Indice
ARTROPOTESI PRIMARIA DELL'ANCA pag. 4
Introduzione pag. 4
CAPITOLO I pag. 6
1.1 Cenni di anatomia dell’anca pag. 7 1.1.1 Osso del Bacino pag. 7
1.1.2 Femore pag. 9
1.1.3 Articolazione coxofemorale pag. 11
1.2 La patologia dell'anca pag. 17
1.2.1 Osteoartrosi pag. 17
1.2.2 Artrite reumatoide pag. 24
1.2.3 Osteonecrosi (necrosi avascolare) pag. 26 CAPITOLO II pag. 28
2.1 Cenni storici pag. 29
2.2 Distribuzione della chirurgia protesica dell'anca nella popolazione.
Incidenza e prevalenza in Italia pag. 30
2.2.1 La protesi d’anca pag. 31
2.2.2 La situazione in Toscana nel triennio 2000 – 2002 pag. 31
2.3 Biomeccanica delle protesi d'anca pag. 32
2.3.1 Le forze che agiscono sull'articolazione dell'anca pag. 33
2.4 Design degli steli non cementati pag. 36
2.4.1 Tipo 1 pag. 37
2.4.2 Tipo 2 pag. 37
2.4.3 Tipo 3 pag. 38
2.4.4 Tipo 4 pag. 39
2.4.5 Tipo 5 pag. 39
2.4.6 Tipo 6 pag. 39
2.5 Superfici e rivestimenti delle protesi d'anca non cementate pag. 40
2.6 La protesi d'anca: componenti pag. 43
2.7 Impianti di nuova concezione pag. 46
2.7.2 Le protesi a stelo corto a presa metafisaria pag. 47
2.7.3 Lo stelo Nanos pag. 48
2.7.4 Lo stelo Metha pag. 49
2.7.5 Lo stelo Parva pag. 51
2.8 L'intervento Chirurgico pag. 52
2.8.1 Indicazioni alla terapia chirurgica pag. 52 2.8.2 Studio radiologico e pianificazione preoperatoria pag. 53
2.8.3 Accesso chirurgico pag. 56
2.8.4 Sostituzione dell'acetabolo pag. 57
2.8.5 La componente femorale pag. 59
2.9 Complicanze pag. 60
2.9.1 Complicanze precoci relative al paziente pag. 60 2.9.2 Complicanze precoci relative alla protesi pag. 61
2.9.3 Complicanze tardive pag. 62
2.9.3.1 Mobilizzazione settica (od infezioni) pag. 62
2.9.3.2 Mobilizzazione asettica pag. 67
2.9.3.3 Ossificazione eterotopica pag. 69
2.10 Valutazione strumetale del riassorbimento osseo pag. 70 2.10.1 Mìneralometria Ossea Computerizzata (MOC) con
tecnica DEXA (Dual X-Ray Absorptiometry) pag. 71
2.11 Gait Analysis pag. 74
CAPITOLO III pag. 76
3.1 Materiali e metodi pag. 77
3.1.1 Caratteristiche dello stelo Parva pag. 78
3.1.2 TECNICA CHIRURGICA pag. 81
3.1.3 IL SISTEMA MODULA® pag. 91
3.2 Follow-up pag. 93
3.3 Risultati pag. 96
3.4 Discussione pag. 99
3.5 Conclusioni pag. 104
BIBLIOGRAFIA pag. 106
ARTROPOTESI PRIMARIA DELL'ANCA
Introduzione
L'artroprotesi totale dell'anca è una procedura di chirurgia ortopedica maggiore ed attualmente è l'intervento ricostruttivo dell'anca più comunemente effettuato. La sua efficacia nell'alleviare il dolore ed intervenire sul deficit funzionale causato dalla coxopatia è senza pari. Più della metà delle artroprotesi d'anca effettuate lo è per un'artrosi primitiva. Il resto degli interventi è effettuato per trattare altre coxopatie quali artriti infiammatorie (artrite reumatoide, spondilite anchilosante, lupus eritromatoso sistemico e psoriasi), artrosi post – traumatica, fratture del collo del femore, tumori, vasculopatie (emofilia, anemia falciforme e osteonecrosi) e malattie metaboliche (malattia da deposito di pirofosfato di calcio, emocromatrosi, ocronosi, gotta). [1]
Sir John Charnley è generalmente considerato il padre della ricerca sulla artroprotesi totale dell'anca. Molti dei suoi progressi pionieristici nella comprensione della biomeccanica dell'anca, della lubrificazione, dei biomateriali, del design protesico e dell'ambiente della sala operatoria rimangono ineguagliati. Egli incorporò progressivamente questi concetti nella pratica dell'“artroprotesi a basso momento d'attrito”. Negli ultimi 40 anni sono stati compiuti numerosi miglioramenti tecnici e, grazie alla continua ricerca clinica e bioingegneristica ed all'introduzione di nuovi materiali, numerose sono state le evoluzioni e le innovazioni della protesica dell'anca.
[2]
Le indicazioni per questo tipo di intervento, in passato riservato al paziente anziano, si sono estese negli anni ai pazienti giovani affetti da coxartrosi con protesi non cementata.
Come è stato evidenziato in letteratura, nel paziente giovane, tali impianti protesici sono soggetti ad una maggiore sollecitazione meccanica ed usura, anche se la buona qualità ossea, permette di utilizzare impianti meno invasivi e più conservativi.
