• Non ci sono risultati.

Proposte d'inserimento della "Forza" nel protocollo AFA in donne anziane.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Proposte d'inserimento della "Forza" nel protocollo AFA in donne anziane."

Copied!
80
0
0

Testo completo

(1)

   

 

Dipartimento​ ​di​ ​Medicina​ ​Clinica​ ​e​ ​Sperimentale 

Direttore​ ​Prof.​ ​Corrado​ ​Blandizzi 

 

 

CORSO​ ​DI​ ​LAUREA​ ​IN​ ​SCIENZE​ ​E​ ​TECNICHE​ ​DELLE 

ATTIVITA’​ ​MOTORIE​ ​PREVENTIVE​ ​E​ ​ADATTATE 

Presidente:​ ​Prof.​ ​Fabio​ ​Galetta 

 

 

 

 

Proposte​ ​d'inserimento​ ​della​ ​​"Forza"​​ ​nel 

protocollo​ ​AFA​ ​in​ ​donne​ ​anziane 

 

 

RELATORE 

Prof.​ ​Ida​ ​Nicolini 

 

 

 

CANDIDATO 

Diego​ ​Taddei 

         

ANNO​ ​ACCADEMICO​ ​2016/2017

   

(2)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“...​ ​NO,​ ​provare​ ​no!​ ​Fare​ ​o​ ​non​ ​fare.​ ​Non​ ​c’è​ ​provare…”  

(Maestro​ ​Yoda) 

(3)

Indice 

   

Presentazione​ ​della​ ​struttura​ ​della​ ​tesi

Fisiopatologia​ ​dell’invecchiamento

Patologie​ ​più​ ​frequenti 5 

Malattia​ ​di​ ​Alzheimer 5 

Malattia​ ​di​ ​Parkinson 7 

Ictus 9 

Obesità 10 

Sarcopenia 12 

Osteoporosi 13 

Diabete​ ​mellito 14 

Il​ ​progetto​ ​della​ ​regione​ ​Toscana​ ​per​ ​l’Attività​ ​Fisica​ ​Adattata 17 

Il​ ​protocollo​ ​di​ ​esercizi​ ​attuale,​ ​la​ ​Delibera​ ​1418​ ​del​ ​27/12/2016 23 

Introduzione​ ​al​ ​Progetto​ ​di​ ​Tesi 28 

Capitolo​ ​SF-36 29 

Questionari​ ​per​ ​indagare​ ​la​ ​qualità​ ​della​ ​vita 29 

Il​ ​Questionario​ ​SF-36 31 

Questionario​ ​sullo​ ​stato​ ​di​ ​Salute​ ​SF-36 33 

Elaborazione​ ​e​ ​Presentazione​ ​dei​ ​risultati 37 

Profilo​ ​individuale​ ​dell'SF​ ​36 37 

Questionario​ ​M.U.S.​ ​e​ ​Sintomi​ ​Scheletrici 40 

Autovalutazione​ ​Sintomi​ ​Scheletrici 43 

Questionario​ ​M.U.S. 45 

Programmazione 47 

Analisi​ ​dei​ ​dati​ ​e​ ​Conclusioni 51 

Situazione​ ​a​ ​inizio​ ​protocollo 51 

Situazione​ ​alla​ ​fine​ ​del​ ​protocollo 55 

Confronto​ ​prima-dopo 57  Appendice 63  Bibliografia 76  Ringraziamenti 78       

(4)

Presentazione​ ​della​ ​struttura​ ​della​ ​tesi 

 

Questo elaborato è suddiviso in 6 capitoli, i primi due sono un preambolo al lavoro che        presento. 

Il primo tratta la fisiopatologia dell’anziano, cioè va a dare un quadro generale delle        patologie più frequenti con cui, durante lo svolgimento del progetto, mi sono trovato a        contatto. 

Il secondo descrive l’attività fisica adattata, la storia, passando per tutte le tappe che        l’hanno​ ​modificata,​ ​fino​ ​ad​ ​arrivare​ ​al​ ​protocollo​ ​attuale. 

Il terzo capitolo riguarda uno dei questionari, l’SF-36, che ho utilizzato per valutare la        qualità​ ​di​ ​vita​ ​dei​ ​soggetti​ ​e​ ​del​ ​quale​ ​ho​ ​analizzato​ ​i​ ​dati. 

Nel quarto capitolo viene spiegato l’altro questionario utilizzato, MUS e autovalutazione        dei sintomi scheletrici, il quale serve a indagare lo stato di infiammazione cronico dei        soggetti. 

Il quinto presenta il protocollo di lavoro, in particolare gli esercizi proposti come        integrazione​ ​al​ ​protocollo​ ​AFA. 

Il sesto ed ultimo capitolo tratta l’analisi dei dati, le spiegazioni e le considerazioni che       

(5)

Fisiopatologia​ ​dell’invecchiamento 

 

L'invecchiamento è un fenomeno globale che, grazie al miglioramento delle condizioni di vita,        coinvolge un numero sempre maggiore di persone. Secondo la World Health Organization (WHO),        in quasi tutti i Paesi del mondo il numero di persone con più di 60 anni sta aumentando più        velocemente rispetto alle altre fasce di età. Si stima che nel 2050 le persone con più di 60 anni        saranno quasi 2 miliardi (oltre il triplo rispetto al 2005) e rappresenteranno circa un quarto (22%)        della popolazione mondiale. Quando si parla di invecchiamento in generale non ci si riferisce solo        all’avanzare dell’età cronologica, ma ai cambiamenti organici, emotivi e cognitivi che sono ad        esso correlati. Non è facilmente definibile quali di queste modificazioni siano normali e quali        patologiche; così la differenza tra invecchiamento fisiologico ed invecchiamento patologico        rimane una linea teorica, variabile a seconda degli apparati considerati, ma anche degli approcci        scientifico-culturali utilizzati. Il concetto di normalità in gerontologia non ha una chiara        definizione a causa dell’estrema variabilità che caratterizza il modo di invecchiare di ogni        individuo, nonché per la mancanza, soprattutto via via che si avanza verso le età più estreme della        vita, di un netto confine tra fisiologico e patologico. Di solito si considera normale ciò che è        presente in tutti gli individui di una determinata età (p.e. presbiopia); nella norma è invece ciò che        è comunemente riscontrato in quegli stessi soggetti, ma non presente in tutti, potendo contenere        in sé anche condizioni di patologia (p.e. cataratta, ipertensione sistolica isolata, osteoartrosi,        osteoporosi). Per poter distinguere nell’anziano ciò che è normale da ciò che è soltanto nella        norma dovrebbero essere definiti al meglio i criteri di normalità. A concorrere ai cambiamenti        correlati al progredire dell'età, che variano da individuo a individuo, c’è un duplice ordine di        fattori che comprende, da una parte, le influenze genetiche e, dall'altra, l'effetto di determinanti        ambientali quali lo stile di vita, l'alimentazione, l’ambiente, l'esposizione a sostanze nocive o a        contingenze dannose per l'organismo. Nel corso dell’invecchiamento si verifica una progressiva        riduzione età-correlata della funzione di numerosi organi (cervello, cuore, reni, polmoni, sistema        immunitario) con conseguente aumento della vulnerabilità di fronte a vari agenti patogeni. Un        altro aspetto correlato all’età è rappresentato dal numero di malattie che possono coesistere nello        stesso individuo. Di conseguenza l’invalidità aumenta di pari passo con l’età e con il numero di        condizioni croniche. Sono questi alcuni degli aspetti determinanti che spingono sempre più a        parlare di “anziano fragile”, con tutte le problematiche connesse a questa condizione. Va        considerato che i problemi sanitari nelle persone anziane presentano un notevole peso per le        caratteristiche​ ​presentate.​ ​Si​ ​ha​ ​infatti: 

•​ ​maggiore​ ​tendenza​ ​alla​ ​cronicizzazione​ ​delle​ ​patologie​ ​senili;  •​ ​maggiore​ ​associazione​ ​di​ ​malattie​ ​(polipatologia); 

•​ ​maggiori​ ​difficoltà​ ​per​ ​la​ ​diagnosi​ ​e​ ​la​ ​cura; 

•​ ​maggiore​ ​necessità​ ​di​ ​terapie​ ​riabilitative​ ​e​ ​di​ ​trattamenti​ ​psico-sociali. 

