivatore più controllo del suo raccolto. Per raggiungere la massima produzione, il coltivatore può aggiustare i livelli di nutrienti per compensare altri fattori ambientali durante la stagione di crescita. L’assorbimento degli ioni minerali è dipendente da un numero di fattori oltre che dalle condizioni del tempo.

Questo include la capacità di scambio cationico o CEC ( Cation Exchange Capacity) ed il pH o quantità relativa di idrogeno (H) o ioni idrossili (OH) del medium di crescita, e la alcalinità totale dell’acqua di irrigazione.

CEC o capacità di scambio cationico.

La capacita di scambio cationico si riferisce all’abilità del medium di crescita di trattenere nella sua struttura elementi minerali scambiabili.

Questi cationi includono azoto, potassio, calcio, magnesio, ferro, manganese, zinco e rame. Torba e misti contenenti bark, segatura, ed altri materiali organici hanno tutti un certo livello di capacità di scambio cationico.

pH: che significa?

Il termine pH si riferisce all’alcalinità o all’acidità di una soluzione acquosa di un substrato di crescita. Questa soluzione consiste di elementi minerali dissolti forma ionica in acqua. La reazione di questa soluzione se è acida o alcalina avrà un marcato effetto sulla disponibilità degli elementi minerali alle radici delle piante.Quando c’è una maggior quantità di ioni idrogeno H+ la soluzione sarà acida ( pH minore di 7.0). Se ci sono più ioni idrossilici OH- la soluzione sarà alcalina ( pH maggiore di 7.0). Un

equilibrio di ioni idrogeno e idrossilici porta a suoli a pH neutri ( =7.0).

Il range per la maggior parte delle culture è tra 5.5 e 6.2, o leggermente più acida. Questo crea il livello medio più grande di disponibilità per tutti i nutrienti essenziali alla pianta. Fluttuazioni estreme di pH più alto o più basso possono causare deficenza o tossicità dei nutrienti.

Gli elementi della completa nutrizione delle piante.

Quella che segue è una breve linea guida del ruolo dei nutrienti minerali essenziali e benefici che sono cruciali per la crescita. Eliminate qualcuno di questi elementi, e le piante mostreranno anormalità di crescita, sintomi da deficenza, o possono non riprodursi normalmente.

Macronutrienti

AZOTO: è un componentemaggiore di proteine, ormoni, clorofilla, vitamine ed enzimi essenziali per la vita delle piante. Il metabolismo dell’azoto è un fattore importante nella crescita dello stelo e delle foglie ( crescita vegetativa). Troppo, può ritardare la fioritura e la fruttificazione. Sua carenza, può ridurre la resa, causa ingiallimento delle foglie e crescita stentata.

FOSFORO: è necessario per la germinazione dei semi, la fotosintesi, la formazione proteica, e quasi tutti gli aspetti della crescita e del

metabolismo nelle piante. E’ essenziale per la formazione del fiore e del

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frutto. Un pH basso ( meno di 4) determina che il fosforo è chimicamente bloccato nei suoli organici. Sintomi di sua deficenza sono fusti e foglie porpora; la maturità e la crescita sono ritardate. La produzione di frutti e fiori è scarsa. Può determinare la caduta prematura dei frutti e dei fiori.

Il fosforo deve essere applicato vicino alle radici della pianta affinchè la pianta lo utilizzi. Grandi applicazioni di fosforo senza adeguati livelli di zinco possono causare una deficenza di zinco.

POTASSIO: è necessario per la formazione di zuccheri, amidi, carboidrati, sintesi proteica e divisione cellulare nelle radici ed in altre parti della pianta. Aiuta ad aggiustare l’equilibrio idrico, migliora la rigidità della stelo e la resistenza al freddo, aumenta il profumo ed il colore in culture di frutta e vegetali, aumenta il contenuto in olio dei frutti ed è importante per le culture ricche di foglie. Sue carenze determinano basse rese, foglie chiazzate, macchiate o arricciate, con un aspetto di scottato e bruciato nelle foglie.

ZOLFO: è un componente strutturale degli amminoacidi, delle proteine, delle vitamine e degli enzimi ed è essenziale per produrre clorofilla. Impartisce gusto a molti vegetali. La sua carenza si manifesta con foglie verde chiaro.

Lo zolfo è rapidamente perso dai suoli per dilavamento e deve essere

applicato con una formula nutriente. Alcune acque possono contenere zolfo.

MAGNESIO: è un componente strutturale critico della molecola della clorofilla ed è necessario per il funzionamento degli enzimi della pianta per produrre carboidrati, zuccheri e grassi. E’ usato per la formazione di frutta e noci ed è essenziale per la germinazione dei semi. Piante carenti in magnesio appaiono clorotiche, mostrano ingiallimento tra le vene delle vecchie foglie;

le foglie possono cadere. Il magnesio è dilavato dall’innaffiamento e deve essere supplito quando si nutre. Può essere applicato come spray foliare per correggerne le deficienze.