Molte di queste procedure sono ancora in fase di sviluppo e solo un follow-up a
L'analisi della deambulazione può essere definita come una documentazione della modalità della deambulazione. L'analisi della deambulazione non sostituisce gli strumenti più tradizionali, come la determinazione della mobilità articolare passiva e della forza muscolare e la radiografia, ma deve essere utilizzata in associazione con essi per ottenere una descrizione più completa del paziente, che non è possibile ricavare in altro modo. L'analisi della deambulazione consente comunque delle decisioni terapeutiche più informate ed una documentazione più obiettiva degli esiti del trattamento. [3]
Il successo a lungo termine di un impianto protesico è frutto di delicati meccanismi che si creano tra osso e protesi. Infatti l'impianto protesico altera sempre la biomeccanica e la fisiologica trasmissione dei carichi a livello articolare con conseguente adattamento dell'osso, il quale è sottoposto ad una perdita intraoperatoria acuta ed una cronica quale adattamento morfostrutturale alla nuova biomeccanica.
Quindi, il riassorbimento osseo periprotesico, che si realizza a medio – lungo termine (dopo l'impianto della protesi totale dell'anca), rappresenta l'evento che ne condiziona maggiormente il successo e la longevità. Questo rimodellamento è il risultato di una complessa interazione tra fattori meccanici intrinseci (caratteristiche meccaniche e qualità dell'osso prima dell'impianto, forma delle componenti scheletriche che dovranno ospitare la protesi e la iper o ipo reattività individuale) ed estrinseci (materiali di costruzione, il design, il tipo di fissazione e la presenza di rivestimenti bioattivi).
Inoltre le protesi a risparmio di collo, trattandosi di un impianto di tipo alquanto conservativo per le sue specifiche caratteristiche e rispetto delle componenti ossee del collo femorale, permette inoltre di mantenere una buona propriocettività ed un corretto senso di escursione articolare e di posizionamento nello spazio dell’arto operato.
Scopo di questa tesi sarà quello di riportare l’esperienza della 2° Clinica Ortopedica
dell'Università di Pisa circa l’utilizzo degli steli a risparmio di collo ed in particolare
lo stelo Parva Adler Ortho.
CAPITOLO I
1.1 Cenni di anatomia dell’anca
1.1.1 Osso del Bacino
L’emibacino (od osso iliaco o osso coxale) è un osso piatto, pari e simmetrico formato dalla fusione delle tre ossa della cintura pelvica primitivamente separate:
ileo, ischio e pube. L’ileo ha forma irregolarmente quadrilatera e presenta due facce, una interna e una esterna e quattro margini. La faccia esterna presenta al centro una profonda cavità approssimativamente sferica detta acetabolo. [4]
Immagine 1.1: In alto osso coxale visto medialmente; in basso osso coxale visto lateralmente. (Netter FH. Atlante di anatomia umana. 2.a ed. Milano: Masson; 2004)
Questa cavità delimitata da un lembo osseo circolare, il ciglio cotiloideo o margine
dell’acetabolo, interrotto in tre punti, corrispondenti ai punti di fusione dei primitivi
abbozzi ossei: il più evidente è quello posto tra ischio e pube e prende il nome di
incisura dell’acetabolo. Solo una parte della superficie interna della cavità
acetabolare è destinata all’articolazione. La porzione liscia più periferica è detta
faccia semilunare, mentre la porzione centrale quadrilatera più profonda, che prende
il nome di fossa dell’acetabolo contiene tessuto adiposo ed il legamento rotondo. La
faccia esterna dell'emibacino, al disopra dell’acetabolo, presenta una vasta superficie
piana, la faccia glutea, percorsa da tre linee, le linee glutee anteriore, posteriore e
inferiore. Al di sotto dell’acetabolo si trova il forame otturatorio delimitato dai corpi
e dai rami dell’ischio e del pube. La faccia interna dell’osso iliaco è suddivisa in due
porzioni dalla linea arcuata o linea innominata; al sopra vi è la fossa iliaca che
accoglie il muscolo omonimo. Al di dietro dell’origine della linea arcuata vi è una
faccetta articolare piana, è la faccetta auricolare dell’osso dell’anca. Dietro ad essa
dalla tuberosità ischiatica prendono attacco i legamenti sacroiliaci posteriori. Il
margine anteriore presenta dall’alto in basso: due protuberanze separate da un
incisura, le spine iliache superiore ed inferiore; un incisura per il passaggio del
muscolo ileopsoas; una cresta smussa che prende il nome di eminenza ileopettinea,
sulla quale si inserisce la benderella ileopettinea; la superficie pettinea, dove si
inserisce il muscolo pettineo, che termina formando una cresta tagliente detta cresta
pettinea; infine presenta un tubercolo, detto tubercolo pubico, destinato all’inserzione
del legamento inguinale. Il margine posteriore presenta, nella sua parte superiore,
due spine separate da un incisura, sono le spine iliache posteriori rispettivamente
superiore e inferiore. Al di sotto si trova la grande incisura ischiatica delimitata più in
basso dalla spina ischiatica, che a sua volta forma il margine superiore della piccola
incisura ischiatica. Al di sotto di essa si trova la tuberosità ischiatica. Il margine
superiore è chiamato cresta iliaca ed è delimitata da un labbro esterno e da un labbro
interno. Il margine inferiore, inizia indietro con la tuberosità ischiatica e termina in
avanti con una faccetta articolare, la faccetta della sinfisi pubica che si andrà ad
articolare con la faccetta omologa del lato opposto. [5]
1.1.2 Femore
Il femore è l’osso lungo che forma da solo lo scheletro della coscia, si articola superiormente con il bacino e inferiormente con la tibia e la rotula. Il femore è formato da un corpo, un estremità superiore e una inferiore.