Dalla complessità legata alle problematiche delle patologie delle età avanzate deriva la necessità        di prevenire la perdita dell’omeostasi in cui l’anziano “sano” si trova, cioè colui che rientra il più        possibile nei canoni di un invecchiamento fisiologico. Tenendo conto della correlazione tra fattori        mentali, fisici, sociali e spirituali, nonché degli altri elementi senilizzanti, la protezione        dell’anziano è mirata al mantenimento del suo stato di salute, che va oltre la lotta contro le        malattie. Così per la salute mentale rivestono notevole importanza gli interessi culturali per        esempio per la lettura, l’impegno in attività artistiche o più semplicemente artigianali con il        mantenimento di un atteggiamento propositivo, una adeguata stimolazione psico-affettiva (con        la vicinanza di figli e nipoti); per la salute fisica è di grande importanza la riduzione dei fattori di        rischio come ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, fumo, diabete mellito, osteoporosi, etc...        Mantenere un certo grado di attività fisica è un metodo sicuro per conservare il più a lungo        possibile le capacità funzionali necessarie per il mantenimento dell’autosufficienza. È infatti        ormai dimostrato che una regolare attività fisica è un fattore protettivo nei confronti della       

(6)

comparsa della disabilità in età avanzata, mentre la sedentarietà è predittiva di un declino        funzionale nell’anziano. Garantire pertanto all’individuo una condotta di vita attiva, ricca sul        piano psico-affettivo e delle relazioni sociali, stimolante dal punto di vista culturale, significa        metterlo nel miglior stato di salute per un “invecchiamento di successo”, cioè in condizioni        psico-fisiche​ ​ottimali​ ​ed​ ​in​ ​piena​ ​autonomia​ ​di​ ​vita. 

 

Epidemiologia   

In Italia, oltre la metà della popolazione anziana soffre di patologie croniche gravi. Nel 2012 le        persone con almeno una patologia cronica grave erano il 14,8% della popolazione, con un        aumento dell'1,5% rispetto al 2005. Non si tratta di un peggioramento delle condizioni di salute,        ma di un incremento della popolazione anziana esposta al rischio di ammalarsi. Infatti, il tasso        depurato dall’effetto dovuto all’incremento delle persone anziane resta stabile (14,6% nel 2005        vs 14,9% nel 2012), con una differenza di genere a sfavore degli uomini (16,0% vs 13,9% delle        donne). Nelle classi di età >65-69 anni e ≥70 anni, le donne che soffrono di almeno una cronicità        grave rappresentano, rispettivamente, il 28 e il 51%. Gli uomini soffrono di almeno una cronicità        grave nel 36% dei casi, nella classe di età 65-69 anni, e nel 57% tra quelli con età ≥70 anni. In        merito alla prevalenza delle singole patologie croniche, si evidenzia come il 57% degli anziani        soffra di artrite, il 55% di ipertensione, il 38% abbia problemi respiratori, il 17% sia affetto da        diabete, il 17% da cancro, il 16% da osteoporosi. Il diabete, i tumori, l’Alzheimer e le demenze        senili sono patologie in evidente crescita rispetto al passato. La multimorbilità è presente in un        terzo della popolazione adulta e la sua prevalenza aumenta con l’età, raggiungendo una        prevalenza del 60% tra gli individui di età compresa tra 55 e 74 anni. Inoltre, il trend di        prevalenza di questa condizione è in crescita ed è stata chiaramente dimostrata la tendenza di        alcune​ ​patologie​ ​a​ ​formare​ ​“clusters”. 

Patologie​ ​più​ ​frequenti 

 

Malattia​ ​di​ ​Alzheimer 

 

La malattia di Alzheimer-Perusini, detta anche morbo di Alzheimer, è la forma più comune di        demenza degenerativa invalidante con esordio prevalentemente in età presenile (oltre i 65 anni,        ma può manifestarsi anche in epoca precedente). Il sintomo precoce più frequente è la difficoltà        nel ricordare eventi recenti. Con l'avanzare dell'età possiamo avere sintomi come: depressione,        afasia, disorientamento, cambiamenti repentini di umore, incapacità di prendersi cura di sé,        problemi nel comportamento. Ciò porta il soggetto a isolarsi nei confronti della società e della        famiglia. A poco a poco, le capacità mentali basilari vengono perse. Anche se la velocità di        progressione è variabile, l'aspettativa media di vita dopo la diagnosi è tra tre e nove anni. La causa        e la progressione della malattia di Alzheimer non sono ancora ben comprese. La ricerca indica che        la malattia è strettamente associata a placche amiloidi e ammassi neurofibrillari riscontrati nel        cervello, ma non è ancora nota la causa prima di tale degenerazione. Attualmente i trattamenti        terapeutici utilizzati offrono solo un piccolo beneficio sintomatico e possono parzialmente        rallentare il decorso della patologia; anche se sono stati condotti oltre 500 studi clinici per        l'identificazione di un possibile trattamento per l'Alzheimer, non sono ancora stati identificati        trattamenti che ne arrestino o invertano il decorso. Circa il 70% del rischio si ritiene sia genetico        con molti geni coinvolti, gli altri fattori di rischio includono traumi, depressione o ipertensione. Il        processo della malattia è associata a placche amiloidi che si formano nel SNC. Una diagnosi        probabile è basata sulla progressione della malattia, i test cognitivi con imaging medico e gli        esami del sangue per escludere altre possibili cause. I sintomi iniziali sono spesso scambiati per        normale invecchiamento. È necessaria la biopsia del tessuto cerebrale per una diagnosi definitiva.       

(7)

L'esercizio mentale e fisico possono diminuire il rischio di Alzheimer. Non esistono farmaci o        integratori che scientificamente possano diminuirne il rischio. Stimolazione mentale, esercizio        fisico e una dieta equilibrata sono state proposte sia come modalità di possibile prevenzione, sia        come modalità complementari di gestione della malattia. La sua ampia e crescente diffusione        nella popolazione la rendono una delle patologie a più grave impatto sociale del mondo, data la        limitata e, comunque, non risolutiva efficacia delle terapie disponibili e le enormi risorse        necessarie per la sua gestione (sociali, emotive, organizzative ed economiche), che ricadono in        gran parte sui familiari dei malati. Anche se il decorso della malattia di Alzheimer è in parte        specifico per ogni individuo, la patologia causa diversi sintomi comuni alla maggior parte dei        pazienti; i primi sintomi osservabili sono spesso erroneamente considerati problematiche "legate        all'età", o manifestazioni di stress.         ​Nelle prime fasi, il sintomo più comune è l'incapacità di                   

acquisire nuovi ricordi e la difficoltà nel ricordare eventi osservati recentemente. Quando si        ipotizza la presenza di una possibile malattia di Alzheimer, la diagnosi viene di solito confermata        tramite specifiche valutazioni comportamentali e test cognitivi, spesso seguiti dall'imaging a        risonanza magnetica.   ​Con l'avanzare della malattia, il quadro clinico può prevedere confusione,                   

difficoltà nel linguaggio, irritabilità e aggressività, sbalzi di umore, perdita della memoria a breve        e​ ​lungo​ ​termine​ ​e​ ​progressive​ ​disfunzioni​ ​sensoriali. 

Poiché per la malattia di Alzheimer non sono attualmente disponibili terapie risolutive e il suo        decorso è progressivo, la gestione dei bisogni dei pazienti diviene essenziale. Spesso è il coniuge o        un parente stretto a prendersi in carico il malato, compito che comporta notevoli difficoltà e        oneri. 

Il decorso della malattia è diviso in quattro fasi, con un progressivo deterioramento cognitivo e        funzionale. 

Pre-demenza 

I primi sintomi sono spesso scambiati con l'invecchiamento o lo stress. I test neuropsicologici        dettagliati possono rivelare difficoltà cognitive lievi fino a otto anni prima che una persona        soddisfi i criteri clinici per la diagnosi di Alzheimer. I primi sintomi possono influenzare molte        attività di vita quotidiana. Uno dei sintomi più evidenti è la difficoltà a ricordare i fatti appresi di        recente e l'incapacità di acquisire nuove informazioni.             ​Piccoli problemi di attenzione, di pensiero           

astratto, di pianificare azioni, o problemi con la memoria semantica (memoria che collega la        parola al suo significato) possono essere sintomatici delle prime fasi dell'Alzheimer. L'apatia, che        si osserva in questa fase, è il sintomo neuropsichiatrico che persiste per tutto il decorso della        malattia. Sintomi come depressione, irritabilità e scarsa consapevolezza delle difficoltà di        memoria sono molto comuni.       ​La fase preclinica della malattia è stata chiamata "mild cognitive                   

impairment" (MCI). Quest'ultima si trova spesso ad essere una fase di transizione tra        l'invecchiamento normale e la demenza. MCI può presentarsi con un’ampia varietà di sintomi, e        quando la perdita di memoria è il sintomo predominante è chiamato "MCI amnesico" ed è spesso        visto​ ​come​ ​una​ ​fase​ ​anticipativa​ ​della​ ​malattia​ ​di​ ​Alzheimer. 

