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Sviluppo di un software per il dimensionamento di impianti HVAC in Algeria.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Scuola di Ingegneria

Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale

Corso di Laurea in Ingegneria Chimica

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Sviluppo di un software per il dimensionamento di

impianti HVAC in Algeria

Relatori:

Prof. Claudio Scali

Ing. Gabriele Carducci

Controrelatore:

Prof. Gabriele Pannocchia

Anno Accademico 2015-2016

Candidato:

Dario Cini

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1

INDICE

1. I sistemi HVAC ... 5 1.1 Elementi costitutivi ... 6 1.2 Applicazioni industriali ... 8 1.2.1 Industria farmaceutica ... 8

1.2.2. Condizionamento di locali elettrici ... 12

1.2.3 HVAC nell’industria alimentare ... 16

1.3 Progettazione dei sistemi HVAC ... 18

1.3.1 Sovradimensionamento degli impianti HVAC ... 19

1.4 Valutazione dei carichi termici ... 22

1.4.1 Heat Balance Method (HBM) ... 24

1.4.2 Transfer Function Method (TFM) ... 28

1.4.3 Radiant Time Series Method (RTSM) ... 30

1.4.4 Rule of Thumbs ... 34

1.5 Software commerciali ... 36

1.5.1 Stima10-TFM ... 37

1.5.2 Energy Plus ... 38

2. DZLoad ... 43

2.1 DZLoad (Versione completa) ... 44

2.1.1 Input dati ... 44

2.1.2 Calcolo del fabbisogno energetico durante il periodo invernale ... 48

2.1.2.1 Pareti esterne ... 48

2.1.2.2 Ponti termici ... 53

2.1.2.3 Pareti in contatto con il suolo ... 54

2.1.2.4 Pareti in contatto con ambienti non condizionati ... 57

2.1.2.5 Dispersioni dovute ai ricambi e alle infiltrazioni d’aria ... 57

2.1.2.6 Potenza da installare ... 59

2.1.3 Calcolo del fabbisogno energetico durante il periodo estivo ... 61

2.1.3.1 Condizioni climatiche esterne ... 62

2.1.3.2 Apporti termici relativi alle pareti opache ... 67

2.1.3.3 Pareti vetrose ... 73

2.1.3.4 Pavimenti ... 79

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2

2.1.3.6 Apporti dovuti alle infiltrazioni ... 83

2.1.3.7 Apporti dovuti ai ricambi d’aria ... 85

2.1.3.8 Calcolo della potenza da installare ... 85

2.2 DZLoad (Versione semplificata) ... 87

2.2.1 Input dati ... 88

2.2.2 Calcolo della potenza per il riscaldamento ... 88

2.2.3 Regime estivo ... 90

2.2.3.1 Apporti termici dovuti alle pareti opache ... 90

2.2.3.2 Apporti termici dovuti alle pareti vetrose ... 91

2.2.3.3 Apporti termici interni... 93

2.2.3.4 Apporti termici dovuti ai ricambi d’aria ... 95

2.2.3.5 Calcolo della potenza per il raffrescamento ... 95

2.3 Differenze fra le due versioni ... 95

3.1 Utilizzo di Energy+ ... 97

3.2 Analisi di sensibilità parametrica ... 99

3.3 Datacentre ... 101

3.3.1 Descrizione della simulazione... 101

3.3.2 Analisi dei risultati ... 108

3.3.3 Analisi di sensibilità parametrica ... 113

3.4 Centro uffici OXXO ... 116

3.4.1 Descrizione della simulazione... 116

3.4.2 Analisi dei risultati ... 121

3.4.3 Analisi di sensibilità parametrica ... 127

3.5 Serra ... 131

3.5.1 Descrizione della simulazione... 131

3.5.2 Analisi dei risultati ... 134

3.6 Scuola ... 138

3.6.1 Descrizione della simulazione... 138

3.6.2 Analisi dei risultati ... 145

3.6.3 Analisi di sensibilità parametrica ... 151

3.7 Confronto dei risultati ... 154

4. Conclusioni ... 158

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3 APPENDICE B ... 163 APPENDICE C ... 171 APPENDICE D ... 192 APPENDICE E ... 197 APPENDICE F ... 201 APPENDICE G ... 204 APPENDICE H ... 206 APPENDICE I ... 209

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4

INTRODUZIONE

Gli impianti HVAC rivestono un’importanza fondamentale in molti aspetti della nostra vita quotidiana in quanto garantiscono il comfort all’interno delle strutture nelle quali risiediamo o lavoriamo. In ambito industriale invece, specialmente in settori quali il farmaceutico o l’alimentare, gli impianti HVAC devono essere affidabili e performanti in quanto garantiscono l’integrità e l’affidabilità dei prodotti e dei processi che si svolgono all’interno delle strutture climatizzate. Ciò risulta particolarmente critico per paesi che presentano caratteristiche climatiche caratterizzate da forti escursioni termiche e temperature elevate, come in Algeria.

La progettazione degli impianti di climatizzazione procede per step fondamentali il cui primo è senza dubbio quello di fornire una specifica corretta per il corretto svolgimento delle fasi progettuali successive. Tale specifica è la valutazione delle richieste termiche che l’impianto di climatizzazione dovrà sostenere per garantire all’interno dei locali le condizioni ambientali adeguate. Dal momento che questo step viene solitamente trascurato in fase progettuale, come si osserverà nel primo capitolo, e dal momento che una specifica errata può portare a diverse problematiche, sia economiche che funzionali, è stato deciso di realizzare un software per la valutazione dei carichi termici in Algeria. Ciò è dovuto anche al fatto che, soprattutto a causa dei bassi prezzi dell’energia elettrica nel paese nordafricano, si ponga poca attenzione riguardo il tema di una corretta valutazione dei carichi termici al sistema HVAC.

Per la realizzazione del software, chiamato DZLoad, è stato utilizzato un approccio simile allo sviluppo di altri software in commercio ovvero è stata utilizzata come base di calcolo la normativa algerina per il calcolo delle dispersioni e degli apporti termici. Per confrontare i risultati è stato utilizzato il software Energy+, tramite l’interfaccia grafica Openstudio.

La tesi è stata svolta in collaborazione con l’azienda TecnoCadService la quale, oltre al supporto tecnico, ha fornito i dati relativi alle simulazioni da effettuare con DZLoad. Altri dati sono stati forniti dallo studio associato MPS.

Nel primo capitolo verranno illustrate le principali applicazioni in ambito industriale degli impianti HVAC, si illustreranno i metodi principali per la valutazione dei carichi termici e verranno descritti i principali software in commercio.

Nel secondo capitolo si descriverà il metodo di calcolo utilizzato da DZLoad, del quale sono state realizzate due versioni (completa e semplificata).

Nel terzo capitolo verranno infine riportati i risultati delle quattro simulazioni effettuate con DZLoad, utilizzando le due versioni del software sviluppato, confrontando quanto ottenuto con i risultati ricavati tramite l’utilizzo del software Energy+.

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CAPITOLO I

Nel seguente capitolo verranno descritti i componenti principali dei sistemi HVAC e le relative apparecchiature. Successivamente verranno illustrati gli utilizzi principali e l’importanza dei sistemi HVAC nel settore industriale, con particolare attenzione al settore farmaceutico, alimentare e al condizionamento di locali elettrici. Nella seconda parte del primo capitolo saranno analizzate le procedure progettuali dei sistemi di condizionamento con una particolare attenzione alla valutazione dei carichi termici, le metodologie di calcolo e i software più utilizzati per la loro valutazione.

1. I sistemi HVAC

I sistemi HVAC (acronimo di Hetaing, Ventilation and Air Conditioning) sono costituiti da apparecchiature termo-meccaniche che hanno come scopo principale quello di mantenere temperatura e umidità all’interno di un determinato range. Oltre a questo gli impianti HVAC devono provvedere anche a:

- Garantire un’adeguata ventilazione all’interno di una struttura; - Provvedere al ricambio di aria;

- Eliminare la presenza di sostanze nocive (microorganismi, polvere, allergeni) presenti nell’atmosfera esterna.

Progettare un sistema HVAC in chiave moderna significa quindi garantire un ambiente salubre all’interno delle strutture dato la sempre maggiore incidenza di malattie asmatiche, allergiche e respiratorie.

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1.1

Elementi costitutivi

La figura 1.1 mostra una rappresentazione schematica di un generico sistema HVAC e illustra i principali componenti. Per quanto riguarda il rapporto fra aria fresca e aria ricircolata questo può variare molto in funzione dell’utilizzo finale della struttura; negli edifici commerciali e pubblici, ad esempio, si ha un rapporto fra aria ricircolata e aria esterna compreso fra il 15% e il 25% [1] mentre nel caso in cui all’interno della struttura trattata si abbia un notevole sviluppo di contaminanti si può anche prevedere un tasso di ricircolo nullo, ovvero l’aria introdotta è solo quella prelevata dall’ambiente esterno.