Il corpo non è rettilineo ma è incurvato ad arco a concavità posteriore, ha forma
prismatico-triangolare ed è costituito da un astuccio di tessuto osseo compatto
all’interno del quale è presente il canale midollare; presenta poi tre facce: anteriore,
laterale, mediale. Le tre facce sono tutte lisce e convesse, la faccia laterale e la
mediale si incontrano posteriormente nella linea aspra. Il foro nutritizio del femore è
posto lungo la linea aspra. La linea aspra presenta un labbro laterale ed un labbro
mediale che nella parte media dell’osso decorrono paralleli, mentre superiormente e
inferiormente si separano. Superiormente, il labbro laterale si porta alla base del
grande trocantere e prende il nome di tuberosità glutea dove si impianta il tendine del
muscolo grande gluteo. Il labbro mediale, invece, si porta alla base del piccolo
trocantere, da impianto al muscolo pettineo e per questo prende nome di linea
pettinea; emette poi una branca che si dirige in alto e medialmente dando attacco al
muscolo vasto mediale e per questo prende il nome di cresta del muscolo vasto
mediale. In basso i labbri della linea aspra si biforcano ed ognuno termina in
corrispondenza di un condilo. Questa divergenza comprende una superficie
pianeggiante detta triangolo popliteo. [5]
Immagine 1.2: A sinistra femore visto anteriormente; a destra femore visto posteriormente. (Netter FH. Atlante di anatomia umana. 2.a ed. Milano: Masson; 2004)
L’estremità superiore presenta una testa, un collo e due rilievi detti trocanteri. La testa corrisponde a circa due terzi di sfera, è diretta in alto e medialmente ed al suo centro presenta una depressione (o fovea capitis) che da impianto al legamento rotondo del femore. La testa è sorretta dal collo anatomico, lungo circa 5 cm, con l’asse maggiore allineato a quello della testa del femore, l’asse del collo forma un angolo di circa 130° con l’asse del corpo. Il collo è appiattito dall’avanti all’indietro e presenta numerosi fori nutritizi per il passaggio dei vasi sanguigni. Alla base del collo si trovano i trocanteri, lateralmente ed in alto il grande trocantere, medialmente ed in basso il piccolo trocantere; entrambi sono uniti dalla cresta intertrocanterica.
Medialmente ed in basso al grande trocantere si trova una depressione: la fossa trocanterica. Al di sotto del piccolo trocantere si trova il collo chirurgico che segna la fine tra epifisi e diafisi.
L’estremità inferiore del femore è circa tre volte più larga della diafisi e presenta due sporgenze: i condili femorali laterale e mediale. I condili femorali hanno l’asse maggiore orientato dall’avanti all’indietro e sono ricoperti da cartilagine ialina formando la superfici articolari per l’articolazione con la tibia; esse convergono in avanti per dare la superficie articolare per la rotula (o patella) dando luogo alla faccia rotulea ( o patellare). Posteriormente i condili sono separati da una cavità: la fossa intercondiloidea. Sporgente dal condilo laterale si trova un rilievo detto epicondilo laterale, mentre sporgente al condilo mediale si trova l’epicondilo mediale; in alto ed indietro a quest’ultimo si trova il tubercolo dell’adduttore grande sul quale si attacca il muscolo omonimo. [5]
1.1.3 Articolazione coxofemorale
L’articolazione dell’anca è un enartrosi costituita dall’acetabolo da una parte e dalla
testa del femore dall'altra. L’osso dell’anca vi contribuisce con una cavità quasi
emisferica (l’acetabolo) mentre il femore vi contribuisce con la sua testa, che ha la
forma di due terzi di una sfera piena di circa 4 – 5 cm di diametro ed è ricoperta da
cartilagine articolare. Le due superfici articolari però non sono perfettamente
corrispondenti: un cercine fibrocartilagineo, detto labbro dell’acetabolo, amplia la
superficie dell’acetabolo per renderla più adatta a contenere la testa del femore
stabilizzandola. Non tutto l’acetabolo però si articola con la testa del femore, al suo
centro infatti si trova una depressione detta fossa dell’acetabolo rivestita da periostio
e non da cartilagine articolare, contenente un batuffolo adiposo. Dalla fossa
dell’acetebolo si diparte il legamento rotondo del femore che si va a inserire sulla
fovea capitis della testa del femore. La capsula articolare è robusta e si fissa
anteriormente alla linea intertrocanterica ed al punto di unione del collo del femore al
grande e piccolo trocantere. Posteriormente, la capsula, presenta un margine libero
arcuato che corrisponde al confine tra i due terzi superiori ed il terzo inferiore del
collo femorale. La capsula articolare è composta da fasci circolari situati in
profondità e fasci fibrosi superficiali che formano i legamenti ileo-femorale, pubo-
femorale e ischio-femorale. Questi legamenti non sono altro che porzioni ispessite
della capsula e per questo sono detti anche legamenti ileocapsulare, ischiocapsulare e
pubocapsulare. Il legamento ileo-femorale (o legamento del Bertin), è situato dalla
faccia anteriore della capsula articolare, origina sotto la spina iliaca antero-inferiore
con due fasci che divergono, il fascio obliquo che si inserisce sul margine anteriore
del grande trocantere ed il fascio verticale che si va ad inserire al davanti del piccolo
trocantere. Il legamento pubofemorale origina dal contorno anteriore del ramo
superiore del pube per perdersi poi nella capsula al davanti del piccolo trocantere. Il
legamento ischiofemorale origina dalla porzione ischiatica dell'acetabolo e si porta in
alto e lateralmente, per inserirsi nella fossa trocanterica del femore. Il legamento
rotondo (o della testa) del femore, è situato all’interno della capsula articolare,
origina dalla fovea capitis e va all’incisura dell’acetabolo dove prendono inserzione i
margini anteriore e posteriore, alcuni fasci però proseguono verso la fossa
dell’acetabolo dove si inseriscono. [4]
Immagine 1.3: In alto a destra articolazione dell'anca vista anteriormente; in alto a sinistra articolazione dell'anca vista posteriormente; in basso articolazione aperta vista lateralmente. (Netter FH. Atlante di anatomia umana. 2.a ed. Milano: Masson; 2004)
La particolarità di questo legamento è che non è teso come lo sono solitamente i
legamenti interossei. La membrana sinoviale riveste la superficie interna della
capsula articolare, giunta alle sue inserzioni si riflette a rivestire le porzioni intracapsulari dei capi ossei; forma anche una guaina completa attorno al legamento rotondo. Le arterie dell’articolazione sono rami delle arterie circonflesse mediale e laterale del femore, del rami profondi dell’arteria glutea superiore e dell’arteria glutea inferiore. L’innervazione dell’articolazione dell’anca proviene dai nervi per i muscoli quadrato e retto del femore, dal ramo anteriore del nervo otturatore e dal nervo gluteo superiore.