CALCIO: attiva gli enzimi, è un componente strutturale delle pareti

cellulari, influenza il movimento d’acqua nelle cellule ed è necessario per la crescita e la divisione cellulare. Alcune piante devono avere calcio per captare azoto ed altri minerali. Il calcio è facilmente dilavato. Il calcio, una volta depositato nei tessuti della pianta è immobile ( non traslocabile) cosicchè vi deve essere un suo costante apporto per la crescita. La sua carenza causa arresto della nuova crescita dello stelo, fiori e radici.

Sintomi di carenza di calcio vanno da una nuova crescita distorta a macchie nere su foglie e frutti. Possono apparire margini gialli.

Micronutrienti

FERRO: è necessario per molte funzioni enzimatiche e come catalizzatore per la sintesi della clorofilla. E’ essenziale per le parti giovani in crescita della pianta. Sintomi di carenza di ferro sono un colore pallido delle

giovani foglie, seguite da un ingiallimento delle foglie e delle larghe vene.

Il ferro è perso dal dilavamento ed è trattenuto nelle porzioni più basse della struttura del suolo. Sotto condizioni di alto pH ( alcalino) il ferro è reso indisponibile per le piante. Quando i suoli sono alcalini, il ferro può esere abbondante, ma non disponibile. Applicazioni di una formula nutriente

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acida contenente ferro chelato, in forma solubile, dovrebbe correggere il problema.

MANGANESE: è coinvolto in attività enzimatica per la fotosintesi, la

respirazione ed il metabolismo azotato. Una sua carenza nelle foglie giovani si mostra come una rete di vene verdi su di un fondo verde chiaro, simile ad una deficienza di ferro. In stadi avanzati le parti verde chiaro diventano bianche, e le foglie sono perse. Macchie brunastre, nere, o grigiastre possono apparire vicino alle vene. In suoli neutri o alcalini le piante

spesso mostrano sintomi di deficienza di manganese. In suoli altamente acidi, il manganese può essere così disponibile al punto da risultare tossico.

BORO: è necessario per la formazione della parete cellulare, per l’integrità di membrana, per la captazione del calcio, e può essere utile nella

traslocazione degli zuccheri. Il boro ha effetto su almeno 16 funzioni nelle piante. Queste funzioni comprendono la fioritura, la germinazione del

polline, la fruttificazione, la divisione cellulare, le relazioni acquose ed il movimento degli ormoni. Il boro deve essere disponibile per tutta la vita della pianta. Non è traslocato ed è facilmente dilavato dai suoli. Carenza di boro uccide le gemme terminali, lasciando un effetto rosetta sulla pianta. Le foglie sono spesse, arricciate e fragili. I frutti, tuberi e radici sono discolorati, crepati e chiazzati da macchie brune.

ZINCO: è un componente degli enzimi o un cofattore funzionale di un largo numero di enzimi, comprese le auxine ( ormoni della crescita delle piante).E’

essenziale al metabolismo dei carboidrati, sintesi proteica ed allungamemto internodale ( crescita del fusto). Piante con carenza di zinco hanno foglie variegate con aree irregolari clorotiche. La carenza di zinco porta

deficienza di ferro, causando sintomi simili. Deficienza di zinco avviene in suoli erosi ed è meno disponibile ad un range di pH tra 5.5 e 7.0. Un

abbassamento del pH può rendere lo zinco più disponibile fino al punto di tossicità.

RAME: è concentrato nelle radici delle piante e gioca una parte nel

metabolismo azotato. E’ un componente di molti enzimi e può essere parte dei sistemi enzimatici che usano carboidrati e proteine. Carenze di rame causano appassimento delle punte dei germogli, e le foglie terminali sviluppano macchie marroni. Il rame è legato saldamente nel materiale organico e può essere deficiente in suoli altamente organici. Non è facilmente perso dal suolo ma spesso può essere non disponibile. Troppo rame può causare

tossicità.

MOLIBDENO: è un componete strutturale degli enzimi che riducono i nitrati ad ammonio. Senza di esso, la sintesi delle proteine è bloccata e la crescita della pianta cessa. Anche i batteri del nodulo delle radici ( fissatori di azoto) lo richiedono. I semi possono non formarsi completamente, e deficienza di nitrogeno può avvenire se vi è mancanza di molibdeno. Segni di deficienza sono foglie verde pallido con margini arrotolati o concavi.

CLORO: è coinvolto nell’osmosi ( movimento di acqua o soluti nelle cellule), la bilancia ionica necessaria alle piante per captare elementi minerali, e nella fotosintesi. Sintomi di mancanza di cloro includono avvizzimento,

(22)

radici tozze, clorosi ( ingiallimento) e tendenza al color bronzo. In alcune piante possono essere diminuiti gli odori. Il cloruro, la forma ionica del cloro usata dalle piante, è di solito trovato in forma solubile ed è perso dal dilavamento. Alcune piante possono mostrare segni di tossicità se i livelli sono troppo alti.