Fig. 1.1 Componenti principali di un sistema HVAC

Si descrivono in maniera sintetica gli elementi descritti in Fig. 1.1:

- Valvola di aspirazione dell’aria: si tratta della valvola che permette l’entrata dell’aria esterna. Solitamente si tratta di una valvola a molla servoazionata che si chiude nel caso in cui il sistema sia spento o nel caso di blackout elettrico (failed close). Solitamente il lato esterno della valvola è equipaggiato con una griglia metallica a maglie larghe per evitare l’ingresso di piccoli animali, foglie e altri oggetti estranei; - Camera di miscelamento: zona del sistema HVAC dove si ha il mescolamento dell’aria fresca con l’aria estratta dalla struttura condizionata

- Filtro: trattiene le particelle contaminanti solide. Il filtro e posizionato in maniera da purificare anche l’aria ricircolata per eliminare non solo i contaminanti esterni ma anche quelli che si possono sviluppare all’interno della struttura condizionata. Per motivi di pulizia è solitamente posizionato prima delle serpentine di riscaldamento e raffreddamento, quest’ultima particolarmente sensibile a fenomeni di sporcamento in quanto, deumidificando l’aria, la sua superficie è solitamente umida.

- Serpentina di riscaldamento: serve a riscaldare l’aria. Al suo interno si possono trovare diversi fluidi di riscaldamento.

- Serpentina di raffreddamento: raffredda l’aria e dal momento che solitamente nel regime estivo l’aria esterna è carica di umidità, diminuendo la temperatura dell’aria provvede anche alla sua deumidificazione.

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- Termostato: solitamente installato a valle della serpentina di raffreddamento, il termostato regola entrambe le serpentine, agendo sulle valvole di alimentazione del fluido di riscaldamento e di raffreddamento; generalmente la logica di controllo impedisce che entrambe le serpentine siano in funzione in modo da evitare inutili sprechi di energia.

- Umidificatore: aggiunge, tramite degli ugelli spray, umidità nel caso in cui, soprattutto in regime invernale, l’umidostato rilevi valori eccessivamente bassi. - Ventilatore: preleva l’aria, vincendo le perdite di carico delle serpentine, del filtro e dei condotti, per distribuirla all’interno dei canali di areazione e distribuzione.

Oltre ai componenti tipici descritti nello schema di Fig. 1.2 un componente particolarmente importante per il risparmio energetico è l’economizzatore. Si tratta di un’apparecchiatura presente solo in caso in cui si abbia ventilazione artificiale, ovvero quando la ventilazione è garantita dalle macchine.

L’economizzatore utilizza l’aria esausta presente nell’edificio per riscaldare, o raffreddare, l’aria fresca in ingresso al sistema.

Fig. 1.2 Schema di funzionamento di un recuperatore di calore controcorrente

Generalmente lo scambio avviene tramite scambiatori di calore a piastre facendo fluire l’aria in controcorrente.

L’efficienza del processo solitamente è molto alta, fino al 90%, ed è definita come: η =T2− T1

T3− T1 dove

-T2 è la temperatura dell’aria esterna dopo il passaggio nel recuperatore;

-T1 è la temperatura dell’aria esterna;

-T3 è la temperatura dell’aria interna.

Il recupero di calore è di due tipi: sensibile e latente; quest’ultimo avviene esclusivamente in estate quando l’aria fresca, nel caso in cui sia molto umida,

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raffreddandosi con l’aria di ripresa, si libera di parte dell’umidità presente. Si tratta di un’apparecchiatura che garantisce un notevole risparmio energetico nel caso in cui i tassi di ventilazione siano elevati.

L’utilizzo di un recuperatore di calore tuttavia impone perdite di carico ulteriori nel circuito dell’aria: si dovrà quindi preventivare una prevalenza maggiore del ventilatore e di conseguenza un maggior costo di questa apparecchiatura.

Nello schema illustrato in precedenza, Fig. 1.1, il sistema è in grado di riscaldare, raffreddare e movimentare l’aria per raggiungere le specifiche di utilizzo di una determinata zona termica. A seconda della tipologia e della grandezza dell’edificio condizionato, il sistema deve soddisfare le richieste termiche di molte altre zone termiche contemporaneamente, le cui richieste possono essere diverse e sono variabili nell’arco della giornata. Per poter controllare l’ambiente interno delle varie zone si possono seguire tre strategie:

-Variare la temperatura dell’aria immessa; -Variare la portata dell’aria immessa;

-Variare contemporaneamente portata e temperatura.

1.2

Applicazioni industriali

Sebbene gli impianti HVAC siano principalmente usati per garantire il comfort termico delle persone all’interno degli edifici, esistono anche applicazioni piuttosto peculiari dove tali impianti sono fondamentali per la buona riuscita dei processi che avvengo all’interno della struttura climatizzata.

Si riportano di seguito tre dei principali settori industriali dove sono fondamentali i sistemi HVAC.

1.2.1 Industria farmaceutica

I sistemi HVAC nell’industria farmaceutica non sono solo dei sistemi accessori alla produzione bensì sono fondamentali a garantire l’affidabilità e la sicurezza dei farmaci e dei loro derivati.

Di particolare importanza in questo settore è la cosiddetta “Camera Bianca”, definita come: “camera nella quale la concentrazione delle particelle aerotrasportate è controllata ed è costruita ed utilizzata in modo tale da minimizzare l’immissione, generazione e ritenzione di particelle al suo interno, ed in cui altri parametri di rilievo (come temperatura, umidità e pressione) sono controllati a seconda delle necessità”. [2].

Le Cleanroom permettono il controllo della contaminazione dell’aria e delle superfici entro appropriati livelli per l’adempimento di attività sensibili alla contaminazione particellare, come ad esempio il riempimento delle capsule con il principio attivo farmaceutico.

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In quest’ottica due fattori del sistema HVAC sono particolarmente importanti: -la filtrazione dell’aria;

-la distribuzione e la pressurizzazione degli ambienti.

La filtrazione dell’aria svolge un ruolo essenziale nel controllo della contaminazione, in quanto è proprio attraverso i filtri che si riesce ad abbattere e controllare il quantitativo di contaminante (particellare e microbiologico) presente nell’aria che viene immessa nei locali classificati.

Le particelle di polvere, fibre, altri materiali e goccioline di liquido sono sospese nell’aria e possono contaminare il prodotto. Queste particelle aerotrasportate possono contenere, o non, organismi viventi (batteri, muffe, lieviti, spore, virus, ecc.), la cui diffusione avviene tramite il trasporto di questi micro-organismi su particelle o goccioline di liquido sospese nel flusso d’aria (eccezion fatta per le spore). Quanto più elevata è la concentrazione di particelle nell’aria che circonda il prodotto, tanto più elevata è la probabilità che il prodotto venga contaminato da queste bio-particelle. I filtri, dunque, sono l’unico mezzo per ottenere una rimozione spinta del particolato, il quale viene catturato e trattenuto dalle fibre che costituiscono il mezzo filtrante mentre l’aria fluisce al suo interno. Generalmente nelle cleanroom vengono utilizzati filtri ad alta efficienza denominati filtri HEPA – High Efficiency Particulate Air Filter. Questi sono composti da sottili fogli filtranti pieghettati di materiale microfibroso (generalmente in borosilicato) assemblati, in più strati, su di un telaio di acciaio inox. Tali fogli filtranti in microfibra hanno il compito di bloccare le particelle solide inquinanti presenti nella corrente fluida da trattare. Queste possono essere infatti nocive per la salute oppure possono pregiudicare la qualità del prodotto finale che si desidera ottenere.

I filtri HEPA fanno parte della categoria dei cosiddetti “filtri assoluti”. Il termine “filtro assoluto” è giustificato dal fatto che i filtri HEPA (ed ULPA) hanno un’elevata efficienza di filtrazione: tra l’85% e il 99,995% (H14) per i filtri HEPA, mentre tra il 99,99995% e il 99,999995% per i filtri ULPA.

La distribuzione dell’aria all’interno dell’ambiente è essenziale per garantire un corretto lavaggio dell’ambiente e garantire le corrette condizioni ambientali per il generale benessere delle persone e la loro produttività. Se la filtrazione può rendere il grado di pulizia dell’aria di immissione accettabile per il processo produttivo, occorre poi che quest’aria pulita venga immessa ed aspirata dalla camera bianca in modo tale che i contaminanti generati al suo interno vengano allontanati e/o diluiti in maniera rapida ed efficiente affinché non arrechino danno al prodotto.