Movimenti: I movimenti permessi dall’articolazione dell’anca sono:
¬
Movimenti di flessione ed estensione della coscia: si svolgono sul piano sagittale e si effettuano lungo un asse trasversale passante per i centri delle teste femorali. La flessione o proiezione anteriore della coscia è molto ampia ed è arrestata dall’incontro della superficie anteriore della coscia con il tronco. L’estensione o proiezione posteriore della coscia è più limitata della flessione e viene arrestata dalla tensione della parte anteriore della capsula articolare, in particolare dalla tensione del fascio verticale del legamento ileo-femorale.
¬
Movimenti di abduzione ed adduzione della coscia: si svolgono sul piano frontale e si effettuano attorno ad un asse sagittale. Nell’abduzione della coscia, la testa femorale si muove dall’alto verso il basso e il movimento risulta più ampio se la coscia è flessa; l’abduzione è arrestata dal legamento pubo-femorale.
Nell’adduzione della coscia, la testa del femore si muove dal basso verso l’alto ed è necessario, per la realizzazione del movimento, che la coscia sia flessa; il movimento è arrestato dalla tensione del fascio obliquo del legamento ileo- femorale e dal legamento rotondo del femore.
¬
Il movimento di circonduzione della coscia è formato dalla successione dei movimenti di flessione, di adduzione, di estensione e di adduzione descrivendo un cono con all’apice il grande trocantere del femore e la base all’estremità inferiore del femore.
¬
Il movimento di rotazione della coscia può essere laterale o mediale e avviene
intorno all’asse longitudinale del femore. La rotazione laterale della coscia si
arresta nella tensione del fascio obliquo del legamento ileofemorale. La rotazione
mediale è limitata se la coscia è estesa, dalla tensione del fascio verticale del
ischio femorale. [4]
Immagine 1.4: Movimenti articolazione dell'anca,partendo dall'alto abbiamo movimenti di rotazione interna e rotazione esterna., abduzione ed adduzione, di estensione e di flessione in basso. (Kapandji AI. Anatomia funzionale - Arto superiore - Arto Inferiore - Tronco e rachide. 6.a ed. Bologna:
Monduzzi; 2011).
1.2 La patologia dell'anca
La sostituzione protesica dell'anca, in un articolazione degenerata, ha come obiettivo la risoluzione della sintomatologia dolorosa ed il ripristino della funzionalità articolare.
1.2.1 Osteoartrosi
L'osteoartosi o artropatia degenerativa è definita come una malattia cronica delle articolazioni diartoidali, ad eziologia multifattoriale, caratterizzata da lesioni degenerative e produttive a carico della cartilagine e da modificazioni secondarie dell'articolazione. [5] È una patologia estremamente frequente e si stima che la sua prevalenza aumenterà del 66 – 100% entro l'anno 2020 negli Stati Uniti.
L'osteoartrosi colpisce caratteristicamente alcune articolazioni mentre ne risparmia altre. Le articolazioni più interessate sono: la colonna cervicale e lombosacrale, l'anca, il ginocchio e la prima articolazione metatarsofalangea. Nelle mani, le interfalangee distali e prossimali e la radice del pollice sono le più colpite. Sono generalmente risparmiate polso, gomito e caviglia. É semplice notare che le articolazioni più colpite sono quelle sottoposte ad un utilizzo per il quale non erano state concepite, infatti le articolazioni sono state progettate, in senso evoluzionistico, quando l'uomo era ancora allo stadio evolutivo di scimmie arboree (utilizzavano le braccia per spostarsi da un albero all'altro). Ad esempio, sono più colpite le articolazioni delle mani utilizzate nella presa e le articolazioni inferiori che sostengono il carico corporeo. La prevalenza della malattia è strettamente correlata all'età, è poco frequente nei soggetti di età inferiore ai 40 anni mentre è molto frequente negli individui con più di 60 anni, nell'età adulta è maggiormente interessato il sesso femminile rispetto a quello maschile.