NICKEL: ha recentemente conseguito lo stato di elemento traccia essenziale per le piante, in accordoalle ricerche dell’Agricultural Research Service Plant, Soil and Nutrition Laboratory di Ithaca, NY. E’ richiesto dall’enzima ureasi, che degrada l’urea fino a liberare azoto in una forma usabile dalle piante. Il nickel è richiesto per l’assorbimento del ferro. I semi richiedono nickel per germinare. Le piante cresciute senza aggiunta di nickel

raggiungono gradualmente il livello di deficienza al tempo in cui maturano ed iniziano la crescita riproduttiva. Se il il nickel è deficiente le piante possono fallire nel produrre semi vitali.

SODIO: è coinvolto nell’osmosi ( movimento d’acua) e nella bilancia ionica nelle piante.

COBALTO: è richiesto per la fissazione azotata nei legumi e nei nodi radicali dei non legumi. La domanda di cobalto è più alta per la fissazione di azoto che per la nutrizione di ammonio. Livelli di deficienza possono risultare in sintomi di deficienza di azoto.

SILICIO: si trova come componente delle pareti cellulari. Piante con rifornimento di silicio solubile producono pareti cellulari più forti e

resistenti, costituendo queste una barriera meccanica agli insetti pungenti e succhianti. Questo aumenta in modo significativo la tolleranza al calore ed all’asciutto della pianta. Spray foliari di silicio hanno anche mostrato un benefico, riducendo la popolazione di afidi su culture in campo. Tests hanno anche trovato che il silico può essere depositato dalla pianta nel sito di infezione da funghi per combattere la penetrazione della parete cellulare da parte del fungo attaccante. Per effetto del silicio le foglie stanno più erette, aumenta la forza dello stelo, e previene la carenza di ferro e la tossicità da manganese. Il silicio non è stato determinato come essenziale per tutte le piante, ma può essere benefico per molte.

Nella coltivazione delle orchidee usiamo spesso i fertilizzanti, nella speranza di ottenere piante più rigogliose e con una fioritura più

abbondante. Ma talora non sappiamo neppure cosa sia un fertilizzante o se sia davvero utile fertilizzare.

Quasi sempre, poi, non sappiamo neppure la reale ed effettiva composizione del fertilizzante che stiamo usando….

I fertilizzanti commerciali hanno una sigla (N.K.P.) per molti di noi misteriosa e, come vedremo sotto, molto ingannevole…..

Un’anticipazione: evitate, se possibile, l’uso di fertilizzanti contenenti urea.

Perchè?

Perchè l’urea necessita di un lungo processo di metabolizzazione per essere disponibile e noi di solito usiamo un substrato molto aperto e drenante, per

(23)

cui, quando bagnamo, dilaviamo il substrato e laviamo via i residui delle vecchie concimazioni; inoltre rinvasiamo le orchidee piuttosto spesso, almeno una volta all’anno, per cui buttiamo via il substrato che contiene gli

eventuali residui di urea.

Altro consiglio: le piante hanno bisogno estremo di magnesio. Un modo per fornire magnesio è quello di usare un po’ di solfato di magnesio. Sì, il banale sale amaro. O sale di Epsom, per gli inglesi.

N.B. Un cucchiaino da thè su 3 litri d’acqua sembra elimini anche l’eccesso di sali depositati nei vasi!.

Allora, nell’articolo di Dorothy Morgan abbiamo analizzato i bisogni

nutrizionali delle piante, distinguendo tra gli elementi essenziali e quelli benefici. Abbiamo perciò visto le funzioni di ogni singolo macro e micro elemento. Le nostre piante captano il carbonio, l’idrogeno e l’ossigeno dall’aria, mentre ricavano i sei macroelementi principali ( azoto, fosforo, potassio, calcio, magnesio e zolfo) dal substrato di coltura o dall’acqua di irrigazione. Assodato quindi che le orchidee hanno bisogno di N, P, K, S, Mg e Ca, oltre che di tracce di microelementi come ferro, manganese, boro, molibdeno, rame, etc, dobbiamo ora prendere in considerazione da dove esse possano captare questi elementi, cioè il substrato e l’acqua usati nella cultura. Qui sta’ la differenza con la coltivazione di altri fiori o piante, che vengono coltivate in terra. Nella coltivazione delle orchidee di solito si usa il bark, che però non è mai completo di tutti gli elementi minerali come lo è invece la terra usata per coltivare gli altri fiori. Il bark, degradandosi, cede qualche minerale, sostanzialmente azoto, ma non fornisce tutti gli elementi necessari e tanto meno li fornisce nelle dovute

proporzioni. Se poi usiamo altri substrati, tipo perlite, lava, lana di roccia questi, essendo inerti, non forniscono in pratica alcun minerale alle piante. Ovviamente possiamo rimediare a ciò aggiungendo al substrato alcuni materiali organici tipo letame, terriccio di bosco, foglie secche, sfagno, etc.