Nel farmaceutico ci sono tre metodologie principali di diffusione dell’aria a cui corrispondono diverse capacità di “lavare” l’ambiente ed ottenere delle prestazioni in termini di pulizia e controllo della contaminazione differenti. Queste tre tipologie, che identificano anche delle tipologie di cleanroom sono:

 FLUSSO UNIDIREZIONALE  MISCELAZIONE

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- Flusso unidirezionale

É impropriamente detto anche LAF – Laminar Air Flow, il che presuppone che questa tecnica di immissione di aria in ambiente riesca a creare un flusso in cui le singole particelle si muovano in moto rettilineo (in modo laminare quindi seguendo appunto delle linee di flusso parallele tra loro dalla mandata alla ripresa. Tale flusso, in realtà, non è laminare, ma appena dopo l’immissione in ambiente si instaurano dei micro vortici (a bassa turbolenza) che accrescono le loro dimensioni lungo il tragitto (tra la mandata e ripresa), che risulta, da un punto di vista macroscopico, avere un’unica direzione e che va a “spazzare” l’intero volume dell’ambiente. Se le aree “critiche” da proteggere sono sufficientemente vicine alla sezione di immissione i vortici suddetti risultano essere di piccole dimensioni tali da non generare problematiche di controllo (zone di ristagno).

Fig. 1.3 Distribuzione dell’aria all’interno delle cleanroom: flusso laminare verticale e orizzontale

- Miscelazione

Questa tecnica punta alla dispersione, quanto più omogenea possibile, dei contaminanti generati in ambiente, in modo da averne una concentrazione volumetrica pressoché costante. L’aria di immissione dovrà, dunque, essere in quantità, pulizia, temperatura e umidità adeguate per garantire sia le condizioni di benessere degli occupanti che la concentrazione limite accettabile per i contaminanti. È chiaro che per conoscere il quantitativo di aria da immettere occorre conoscere l’ordine di grandezza delle sorgenti dei contaminanti. Per avere un’efficace diluizione dei contaminanti non occorre solo immettere la giusta portata d’aria, ma occorre diffondere l’aria adeguatamente, ossia con un’elevata turbolenza: ciò avviene per mezzo di diffusori ad alta induzione.

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In questa tecnica di diffusione le velocità di lancio dell’aria sono elevate. Tuttavia in ambiente la velocità dell’aria risulta bassa, per via dell’elevata induzione dei diffusori, quindi si avrà una minore ricircolazione dell’aria all’interno della zona termica.

Fig. 1.4 Distribuzione dell’aria all’interno delle cleanroom: flusso turbolento

- Flusso misto

Questo modello è uno dei più utilizzati nelle cleanroom di tipo farmaceutico e nelle sale operatorie. Questa tecnica di diffusione dell’aria unisce le caratteristiche principali delle due sopra descritte: presenta infatti una regione (generalmente quella più critica e che richiede una maggiore protezione dalla contaminazione) soggetta a flusso unidirezionale e da zone, soggette a turbolenza e vortici di ristagno, a ridosso della zona “pulita”. Tale configurazione ha destato sin dai primi utilizzi molto interesse in quanto permette di limitare di molto le portate che un LAF tradizionale richiederebbe, rendendo possibile dei sostanziali risparmi nei costi di installazione ed esercizio dell’impianto senza rinunciare alla qualità dell’aria, nelle zone critiche, che flusso unidirezionale tradizionale è un grado di garantire.

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1.2.2.Condizionamento di locali elettrici

Nella valutazione energetica di un datacentre si può osservare come la componente relativa alla climatizzazione sia una voce importante e da non sottovalutare, come riportato in Fig. 1.6 [3].

Fig. 1.6 Utilizzo di energia elettrica nei datacentre

Le apparecchiature elettriche all’interno di strutture quali data centre o sale controllo solitamente sono in funzione 24 ore su 24, 7 giorni su 7 ed essendo il “cervello” del processo necessitano di sistemi HVAC molto affidabili e ciò si traduce in impianti di condizionamento sovrastimati o ridondanti [4]. Sempre per lo stesso motivo gli impianti HVAC sono spesso dedicati e isolati rispetto ad altri eventuali sistemi presenti; nel caso di incendio di locali adiacenti ad una sala controllo, ad esempio, si potrebbe avere, nel caso in cui i sistemi di distribuzione dell’aria siano comunicanti, diffusione dei fumi e delle polveri prodotti dalla combustione all’interno dei locali elettrici, causando seri problemi di sicurezza all’interno della sala elettrica. I locali elettrici, inoltre, devono essere pressurizzati e ben isolati dall’ambiente esterno per evitare l’introduzione di polvere e particolato esterno [5].

La temperatura all’interno dei locali elettrici deve essere adeguatamente tenuta sotto controllo: il manuale ASHRAE: Application [4] suggerisce una temperatura compresa fra 18:27 °C (v. Tab. 1.1).

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All’aumentare della temperatura infatti diminuiscono le performance computazionali e l’affidabilità delle apparecchiature elettriche. A tale proposito si riporta, secondo quanto riportato nello studio di Patterson [6], come un aumento di 10°C oltre i 21°C consigliati diminuisca del 50% l’affidabilità dei componenti elettronici. Nel report [6] si sottolinea inoltre come la temperatura influisca anche sulla vita delle batterie di emergenza, essenziali in caso di black-out. Ad una temperatura di 20 °C infatti la vita media delle batterie UPS e di 10-15 anni e scende a 7 anni nel caso in cui la temperatura sale a 30°C.

Dalla tabella relativa ai parametri ambientali consigliati nel manuale ASHRAE: Application [4] si osserva come anche l’umidità sia un fattore da tenere sotto controllo. Con tassi di umidità relativa eccessivamente alti aumenta la probabilità di guasti dei componenti elettrici e si può avere condensazione sulle superfici più fredde mentre con tassi di umidità bassi aumenta il rischio legato alla carica elettrostatica.

Come è stato osservato il condizionamento di locali elettrici, quali data centre o sale controllo, costituisce una spesa energetica ed economica importante e soprattutto costante nel tempo. Si tratta infatti di ambienti che necessitano di essere raffrescati non solo d’estate ma anche durante l’inverno, dal momento che sono in funzione 365 giorni all’anno. Per diminuire i costi energetici si può quindi ricorre a tecniche particolari come il direct-cooling.

Il raffreddamento diretto, chiamato con il termine inglese Direct Cooling, è un sistema di condizionamento di tipo gratuito, tant’è che prende anche l’accezione più generica di Free Cooling. Tale soluzione prevede che, ogni qualvolta la temperatura dell’aria esterna risulti essere più bassa della temperatura che deve essere manutenuta all’interno dei locali ospitanti i server, venga fatta transitare l’aria esterna direttamente nel locale elettrico. Un esempio pratico è un datacentre che deve essere manutenuto a una temperatura interna pari a 25°C: nel momento in cui la temperatura esterna è uguale o inferiore a 24°C vengono attivati dei sistemi di ventilazione e delle serrande motorizzate in modo da attivare una circolazione d’aria all’interno dei locali tale da dissipare in modo diretto il calore prodotto. Ovviamente, tanto minore sarà la differenza di temperatura tra aria esterna ed aria ambiente, tanto maggiore sarà la portata d’aria che deve essere fatta ricircolare. Questo è un sistema particolarmente economico, ma va utilizzato con cura e parsimonia, soprattutto nel caso in cui non vi siano altri sistemi di climatizzazione di supporto. Questo perché la località in cui sorge la struttura deve avere condizioni giornaliere e stagionali tali da permettere lo sfruttamento di questa soluzione, con la problematica di non permettere il controllo puntuale della temperatura e dell’umidità relativa interna dei locali. È evidente che una soluzione simile non potrà essere considerata come unica soluzione adottabile in località nelle quali esistono elevate temperature esterne, o dove sia presente un clima particolarmente umido.

Di contro, invece, viene ridotta al minimo la richiesta di potenza elettrica ed il costo di installazione iniziale è bassissimo.

In ogni caso non è consigliato il solo utilizzo di sistemi di tipo indirect-cooling bensì può essere conveniente affiancare al sistema di condizionamento tradizionale questa tecnica.

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Un altro fattore importante per il condizionamento dei locali elettrici è la distribuzione dell’aria che deve essere uniforme ed efficace per evitare il verificarsi di punti caldi. In questo contesto può essere utile affiancare alla progettazione simulazioni di tipo CFD per valutare in maniera dettagliata la distribuzione dell’aria.