L'osteoartrosi è causata da uno “scompenso articolare”, dovuto all'inefficacia dei meccanismi di protezione articolare. I sistemi di protezione articolare comprendono la capsula articolare, i legamenti, i muscoli, i recettori sensitivi e l'osso subcondrale.
La capsula ed i legamenti consolidano la struttura e pongono un limite all'estensione
dei movimenti articolari. Il liquido sinoviale riduce l'attrito tra i capi articolari, riducendo i danni dovuti all'attrito. La funzione di lubrificazione dipende da una glicoproteina mucinosa secreta dai fibroblasti della membrana sinoviale, la lubricina, la cui concentrazione diminuisce in seguito ai danni articolari ed alla flogosi della membrana sinoviale. [5]
I legamenti, insieme alla cute sovrastante l'articolazione ed ai tendini, contengono meccanocettori sensitivi. I meccanocettori inviano feedback a differenti frequenze durante tutto il range di movimento articolare in modo da permettere al midollo spinale di esercitare un controllo, permettendo a muscoli e tendini di assumere la tensione corretta anticipando l'arrivo del carico.
Lo stress focale sull'articolazione viene minimizzato dalla contrazione muscolare che rallenta il movimento prima dell'impatto e lo distribuisce uniformemente su tutta la struttura. Anche l'osso subcondrale partecipa alla difesa dell'articolazione assorbendo l'impatto, poiché è in grado di deformarsi impercettibilmente in risposta ad una pressione esercitata sull'articolazione. Lo squilibrio di questi meccanismi porta a danno articolare.
Il principale tessuto colpito dalla patologia artrosica è la cartilagine articolare. La cartilagine è composta principalmente da collagene di tipo II, che ne aumenta la resistenza alla trazione, e dall'aggrecano, un proteoglicano formato da glicosamminoglicani dotati di forte carica negativa, legato all'acido ialuronico. Nella cartilagine il collagene costituisce una rete che intrappola l'aggrecano obbligando queste molecole, dotate di forte carica negativa, a stare vicine tra loro; sfruttando la repulsione elettrostatica per ottenere elasticità. [6]
I condrociti sono le sole cellule all'interno di questo tessuto e sintetizzano tutte le
componenti della matrice, sottostando ad un equilibrio dinamico influenzato da
citochine, fattori di crescita e stress meccanici. La membrana sinoviale ed i condrociti
sintetizzano numerosi fattori di crescita e citochine. La principale è l'interleuchina 1
(IL-1) che stimola la produzione di proteinasi e inibisce la produzione di matrice
cartilaginea. Le citochine inducono i condrociti a produrre prostaglandina E2, ossido
nitrico (inibisce la sintesi di aggrecano e stimola l'azione proteinasica) e Bone
morphogenic protein – 2 (BMP -2, un potente mediatore anabolico). [6]
citochine favorisce il ricambio della matrice, alla lunga però l'effetto dell'IL-1 favorisce la degradazione .
É da notare che mentre la cartilagine sana è poco attiva metabolicamente, la cartilagine colpita da osteoartrosi diviene metabolicamente molto attiva; vi è inoltre un impoverimento progressivo di aggrecano e la perdita di collagene tipo II. Tutto questo porta ad una perdita di elasticità della cartilagine e quindi ad un aumento della sua vulnerabilità.
I principali fattori di rischio per lo sviluppo della patologia artrosica li possiamo dividere in fattori che aumentano la vulnerabilità articolare e fattori relativi al carico.
Per quanto riguarda i fattori di rischio per la vulnerabilità articolare l'età è correlata ad un aumento del rischio. L'invecchiamento infatti accompagna i processi lesivi con modificazioni della cartilagine che portano ad una perdita di elasticità e di resistenza, inoltre si ha una perdita di efficacia dei principali sistemi di protezione articolare, i muscoli diventano più deboli, la conduzione sensitiva rallenta, i legamenti diventano più lassi; tutto questo concorre a ridurre la resistenza allo stress articolare. Anche fattori genetici sembrano essere interessati alla predisposizione per l'artrosi, in particolare per la localizzazione all'anca ed alle mani. Non sono ancora stati identificati i geni specifici ma è stato ipotizzato un collegamento con i cromosomi 2 e 11. [7]
L'artrosi non è solo un processo di usura, vi sono molte prove infatti che le sollecitazioni meccaniche svolgono un ruolo fondamentale come ad esempio la sua insorgenza in articolazioni sotto carico ed un aumento della presenza della patologia in articolazioni sottoposte a sollecitazioni meccaniche anomale come l'obesità o deformità articolari preesistenti. Esistono anche fattori di rischio intrinseci all'articolazione che possono aumentare la vulnerabilità articolare, per esempio modificazioni dell'anatomia articolare portano ad una alterata distribuzione del carico che crea stress focale. A livello dell'anca sono tre le principali anomalie anatomiche che possono verificarsi in periodo pre- e postnatale: la displasia congenita dell'anca, la malattia di Legg-Perthes-Calvé e lo scivolamento epifisario del femore, meglio noto come epifisiolisi. A seconda della gravità dell'anomalia anatomica l'artrosi dell'anca si verificherà in età adulta (anomalie lievi) o giovanile (anomalie gravi).
Traumi gravi possono alterare l'anatomia articolare e predisporre l'articolazione allo
sviluppo di osteoartrosi (artrosi post traumatica).