Ma vi è poi un’altro fattore da tenere in considerazione: le radici delle orchidee necessitano di elevato scambio di aria, per cui il coltivatore di orchidee rinvasa molto spesso, al fine di evitare che questi substrati

organici con la loro degradazione rendano asfittiche le radici, provocandone la morte; cambiare questo substrato in iniziale decomposizione con uno nuovo, però, significa togliere alla pianta una fonte preziosa di minerali, quei minerali cioè che si stavano formando con la decomposizione del substrato e che sarebbero stati disponibili per la pianta.

In pratica il coltivatore di orchidee tende ad usare un substrato che quasi quasi lo avvicina alla cultura idroponica.

Questo ci impone di fornire dall’esterno gli elementi nutritivi per ottenere una crescita ottimale e bilanciata; e ciò ci porta a parlare dell’acqua di irrigazione. Spesso l’acqua a disposizione è cattiva, inquinata o troppo mineralizzata; in questo caso non ci resta che usare acqua piovana o acqua ottenuta con osmosi inversa. In entrambi questi ultimi casi si tratta di ottima acqua, senza però alcun sale minerale! se quindi contemporaneamente usassimo un substrato inerte ( lana di roccia, perlite, lava, polistirolo,

(24)

etc) le piante non avrebbero addirittura nessun tipo di nutrimento!! In questo caso sarebbe quindi assolutamente indispensabile ricorrere a

fertirrigazioni. La normale acqua dell’acquedotto invece bene o male qualche macro e microelemento lo contiene, per cui la fertilizzazione è meno

impellente, in particolare se usiamo un pò di substrati organici. Ma è sempre utile, se usata con giudizio.

In commercio troviamo un’infinità di fertilizzanti, il cui contenuto è

espresso come N.P.K., cioè in azoto, fosforo e potassio. Per capire quale fa’

al nostro caso dobbiamo però prima analizzare bene le nostre condizioni di coltura.

Bisogna cioè analizzare due parametri:

il tipo di substrato usato, che può essere:

1.

-inorganico ( perlite, lana di roccia, lava, sabbia, etc)

-organico ( bark, letame, sfagno, torba, foglie di faggio, etc) -un misto di organico ed inorganico2. la quantità di sali minerali presenti nell’acqua usata.

Quest’acqua può essere:-senza minerali:

acqua piovana, con conducibilità fino a 10 microSiemens acqua da osmosi inversa, anch’essa senza sali minerali -con minerali:

in dosi modeste, ritenuta di norma acqua di buona qualità, con conducibilità fino a 200- 300 microSiemens

in dosi elevate, ritenuta di norma acqua di cattiva qualità, spesso molto calcarea, con elevata conducibilità

Determinato ciò, possiamo passare alla ricerca del nostro fertilizzante ideale, che deve tenere conto dei due parametri visti sopra, in modo da fornire alla pianta tutti i minerali necessari ad integrazione

dell’accoppiata substrato-acqua.

Sarebbe quindi opportuno determinare la conducibilità elettrica dell’acqua che usiamo o, in alternativa, farsi dare un’analisi dal fornitore, se si tratta di acqua derivata dall’acquedotto.

Come detto prima, il contenuto dei fertilizzanti in commercio è espresso in N.P.K., in base al loro contenuto in azoto (N), fosforo (P) e potassio (K), che sono i tre macroelementi principali.

Ma qui viene la prima sorpresa!!!

Quando noi usiamo un fertilizzante, ad es. un 20-20-20, pensiamo che questo fertilizzante contenga il 20% di azoto, il 20% di fosforo ed il 20% di potassio.

Errore!!

(25)

Questo fertilizzante contiene sì il 20% di azoto, ma non il 20% di fosforo nè il 20 % di potassio!!!!

in realtà contiene il 20% espresso come acido fosforico (P2O5) ed il 20% espresso come ossido di potassio ( K2O)

ma ovviamente gli ossidi NON sono i singoli elementi…

quindi il vero rapporto N.P.K. è 20-8.6-16.6 e non 20-20-20 come riportato sulla confezione !!!!

altro che bilanciato……

Ciò è decisamente assurdo!….. e, secondo il mio modesto parere, truffaldino!!!

Questo significa che il rapporto tra N.P.K. non è quello che la formula sul pacchetto del fertilizzante ci vuol far credere, ma molto diversa, in cui P e K sono molto meno di quello dichiarato.