Nel caso in cui le richieste termiche dovute al raffrescamento siano minori di 40 kW si può installare un sistema di diffusione non regolato come riportato in Fig. 1.7 (A). È sconsigliato nel caso in cui siano presenti più di 8-10 rack, dove per rack si intende un gruppo di elaboratori. Si tratta del tipo di installazione più semplice ed economica che si ritrova in locali elettrici di piccole dimensioni.

Un’altra soluzione adatta per un maggior numero di rack può essere quella descritta in Fig. 1.7 (B) dove l’aria di raffreddamento viene alimentata in maniera puntuale fra un rack ed un altro. Si tratta di un’installazione semplice e poco costosa che è adatta per richieste termiche di ciascun rack inferiori ai 3 kW.

All’aumentare delle richieste di raffrescamento (fino a 5 kW) si può pensare anche di prevedere l’installazione di punti di prelievi in situ dell’aria calda (Fig. 1.7 (C)) in moda da migliore l’efficienza del processo e la circolazione dell’aria all’interno del locale. Il problema principale di questo tipo di installazione risiede nell’ingombro e quindi non può essere installato nel caso in cui il locale non sia sufficiente alto. Un’altra soluzione molto adottata per il condizionamento prevede la distribuzione dell’aria condizionata direttamente dal pavimento (Fig. 1.7 (D)). Si tratta di un sistema efficace ma come nel caso precedente si ha un ingombro maggiore rispetto ad altri sistemi che deve essere preventivato durante la progettazione e costruzione del locale. A questo sistema si possono aggiungere punti di prelievo dell’aria calda (come in Fig. 1.7 (E) e Fig. 1.7 (F)) migliorando ulteriormente la circolazione e il raffreddamento dei rack.

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1.2.3 HVAC nell’industria alimentare

Nell’ambito della produzione alimentare i sistemi HVAC sono fondamentali a garantire un prodotto sicuro ed affidabile. In questo settore si parla tuttavia di impianti HVAC&R, dove R sta per refrigeration, poiché, nonostante le componenti principali dell’impianto siano essenzialmente le stesse (filtri, serpentine, soffianti) le temperature che devono essere mantenute sono notevolmente più basse (fino a -20°C). Per fare ciò la differenza sostanziale risiede nel liquido refrigerante utilizzato per il raffreddamento dell’aria, che deve avere una temperatura di condensazione molto più bassa rispetto al condizionamento classico. Temperature così basse rendono il processo di climatizzazione particolarmente costoso dal momento che il calore disperso dipende linearmente dalla differenza fra temperatura interna ed esterna.

Per ridurre al minimo l’eventuale introduzione di agenti contaminanti esterni (muffe, polvere, batteri), gli ambienti dello stabilimento produttivo sono pressurizzati in maniera tale che il reparto più critico abbia una pressione maggiore rispetto ai locali dove avvengono operazioni meno delicate (v. Fig. 1.8).

Fig. 1.8 Schema generale della distribuzione dell’aria all’interno di uno stabilimento produttivo alimentare.

Come nell’industria farmaceutica, anche nei processi che coinvolgono gli alimenti si necessita di filtri ad elevata efficienza (di tipo HEPA).

La refrigerazione può essere necessaria sia nello stoccaggio dei prodotti finiti che nella fase vera e propria di processo dell’alimento.

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In fase di stoccaggio abbassando la temperatura del locale si è in grado di mantenere inalterate le proprietà organolettiche del prodotto per un tempo maggiore. Le temperature sono superiori allo zero quindi l’alimento non viene congelato. A titolo esemplificativo si riporta in Fig.1.9 la shelf-life, ovvero il periodo di tempo nel quale le caratteristiche organolettiche del prodotto sono garantite, di alcuni prodotti in funzione della temperatura di stoccaggio.

-Fig. 1.9 Shelf-life di alcuni prodotti alimentari in funzione della temperatura: 1-pollo 2-pesce 3-manzo 4-banane 5-arance 6-mele 7-uova 8-6-mele (in atmosfera arricchita di CO2)

Anche in fase di processo molte lavorazioni devono avvenire in ambiente controllato per evitare la proliferazione batterica. Per quanto riguarda invece l’industria delle fermentazioni è estremamente importante mantenere la temperatura all’interno dei locali dove avvengo le reazioni per ottenere i prodotti desiderati.

In fase di produzione della birra, ad esempio, avvengono due principali reazioni: -La conversione dell’amido in zuccheri semplici;

-La successiva trasformazione degli zuccheri in alcol etilico e anidride carbonica da parte di microrganismi [7].

Dal momento che la fermentazione è un processo esotermico, se il calore prodotto non venisse rimosso la reazione si fermerebbe causando il fallimento del processo stesso. Portata a termine questa fase, la birra viene imbottigliata e successivamente stoccata, fino a 2-3 mesi, per maturare e sviluppare le proprie caratteristiche organolettiche. È essenziale che in queste fasi la temperatura e l’umidità dei locali nei quali avvengono le trasformazioni siano controllate e mantenute costanti.

Anche nella produzione casearia, una volta prodotta la cagliata, questa deve essere stoccata per la maturazione del formaggio per periodi che vanno da pochi a giorni a molti mesi in locali che devono avere un’atmosfera controllata per evitare la proliferazione batterica indesiderata e per far sviluppare le caratteristiche tipiche del latticino prodotto. Le temperature sono generalmente comprese fra i 10°C e i 20°C [7].

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1.3

Progettazione dei sistemi HVAC

Progettare un sistema HVAC richiede un approccio fortemente interdisciplinare dal momento che sono coinvolti molti rami della tecnica come l’architettura, l’edilizia e l’ingegneria.

Si riporta in Fig. 1.10 i principali step per la progettazione di un sistema HVAC.

Fig. 1.10 Procedura progettuale di un impianto HVAC

Le varie fasi di progettazione prevedono:

- Una prima fase dove vengono calcolate le richieste termiche dell’edificio. Si identificano i carichi stanza per stanza e le portate necessarie alla ventilazione, ove prevista;

- A seconda dei profili ottenuti e dell’utilizzo che viene fatto della struttura si scegli il sistema HVAC più adeguato (ad aria, di tipo idronico, a singolo o doppio condotto…); - Si procede alla progettazione del layout dei condotti, fondamentale per il calcolo delle perdite di carico che la soffiante deve vincere per distribuire l’aria nella struttura; - Infine si dimensionano le apparecchiature che compongono l’impianto e si scelgono le componenti adeguate, ad esempio nel caso dell’industria alimentare e farmaceutica si dovranno scegliere filtri in grado di garantire una classe di pulizia adeguata all’interno dei locali.

Nel presente lavoro di tesi è stata fatta particolare attenzione al primo step, ovvero la valutazione dei carichi termici. Errori in questa fase porteranno a problemi seri durante la messa in opera e in funzione dell’impianto stesso.

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Se i carichi termici valutati sono inferiori a quelli reali, l’’impianto HVAC, come ovvio, non sarà in grado di soddisfare le specifiche richieste mentre carichi termici molto maggiori diminuiscono l’efficienza energetica del sistema.

Si esaminano nel paragrafo successivo i principali problemi legati al sovradimensionamento dei sistemi HVAC.

1.3.1 Sovradimensionamento degli impianti HVAC

Il grado di sovradimensionamento è definito come:

ηOS = (

QINS

QEFF

− 1) 100 dove

- QINS è la potenza termica installata;

- QEFF è il carico effettivo (al picco termico) della struttura.

Nell’ambito della climatizzazione civile e industriale è piuttosto comune imbattersi in impianti HVAC sovradimensionati. Il principale motivo di questa pratica risiede nel fatto che un impianto sovradimensionato sarà in ogni caso in grado di soddisfare le richieste termiche e sarà flessibile nel caso in cui siano previsti ampliamenti futuri della struttura climatizzata. Il sovradimensionamento quindi garantisce un certo margine di sicurezza, soprattutto nel caso in cui i carichi termici della struttura siano stato calcolati in maniera sommaria e sbrigativa (utilizzando ad esempio le Rule of Thumb).

Da un’indagine svolta da parte dell’“Air-conditioning and Refrigeration Technology Institute (ARTI)” [8] su 198 professionisti del settore statunitensi emerge infatti che solo il 51% dei progettisti utilizza software dedicati per il calcolo del fabbisogno termico delle strutture mentre il 17% si basa sulle precedenti esperienze di progettazione, facendo ad esempio lo scale-up di precedenti progetti, o sulle “Rule of Thumbs”.

Si osserva che tuttavia una maggiorazione del 25% della potenza termica installata rispetto a quella effettiva è generalmente accettata [8].