Il più importante fattore relativo al carico è l'obesità. L'obesità è un importante fattore di rischio soprattutto per l'artrosi del ginocchio e dell'anca, caratteristicamente precede lo sviluppo della sintomatologia e non è solo conseguenza della scarsa attività fisica del paziente. Gli obesi inoltre manifestano una sintomatologia osteoartrosica più grave. Una modesta associazione tra obesità e osteoartosi della mano suggerisce la presenza di un fattore metabolico circolante che promuove la malattia. [6,7]
L'uso ripetitivo e continuativo delle articolazioni, sia per cause lavorative che per attività ricreative porta a osteoartrosi. Ad esempio gli agricoltori sono più soggetti ad artrosi dell'anca, nei minatori c'è una più alta incidenza di artrosi di ginocchio e colonna ed i lavoratori portuali presentano la malattia prevalentemente a ginocchia e dita. Anche attività sportive ad alto rischio di danno articolare (ad esempio il calcio), possono predisporre ad osteoartrosi.
Il quadro anatomopatologico dell'osteoartrosi è caratterizzato da un coinvolgimento panarticolare. Nella fase iniziale la cartilagine presenta irregolarità e fissurazioni verticali superficiali, in seguito si sviluppano erosioni focali che con il progredire della malattia possono estendersi all'osso sottostante fino ad una perdita disomogenea della cartilagine articolare.
Come abbiamo precedentemente visto, nell'osteoartrosi, l'attività catabolica articolare supera quella anabolica, questo porta ad un danneggiamento del collagene ed esposizione delle cariche negative dell'aggrecano con rigonfiamento della cartilagine a causa dell'attrazione ionica sulle molecole d'acqua. La cartilagine diviene meno elastica e più vulnerabile ad ulteriori traumi. La stimolazione da parte di citochine e fattori di crescita porta anche all'attivazione degli osteoclasti e degli osteoblasti. L'apposizione di tessuto osseo determina ispessimento ed irrigidimento dell'osso subcondrale e quindi un aumento della vulnerabilità articolare.
In corrispondenza del versante articolare sottoposto a maggiore stress si formano gli
osteofiti. Gli osteofiti sono costituiti inizialmente da sporgenze di neocartilagine,
successivamente subiscono un processo di ossificazione. Nell'osteoartrosi la
membrana sinoviale diviene edematosa ed infiammata.
si accompagna a dolore. Le strutture innervate dell'articolazione sono: la membrana sinoviale, i legamenti, la capsula articolare, i muscoli e l'osso subcondrale. La maggior parte di queste strutture non è visualizzabile alla radiografia e la gravità delle alterazioni radiografiche è scarsamente correlabile all'entità del dolore. Le probabili sorgenti di dolore sono la flogosi della membrana sinoviale, il versamento articolare, l'edema del midollo osseo e gli osteofiti (per l'innervazione neurovascolare, proveniente dall'osso, che penetra all'interno degli osteofiti). [6,7]
Nella maggioranza dei casi l'osteoartrosi è una malattia che compare insidiosamente, senza una causa iniziale apparente (artrosi primaria o idiopatica). Nel 5% dei casi, l'artrosi può comparire in individui più giovani che presentano alcune condizioni predisponenti come sovraccarico funzionale, precedenti traumatiche, una deformità congenita o malattie sistemiche come diabete, ocronosi, emocromatosi e marcata obesità (artrosi secondaria). [8]
Di tutte le sedi interessate dall'artrosi prenderemo in considerazione il distretto dell'anca.
Come tutte le forme artrosiche anche nell'anca si distingue una forma primaria ed una forma secondaria. Tra tutte le forme secondarie riconosciamo l'epifisiolisi, la lussazione congenita dell’anca e la coxa plana, l'artrite reumatoide, la necrosi asettica della testa del femore, gli esiti di fratture del collo del femore o di lussazione traumatica dell’anca, gli esiti di artrodesi o gli insuccessi di osteotomie. Tratteremo in seguito, e in modo più approfondito, l'artrite reumatoide e l'osteonecrosi.
L'artrosi dell'anca o coxartrosi è una delle localizzazioni principali della malattia, sia
per la frequenza, sia per l'invalidità che porta. Colpisce più frequentemente pazienti
di sesso femminile con più di 50 anni d'età. Clinicamente si manifesta con un dolore
localizzato alla regione inguinale nelle prime fasi che in seguito si propaga alla faccia
anteriore o interna della coscia fino a giungere al ginocchio, in alcuni casi il dolore è
localizzato solamente al ginocchio. Il dolore è solitamente profondo o puntorio,
peggiora con l'uso e recede con il riposo. Man mano che procede la malattia il dolore
insorge con sollecitazioni sempre minori fino a diventare un dolore continuo. Un
altro segno caratteristico è la limitazione funzionale che compare in seguito al dolore
e porta alla compromissione successiva dei movimenti permessi dall'articolazione
dell'anca. Il primo movimento ad essere compromesso è l'intrarotazione, seguito
dall'abduzione, l'extrarotazione, l'adduzione, e la flessione. Nei casi più gravi si può arrivare all'anchilosi. Possiamo rilevare all'esame obiettivo anche il segno di Trendelenburg (consiste nella caduta del bacino controlaterale all'arto deficitario nel momento in cui quest'ultimo è nella fase d'appoggio). [8]
Il dolore causato dall'artrosi determina una riduzione dell'attività motoria svolta dal paziente, e può essere causa di obesità ed aumento dei fattori di rischio cardiovascolari. L'ipostenia nella muscolatura satellite all'articolazione ha eziologia multifattoriale: un declino della forza muscolare legato all'età porta ad una ridotta mobilità ed induce ad atrofia muscolare da disuso. Inoltre i pazienti con osteoartrosi dell'anca modificano la loro andatura al fine di ridurre il carico sull'articolazione malata e questo diminuisce ulteriormente l'utilizzo muscolare. Si può instaurare anche un “inibizione artrogena” in cui la contrazione dei muscoli che supportano l'articolazione viene inibita da un circuito a feedback che origina dalla capsula articolare stirata ed edematosa. [6]
La radiografia del bacino, in antero-posteriore, ci permette di riconoscere tutti i segni
radiografici caratteristici, quali il restringimento della rima articolare, parziale o
totale, che indica la perdita di tessuto cartilagineo; la sclerosi subcondrale; gli
osteofiti, che si formano nei punti in cui le forze di trazione sono maggiori; i geodi o
pseudocisti, formazioni a contenuto fibromixoide che si formano nell'osso
subcondrale nelle zone di maggior carico la cui patogenesi è riconducibile alla
fissurazione della cartilagine con conseguente penetrazione di liquido sinoviale.