Fase​ ​iniziale   

Nelle persone con Alzheimer la crescente compromissione di apprendimento e di memoria alla        fine porta ad una diagnosi definitiva. In una piccola percentuale, difficoltà nel linguaggio,        nell'eseguire azioni, nella percezione (agnosia), o nell'esecuzione di movimenti complessi        (aprassia) sono più evidenti dei problemi di memoria. L'Alzheimer non colpisce allo stesso modo        tutti i tipi di memoria. Vecchi ricordi della vita personale (memoria episodica), la memoria        implicita (la memoria del corpo su come fare le cose, come l'utilizzo di una forchetta per        mangiare) e le nozioni apprese (memoria semantica) sono colpiti in misura minore rispetto a        nozioni imparate di recente. I problemi linguistici sono caratterizzati principalmente da un        impoverimento del vocabolario e una diminuzione della scioltezza, che portano ad un        depauperamento generale del linguaggio orale e scritto. In questa fase, la persona con il morbo di        Alzheimer è di solito in grado di comunicare adeguatamente idee di base. Può essere presente una       

(8)

difficoltà nell’esecuzione di attività come la scrittura, il disegno o vestirsi, la pianificazione di        movimenti complessi e la coordinazione spazio-temporale può essere parzialmente        compromessa, ma questi sintomi sono comunemente sottostimati. Con il progredire della        malattia, le persone con Alzheimer spesso continuano ad essere autonome per svolgere molti        compiti, ma potrebbero avere bisogno di assistenza o di controllo per le attività cognitivamente        più​ ​impegnative​ ​. 

Fase​ ​intermedia 

Il progredire dell'Alzheimer ostacola l'autosufficienza dei soggetti, i quali lentamente non sono        più in grado di svolgere le attività quotidiane. Le difficoltà linguistiche diventano evidenti per via        dell'afasia, che porta frequentemente a sostituire parole con altre, errate nel contesto. La lettura e        la scrittura vengono lentamente abbandonate. Le sequenze motorie più complesse diventano        meno coordinate con il passare del tempo e aumenta il rischio di cadute. In questa fase i problemi        di memoria peggiorano, la persona può non riconoscere i parenti stretti, la memoria a lungo        termine, che in precedenza era intatta, diventa compromessa. I cambiamenti comportamentali e        neuropsichiatrici diventano più evidenti. Si può passare rapidamente dall'irritabilità al pianto e        non sono rari impeti di rabbia o resistenza al "caregiver". I soggetti perdono anche la        consapevolezza​ ​della​ ​propria​ ​malattia​ ​e​ ​i​ ​limiti​ ​che​ ​essa​ ​comporta. 

Fase​ ​finale 

Durante le fasi finali, il paziente è completamente dipendente dal "caregiver". Il linguaggio è        ridotto a semplici frasi o parole, anche singole, portando infine alla completa perdita della parola.        Nonostante la perdita delle abilità linguistiche verbali, alcune persone spesso possono ancora        comprendere e restituire segnali emotivi. Anche se l'aggressività può ancora essere presente,        l'apatia e la stanchezza sono i sintomi più comuni. Le persone con malattia di Alzheimer alla fine        non saranno in grado di eseguire anche i compiti più semplici in modo indipendente; la massa        muscolare e la mobilità si deteriorano al punto in cui sono costretti a letto e incapaci di nutrirsi.        La​ ​causa​ ​della​ ​morte​ ​è​ ​di​ ​solito​ ​un​ ​fattore​ ​esterno,​ ​come​ ​un'infezione​ ​o​ ​una​ ​polmonite. 

 

Malattia​ ​di​ ​Parkinson 

 

La malattia di Parkinson, definita come morbo di Parkinson, è una malattia neurodegenerativa. I        sintomi motori tipici della condizione sono il risultato della morte delle cellule che sintetizzano e        rilasciano la dopamina. Queste cellule si trovano nella sostanza nigra, una regione del        mesencefalo. La causa che porta alla loro morte è sconosciuta. All'esordio della malattia, i sintomi        più evidenti sono legati al movimento, ed includono lentezza nei movimenti, tremori, rigidità, e        difficoltà a camminare. In seguito, possono insorgere problemi cognitivi e comportamentali,        come la demenza che si verifica a volte nelle fasi avanzate. La malattia di Parkinson è più        frequente negli anziani; la maggior parte dei casi si verifica dopo i 50 anni. I sintomi motori        principali sono comunemente chiamati parkinsonismo. La condizione è spesso definita come una        sindrome idiopatica. Molti fattori di rischio e fattori protettivi sono stati indagati: ad esempio c’è        un aumento del rischio di contrarre la malattia nelle persone esposte a idrocarburi, solventi e        pesticidi. La patologia è caratterizzata dall'accumulo di una proteina, chiamata alfa-sinucleina, in        inclusioni denominate corpi di Lewy nei neuroni e scarsa formazione di dopamina. La        distribuzione anatomica dei corpi di Lewy è direttamente correlata all'espressione e al grado dei        sintomi clinici di ciascun individuo. La diagnosi nei casi tipici si basa principalmente sull’analisi        dei sintomi, con indagini di neuroimaging come conferma. I trattamenti sono efficaci per gestire i        sintomi motori precoci della malattia, grazie all'uso di agonisti della dopamina e del levodopa. Col        progredire della malattia, i neuroni dopaminergici continuano a diminuire di numero e questi        farmaci diventano inefficaci nel trattamento della sintomatologia. Allo stesso tempo si produce        una complicanza, la discinesia, caratterizzata da movimenti involontari. Una corretta       

(9)

alimentazione e alcune forme di riabilitazione hanno dimostrato una buona efficacia sui sintomi.        Come ultima risorsa la chirurgia e la stimolazione cerebrale profonda vengono utilizzate per        ridurre​ ​i​ ​sintomi​ ​motori,​ ​in​ ​quei​ ​casi​ ​più​ ​gravi​ ​dove​ ​i​ ​farmaci​ ​risultano​ ​inefficaci. 

Sintomi​ ​Motori   

Quattro caratteristiche motorie sono considerate la base sintomatologica della malattia di        Parkinson: la bradicinesia, il tremore, la rigidità e l'instabilità posturale.                   ​Il tremore è il sintomo         

più comune ed evidente, anche se circa il 30% degli individui con malattia di Parkinson all'esordio        non lo mostra. Il tremore è prevalente "a riposo", con bassa frequenza, scompare durante i        movimenti volontari, in genere peggiora nelle situazioni di stress emozionale, mentre è assente        durante il sonno.      ​Esso si manifesta maggiormente nella porzione più distale dell'arto e                   

all'insorgenza appare tipicamente in un solo arto (braccio o gamba), divenendo successivamente        bilaterale. La frequenza del tremore parkinsoniano è compresa tra i 4 e 6 hertz (cicli al secondo)        ed è descritto come l'atto di "contare le monete" o come ​pill-rolling​.                       ​La bradicinesia (lentezza dei       

movimenti) è un'altra caratteristica della malattia associata alla difficoltà in tutte le fasi del        movimento: pianificazione, iniziazione, esecuzione. La bradicinesia è il sintomo più invalidante        nei primi stadi della malattia.         ​Il movimento sequenziale e simultaneo viene ostacolato. Queste               