Un impianto sovradimensionato presenta numerosi svantaggi. Il primo, e anche il più ovvio, risiede nei costi di installazione ed operativi: si tratta di una spesa che non presenta alcun beneficio in quanto si avrà una sovra-potenza inutile che non sarà in grado di avere alcun effetto positivo sui locali della struttura.

Ad un impianto più potente corrisponde anche un numero di accensioni e spegnimenti maggiori rispetto ad un impianto più piccolo. Avendo una potenza nominale maggiore, il sistema HVAC sarà in grado di portare in specifica il locale in maniera più veloce. Sebbene questo ad una prima analisi possa sembrare un fattore positivo, nel lungo un termine un maggiore ciclaggio, ovvero numero di accensioni per ora, porta ad un’usura maggiore dei componenti che formano il sistema, diminuendo l’affidabilità del sistema stesso. Si dovrà quindi ricorrere a interventi di manutenzioni più frequenti, aumentando i relativi costi, rispetto ad un impianto correttamente dimensionato.

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Si riporta a titolo esemplificativo in Fig. 1.11 come un impianto sovradimensionato del 50% influisca sul ciclaggio del compressore del circuito di raffreddamento.

Fig. 1.11 Temperatura esterna (in rosso) e potenza assorbita dal compressore del circuito di refrigerazione (in blu). La prima figura descrive un sistema sovradimensionato del 50% mentre la seconda un impianto propriamente dimensionato.

Come si osserva in figura, nel primo grafico, ovvero nel caso dell’impianto sovradimensionato del 50%, il compressore (linea blu che rappresenta la potenza assorbita) si accende e si spegne più volte nell’arco di una giornata mentre nel secondo caso, dopo le prime due accensioni, il compressore resta attivo per un periodo di tempo abbastanza lungo.

Il funzionamento intermittente del circuito di raffreddamento causa anche problemi nella deumidificazione. Ad ogni accensione, infatti, la serpentina di raffreddamento impiega un certo tempo per raggiungere una temperatura inferiore a quella di bulbo umido dell’aria esterna, necessaria per la rimozione dell’umidità. In questo intervallo quindi il sistema alimenterà all’ambiente condizionato aria parzialmente raffrescata ma pur sempre umida.

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21

Nel caso in cui l’impianto sia fortemente sovradimensionato si hanno difficolta nella rimozione dell’umidità anche in regime di funzionamento continuo. Sulla serpentina, infatti, una volta che il refrigerante interno ha raggiunto la temperatura fissata, si inizia a formare sulla superficie un film di acqua. Una volta raggiunto un adeguato spessore, l’acqua inizia a gocciolare in apposite vasche di raccolta e viene rimossa. Se invece la superficie di scambio è sovradimensionata sarà più difficile per il film raggiungere le dimensioni critiche per il distacco ed il gocciolamento. In questo caso l’acqua può tornare nella corrente di aria condizionata riducendo l’efficienza di deumidificazione del sistema stesso.

In un altro studio svolto da Mc Lain et al. [9] si evidenzia come si abbia un aumento dei consumi dello 0.2% aumentando dell’1% il grado di sovradimensionamento. Ciò significa, ad esempio, che un impianto sovradimensionato del 50% avrà un’efficienza di climatizzazione inferiore del 10% rispetto ad un impianto correttamente dimensionato (a parità di richieste termiche della struttura). La ricerca è stata svolta in ambito residenziale, dove raramente il sistema HVAC è costantemente in funzione. Si può ipotizzare che nel caso di applicazioni commerciali e industriali, nelle quali l’impianto HVAC spesso è in funzione 24 ore su 24, la perdita di efficienza sia sicuramente maggiore [8].

Anche il controllo della temperatura risulta più difficile dal momento che si avranno oscillazioni di temperatura all’interno del locale più ampie rispetto ad un sistema HVAC dimensionato correttamente. Ciò si traduce, nel caso in cui l’impianto sia utilizzato in ambito civile, in un minore comfort all’interno dell’edificio.

Infine, molti degli elementi che costituiscono l’impianto, come ad esempio la soffiante o i compressori dei circuiti refrigeranti, producono rumore. In quest’ottica un impianto sovradimensionato genera più rumore rendendo il locale climatizzato ancor meno confortevole.

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22

1.4 Valutazione dei carichi termici

Come evidenziato nel precedente paragrafo, è estremamente importante in fase di progettazione valutare correttamente i fabbisogni energetici della struttura da climatizzare per evitare di sovradimensionare l’impianto.

Si riporta in Fig. 1.12 le principali componenti che prendono parte al bilancio termico di un edificio.

Fig. 1.12 Meccanismi di scambio termico della struttura con l’esterno.

Si osserva che l’edificio:

- Scambia calore per convezione con l’ambiente esterno tramite le pareti (opache, QT,

e vetrose, QV);

- Scambia calore per conduzione con il terreno tramite il pavimento (QF);

- Assorbe il calore irradiato dal sole (tramite le componenti sia opache che vetrose, QS);

- Riceve o disperde calore, a seconda della temperatura dell’aria esterna, a causa delle infiltrazioni e/o dei ricambi di aria, QINF;

- Possiede dei carichi termici endogeni positivi dovuti all’occupazione dell’edificio da parte delle persone, alla presenza di luci e apparecchiature dissipanti, Qi.

Si sottolinea che le pareti, le finestre e i pavimenti disperdono o forniscono calore alla struttura a seconda della temperatura esterna dell’aria mentre i contributi radiativi solari e gli apporti endogeni sono sempre positivi nel bilancio termico.

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23

A queste voci si devono aggiungere anche le dispersioni (o gli apporti) di calore dovute ai ponti termici, ovvero a quelle zone dove si ha una maggiore densità di flusso termico causata da disomogeneità geometriche o strutturali.

Fig. 1.13 Andamento delle isoterme all’interno di un ponte termico. Si osserva una temperatura della superficie interna minore in corrispondenza del vertice interno.

Un altro fattore molto importante nel valutare i carichi termici è tenere conto del fatto che mentre alcuni apporti termici sono istantanei, (come ad esempio gli apporti relativi alla ventilazione o alle infiltrazioni di aria) alcune voci non si manifestano immediatamente nel bilancio termico ma presentano un certo tasso di inerzia (ad esempio i contributi radiativi solari).

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24

Nel valutare il fabbisogno energetico necessario alla climatizzazione di una struttura inoltre esiste un certo margine di incertezza. Si pensi ad esempio al calore sviluppato da ogni persona: questa quantità può dipendere da molti fattori come l’età, l’abbigliamento o lo stato di salute generale. Un altro esempio può essere la velocità variabile del vento esterno che può modificare sensibilmente il coefficiente di scambio convettivo di una parete.

Data la pluralità delle voci che vanno a comporre il bilancio termico e dal momento che su alcuni parametri di input esiste un certo margine di aleatorietà, predire i carichi termici di un edificio è un processo estremamente complesso che, per quanto sia accurato, sarà in grado di quantificare il fabbisogno termico di una struttura a margine di un errore più o meno grande. Si può quindi affermare che è praticamente impossibile conoscere i carichi termici reali a priori di una struttura.

Per avere dati sempre più vicini ai carichi reali della struttura nel corso degli anni sono stati messi a punto diversi metodi di calcolo che possono essere divisi in:

- Metodi stazionari: si tratta di metodi che trascurano l’inerzia termica dell’edificio, necessitano di pochi input per lo svolgimento del bilancio termico e le condizioni esterne sono riassunte in un unico dato (ad esempio la temperatura di progetto esterna). Si tratta di metodi molto semplici ma non simulano in alcun modo il comportamento reale dell’edificio. Generalmente sono utilizzati nelle normative (ad esempio nella norma italiana UNI/TS 11300-1 o nella norma algerina DTR C.3.2) per il calcolo dei fabbisogni invernali;

- Metodi quasi-stazionari: sono metodi che tengono conto dell’inerzia termica della struttura utilizzando dei fattori di correlazione adeguati, determinati empiricamente. Per effettuare le simulazioni sulle 24 ore si usa solitamente un giorno tipo (estivo o invernale). Sono metodi che richiedono input maggiori ma danno risultati più simili alla realtà;

- Metodi dinamici: gli scambi termici, calcolati su base oraria o sub-oraria, vengono calcolati in maniera rigorosa valutando la capacità termica dell’involucro edilizio e quindi l’inerzia termica per tenere conto del calore accumulato nelle murature dell’edificio e di come questo venga rilasciato all’ambiente interno in maniera differita nel tempo. Si tratta dei metodi più accurati ma sono di difficile applicazione e sono pe lo più perlopiù usati nei programmi di simulazione termica.