Purtroppo il modo onesto di indicare i macrolelementi come percentuale reale dell’elemento è obbligatorio solo in Australia, Nuova Zelanda e, in Europa, nei paesi nordici ed Irlanda. Nel resto del mondo, Italia compresa, si indicano in quel modo truffaldino visto prima. Chissà poi perchè…

Per chiarire quanto esposto, faccio un esempio:

Lo stesso identico prodotto della stessa ditta in Europa viene venduto come NPK 18 +6+12 ( ma P e K sono ossidi ), mentre in

Australia viene venduto come NPK 18+2,6+10; è evidente che qui da noi ci si vuol far credere che ci sia il 6% di fosforo,

mentre in realtà ce n’è solo il 2,6%, e il 12% di potassio, mentre ce n’è solo il 10%….

Se vuoi convertire facilmente i valori “italiani”, espressi in ossidi, nei veri valori degli elementi, usa questa semplice formula:

moltiplica il fosforo P ( che è espresso come P2O5) x 0,43

moltiplica il potassio K ( che è espresso come K2O) x 0,83

Sempre a titolo di esempio proviamo ad analizzare dal punti di vista chimico e molecolare una sostanza chimica, alla base dei più diffusi fertilizzanti.

Ammonio fosfato monobasico, NH4 H2 PO4; esso ha peso molecolare 115;

se lo indichiamo come percentuale assoluta in NPK ne deriva: N.P.K. : 12. 27.

0

se invece lo indichiamo come ossido P2O5 ( come fanno i “nostri” produttori di concimi) la stessa formula risulta così espressa:

(26)

N P(come P2O5) K : 12. 62. 0

cioè sul pacchetto i nostri produttori scriverebbero NPK 12.62.0 invece di 12.27.0… quindi il P dal 27% si è stato “trasformato” in 62% !! chiaro???

Ricordati quindi che tutte le formulazioni in commercio in Italia, adottando quest’ultimo sistema, esprimono una percentuale in P e K che è inferiore al vero contenuto in P e K !!!!!!!

Ricordalo bene….

In commercio esistono tantissimi fertilizzanti, alcuni venduti come specifici per orchidea. Non so su che base le ditte produttrici facciano però questa affermazione. Per quale orchidea, innanzitutto? forse che i Paphiopedilum vogliono la stessa fertilizzazione delle Cattleya o dei Cymbidium? e poi in base a che criterio si stabilisce che una formulazione è migliore di

un’altra? una dimostrazione di quanto in realtà le ditte produttrici

conoscano poco le orchidee ed il loro modo di coltivazione è il fatto che la maggior parte dei fertilizzanti venduti “per orchidee” contengano urea.

Infatti l’urea, CH4 N2O, come è noto, contiene l’azoto in una formulazione che non lo rende immediatamente disponibile per la pianta. Essa cioè deve essere scissa da un’enzima, detto ureasi, che rende l’azoto N disponibile alla pianta; l’ureasi è prodotta da alcuni batteri presenti nel suolo ( e il suolo non è propriamente ciò che noi usiamo come substrato…). Ma questo è un processo lungo, troppo lungo per chi come noi rinvasa le piante spesso, per cui con il vecchio substrato noi buttiama via anche l’urea delle vecchie fertilizzazioni, non ancora metabolizzata. Ciò significa che se noi usiamo un fertilizzante che contiene urea, in realtà dobbiamo calcolare che forniamo molto meno azoto di quello che pensiamo, in quanto dobbiamo sottrarre all’N totale una buona parte dell’azoto ureico. Ad esempio il classico Peters

18-18-18 Orchid special (…special?!! boh….), contiene il 18% di azoto, di cui ben il 9.1% da urea, il 5.4% da azoto nitrico ed il 3.5% da azoto

ammoniacale. In realtà, visto che le piante non riescono ad utilizzare subito l’urea, questo concime diventa per noi orchidofili in pratica un 9-18-18……

Buffo, no??

Parimenti il Peters 20-20-20, contenendo il 10.4 di urea, diventa un

9,6-20-20 ed il 30.10.10 contenendo il 24,7% di urea, diventa un 5.3-10-10…

Inoltre questi due famossissimi concimi con il calcolo degli ossidi visto prima diventano addirittura: il primo,togliendo l’urea, un 9,6-8,6-16,6 ( invece di un 20-20-20) ed il secondo un 5,3-4,3-8,3 (invece di un 30-10-10).

Attenzione quindi a non farsi ingannare dalle etichette dei produttori!!!!!!

Altro inconveniente che provoca l’urea è che, essendo sostanza organica, non è misurabile con il conduttimetro, per cui chi usa questo eccellente metodo per dosare i fertilizzanti legge dati sottostimati se usa fertilizzanti con urea.

Secondo molti coltivatori americani il pregio dei famosi fertilizzanti Dyna- Gro sta’ proprio nel fatto che sono privi di urea…..

La soluzione?

(27)

Basta prepararsi i fertilizzanti in casa!!!