manifestazioni comportano diversi problemi durante lo svolgimento delle attività quotidiane che        richiedono un controllo preciso dei movimenti, come la scrittura, le faccende domestiche o il        vestirsi. La valutazione clinica si basa su prove riguardanti operazioni simili. Generalmente gli        individui che presentano bradicinesia mostrano difficoltà minori se gli vengono forniti degli        ausili. La bradicinesia non è uguale per tutti i movimenti, alcuni pazienti risultano in grado di        camminare con grandi difficoltà, ma tuttavia riescono ancora ad andare in bicicletta. La rigidità e        la resistenza al movimento degli arti è causata da una continua ed eccessiva contrazione dei        muscoli. Nel parkinsonismo la rigidità può essere uniforme o a scatti. La rigidità può essere        associata a dolore articolare, il quale è una frequente manifestazione iniziale della malattia. Nelle        fasi iniziali, la rigidità è spesso asimmetrica e tende a localizzarsi tra i muscoli del collo e delle        spalle, rispetto ai muscoli del viso e degli arti. L'instabilità posturale è tipica delle ultime fasi. Ciò        comporta disturbi dell'equilibrio e frequenti cadute che possono causare fratture ossee.        L'instabilità è assente nelle fasi iniziali, soprattutto nelle persone più giovani. Fino al 40% dei        pazienti possono andare incontro a cadute e circa il 10% cade settimanalmente, con un numero di        cadute correlabile alla gravità della malattia. La deambulazione è caratterizza da piccoli passi,        strisciati, con un avvio molto problematico e spesso si osserva il fenomeno della "festinazione",        cioè una progressiva accelerazione della camminata sino a cadere. Vi possono essere disturbi della        deglutizione, il linguaggio può diventare monotòno, poco espressivo, lento (bradilalia); la mimica        facciale è scarsa e l'espressione impassibile. Anche la scrittura cambia, con una grafia che tende a        rimpicciolirsi.​ ​Tuttavia,​ ​la​ ​gamma​ ​dei​ ​sintomi​ ​motori​ ​può​ ​essere​ ​molto​ ​più​ ​vasta. 

Sintomi​ ​neuropsichiatrici   

La malattia di Parkinson può causare disturbi neuropsichiatrici che includono disturbi del        linguaggio, della cognizione, dell'umore, del comportamento e del pensiero. La prevalenza di essi        aumenta con la durata della malattia. Il disturbo cognitivo più comune è la disfunzione esecutiva,        che può comprendere difficoltà nella pianificazione, nel pensiero astratto, nella flessibilità        cognitiva, nell'avvio di azioni appropriate e nell'inibizione delle operazioni inappropriate. Le        variazioni di attenzione e il rallentamento della velocità cognitiva sono ulteriori problemi a livello        cognitivo. La memoria viene influenzata, in particolar modo, nel ricordare le informazioni        apprese. Una persona con malattia di Parkinson ha un rischio di soffrire di demenza da 2 a 6 volte        maggiore rispetto alla popolazione in generale. La demenza è associata ad una forte riduzione        della qualità della vita, sia nei pazienti che in chi li assiste. Modificazioni del comportamento e        dell'umore sono più comuni nella malattia di Parkinson rispetto alla popolazione in generale. I       

(10)

problemi più frequenti sono la depressione, l'apatia e l'ansia. Questi aspetti sono stati correlati        anche​ ​ai​ ​farmaci​ ​usati​ ​per​ ​combattere​ ​la​ ​malattia. 

 

Ictus 

 

L'ictus si verifica quando una scarsa perfusione sanguigna al cervello provoca la morte delle        cellule. Vi sono due tipi principali di ictus, quello emorragico, causato da un sanguinamento, e        quello ischemico, dovuto alla mancanza del flusso di sangue; entrambi portano come risultato che        una porzione del cervello rimane incapace di funzionare correttamente. I segni e i sintomi di un        ictus possono comprendere, tra gli altri, l'incapacità di muoversi o di percepire un lato del corpo,        problemi nell'esprimere parole o nella comprensione fino alla perdita di visione di una parte del        campo visivo. Se i sintomi durano meno di una o due ore, l'episodio viene chiamato attacco        ischemico transitorio. I sintomi possono essere permanenti e le complicanze a lungo termine        possono includere: demenza vascolare, parkinsonismo, afasia, paraplegia, tetraplegia, paresi. Il        principale fattore di rischio per l'ictus è la pressione alta. Altri possono essere il fumo di tabacco,        l'obesità, il diabete mellito, il colesterolo alto, un precedente TIA e la fibrillazione atriale. L'ictus        emorragico è tipicamente causato dal sanguinamento nel cervello o nello spazio circostante,        mentre l'ictus ischemico da un blocco di un vaso sanguigno. La diagnosi viene generalmente        formulata attraverso l'esame clinico. Le tecniche di neuroradiologia, in particolare la risonanza        magnetica e la tomografia computerizzata, risultano fondamentali per confermare il sospetto        clinico, caratterizzare e quantificare le lesioni, pianificare il trattamento.                  ​La prevenzione   

comprende tentativi di diminuzione dei fattori di rischio, eventualmente l'assunzione di aspirina        e/o statine, l'intervento chirurgico per mantenere pervie le arterie del cervello nei pazienti con un        restringimento problematico.    ​Il trattamento dell'ictus spesso richiede il ricorso a cure                 

d'emergenza. L'ictus di tipo ischemico, a poco tempo dall’insorgenza, si può giovare della        tradizionale terapia con somministrazione sistemica di fibrinolitico e, nei centri dotati di unità di        neuroradiologia interventistica, del trattamento endovascolare mediante trombectomia        meccanica. Alcuni ictus emorragici possono essere trattati tramite intervento chirurgico. La        riabilitazione intrapresa nel tentativo di recuperare alcune delle funzionalità perse si svolge        idealmente nelle stroke unit, che tuttavia spesso non sono disponibili in molte parti del mondo.        Nel 2010 circa 17 milioni di persone hanno subito un ictus e 33 milioni reduci ad un evento di        questo tipo erano ancora in vita. Nel 2013, l'ictus è stato la seconda più frequente causa di morte        dopo le malattie coronariche, responsabile di 6,5 milioni di decessi (il 12% del totale). Circa 3,3        milioni di morti sono conseguenza dell'ictus ischemico, mentre 3,2 milioni dell'ictus emorragico.        In​ ​generale,​ ​due​ ​terzi​ ​degli​ ​ictus​ ​si​ ​sono​ ​verificati​ ​in​ ​persone​ ​di​ ​oltre​ ​65​ ​anni​ ​di​ ​età. 

Ictus​ ​ischemico 

L'ictus ischemico si verifica quando c’è una diminuzione nel flusso sanguigno verso una parte del        cervello, con una conseguente disfunzione del tessuto cerebrale in tale zona. Vi sono tre ragioni        per​ ​cui​ ​questo​ ​può​ ​accadere: 

● Trombosi​ ​(ostruzione​ ​di​ ​un​ ​vaso​ ​sanguigno​ ​per​ ​un​ ​coagulo​ ​di​ ​sangue) 

● Embolia​ ​(ostruzione​ ​dovuta​ ​ad​ ​un​ ​embolo​ ​proveniente​ ​da​ ​altre​ ​parti​ ​del​ ​corpo) 

● Ipoperfusione sistemica (generale diminuzione dell’afflusso di sangue, ad esempio in        seguito​ ​ad​ ​uno​ ​stato​ ​di​ ​shock). 

Ictus​ ​emorragico   

Una emorragia intracranica è un accumulo di sangue in un qualsiasi punto della volta cranica. I        principali​ ​tipi​ ​sono​ ​l'ematoma​ ​epidurale,​ ​l'ematoma​ ​subdurale​ ​e​ ​l'emorragia​ ​subaracnoidea. 

(11)

Una emorragia cerebrale è invece dovuta al sanguinamento all'interno del tessuto cerebrale, il        quale può essere legato a emorragia intraparenchimale o emorragia intraventricolare. La maggior        parte degli ictus emorragici hanno sintomi specifici e in particolare mal di testa o un trauma        cranico​ ​precedente. 

 

Fattori​ ​di​ ​rischio 

Studi hanno individuato molteplici fattori che aumentano il rischio di ictus. Alcuni di questi        fattori, principalmente l'età, non possono essere modificati, ma costituiscono tuttavia importanti        indicatori per definire le classi di rischio. Altri fattori possono essere modificati con misure        farmacologiche​ ​e​ ​non.​ ​I​ ​fattori​ ​di​ ​rischio​ ​modificabili​ ​ben​ ​documentati​ ​sono: 

● ipertensione​ ​arteriosa;  ● alcune​ ​cardiopatie;  ● diabete​ ​mellito; 

● ipertrofia​ ​ventricolare​ ​sinistra;  ● stenosi​ ​carotidea; 

● fumo​ ​di​ ​sigaretta; 

● eccessivo​ ​consumo​ ​di​ ​alcol;  ● ridotta​ ​attività​ ​fisica. 