1.4.1 Heat Balance Method (HBM)

Il metodo HBM è fra tutti i metodi dinamici il più rigoroso e fornisce risultati molti simili a quelli reali.

Le fasi che costituiscono il modello HBM sono: 1. bilancio termico sulla superficie esterna; 2. processo di conduzione del muro; 3. bilancio termico sulla superficie interna; 4. bilancio termico dell'aria.

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25

Lo schema (Fig. 1.15) mostra nel dettaglio il processo di equilibrio termico per una singola superficie opaca.

Fig.1.15 Schema del bilancio termico su una superficie opaca.

Le assunzioni che vengono fatte nel Heat Balance Method sono:

- Il calore si trasmette esclusivamente in direzione trasversale nella parete; - L’aria presente nella zona termica è perfettamente miscelata e si trova in ogni

punto della stanza alla stessa temperatura;

- Le proprietà di ciascun strato che costituisce la parete sono uniformi nello spazio;

La formulazione dell’HBM consiste nel descrivere matematicamente i quattro processi principali, indicati dai blocchi rettangolari riportati.

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26

1. Bilancio termico su ogni superficie esterna

𝑞𝑠𝑜𝑙 + 𝑞𝐿𝑊𝑅+ 𝑞𝑐𝑜𝑛𝑣− 𝑞𝑘𝑜 = 0 dove

- qsol è il flusso dovuto alla radiazione solare diretta e diffusa, ovvero la luce

solare riflessa dall’ambiente circostante;

- qLWR è il flusso dovuto alla radiazione a onda lunga scambiato con l’aria

circostante;

- qconv è il flusso di scambio convettivo con l’aria esterna;

- qko è il flusso conduttivo all’interno del muro.

Fig.1.16 Bilancio termico sulla superficie esterna della parete

2. Processo di conduzione attraverso i muri: risolvibile attraverso varie tecniche (differenze finite, elementi finiti, metodo delle trasformate, metodo delle serie temporali). In questa fase si ha la risoluzione di equazioni differenziali e quindi è nel muro che si ha l’eventuale accumulo di calore nel tempo.

3. Bilancio termico su ogni superficie interna:

𝑞𝐿𝑊𝑋+ 𝑞𝑆𝑊+ 𝑞𝐿𝑊𝑆+ 𝑞𝑘𝑖+ 𝑞𝑠𝑜𝑙+ 𝑞𝑐𝑜𝑛𝑣 = 0 dove

- qLWX è il flusso dovuto alla radiazione a onda lunga scambiata tra le superfici

della zona;

- qSW è il flusso dovuto alla radiazione a onda corta delle luci sulle superfici;

- qLWS è il flusso radiativo a onda lunga delle apparecchiature presenti;

- qki è il flusso conduttivo attraverso i muri;

- qsol è il flusso radiativo solare trasmesso attraverso le pareti vetrose e assorbito

alla superficie;

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27

Fig.1.17 Bilancio termico sulla superficie esterna della parete

4. Bilancio termico dell’aria:

𝑞𝑐𝑜𝑛𝑣+ 𝑞𝐶𝐸+ 𝑞𝐼𝑉− 𝑞𝑠𝑦𝑠=0 dove

- qconv è ilcalore trasferito per convezione dalle superfici;

- qCE è il calore convettivo del carico interno

- qIV è il flusso di calore sensibile causato da infiltrazione e ventilazione;

- qsys è la richiesta termica che il sistema di condizionamento e trattamento

dell’aria deve fornire

Si tratta di equazioni differenziali che vengono risolte per ogni intervallo temporale della simulazione, nel quale le proprietà sono considerate costanti. Al diminuire dell’intervallo temporale aumenterà il dettaglio ma allo stesso si avrà un aumento dei costi computazionali.

Il processo per le superfici trasparenti è simile a quello indicato, ma non ha la componente solare assorbita sulla superficie esterna; quest’ultima è divisa in due parti, una frazione verso l'interno e una frazione verso l'esterno, che parteciperanno al bilancio termico rispettivamente sulle superfici interne ed esterne.

Anche per le pareti in contatto con il suolo il metodo di calcolo è identico ad esclusione del coefficiente convettivo di scambio esterno che deve essere adeguatamente calcolato. In questo caso ovviamente le componenti solari sono nulle.

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28

Il metodo HBM è un metodo molto laborioso, di difficile applicazione e necessita di competenze specifiche per poter essere utilizzato in maniera corretta. Si tratta tuttavia del metodo che rispetto ad altri presenta meno semplificazioni ed è in grado di fornire risultati simili a quelli reali. Si tratta, inoltre, della metodologia più usata nell’ambito dei software di simulazione energetica ed è utilizzato dal motore di calcolo Energy+.

1.4.2 Transfer Function Method (TFM)

Il metodo delle funzioni di trasferimento (TFM), sviluppato dall’ASHRAE, rappresenta una semplificazione del metodo HBM. È molto utilizzato nei programmi di calcolo (ad esempio il software italiano STIMA si basa su questa procedura per i carichi estivi) per via della sua facilità d’uso e per il basso costo computazionale. Il metodo prevede l’applicazione di due famiglie di coefficienti o fattori peso, aventi la funzione di simulare l’effetto di fenomeni dissipativi e/o inerziali: la prima per determinare l’apporto di calore per conduzione attraverso le pareti opache (Conduction Transfer Function, CTF); la seconda per tener conto dei fenomeni di accumulo generati dai flussi termici con componente radiativa (Room Transfer Function).

Gli apporti termici solari attraverso le superfici trasparenti, quelli puramente convettivi e quelli generati da persone, luci e apparecchiature elettriche sono considerati integralmente quindi senza coefficienti di smorzamento. In questo modo ciascuna componente con il proprio peso riproduce l’effetto del carico termico sull’aria ambiente, istante per istante.

Nel dettaglio, il carico termico (estivo) Qcool, t all'istante t è funzione del valore al

medesimo istante degli apporti termici delle singole componenti del guadagno termico qi,t, meno gli stessi apporti termici agli istanti precedenti:

𝑄𝑐𝑜𝑜𝑙𝑡 = ∑(𝑣0𝑞𝑖𝑡 + 𝑣1𝑞𝑡−𝛿+ 𝑣2𝑞𝑡−2𝛿 + ⋯ ) − (𝑤0𝑄𝑐𝑜𝑜𝑙,𝑡−𝛿+ 𝑄𝑐𝑜𝑜𝑙,𝑡−2𝛿) 𝑖

dove:

- i è il numero delle componenti dell’apporto termico (parete opaca, componente finestrato, apporto interno…);

- q è l’apporto termico della componente considerata (parete opaca, componente finestrato, apporto interno…);

- δ è l’intervallo temporale (generalmente un’ora);

- v0, v1, v2 sono i coefficienti della Room Transfer Function (RTF) relative

rispettivamente all’ora considerata, all’ora precedente e alle due ore precedenti; - w0, w1 sono i coefficienti della Room Transfer Function (RTF) relative

rispettivamente all’ora considerata e all’ora precedente.

Si osserva che per le componenti puramente convettive (ad esempio le infiltrazioni e i ricambi di aria), le componenti radiative solari attraverso le superfici trasparenti e gli apporti interni i coefficienti della funzione di trasferimento sono pari a 1 e vengono quindi considerati integralmente.

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Le RTF e le CTF vengono derivate per un determinato numero di elementi costruttivi standard (basati sulle normative edilizie americane) e vengono espresse nelle loro rispettive trasformate 𝐾(𝑧)𝑣0+ 𝑣1𝑧 −1+ 𝑣 2𝑧−2+ ⋯ 1 + 𝑤1𝑧−1+ 𝑤 2𝑧−2+ ⋯

La K(z) non è altro che il rapporto fra la trasformata di Laplace di una funzione ingresso I(z) e la trasformata di Laplace della risposta U(z), individuata a partire dall'equazione differenziale che rappresenta il sistema-edificio:

𝐾(𝑧) =𝑈(𝑧) 𝐼(𝑧)

Le funzioni di trasferimento servono quindi a tradurre gli apporti termici nei carichi termici necessari al sistema di condizionamento e tengono conto dell’inerzia della struttura e dello smorzamento dell’onda termica.

Fig.1.19 Smorzamento e sfasamento dell’onda termica

In generale questi coefficienti dipendono dall'intervallo temporale scelto, dalla natura degli apporti termici e dalle caratteristiche termiche inerziali (assorbimento e ritardo dell'onda termica) dell'involucro edilizio. La limitazione alle due ore precedenti o anche alla sola ora precedente (come più comunemente utilizzato) è una approssimazione dovuta all’effetto trascurabile dei contributi degli altri termini (ovvero di termini antecedenti alle tre ore); l’ASHRAE stesso presenta i valori tabellati relativi alla sola ora precedente.