Occorrono solo alcuni principi attivi, in particolare il potassio nitrato ed il fosfato di potassio ( che costituiscono ad esempio l’eccellente Peters Hydro-sol, ottimo per idrocoltura, e quindi molto valido anche per i nostri substrati quasi inerti…). HYDRO-SOL è un 5-4.8-21.6 ( attenzione però: da noi viene venduto come un 5-11-26 !!)

Vuoi quindi provare a farti un fertilizzante in casa??

come?

esaminiamo allora le sostanze presenti nell’Hydrosol:

Potassio nitrato : KNO3, p.m. 101 – NPK:14. 0. 47 Potassio Fosfato mono: KH2 PO4, p.m. 136 – NPK: 0.

52. 34

se mescoliamo 10 gr di KNO3 e 10 gr di KH2 PO4 avremo 20 gr di fertilizzante contenente NPK nel rapporto di 7 – 26 – 40. Aumentando uno o l’altro dei due componenti varieremo anche i rapporti di NPK a nostro piacimento.

Altra sostanza interessante è il Nitrato d’ammonio, NH4 NO3, p.m. 80, (

35-0-0 ). Esso contiene l’azoto nelle due forme, ammoniacale ( NH4) e nitrica ( NO3). Poiché sembra che le piante utilizzino entrambe queste due forme azotate, il nitrato d’ammonio è un ottimo fertilizzante, utile in particolare quando si vuol fornire molto azoto.

In definitiva, analizzando le varie formule della Peters e di altre case, possiamo notare che queste ditte utilizzano le seguenti sostanze:

Nitrato di potassio (14-0-47), Potassio fosfato mono ( 0-52-34), Potassio fosfato bibasico ( 0-54-41), Ammonio fosfato ( 12-62-0), urea

(sconsigliabile, come visto prima), Ammonio solfato ( 21-0-0) ed Ammonio nitrato ( 35-0-0).

A seconda di quelle sostanze che riusciamo a procurarci e perdendo qualche minuto in calcoli chimici, possiamo fabbricarci in casa un buon fertilizzante su misura, e contenente NPK in concentrazione variabile a seconda della

stagione, delle nostre esigenze e delle nostre idee.

Possiamo cioè variare a piacere i rapporti tra N, P e K.

Tornando all’uso dei fertilizzanti, sui testi di coltivazione e su molti siti web ( che di norma ripetono e copiano in modo acritico quello che è stato scritto da altre parti) si trovano alcune affermazioni, che troppo spesso sanno di luogo comune o, peggio ancora, di “leggenda metropolitana”, non supportate cioè da studi scientifici.

Vediamo alcuni di questi luoghi comuni:

1. si dice che chi coltiva in bark deve usare la formulazione 30.10.10, basandosi sull’idea che i batteri e funghi, che degradano il bark, sottraggano prezioso azoto alla pianta. Da qui il consiglio di usare il

30.10.10 per supplire a questo furto. In realtà così facendo noi nutriamo ben

(28)

bene questi microrganismi, con il risultato di degradare molto più rapidamente il bark. Se poi pensiamo che tutte queste formulazioni

commerciali contengono l’azoto sotto forma di urea, ci rendiamo conto che si tratta di un consiglio quantomeno “sballato”…

2. si legge di usare in primavera il 30.10.10, poi verso l’estate di passare al bilanciato 20.20.20 e poi in autunno al blossom booster ( induttore di fioritura ), cioè al 10-30-20.

In realtà non c’è nessuno studio scientifico a supporto di queste affermazioni.

Tutt’altro… ci sono stati studi che hanno contraddetto queste affermazioni!!

Le piante assorbono quello che a loro serve, NON quello che a tutti i costi gli propiniamo noi!!

A mio giudizio quindi un buon concime idrosolubile e senza urea può essere usato tutto l’anno; sarà la pianta infatti ad assorbire le sostanze nelle quantità necessarie ed utili in quel momento. E’ probabile che i

fertilizzanti commerciali contengano troppo fosforo (P), che è utile

soprattutto nei terricci per floricoltura, ma serve molto a poco nei nostri substrati. Se poi sei convinto che sia utile modificare i rapporti tra N.P.K.

nelle varie stagioni, puoi integrare questo concime idrosolubile con del nitrato di calcio o altri elementi che ritieni utili.

Per quel che concerne il ritmo delle fertilizzazioni, mi sembra logico usare il fertilizzante continuativamente ma a concentrazioni diluite. Non ha senso usare una botta di fertilizzante ogni tanto, in quanto il nostro substrato di cultura è sempre molto drenante, per cui il fertilizzante viene perso in gran parte subito dal vaso. Inoltre non è logico sottoporre la pianta ad

un’indigestione saltuaria e mantenerla a “digiuno” per il resto del tempo.

Anche noi mangiamo tutti i giorni, non una volta al mese!!.