 

Obesità 

 

L'obesità è una condizione medica caratterizzata da un eccessivo accumulo di ​tessuto adiposo che        porta effetti negativi sulla salute con conseguente riduzione dell'aspettativa di vita oltre che della        qualità. Si tratta di una patologia tipica delle società dette "del benessere". L'Organizzazione        mondiale della sanità definisce l'obesità attraverso l'indice di massa corporea (BMI / IMC), un        dato biometrico che mette a confronto peso e altezza: sono considerati obesi i soggetti con IMC        maggiore di 30 kg/m​      2​. ​Una dieta alimentare corretta, esercizio fisico e un approccio psicologico                   

sono le basi per la terapia preventiva e curativa dell'obesità. L'obesità rappresenta la principale        causa di morte prevenibile in tutto il mondo e, con l'aumento della prevalenza in adulti e bambini,        è​ ​considerata​ ​anche​ ​uno​ ​dei​ ​più​ ​gravi​ ​problemi​ ​di​ ​salute​ ​pubblica​ ​del​ ​XXI​ ​secolo. 

 

Effetti​ ​sulla​ ​salute 

Il peso corporeo eccessivo è spesso associato ad altre patologie, in particolare a malattie        cardiovascolari, sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, diabete mellito di tipo 2, ad alcuni tipi        di​ ​cancro​ ​e​ ​alla​ ​osteoartrosi.​ ​Pertanto​ ​l'obesità​ ​è​ ​causa​ ​di​ ​una​ ​riduzione​ ​dell'aspettativa​ ​di​ ​vita. 

               

(12)

Mortalità   

 

Rischio relativo di morte a 10 anni per uomini (a sinistra) e donne (a destra) statunitensi di etnia        caucasica, che non siano mai stati fumatori, ripartiti per indice di massa corporea.                         ​Nell'Unione 

europea un milione di decessi (pari al 7,7% del totale) sono attribuiti al peso in eccesso. In media,        l'obesità abbassa l'aspettativa di vita di circa sei-sette anni: in particolare, l'aspettativa di vita        diminuisce di due/quattro anni in caso di obesità moderata (corrispondente a un IMC compreso        fra 30 e 35 kg/m​        2​), mentre l'obesità grave (IMC maggiore di 40 kg/m​                2​) riduce l'aspettativa di vita         

di​ ​dieci​ ​anni. 

Dieta 

   

Mappa della disponibilità di energia alimentare per persona al giorno nel 1961 (sinistra) e nel        2001-2003​ ​(destra)​ ​in​ ​kcal/persona/giorno 

​ ​​ ​​ ​​ ​​​ ​no​ ​data​ ​​​ ​​ ​​ ​​ ​​​ ​<1600​ ​​​ ​​ ​​ ​​ ​​​ ​1600–1800​ ​​​ ​​ ​​ ​​ ​​​ ​1800–2000​ ​​​ ​​ ​​ ​​ ​​​ ​2000–220​ ​0​​ ​​ ​​ ​​ ​​​ ​2200–2400​ ​​​ ​​ ​​ ​​ ​​​ ​2400–2600 

​ ​​ ​​ ​​ ​​​ ​2600–2800​ ​​​ ​​ ​​ ​​ ​​​ ​2800–3000​ ​​​ ​​ ​​ ​​ ​​​ ​3000–3200​ ​​​ ​​ ​​ ​​ ​​​ ​3200–3400​ ​​​ ​​ ​​ ​​ ​​​ ​3400–3600​ ​​​ ​​ ​​ ​​ ​​​ ​>3600 

 

Il consumo calorico totale è in stretta relazione con l'obesità. La disponibilità energetica        alimentare pro capite varia sensibilmente tra le diverse regioni del mondo ed è cambiata        significativamente nel corso del tempo. Fra gli inizi degli anni settanta e la fine degli anni        novanta, le calorie mediamente disponibili per persona al giorno sono aumentate ovunque.                       ​La 

diffusa disponibilità di linee guida nutrizionali non è stata sufficiente per combattere i problemi        legati all'eccesso di calorie e agli errori nella scelta della dieta. La maggior parte di questa energia        alimentare in eccesso è dovuta all'aumento del consumo di carboidrati piuttosto che al consumo        di​ ​grassi. 

 

Stile​ ​di​ ​vita​ ​sedentario   

(13)

Uno stile di vita sedentario gioca un ruolo significativo nell'obesità. Nel mondo si è verificata una        grande diminuzione del lavoro fisicamente impegnativo: conseguentemente almeno il 60% della        popolazione mondiale compie attività motorie insufficienti. Anche nei bambini è stato        documentato un calo nei livelli di attività fisica. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha        registrato una netta diminuzione del numero di persone che nel tempo libero si dedicano ad        attività fisiche.   ​Tanto nei bambini quanto negli adulti è emersa una correlazione fra il tempo                         

dedicato​ ​all'uso​ ​della​ ​televisione​ ​o​ ​computer​ ​e​ ​il​ ​rischio​ ​di​ ​obesità. 

 

Sarcopenia 

 

È il fenomeno (entro certi limiti fisiologico), rallentabile ma non arrestabile, che inizia dopo i 40        anni con una diminuzione della forza e della massa muscolare. I fattori che concorrono a tale        processo sono: il grado di attività fisica, le modificazioni ormonali, la malnutrizione e diverse        malattie croniche. Nell’anziano, l’attività fisica migliora molto la forza, ma aumenta di poco la        massa muscolare. La sarcopenia, quando è particolarmente accentuata e quindi condizione        patologica, è la principale causa di invalidità e debolezza nell’anziano, con una compromissione        dell’autonomia; causa equilibrio instabile, incapacità di salire o scendere le scale, o portare a casa        la spesa, e quindi riduce la qualità della vita; aumenta il rischio di cadute e la loro gravità, che        aumenta con l’osteoporosi per la ridotta tensione muscolare sulla struttura scheletrica e per la        riduzione dell’effetto cuscinetto del muscolo sull’osso. Nelle donne l’abbassamento della        concentrazione estrogenica dovuto alla menopausa è un fattore che aumenta la perdita di massa        muscolare di circa 3 Kg ed aumenta la massa grassa di circa 2,5 Kg, la quale può essere molto        limitata o addirittura eliminata dalla terapia ormonale sostitutiva. Gli uomini tendono a perdere        in assoluto maggior massa muscolare rispetto alle donne, alcuni autori sostengono che la        sarcopenia sia per i maschi l’equivalente dell’osteoporosi nelle donne. Queste ultime sono a loro        volta maggiormente soggette a quella che invece si definisce “obesità osteo sarcopenica OSO”,        dove il grasso in eccesso maschera masse muscolari ridotte e nella quale il rischio di disabilità        risulta estremamente elevato in base alla sommazione degli effetti negativi di sarcopenia ed        eccesso di massa adiposa in concomitanza ad uno stato di osteoporosi. La diagnosi di sarcopenia        si basa sulla presenza di ridotta massa muscolare, ridotta forza muscolare e ridotta performance        fisica e si effettua facendo riferimento a tre misure recentemente individuate da un gruppo        europeo di esperti in Nutrizione e Medicina Geriatrica. La prima è la misura della massa        muscolare che può essere rilevata in vari modi: la Dexa, ovvero lo stesso apparecchio usato per la        diagnosi di osteoporosi, la bioimpedenziometria (BIA), con la quale attraverso formule si arriva a        calcolare la massa grassa, la massa magra e la quota di acqua ed infine l'antropometria, che        prevede la misurazione delle circonferenze e la plicometria, con la quale si valuta la quantità di        grasso​ ​corporeo. 