Si può notare che l’approssimazione introdotta con i coefficienti v e w, non è limitativa da un punto di vista concettuale, nel senso che non annulla la “storia” termica dell’ambiente nelle ore precedenti in quanto nell’espressione del carico termico in un dato istante (Qcool,t) sono presenti i termini dei carichi termici delle ore precedenti, che

a loro volta dipendono dai carichi termici precedenti e così via: in questo modo si considera l’effetto della “storia” del sistema.

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30

Il vantaggio del metodo TFM risiede nella semplicità di calcolo. Consideriamo ad esempio il contributo termico di una parete opaca: in un primo momento il guadagno termico viene considerato stazionario e calcolato come:

𝑞i(𝑡) = 𝑈𝐴(𝑇(𝑡)𝑠𝑜𝑙 − 𝑇𝑖𝑛) dove:

- qi(t) è l’apporto termico della parete i-esima;

- U è il coefficiente di scambio termico; - A è l’area esterna;

- Tsol è la temperatura aria-sole (ovvero la temperatura esterna corretta

considerando anche la componente radiativa solare); - Tin è la temperatura interna.

In un secondo momento l’effetto dell’apporto termico viene tradotto in carico termico della struttura, che il sistema HVAC deve rimuovere, tramite le funzioni di trasferimento (in questo caso tramite le CTF).

La criticità di tale metodo risiede nella determinazione dei coefficienti v e w per le diverse tipologie di muratura. L'ASHRAE Fundamentals riporta apposite tabelle con i coefficienti suddetti che basandosi sulla normativa edilizia statunitense mal si adattano alle tipologie di edifici non americani; inoltre la vetustà degli stessi coefficienti (risalenti agli anni '80) fa sì che essi non si adattino alle nuove esigenze costruttive che fanno uso di materiali ad alte prestazioni energetiche.

1.4.3 Radiant Time Series Method (RTSM)

Il metodo Radiant Time Series (RTSM) è un metodo semplificato per eseguire il calcolo del carico di raffrescamento. Sviluppato nei primi anni 2000, a partire dal 2009 ha sostituito il metodo TFM nei manuali ASHRAE.

Deriva dal metodo del bilancio termico (HBM) e, se usato entro i limiti, dà risultati conservativi, cioè sovrastimano il carico di raffreddamento di una piccola quantità rispetto al metodo HBM.

Un'eccezione è il caso di edifici con basse resistenze termiche dell’involucro. Infatti, facendo un esempio, il RTSM sovrastima moderatamente i carichi di raffreddamento negli edifici con alte percentuali di vetri singoli, come d’altronde fanno anche altri metodi alternativi al rigoroso HBM.

Con il RTSM si determinano le singole componenti dei guadagni termici per poi calcolare i carichi di raffrescamento che possono essere così esaminati più facilmente. Inoltre, i coefficienti che vengono utilizzati per calcolare il transitorio nel guadagno di conduzione e quelli utilizzati per i carichi di raffreddamento hanno un chiaro significato fisico, i primi quello di modellare l’inerzia termica delle singole pareti e i secondi la componente del carico dovuta alla radiazione.

Il metodo RTS è stato sviluppato per essere rigoroso, senza la necessità di effettuare cicli iterativi (come fa l'HBM) per determinare i guadagni di calore di conduzione e i carichi di raffrescamento. Il costo computazionale è dunque minore dal momento che non devono essere risolte complesse equazioni differenziali.

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Al fine di sviluppare il RTSM sono richieste diverse assunzioni di base.

1- Periodo di calcolo - il metodo RTS presuppone che il calcolo del carico di raffreddamento sia per un singolo giorno, con i giorni precedenti che hanno le stesse condizioni. In altre parole, l’energia immagazzinata in un edificio durante la notte sarà coerente con i giorni precedenti, essendo identiche le condizioni meteorologiche e i guadagni di calore interno.

2- Bilancio di calore sulla superficie esterna: nel metodo RTSM non viene fatto un bilancio termico sulla superficie esterna. Si calcolano invece gli apporti termici dovuti agli elementi con in contatto con l’ambiente esterno tramite l’utilizzo della temperatura aria-sole (ovvero una temperatura esterna corretta considerando la componente radiativa solare);

3- Bilancio di calore della superficie interna e bilancio dell’aria della zona: la

semplificazione dello scambio radiativo del RTSM si basa su due approssimazioni: in primo luogo, che le temperature delle altre superfici (ad esempio quelle delle pareti interne) possono essere ragionevolmente approssimate con la temperatura dell'aria interna e, dall'altro, che la dipendenza delle temperature superficiali può essere approssimata con una semplice relazione lineare.

Si riporta in Fig. 1.20 i passaggi principali del metodo RTSM

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La novità sostanziale del metodo RTSM risiede nella suddivisione dei guadagni termici in una parte puramente convettiva ed un'altra radiativa. La prima ha effetti immediati sul carico di raffreddamento del sistema HVAC mentre la seconda presenta un certo ritardo e sfasamento che viene considerato applicando le Radiant Time Series Function. La suddivisione fra le due componenti non è di facile derivazione e per questo l’ASHRAE consiglia i seguenti valori, riportati in Tab .1.3 per la ripartizione.

Tab. 1.2 Suddivisione degli apporti termici nella frazione convettiva e radiativa consigliata dall’ASHRAE

Si tratta di valori empirici che tuttavia danno buoni risultati.

Per illustrare meglio la procedura si riporta di seguito un esempio della metodologia di calcolo secondo il RTSM per le pareti opache.

- Pareti opache

In primo luogo si devono ottenere i coefficienti delle CTS: questi si possono trovare in determinate tabelle (v. manuale ASHRAE) oppure possono essere calcolate utilizzando programmi dedicati (disponibili anche in versione freeware sul sito

www.hvac.okstate.edu). Tali coefficienti dipendono principalmente dalle caratteristiche strutturali e dai materiali che formano la parete opaca, come il calore specifico e la conducibilità termica.

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Si riporta in Fig. 1.21 l’andamento delle CTS per tre differenti tipi di parete

Fig.1.21 Andamento dei coefficienti delle CTS per tre tipologie di pareti

Come si può vedere, i CTSFs per la parete leggera sono molto grandi per le prime ore e quasi zero per le ore successive: relativamente poco calore è immagazzinato in questo muro leggero. D'altra parte, la parete più pesante ha valori minori di CTSFs nelle prime ore ma questi rimangono diversi da zero per molte ore, indicando appunto il ritardo temporale di questa parete più pesante.

Una volta ottenuti questi dati si procede al calcolo orario dei guadagni termici dovuti alle pareti opache in esame secondo la relazione

𝑞(𝑡) = ∑ 𝑐𝑗𝑈𝐴(𝑡𝑒(𝑡 − 𝑗) − 𝑡𝑖𝑛) 23

𝑗=1

dove:

- q(t) è il carico termico all’ora t considerata; - cj è il coefficiente j-esimo della CTF;

- U è il coefficiente di scambio termico; - A è l’area esterna esposta della parete opaca; - te(t-j) è la temperatura esterna j ore prima;

- tin è la temperatura interna della zona termica climatizzata.

Come si osserva dalla relazione precedente nel calcolo dei carichi termici delle pareti opache è quindi presente la “storia” termica della struttura considerata.

Individuati i profili dei guadagni termici si prosegue alla ripartizione fra componente radiativa e componente convettiva secondo i valori riportati in Tab 1.3 e si calcola il carico termico che il sistema HVAC deve rimuovere per il condizionamento.

Mentre la parte convettiva non viene corretta, corrispondendo al carico termico orario effettivo del sistema HVAC, per la parte radiativa si prosegue applicando le Room Transfer Function (che dipendono essenzialmente dalle caratteristiche dell’involucro edilizio, dall’esposizione e dalla forma della zona termica).

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Si riporta in Fig. 1.22 l’andamento dei coefficienti di tre RTS differenti.

Fig.1.22 Andamento dei coefficienti delle RTS per differenti zone termiche

Generalmente le RTS rispondono in maniera più lenta per le zone termiche che presentano un’inerzia maggiore.

Per ottenere quindi i carichi termici effettivi radiativi si applica la seguente relazione 𝑞𝐻𝑉𝐴𝐶𝑅𝐴𝐷 (𝑡) = ∑ 𝑟𝑗𝑞𝑅𝐴𝐷(𝑡 − 𝑗)

23 𝑗=1

dove:

- 𝑞𝐻𝑉𝐴𝐶𝑅𝐴𝐷 (𝑡) è il carico termico effettivo del sistema HVAC dovuto alla frazione radiativa;

- rj è il coefficiente j-esimo della RTF;

- qRAD(j-t) è la componente radiativa j ore prima dell’ora calcolata.

