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Conclusioni
Il servizio pubblico radiotelevisivo e la RAI sono stati oggetto di acceso dibattito nella società italiana e di regolamentazione costituzionale e legislativa.
D’altronde la Tv ha esercitato e continua a esercitare nel nostro Paese un vero e proprio primato tra i media e circa il 70%
dell’opinione pubblica si forma innanzi al teleschermo. La RAI è a tutt’oggi, nonostante il web, il principale operatore televisivo raggiungendo ancora il 40% degli ascoltatori totali.
È di fondamentale importanza che quanto sopra descritto acquisti un ruolo diverso, in grado cioè di garantire in modo migliore il pluralismo e il diritto all’informazione.
È emersa chiara la poca incisività dei vari Governi degli ultimi decenni ad intraprendere misure strutturali, decisive per un cambiamento di rotta al fine di perseguire gli scopi in precedenza accennati.
Anche la riforma del 2015 non ha risposto alle pressanti indicazioni del Consiglio d’Europa che richiede fortemente
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l’indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo dalla politica e soprattutto dal governo.
Il modello di governance dell’ultima riforma della RAI non conferisce nessun ruolo alla società civile o al pubblico in generale, continuando a ripresentare il binomio governo-Parlamento, con il risultato finale di attribuire un’importanza maggiore a favore del potere esecutivo suscitando ulteriori dubbi sull’effettivo perseguimento del pluralismo nell’ambito del servizio pubblico svolto dalla Rai dato che alla riduzione del numero dei consiglieri non è seguita una diminuzione dei membri eletti dall’esecutivo.
La riforma avrebbe potuto costituire l’occasione per l’individuazione di sedi ulteriori, oltre al Parlamento e al governo, a cui attribuire il potere di nomina e di vigilanza dei consiglieri.
Non può certamente essere considerato un segnale d’apertura verso il pluralismo la possibilità per i dipendenti Rai di nominare un componente del CdA, che potrà in ipotesi farsi carico di rappresentare le istanze dei lavoratori, non certo degli utenti e sarà comunque una figura all’interno del circuito aziendale, da sempre condizionato dalla politica.
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L’introduzione di un Amministratore delegato, garantirà certamente una migliore efficienza di gestione alla RAI, ma purtroppo non dà garanzie di una sua gestione più aperta e pluralistica, tanto più che la riforma finisce col ricondurre la sua nomina nei compiti del potere esecutivo.
L’obiettivo di un servizio pubblico più efficiente, svincolato dal potere politico e, soprattutto, in grado di svolgere i compiti di natura informativa e culturale sembra pertanto rinviato alla prossima ed ennesima riforma; sarebbe infatti opportuno intervenire in una duplice direzione.
Da un lato, liberare l’azienda pubblica dal controllo sia dell’esecutivo sia del parlamento, come accade in altre televisioni europee dove gli utenti possono concorrere a indirizzare il concreto svolgimento, al fine di perseguire veramente gli obiettivi cui si aspira quali trasparenza, efficacia e competitività con il risultato finale di svolgere meglio la missione di servizio pubblico, dall’altro, riformare l’intero settore radiotelevisivo garantendo veramente l’apertura del mercato alle piccole realtà in grado di portare nuove idee e accrescere la qualità della proposta.