Successivamente si misura la forza e lo strumento più semplice per farlo è l'hand grip attraverso        un dinamometro. Infine il terzo parametro, la misurazione della funzione attraverso la velocità di        cammino (walking speed) in un tratto di 4 metri: al di sotto di 0,8 metri al secondo siamo di        fronte ad un campanello di allarme. Queste tre misure, insieme, ci consentono di formulare una        diagnosi: se tutti i valori sono a posto non siamo in presenza di sarcopenia, se solo la massa        muscolare è fuori posto, siamo in una fase di pre-sarcopenia, se la massa muscolare e un altro        valore sono fuori soglia siamo in presenza di sarcopenia, se tutti e tre i valori sono fuori posto        parliamo di sarcopenia severa. Quest’ultima fa parte di un’altra sindrome geriatrica complessa        sempre più frequente nell’anziano e causa di ospedalizzazione, la “fragilità”: una sindrome        biologica caratterizzata da ridotta riserva funzionale e resistenza agli stress e provocata dal        declino cumulativo delle funzioni di più sistemi ed apparati. La sarcopenia è un fenomeno        inevitabile con l’avanzare dell’età ma è rallentabile con l’attività fisica e un adeguato apporto        proteico. Si previene innanzitutto adottando, fin dalla giovane età, un regime alimentare        completo e bilanciato e la pratica regolare di attività fisica. L’aumento dell’età è associato ad una       

(14)

fisiologica diminuzione dell’introito di cibo, che a volte evolve in una forma di vera e propria        anoressia, ma anche un'alimentazione squilibrata, monotona e povera in proteine, a causa delle        difficoltà di masticazione, e di vitamine ed antiossidanti, per la difficoltà di approvvigionamento        e​ ​preparazione,​ ​può​ ​accelerare​ ​la​ ​fisiologica​ ​perdita​ ​di​ ​fibre​ ​muscolari. 

 

Osteoporosi 

 

Con la parola osteoporosi si intende una        condizione in cui lo scheletro è soggetto a perdita        di massa ossea e resistenza. Le ossa sono quindi        soggette a un maggior rischio di fratture, in        seguito alla diminuzione della densità e alle        modificazioni  della  microarchitettura  trabecolare. 

La causa è nella perdita, con l’avanzare dell’età,        dell'equilibrio fra osteoblasti e osteoclasti. I        primi sono delle cellule che contribuiscono alla        formazione  ossea,  i  secondi  invece  contribuiscono al riassorbimento osseo; se gli        osteoclasti lavorano più velocemente degli          osteoblasti, l'osso si deteriora. Nella menopausa        si riscontra una maggiore produzione di        osteoclasti,  causata  dalla  diminuzione  di  estrogeni che porta a un eventuale innalzamento        delle citochine, correlate alla produzione di        osteoclasti. 

 

Fattori​ ​di​ ​rischio   

Esistono diversi fattori di rischio che aumentano        la probabilità che l'osteoporosi si manifesti. Essi       

si​ ​dividono​ ​a​ ​seconda​ ​che​ ​sia​ ​un​ ​evento​ ​modificabile​ ​o​ ​no:  Non​ ​modificabili 

● Età: costituisce il più elevato fattore di rischio, in quanto avviene normalmente il        deterioramento della massa ossea con il passare degli anni. Molto importante per le donne        è​ ​anche​ ​l'età​ ​alla​ ​quale​ ​si​ ​giunge​ ​alla​ ​menopausa; 

● Carenza di ormoni, come estrogeni, somatotropina, testosterone (sia per i maschi sia per        le​ ​femmine); 

● Presenza​ ​di​ ​patologie​ ​come​ ​cirrosi​ ​epatica​ ​o​ ​artrite​ ​reumatoide; 

● Malattie​ ​ereditarie:​ ​osteogenesi​ ​imperfetta,​ ​omocistinuria,​ ​acidosi​ ​tubulare​ ​renale;  ● Anomalie​ ​endocrine,​ ​sindrome​ ​di​ ​Cushing. 

Modificabili 

● Dieta, carenza di minerali essenziali, di proteine, di vitamina D, vitamina C, vitamina K,        vitamine​ ​del​ ​gruppo​ ​B​ ​e​ ​altre. 

● Basso​ ​peso​ ​corporeo;  ● Abuso​ ​di​ ​alcool 

(15)

● Anoressia​ ​nervosa 

● Inattività​ ​fisica,​ ​che​ ​spazia​ ​da​ ​una​ ​vita​ ​sedentaria​ ​sino​ ​alla​ ​paralisi;  ● Ipercalciuria​ ​(pH​ ​urina​ ​basso,​ ​acido) 

● Ipogonadismo  ● Iperomocisteinemia 

● Alcune​ ​categorie​ ​di​ ​farmaci  ● Neoplasie​ ​del​ ​midollo​ ​osseo 

● Condizione protratta del corpo in micro-gravità (condizione presente in subacquea e per        estremo​ ​nello​ ​spazio) 

 

Osteodensitometria   

Stadio​ ​0,​ ​​osteopenia​:​ ​minerali​ ​ossei​ ​diminuiti.​ ​T-score​ ​da​ ​-1.0​ ​a​ ​-2.5​ ​deviazione​ ​standard. 

Stadio 1, ​osteoporosi clinica​: densità ossea bassa. T-score minore di -2.5 deviazione standard,            senza​ ​fratture​ ​cliniche. 

Stadio 2, ​osteoporosi conclamata​: densità ossea molto bassa. T-score minore di -2,5, fratture            vertebrali​ ​senza​ ​trauma​ ​rilevante. 

Stadio 3, ​severa osteoporosi progredita​: densità ossea molto bassa; stato di iper fragilità. T-score              inferiore a -2,5; fratture vertebrali multiple senza trauma rilevante, spesso anche fratture extra        spinali come una frattura femorale senza trauma evidente, fratture vertebrali o femorali        spontanee. 

Attività​ ​fisica   

Una forma di attività fisica è necessaria in tutti i casi parallelamente all’uso di farmaci, rivolti a        contrastare il processo di degradazione dell’osso e favorire la sua costruzione, e all’integrazione o        supplementazione di vitamine e sali, poiché è in grado di prevenire la perdita di massa ossea e        inoltre​ ​di​ ​incrementarla​ ​dell'1%​ ​circa​ ​all'anno. 

 

Diabete​ ​mellito 

 

Il diabete mellito, o DM, è una forma di disturbo metabolico caratterizzato dalla presentazione di        una persistente instabilità del livello glicemico del sangue, passando da condizioni di        iperglicemia, più frequente, a condizioni di ipoglicemia. Sebbene il termine diabete si riferisca        nella pratica comune alla sola condizione di diabete ​mellito, cioè dolce (chiamato così dagli antichi        greci per la presenza di urine di tale sapore), esiste un'altra condizione patologica detta diabete        insipido. Tali malattie sono accomunate dal solo fatto di presentare abbondanti quantità di urine,        non​ ​presentando​ ​infatti​ ​cause,​ ​né​ ​altri​ ​sintomi,​ ​comuni.  

Tra​ ​i​ ​fattori​ ​di​ ​rischio​ ​si​ ​riscontrano:  ● Obesità;  

● Inattività​ ​fisica;  ● Ipertensione; 

● Colesterolo​ ​HDL​ ​(minore​ ​o​ ​uguale​ ​a​ ​35​ ​mg/dl);  ● Trigliceridi​ ​(maggiori​ ​o​ ​uguali​ ​a​ ​250​ ​mg/dl); 

● Ipogonadismo: in uomini ipogonadici l'assunzione di testosterone diminuisce l'insulino        resistenza​ ​e​ ​migliora​ ​il​ ​quadro​ ​glicemico; 

● Disturbi​ ​del​ ​sonno,​ ​che​ ​favoriscono​ ​l'insorgenza​ ​della​ ​forma​ ​2. 

Anche l'età favorisce la comparsa del diabete, poiché essa si accompagna ad una riduzione        fisiologica del testosterone e IGF-1 e quindi a una diminuita sensibilità dei tessuti periferici        all'insulina. 