Gli obiettivi della terapia dell'osteoartrosi consistono nell'alleviare il dolore e minimizzare la perdita di efficienza fisica. Il dolore e la perdita di funzionalità articolare sono dovuti alla flogosi, alla debolezza ed alla lassità delle strutture che sostengono l'articolazione ed all'instabilità articolare, la terapia è volta alla correzione di questi fattori. La forza muscolare e l'allenamento sono fattori essenziali per la protezione articolare e, l'ipostenia che si sviluppa nella muscolatura satellite di un articolazione malata facilita la progressione del danno e l'insorgenza del dolore. Il grado di ipostenia muscolare è fortemente correlato alla gravità del dolore articolare ed al livello di limitazione fisica.
Le forme più lievi, con sintomi modesti e intermittenti richiedono solo una rassicurazione da parte del medico ed un cambiamento dello stile di vita e terapia fisica non farmacologica.
Il cardine dell'intervento non farmacologico è la riduzione del carico che grava sull'articolazione dolente e sul potenziamento meccanismi di protezione articolare. I sistemi per ridurre il carico sono:
• l'astensione da attività che sovraccaricano l'articolazione e che determinano dolore;
• il rafforzamento e l'allenamento dei muscoli che sostengono l'articolazione (particolarmente utili quelli che allenano i muscoli necessari allo svolgimento delle attività quotidiane);
• la riduzione del carico articolare alleggerendo l'articolazione con ausili per la deambulazione.
Per i pazienti obesi, un intervento significativo per ridurre il dolore è cercare di ridurre il peso corporeo.
Con il riprendere della patologia la terapia farmacologica svolge un importante ruolo complementare al trattamento non farmacologico. I farmaci più utilizzati sono: il paracetamolo, i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e gli inibitori della ciclossigenasi – 2.
Il paracetamolo è l'analgesico di scelta per il trattamento dell'osteoartrosi dell'anca,
mentre i FANS sono più utilizzati per il dolore artrosico in tutte le altre
articolazioni. I FANS determinano una riduzione del dolore maggiore del 30% del
paracetamolo ad alte dosi, occorre però fare attenzione ai loro effetti collaterali
(soprattutto gastrointestinali).
Gli inibitori della ciclossigenasi-2 hanno un effetto simile ai FANS ma hanno effetti collaterali maggiori (soprattutto per quanto riguarda un aumentato rischio di infarto del miocardio e ictus).
Nei pazienti con artrosi l'infiammazione sinoviale è probabilmente la causa maggiore di dolore, pertanto i trattamenti farmacologici locali possono ridurre, almeno temporaneamente il dolore. Le iniezioni di glucocorticoidi risultano efficaci, ma sono superiori al placebo solo per 1 o 2 settimane.
C'è disaccordo, invece, sull'efficacia di infiltrazioni di acido ialuronico.
L'artroplastica totale è indicata quando la terapia medica fallisce e il dolore e la qualità di vita divengono inaccettabili. La sostituzione protesica dell'anca si pone, infatti, come obiettivi la riduzione o la scomparsa della coxalgia ed una ripresa dell'articolarità sufficiente per svolgere le comuni attività della vita quotidiana. [6]
Di tutti i tipi di artrosi secondaria esaminiamo più nel dettaglio due forme in particolare: l'artrosi da artrite reumatoide e quella da necrosi avascolare della testa del femore.
1.2.2 Artrite reumatoide
L'artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica che colpisce prevalentemente le articolazioni diartrodiali, anche se potenzialmente può coinvolgere ogni distretto dell'organismo. A livello articolare il processo infiammatorio ha carattere erosivo e può portare alla distruzione dei capi ossei iuxtarticolari e all'anchilosi. L'artrite reumatoide è una malattia diffusa in tutto il mondo e non sembrano ci siano predilezione di clima o razza. La prevalenza della malattia è tra lo 0,3 e il 2% della popolazione, le donne sono più colpite degli uomini con un rapporto di 4:1. L'esordio può avvenire potenzialmente ad ogni età, ma colpisce più frequentemente una fascia d'età compresa tra i 40 e 60 anni.