Per calcolare quanto fertilizzante stiamo dando alle piante, si possono utilizzare due metodi:

1. usare un conduttimetro. Si tratta di un’ottima spesa, in quanto questo piccolo strumento a pile ci permette di sapere, pur con una certa

approssimazione, quanti ioni stiamo dando alle nostre piante. Ovviamente i dati del conduttimetro tengono conto solo della conducibilità elettrica dei sali disciolti nell’acqua sotto forma di ioni mobili, e non ci danno

un’indicazione qualitativa di essi; inoltre non misura i sali organici, per cui l’urea, la solita terribile urea, non viene rilevata dallo strumento!!

Dal punto di vista pratico, misuriamo con il conduttimetro l’acqua di base, poi aggiungiamo i fertilizzanti fino ad ottenere il valore cercato. A seconda delle necessità e dei periodi possiamo ritenere ottimale portare la

conducibilità a 300-400 microsiemens. Se vogliamo spingere la pianta, possiamo arrivare anche a 600-800 microsiemens.

2. Esiste anche un modo economico e semplice per calcolare la quantità di fertilizzanti presente nella nostra soluzione: si tratta di esprimere i sali minerali come ppm, cioè parti per milione, cioè 0.001 grammi per litro di acqua.

Una semplice formula per calcolare la ppm è la seguente:

(29)

dose in grammi del fertilizzante x percentuale del macroelemento/100/volume di acqua/0.001

Per esempio, utilizzando 5 grammi di un fertilizzante 20-20-20 in 10 litri d’acqua, il calcolo dell’azoto (N) come ppm è:

5 x 20/100/10/0.001= 100 ppm.

Lo stesso vale per il P e K ma devi prima fare la conversione da ossidi ad elementi, come ho scritto sopra, per avere i veri valori in P e K.

Ritengo che usare 100-150 ppm di N ad ogni irrigazione nei mesi di sviluppo vegetativo sia molto utile, anche se so di grandi coltivatori stranieri che usano costantemente 200-250 ppm di N con saltuarie pompate a 400 ppm.

Non c’è una relazione diretta tra ppm e microsiemens, anche se approssimativamente possiamo farle coincidere.

A titolo di esempio riporto la relazione tra ppm e microsiemens di alcune sostanze:

1 ppm = microsiemes/cm Potassio nitrato KNO3: 1.1 Potassio fosfato mono: 0.6 potassio fosfato bibasico: 1.04 urea: 0

solfato di magnesio: 0.8 Potassio solfato: 1.2

Poiché l’elemento principale delle nostre fertilizzazioni è l’azoto, quando usiamo un fertilizzante commerciale NPK ci conviene calcolare solo l’azoto come ppm e quindi dosiamo il fertilizzante su questo parametro; fosforo e potassio verranno a ruota. Quindi di norma, a seconda delle nostre necessità, useremo l’azoto da 100 a 200 ppm. Ovviamente nei periodi di maggior sviluppo vegetativo, se lo riteniamo utile, possiamo aumentare questo valore, e

ridurlo in inverno, periodo di scarsa crescita vegetativa.

Ricordo anche l’estrema importanza di mantenere una stretta relazione tra luce, temperatura e fertilizzazioni.

Questi parametri devono essere sempre bilanciati tra loro. Ad un’aumento della luce, cioè, deve corrispondere un aumento della temperatura ed un aumento della fertilizzazione. Guai a forzare le piante con troppo azoto quando è inverno: siccome c’è poca luce e fa’ freddo la pianta svilupperebbe getti e foglie molli e deboli, facilmente attaccabili da insetti e malattie.

Per ricapitolare, puoi farti quindi un buon fertilizzante in casa usando alcune delle sostanze che ho segnalato prima.Infine, non scordare che le piante necessitano assolutamente di magnesio (Mg), che sta’ alle piante come il ferro sta’ a noi. Poichè molti concimi commerciali non contengono magnesio o ne contengono troppo poco, ritengo possa essere utile aggiungere del

solfato di magnesio ( sale inglese o di Epson) al nostro regime di fertilizzazioni.

Se invece preferisci un fertilizzante commerciale, ritengo che il Peters

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Hydrosol sia eccellente a tutti gli effetti, in quanto completo, senza urea ed idrosolubile. Può essere usato benissimo anche per via foliare.

Secondo me è però utile una sua integrazione con calcio nitrato (CaNO3) e solfato di magnesio.

Peters hydrosol è in verità un 5-4.8-21.6 Siccome l’N potrebbe essere poco, possiamo aggiungerci a nostro piacimento del Calcio nitrato, aumentandolo o diminuendolo in base alle nostre esigenze. Si può anche aggiungere il

potassio nitrato (12+0+35.7) se si vuole aumentare contemporaneamente azoto e potassio.