(16)

Diabete​ ​di​ ​tipo​ ​1   

La​ ​forma​ ​di​ ​tipo​ ​1​ ​ha​ ​un'eziologia​ ​che​ ​si​ ​costituisce​ ​con​ ​il​ ​passare​ ​del​ ​tempo: 

● Predisposizione genetica, fra i vari geni responsabili quello localizzato nella regione HLA        del​ ​cromosoma​ ​6; 

● Stimolo​ ​immunologico.  Diabete​ ​di​ ​tipo​ ​2 

Il diabete di tipo 2 ha un’eziologia multifattoriale, in quanto è causato dal concorso di più fattori,        sia genetici che ambientali. Il riscontro di DM di tipo 2 è molto spesso casuale nel corso di esami di        laboratorio a cui il paziente si sottopone per altri motivi, perché la patologia si instaura molto        lentamente e occorre molto tempo prima che la sintomatologia possa divenire clinicamente        manifesta; in molti pazienti i sintomi di iperglicemia e glicosuria non sono presenti. I fattori        causali responsabili provocano la malattia attraverso il concorso di due meccanismi principali:        l'alterazione della secrezione di insulina e la ridotta sensibilità dei tessuti bersaglio alla sua        azione (insulino - resistenza). Difetti della secrezione di insulina sono presenti non solo nei        pazienti diabetici di Tipo 2, ma molto spesso anche nei gemelli sani e nei familiari di primo grado;        in questi ultimi è stata rilevata frequentemente anche resistenza all'insulina. Si pensa pertanto        che il diabete Tipo 2 sia preceduto da una fase pre-diabetica, in cui la resistenza dei tessuti        periferici all'azione dell'insulina sia compensata da un aumento della secrezione pancreatica di        insulina. Soltanto quando si aggravano sia i difetti di secrezione insulinica che        l'insulino-resistenza, in seguito all'invecchiamento, alla obesità, all'inattività fisica o alla        gravidanza, si renderebbe manifesta prima l'iperglicemia post-prandiale e poi l'iperglicemia a        digiuno. L'obesità viscerale riveste un ruolo di primo piano nello sviluppo della resistenza        all'insulina. Il tessuto adiposo è, infatti, in grado di produrre una serie di sostanze (leptina,        TFN-α, acidi grassi liberi, resistina, adiponectina), che concorrono allo sviluppo della        insulino-resistenza. Inoltre, nell'obesità, il tessuto adiposo è sede di uno stato di infiammazione        cronica a bassa intensità, che rappresenta una fonte di mediatori chimici, i quali aggravano la        resistenza all'insulina. Di conseguenza, i markers di infiammazione, come interleuchina 6 e        proteina​ ​C-reattiva,​ ​sono​ ​spesso​ ​elevati​ ​in​ ​questo​ ​tipo​ ​di​ ​diabete. 

Il​ ​metabolismo​ ​del​ ​glucosio   

Il glucosio rappresenta la più importante fonte di energia per le cellule del nostro organismo e        proprio per questo, oltre ad essere utilizzato immediatamente, viene anche immagazzinato in        riserve di glicogeno. Il glucosio, dunque, dal sangue (nel quale viene disciolto dopo il processo di        digestione degli alimenti) deve essere trasportato all'interno delle cellule per essere utilizzato e        immagazzinato. L'insulina è il principale ormone che regola l'ingresso del glucosio dal sangue        nelle cellule, il deficit di secrezione insulinica o l'insensibilità alla sua azione sono proprio i due        meccanismi principali attraverso cui si espleta il DM. La gran parte dei carboidrati nel cibo viene        convertita entro un paio di ore in glucosio. L'insulina è prodotta dalle cellule β del pancreas come        esatta risposta all'innalzamento dei livelli di glucosio nel sangue (per esempio dopo un pasto): le        cellule​ ​β​ ​del​ ​pancreas​ ​sono​ ​infatti​ ​stimolate​ ​dagli​ ​alti​ ​valori​ ​di​ ​glicemia​ ​e​ ​inibite​ ​dai​ ​valori​ ​bassi.  Se la disponibilità di insulina è insufficiente (deficit di insulina) o le cellule rispondono        inadeguatamente ad essa (insulinoresistenza) o se l'insulina prodotta è difettosa, il glucosio non        può essere efficacemente utilizzato dal nostro organismo: la conseguenza di ciò è uno stato di        carenza di glucosio nei tessuti con elevati valori nel torrente sanguigno. Quando la glicemia a        digiuno supera i 126 mg/dl si parla di ​DM​, mentre per valori compresi tra 110 e 125 mg/dl si parla        di "​alterata glicemia a digiuno​" (fattore di rischio per la futura comparsa di DM). Il glucosio              compare​ ​nelle​ ​urine​ ​(glicosuria)​ ​per​ ​valori​ ​di​ ​glicemia​ ​maggiori​ ​di​ ​180/200​ ​mg/dl. 

(17)

Trattamento   

Le linee guida per attuare una terapia in caso di DM non complicato prevedono l'adozione da parte        del​ ​paziente​ ​di​ ​uno​ ​stile​ ​di​ ​vita​ ​adeguato​ ​e​ ​funzionale​ ​al​ ​trattamento​ ​farmacologico​ ​impostato.  Senza voler prescindere dall'importanza di una dieta con apporto limitato di zuccheri semplici,        studi recenti individuano come una precoce terapia insulinica possa scongiurare una progressione        del diabete di tipo 2 in una percentuale maggiore che non con gli ipoglicemizzanti orali.                             Un regime   

dietetico in cui i rapporti tra carboidrati, proteine, acidi grassi siano ben controllati è        fondamentale​ ​affinché​ ​la​ ​terapia​ ​farmacologica​ ​riesca​ ​a​ ​controllare​ ​efficacemente​ ​la​ ​glicemia. 

1. Contrariamente a quanto avveniva in passato, non si prescrivono più regimi nutrizionali        ipoglucidici, ma si ritiene che l'apporto di carboidrati debba costituire il 50-55% del totale        giornaliero di calorie, l'apporto di grassi circa il 30% (cercando di ridurre i grassi saturi a        meno​ ​del​ ​10%)​ ​e​ ​l'apporto​ ​proteico​ ​intorno​ ​al​ ​10-20%​ ​(non​ ​più​ ​di​ ​0,8-1​ ​gr/kg/die). 

2. L'alcool va assunto in quantità modesta se il paziente è ben compensato; è assolutamente        sconsigliato nei pazienti in sovrappeso, con livelli di glicemia non ottimali nonostante la        terapia,​ ​nei​ ​pazienti​ ​con​ ​ipertrigliceridemia. 

3. Ultimamente si è dimostrato che le fibre, in quantità di 20-30 gr/die, sono utilissime nel        controllo glicemico, dei trigliceridi, del peso corporeo attraverso un aumento del senso di        sazietà.​ ​Un​ ​diabetico​ ​deve​ ​quindi​ ​incrementare​ ​l'assunzione​ ​di​ ​frutta,​ ​verdura​ ​e​ ​cereali.   

Esercizio​ ​fisico   

Il ​diabetes prevention program (DPP, letteralmente il programma di prevenzione del diabete) ha            dimostrato che un modesto esercizio fisico giova soprattutto alla forma DM2 nella maggioranza        dei casi, indicando come un esercizio fisico della durata di 30 minuti circa per 5 giorni alla        settimana possa produrre effetti positivi, sia a livello di prevenzione che per quanto riguarda il        ritardarsi dei possibili effetti. A meno che non sia controindicato per la coesistenza di altre        patologie, l'esercizio riduce l'intolleranza al glucosio, migliorando la sensibilità all'insulina, e        diminuisce i fattori di rischio cardiovascolari. L'effetto positivo si riscontra in entrambi i sessi e a        qualunque età. Contrariamente a quanto si può pensare, capita che durante lo sforzo fisico la        glicemia aumenti. Ciò che accade è che durante l'attività fisica ormoni come l'adrenalina e il        glucagone vengono prodotti causando perciò un aumento della glicemia. Prima e/o dopo l'attività        sportiva potrebbe essere opportuno diminuire l'insulina, in quanto lo sforzo fisico aiuta la        funzione dell'insulina stessa: si calcola infatti che sotto sforzo l'azione dell'insulina sia        potenziata del 20/30%. Basandosi sulle indicazioni del proprio medico curante ed eventualmente        sui riscontri glicemici è quindi necessario apportare i dovuti cambiamenti alla terapia insulinica,        tenendo​ ​conto​ ​di​ ​tali​ ​informazioni. 