L'eziopatogenesi non è stata ancora completamente chiarita, sembra che si sviluppi
quando in un individuo predisposto geneticamente (HLA-DR4, HLA-DR1) agisca un
agente scatenante non ancora precisato (un agente infettivo, un superantigene o un
autoantigene). Questo incontro scatenerebbe una reazione del sistema immune che
suo automantenimento e alla sua cronicizzazione. Le alterazioni più importanti della malattia sono la sinovite, i noduli e la vasculite reumatoide. La vasculite, nelle sue fasi iniziali, è caratterizzata da essudazione, infiltrazione cellulare (plasmacellule e linfociti) e proliferazione (vasi, sinoviociti e fibroblasti). La proliferazione porta nel tempo alla formazione di un panno sinoviale che invade l'osso subcondrale e distrugge la cartilagine determinando anchilosi. I noduli sono presenti nel 15-30%
dei casi e possono essere superficiali o profondi, singoli o multipli, con un diametro variabile da qualche millimetro a qualche centimetro. La vasculite colpisce i piccoli vasi e può coinvolgere qualsiasi organo. Il quadro clinico è dominato dalle manifestazioni articolari e pararticolari. L'esordio della malattia può essere graduale ed insidioso, oppure acuto. Le manifestazioni articolari sono la manifestazione iniziale più frequente nonché la manifestazione principe della malattia. L'artrite reumatoide può avere un esordio poliarticolare simmetrico o più raramente un esordio mono o oligoarticolare. Le caratteristiche della poliartrite, oltre alla distribuzione sistemica, sono un andamento centripeto delle articolazioni coinvolte (vengono coinvolte prima le articolazioni delle mani e dei piedi, poi quelle più prossimali degli arti) ed il carattere aggiuntivo (è la tendenza a colpire nuove articolazioni senza che la sintomatologia receda nelle articolazioni precedentemente colpite). In particolare, per quanto riguarda le articolazioni coxofemorali, queste sono colpite nel 25-30% dei casi. Presentano una sintomatologia tipica con dolore inguinale irradiato al ginocchio o con dolore irradiato alla natica. È precoce la compromissione dei movimenti di adduzione e intra ed extrarotazione. L'evoluzione dell'artrite coxofemorale è particolarmente severa e porta all'anchilosi in pochi anni.
Tutte queste manifestazioni articolari possono essere accompagnate da sintomi
sistemici quali: febbre, astenia, perdita di peso, mialgia e rash cutanei. All'analisi di
laboratorio sono frequenti il riscontro di anemia normocitica e normoipocromica,
l'aumento degli indici di flogosi, delle immunoglobuline e dei fattori reumatoidi. Se
presente versamento articolare è importante eseguire l'esame del liquido sinoviale
che mostrerà carattere infiammatorio. Tra gli esami strumentali il più importante è
sicuramente l'esame radiologico convenzionale, in grado di esplorare tutte le
articolazioni coinvolte nel processo morboso. Nelle prime fasi il quadro risulta
praticamente negativo, tranne che per la dimostrazione della tumefazione delle parti
molli periarticolari. Nella fase successiva compaiono le erosioni, prima in sede marginale a livello delle bare area (aree nude), zone comprese tra l'inserzione capsulare e la cartilagine articolare in cui l'osso subcondrale è meno protetto dall'insulto infiammatorio; poi si estendono a tutta l'articolazione. Compare anche una riduzione uniforme della rima articolare, espressione di una riduzione di spessore della cartilagine articolare. Nelle fasi avanzate è possibile osservare anche osteoporosi diffusa, scomparsa delle rime articolari, geodi, dislocazioni, sublussazioni e lussazioni articolari. La diagnosi si basa sul riscontro dei sintomi, segni, alterazioni bioumorali e radiografiche appena descritte. [9]
Immagine 1.6: Radiografia in anteroposteriore in paziente affetto da artrite reumatoide.
1.2.3 Osteonecrosi (necrosi avascolare)
L'osteonecrosi è la necrosi del tessuto osseo e midollare, derivante da un ischemia.
Può interessare qualsiasi segmento osseo e i meccanismi che la causano sono vari:
di azoto nella malattia iperbarica), lesione vascolare (secondaria a vasculite, radioterapia), aumento della pressione intraossea con compressione dei vasi e ipertensione venosa. Possiamo distinguere una forma di osteonecrosi idiopatica (la più frequente) e una forma secondaria. In particolare la forma che in questo momento ci interessa è la necrosi asettica della testa del femore. Questa forma, come abbiamo già visto, può essere primitiva o secondaria. La forma primitiva colpisce più frequentemente il sesso maschile, ad un età tra i 30 e i 60 anni, ed i soggetti sono solitamente obesi, alcolisti ed iperuricemici. Le forme secondarie più frequenti sono quelle da corticosteroidi e da immunosoppressori. Clinicamente, questa patologia si presenta con dolore riferito all'articolazione coxo-femorale, che si può irradiare al ginocchio; si tratta di un dolore che aumenta durante la deambulazione e che può essere presente anche a riposo e di notte. Le manovre d'anca, specie intra ed extra rotazione risultano dolorose ed il paziente presenta anche limitazione funzionale. Le radiografie in antero-posteriore e nella proiezione inguinale dell'anca varieranno a seconda dello stadio della malattia in cui si trova il paziente. [7] Ficat e Arlet individuano 4 stadi radiografici:
• radiografie normali;
• stadio del rimodellamento osseo (sono presenti aree cistiche ed osteosclerotiche);
• presenza di collasso subcondrale (segno della semiluna);
• restringimento dello spazio articolare, appiattimento della superficie articolare con lesioni degenerative secondarie.
L'indagine strumentale più importante da effettuare in questa patologia è la risonanza magnetica (RM), poiché ci permette di fare diagnosi in uno stadio preradiologico.
Figura 1.7 Stadio II di Ficat e Arlet, a sinistra quadro radiografico, a destra RM della stessa testa femorale.