A questo punto il carico termico orario relativo al sistema HVAC si calcola sommando la frazione radiativa a quella convettiva

𝑄𝐻𝑉𝐴𝐶(𝑡) = 𝑞𝐻𝑉𝐴𝐶𝑅𝐴𝐷 (𝑡) + 𝑞𝐻𝑉𝐴𝐶𝐶𝑂𝑁𝑉(𝑡)

La procedura di calcolo è analoga per le altre tipologie di componenti.

1.4.4 Rule of Thumbs

Come accennato nel paragrafo 1.3.1 relativo ai problemi legati al sovradimensionamento degli impianti HVAC, il calcolo dei carichi termici viene spesso calcolato tramite l’utilizzo di “Rule of Thumbs”. In queste relazioni si riporta generalmente il carico termico da installare per superficie e tale valore varia in funzione dell’utilizzo che viene fatto della zona termica considerata.

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Si riporta in Tab. 1.3 alcuni valori di carichi termici estivi al sistema di condizionamento per differenti funzioni di utilizzo.

Tab 1.3 Carichi termici consigliati per impianti HVAC per differenti tipi di strutture in regime estivo

Per quanto riguarda invece i carichi invernali i valori oscillano fra [10]: - 20-60 Btuh/ft2 per ogni tipo di struttura;

- 40-120 Btuh/ft2 per edifici con il 100% di aria esterna (ad esempio laboratori

o ospedali).

Per i carichi invernali non si distingue fra i diversi tipi di utilizzi della struttura in quanto gli apporti interni non vengono conteggiati nel bilancio termico.

I valori illustrati sono in genere ampiamente conservativi, come si dimostrerà nel terzo capitolo della presente tesi, per garantire che l’impianto dimensionato in questi termini sia in grado di soddisfare le specifiche di progetto della struttura.

Le “Rule of Thumbs” sono comode per avere un’idea di massima della potenza da installare per il sistema HVAC ma sono poco affidabili in quanto:

- Sono presentate in forma di range molto ampi;

- Non tengono conto del clima dove è posizionata la struttura;

- Sono obsolete e non considerano il fatto che negli anni gli edifici, a causa di normative sempre più restrittive, sono diventati sempre più efficienti dal punto di vista energetico.

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1.5 Software commerciali

Nel campo della progettazione dei sistemi HVAC i software in commercio sono numerosi. Per quanto riguarda il calcolo dei fabbisogni termici i software in commercio possono operare il calcolo in due differenti modi:

- Utilizzando uno dei metodi di calcolo dei carichi termici illustrato nei precedenti paragrafi;

- Utilizzando normative nazionali che forniscono metodologie alternative, generalmente più semplici, per il calcolo dei fabbisogni termici.

Come è intuibile i risultati che si ottengono usando differenti SW fra quelli già presenti in commercio possono essere piuttosto differenti.

A titolo esemplificativo si riporta in Fig. 1.33 i fabbisogni termici di una stessa struttura utilizzando differenti programmi di calcolo.

Fig.1.23 Carichi termici valutati tramite differenti software di calcolo per medesime strutture

Si riporta nei successivi due paragrafi una descrizione dei software che sono stati utilizzati e valutati nella presente tesi:

- Stima10-TFM: software attualmente in uso presso l’azienda TecnoCadService che utilizza la normativa nazionale UNI/TS 11300-1 e UNI/TS 11300-2 per il calcolo dei fabbisogni termici invernali e il metodo TFM per la valutazione dei carichi estivi;

- Energy Plus, software ampiamente utilizzato e validato in ambito di ricerca che effettua simulazioni dinamiche applicando il metodo HBM.

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1.5.1 Stima10-TFM

STIMA10 TFM utilizza i procedimenti finalizzati al calcolo dei carichi di picco, al fabbisogno energetico normalizzato, calcolato secondo la UNI/TS 11300–1 e la UNI/TS 11300–2, e alla stesura della Relazione Tecnica Legge 10/91 previsti in STIMA10 per le esigenze termiche invernali e li integra con le funzioni originali dedicate ad effettuare l’analisi oraria dei carichi estivi applicando il Metodo delle Funzioni di Trasferimento ASHRAE. Le due procedure, invernale ed estivo, sono strettamente integrate in quanto il programma utilizza un’unica caratterizzazione dell’involucro edilizio, un’unica base dati dei parametri climatici, dei materiali e delle strutture edilizie.

Fig.1.24 Schermata di input del software STIMA-TFM 10

Il programma sviluppa immediatamente l’analisi di bilancio termico orario estivo (carichi parziali e complessivi radiativi, convettivi, sensibili e latenti) nelle diverse condizioni climatiche dell’anno. Il metodo adottato può eseguire l’analisi oraria dei carichi in tutti i mesi dell’anno (convenzionalmente nel giorno tipico, il 21° giorno) e, oltre a verificare il comportamento delle strutture costituenti l’involucro, consente di ottimizzare le potenze delle unità adottate per rimuovere il calore.

A scelta del progettista numerose funzioni sono semplificate da procedure automatiche.

- Caratterizzazione delle strutture opache (coefficienti CTF) e trasparenti (coefficiente di shading o fattore di filtro);

- Assegnazione di apporti termici gratuiti (persone, illuminazione ecc..) ai singoli ambienti;

- Caratterizzazione di ogni singolo ambiente con i coefficienti WF (Weighting Factor); - Valutazione della potenza massima di rimozione del calore sensibile.

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Le condizioni di progetto esterne della località, dati precompilati desunti da UNI 10339, sono valutabili attraverso tabelle analitiche e grafiche tridimensionali.

La massima attenzione è stata posta per velocizzare e semplificare il lavoro di impostazione dei parametri e dati, senza per questo trascurare il rispetto delle Norme Tecniche vigenti e la possibilità di adattare le procedure alle intenzioni del progettista. Nel foglio finale dedicato all’analisi dei carichi orari è possibile visualizzare un quadro dettagliato del comportamento dinamico dell’edificio/impianto in esame anche in forma grafica.

Fig.1.25 Schermata di output del software STIMA-TFM 10

1.5.2 Energy Plus

EnergyPlus è un software basato sui programmi BLAST (Building Loads Analysis and System Thermodynamics) e DOE-2, sviluppati negli Anni 80 per poter eseguire stime e simulazioni sui carichi energetici degli edifici, tramite il metodo HBM (v. paragrafo 1.4.1). La natura open source del software, realizzato dal Dipartimento Energetico degli Stati Uniti, ha permesso di superare di gran lunga le capacità degli altri programmi di riferimento e l’ha reso uno dei più affidabili strumenti di simulazione presenti nel settore.

Un’alternativa affidabile a EnergyPlus è TRNSYS, che però è un software a pagamento.

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EnergyPlus consente, attraverso la simulazione dinamica, la stima dei carichi energetici di una determinata struttura edilizia (residenziale, commerciale o industriale) e permette di condurre un’analisi integrata del rendimento energetico dell’edificio in esame e degli impianti che ne fanno parte.

Proprio per l’elevato grado d’analisi che il software consente in fase di progetto, i destinatari principali di tale software sono ingegneri e architetti che attraverso questo strumento di lavoro hanno potuto e possono ottimizzare le prestazioni energetiche dell’edificio o dei singoli impianti che lo compongono.

Gli elementi che caratterizzano il software EnergyPlus sono:

- la possibilità di considerare una soluzione integrata e simultanea del sistema edificio (involucro esterno) e dell’impianto;

- utilizzo di intervalli di simulazione inferiori ad un’ora;

- soluzioni basate sul bilancio termico (Heat Balance Method) ottenute sfruttando il calcolo in regime transitorio;

- possibilità di studio del benessere termo-igrometrico degli occupanti dell’edificio, calcolo e verifica igrometrica tramite il modello EMPD (Effective Moisture Penetration Depth Model);

- calcoli avanzati sulla radiazione entrante dalle finestre (possibilità di analisi strato per strato, variazione degli ombreggiamenti…);

- stima, calcolo e controllo delle emissioni inquinanti; - possibilità di collegamento e iterazione con altri software; - controlli sull’illuminazione interna;

Il punto di partenza, per l’analisi, è la struttura edilizia della quale devono essere fornite le caratteristiche strutturali, costruttive e impiantistiche. La simulazione dinamica al software permette di calcolare i fabbisogni energetici della struttura in termini di:

- Carichi termici di riscaldamento e raffrescamento necessari per mantenere le temperature limite impostate

- Carichi termici per la produzione di acqua calda - Carichi energetici per la ventilazione

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