     

(18)

Il progetto della regione Toscana per l’Attività

 

 

 

 

 

 

 

Fisica​ ​Adattata 

 

Cos’è​ ​l’Attività​ ​Fisica​ ​Adattata​ ​-​ ​AFA   

L’Attività Fisica Adattata, o AFA, è un’attività fisica, non sanitaria, svolta in gruppo. E’        indicata per tutti i soggetti con ridotta capacità motoria legata all’età o a causa di        patologie croniche. Tale progetto ha lo scopo di educare ad uno stile di vita sano e attivo        per la prevenzione secondaria e terziaria della disabilità. I Piani Sanitari Nazionali e il        Servizio Sanitario Regionale propongono come obiettivo primario la promozione e        l’educazione di un’attività fisica regolare in tutta la popolazione, in particolar modo nei        soggetti anziani. L’AFA non è un’attività riabilitativa, ma si inserisce nella fase        cronico/stabilizzata delle patologie e, se continuata nel tempo, permette l’interruzione        del  circolo  vizioso  caratterizzato  da  sedentarietà-menomazioni-limitazioni  funzionali-disabilità​ ​(Singh,​ ​2002). 

L’idea del protocollo AFA nasce in Toscana nel 2005 nell’USL 11 di Empoli, l’iniziatore del        progetto è il Prof. Francesco Benvenuti, ex Direttore del Dipartimento Fragilità di        Empoli. 

 

L’evoluzione​ ​del​ ​progetto​ ​AFA   

La​ ​Delibera​ ​595/05   

L’AFA viene instaurata in Toscana con la Delibera 595/05. Tale delibera è il        provvedimento di attivazione delle disposizioni per la definizione dei Livelli Essenziali di        Assistenza (LEA) ed ha lo scopo di regolamentare le attività ambulatoriali di        riabilitazione,​ ​individuando​ ​così​ ​i​ ​tre​ ​percorsi​ ​assistenziali: 

1.​ ​Percorso​ ​assistenziale​ ​per​ ​sindromi​ ​algiche​ ​da​ ​ipomobilità;  2.​ ​Percorso​ ​assistenziale​ ​di​ ​medicina​ ​fisica; 

3.​ ​Percorso​ ​assistenziale​ ​ambulatoriale​ ​di​ ​riabilitazione. 

Il primo percorso individua l’attività fisica adattata, come alternativa di presa in carico        per​ ​sindromi​ ​algiche​ ​da​ ​ipomobilità: 

 

“Sono definite come sindromi algiche da ipomobilità le condizioni di artrosi con disturbo                          algofunzionale ed altre artropatie non specificate con disturbo algofunzionale caratterizzate                    da un andamento cronicizzante e con un bisogno di adattamento del proprio stile di vita. Per                                tali condizioni si ritengono appropriati programmi di attività motoria anche di tipo                        modificato e di gruppo, non necessariamente sanitari, che rientrano nel campo della                        educazione alla salute e della promozione di stili di vita corretti (igiene motoria e posturale                              fitness adattato). Tali programmi dovranno essere organizzati e resi accessibili su tutto il                          territorio regionale e previsti nell’ambito dei piani integrati di salute. Sono attori privilegiati                          del percorso: La medicina generale nei momenti specifici di educazione alla salute con                          indicazioni di igiene motoria e posturale da far gestire come self management; Le risorse                            presenti nelle comunità locali nella capacità di gestire attività motorie non sanitarie dedicate                          a soggetti con uno stato di salute compatibile con l’età ma con un bisogno di proposte                               

(19)

motorie mirate che favoriscano il mantenimento di uno stile di vita sano. A questo scopo si                                prevede l’inserimento di iniziative specifiche anche di tipo formativo nell’ambito dei                      medesimi programmi integrati di salute e la verifica dei cambiamenti indotti predisponendo                        allo scopo apposite elaborazioni e utilizzando i flussi informativi. Sono da utilizzarsi come                          riferimento, per quanto sopra riportato, le “Linee Guida regionali per la promozione della                          salute​ ​attraverso​ ​l’attività​ ​motoria.”​ ​”​ ​(DGR​ ​595/05) 

La Delibera 595 fa riferimento alle “Linee guida regionali per la promozione della salute        attraverso l’attività motoria”, adottate dal Consiglio Sanitario Regionale nel 2005, dove        si​ ​specifica​ ​che​ ​l’AFA: 

● non​ ​è​ ​un’attività​ ​sanitaria; 

● è rivolta alla popolazione in condizioni di salute stabile per assenza di malattie        acute​ ​o​ ​con​ ​riduzione​ ​delle​ ​capacità​ ​funzionali; 

● è svolta sotto forma di attività di gruppo in luoghi deputati ad attività di        socializzazione,​ ​fitness​ ​o​ ​palestre. 

● i programmi di esercizio sono stati ideati per rispondere alle specifiche esigenze        derivanti dalle differenti condizioni croniche: prevenzione delle fratture da        fragilità ossea e delle patologie croniche stabilizzate negli esiti con limitazione        della​ ​capacità​ ​motoria. 

La Delibera 595 indica le modalità di accesso e i costi di tale attività. L’AFA è stata        classificata come attività motoria ricreativa, per la quale non è richiesta certificazione        medica, i percorsi AFA non sono compresi nei livelli essenziali di assistenza assicurati        dal Servizio Sanitario Regionale e i soggetti aderiscono ai corsi con una quota massima di        2€​ ​per​ ​seduta. 

 

Le​ ​evidenze​ ​scientifiche   

La Regione Toscana, prima che entrasse in vigore la Delibera 459/09, ha promosso delle        attività​ ​di​ ​ricerca​ ​per​ ​valutare​ ​i​ ​protocolli​ ​di​ ​esercizio​ ​dei​ ​corsi​ ​AFA. 

Di​ ​seguito​ ​verrà​ ​riportato​ ​il​ ​lavoro​ ​di​ ​ricerca​ ​descritto​ ​all’interno​ ​della​ ​Delibera​ ​459/09.   

“Per valutare l’efficacia e la sicurezza dei programmi di esercizio la Regione Toscana ha                            promosso programmi di ricerca nella AUSL di Empoli (DGR 367/2006) e nelle AUSL di Pisa,                              Siena, Prato ed Empoli (DGR 265/2007). Questo secondo studio, svolto con la consulenza                          scientifica dell’Università degli Studi di Firenze e con la supervisione dell’Istituto Superiore di                          Sanità e dei National Institutes of Health (USA), è iniziato nel dicembre 2007. L’AUSL11 di                              Empoli, l’ASL 5 di Pisa e la Casa di Cura “Ulivella Glicini” di Firenze partecipano inoltre allo                                  studio “Efficacia di strategie di intervento basate sulla attività fisica in soggetti con esiti                            cronici di ictus cerebrale”, finanziato dall’Istituto Superiore di Sanità nell’ambito del progetto                        Obtaining Optimal Functional Recovery and Efficient Managed Care for the Chronic Stroke                        Population (convenzione N. 530/F20/2). Anche questo studio è condotto in collaborazione                      con Istituto Superiore di Sanità e i National Institutes of Health (USA) all’interno del                            Memorandum of Understanding del 2003 fra il Department of Health and Human Services                          USA ed il Ministero della Salute Italiano e avrà termine nel 2009. I risultati della prima fase                                  dello studio sono stati presentati nel convegno “L’Attività Fisica Adattata nella fase cronica                          dell’Ictus Cerebrale: un Modello per il Sistema Sanitario Nazionale”, tenutosi il 9 febbraio                          2007 presso la sede dell’Assessorato Diritto alla Salute della Regione Toscana. L’esperienza                        innovativa della Toscana ha destato interesse in altre Regioni italiane dove sono iniziate                         

Riferimenti

Documenti correlati

[r]

To extract Class II HFBs, mycelia were washed by water and proteins were extracted using 60% ethanol in a bath sonicator and, after centrifugation, the supernatant was collected..

Moreover we tried to enlarge the impurity concentration range, joining the molar ratio of the two known perovskite structures (KCl:PbCl 2 and KCl:2PbCl 2 ) in order to evaluate

Significant positive correlations between both fine and lateral root proportion and HCI indicated that the root development of F 1 seedlings was associated with the soil recovery

To shed light on the integrity of clinical trial results, this paper systematically analyzes the distribution of P values of primary outcomes for phase II and phase III drug

Studi futuri potranno inoltre prevedere la valutazione del ruolo dell’attività fisica nella prevenzione del diabete di tipo 2 nelle donne che hanno sviluppato il DG.. American

I programmi AFA hanno richiesto una attenta e co- stante valutazione da parte della AUSL11 con partico- lare riguardo alla tipologia di reclutamento dei sogget- ti, agli

Nel Swedish Obesity Study, in cui più di 1000 pazienti sono stati seguiti per 10 anni, si è stati in grado non solo di prevenire l’in- cidenza del T2DM e di molti disturbi