Se, per es., a 1,2 gr/litro di Hydrosol aggiungiamo 1,1 gr/litro di calcio nitrato otteniamo un fertilizzante che fornisce, come ppm, N 165 P 57 K 259 Mg 36 Ca 150

il calcio nitrato va però preparato in una tanica separata dall’hydrosol e aggiunto alla soluzione finale solo dopo che gli altri elementi si sono ben sciolti, per evitare problemi di precipitazione di fosfati e solfati di calcio.

La sequenza ottimale quindi è:

Aggiungere all’acqua di irrigazione prima

l’hydrosol, poi il magnesio solfato e infine il calcio nitrato.

Un rapporto consigliabile tra queste sostanze è 5:2:4

Finora abbiamo parlato di fertilizzanti chimici. Un’ottima ed efficace

alternativa a questi elementi chimici è usare un concime organico, ad esempio guano o letame. Ottimi risultati li ho avuti usando del tè di letame ( o di guano), mettendo cioè del letame in acqua ed utilizzando il brodo risultante.

A parte l’odore, i risultati sono ottimi. Alcuni tra i migliori coltivatori americani usano come fertilizzante solo tè di letame. I letami sono diversi tra loro come contenuto in azoto; io ritengo che il guano, cioè letame di uccelli molto stagionato, sia utile e sicuro; sconsiglio la pollina, cioè il letame fresco di pollo, che brucia invece le radici. Si può fare questo tè però con quasi altro letame.

letame N azoto % P fosforo % K potassio %

pollo 30 14 7

mucca 10 3 8

cavallo 15 5 13

(31)

I concimi chimici ed organici in agricoltura

Tutti sappiamo a cosa servono i concimi: noi sfruttiamo il terreno che coltiviamo e per farlo rimanere fertile, dobbiamo reintegrare le sostanze nutritive che le piante hanno utilizzato per la loro crescita. I

fertilizzanti favoriscono la crescita delle piante. Vediamo la differenza tra i Concimi di sintesi prodotti dall’ uomo, e quelli organici di origine

naturale

I fertilizzanti favoriscono la crescita delle piante. Vediamo la differenza tra i Concimi di sintesi prodotti dall’ uomo, e quelli organici di origine naturale

Esistono due categorie di concimi: i concimi organici e concimi chimici.

Il concime chimico è un prodotto artificiale di sintesi. Il concime sintetico penetra direttamente nella pianta tramite un processo di osmosi sfruttando il principio della differente concentrazione tra il terreno e le radici. Inoltre i concimi chimici non contengono tutte le sostanze minerali presenti in

natura nel terreno. Tant’è vero che alcuni microelementi come il selenio, sono stati scoperti proprio a seguito della carenza all’ interno dei cerali coltivati con fertilizzanti chimici incompleti che non lo contenevano. L’

assenza del selenio nel riso ha provocato gravi malattie . I concimi chimici alterano la composizione del terreno, ed apportano un quantitativo superiore di azoto con un conseguente aumento impressionante dei nitrati all’interno dei vegetali. L’esempio più tipico, ma certo non l’ unico, è quello degli spinaci la cui percentuale di nitrati è passata da 23 a 600 ppm.

Il concime organico, a differenza di quello chimico, nutre il terreno che diventa sempre più fertile. Il contenuto completo di sostanze nutritive nutre i microrganismi presenti nel terreno. E sono questi che forniscono

direttamente le piante dei Sali Minerali indispensabili per una corretta crescita. Non si ha quel passaggio forzato del fertilizzante chimico dal terreno alla pianta. Inoltre i vergatali, risultano essere più sani e resistenti, richiedendo un utilizzo decisamente inferiore di prodotti antiparassitari e pesticidi.

Conclusioni: il fertilizzante sintetico permette la crescita della pianta, ma la rende incompleta e ne varia la resistenza stessa, diminuendo la sua

(32)

capacità vitale.

Il concime organico o naturale, invece permette la crescita di una pianta sana e resistente che racchiude in sé tutti gli elementi indispensabili alla vita non solo sua, ma anche di chi se nutre: l’ uomo.

Se in aggiunta, consideriamo anche l’utilizzo di pesticidi chimici, su piante indebolite dall’agricoltura intensiva e chimica, possiamo immaginare la

qualità degli alimenti di cui ci nutriamo. Inoltre tutti prodotti chimici che diamo alla pianta, penetrano nel terreno e impoveriscono ulteriormente le capacità naturali del terreno distruggendo anche i batteri ed i microrganismi che naturalmente metabolizzano le sostanze di cui si nutrono le piante.

Si crea così un circolo vizioso che porterà sulla nostra tavola piante sempre più deboli e curati chimicamente.

L’ esempio dei diversi tipi di fertilizzanti, ci fa comprendere di quanto sia preferibile il consumo di alimenti di origine biologica o biodinamica , non solo per il nostro benessere, ma anche per l’ intero ecosistema.

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