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1. CARATTERISTICHE GENERALI DEL LATTE

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

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1. CARATTERISTICHE GENERALI DEL LATTE

1.1 IL LATTE COME ALIMENTO E MATERIA PRIMA

Il latte è la prima ed esclusiva fonte di nutrimento per i neonati dei mammiferi, e quindi anche per l'uomo.

L'importanza del latte come alimento è sostanzialmente dimostrata dalla funzione svolta da questo prodotto. Oltre a fornire tutte le sostanze necessarie alla fase di intenso accrescimento del neonato con l’apporto di proteine, lipidi, zuccheri, minerali e vitamine, rappresenta anche il mezzo con cui la madre trasmette al figlio alcuni elementi di difesa dell’organismo: gli anticorpi.

Per l’uomo il latte non esaurisce la sua funzione alimentare dopo lo svezzamento in quanto costituisce un’importante componente del regime alimentare di molte popolazioni. Infatti nel corso della vita, esso continua a costituire una importante fonte di principi nutritivi, in particolare di proteine (caseina e lattoalbumina), di alcune vitamine (A, D, B6, B12 e K), di calcio e di fosforo.

Le proteine del latte assicurano da sole circa un terzo dell'apporto proteico del fabbisogno giornaliero medio. La qualità di queste proteine è molto elevata, e questo significa che queste proteine contengono nelle giuste quantità e nelle giuste proporzioni tutti gli aminoacidi di cui l'organismo ha bisogno.

Alcuni studiosi hanno osservato che le popolazioni che consumano più latte sono caratterizzate da una statura media più alta, da una maggiore resistenza alle malattie, da un'attività intellettuale e manuale più intensa, da una maggiore longevità e da un'inferiore mortalità infantile. I bambini che non assumono quantità sufficienti di latte sono generalmente più bassi di statura e hanno ossa più fragili rispetto a quelli che lo assumono con regolarità.

Per poterne disporre in quantità sufficiente, fin dall’antichità si è sviluppata la prima attività produttiva dell’uomo: la pastorizia. Le specie animali ritenute idonee a produrre latte nelle più diverse condizioni ambientali sono state numerose, e nel tempo sono stati individuati i diversi sistemi di conservazione, implicanti o meno profonde modifiche dello stato iniziale del latte. In questo modo le varie popolazioni hanno cercato di utilizzare al meglio il latte, producendo derivati da consumare anche nei periodi di scarsa produttività degli animali ottenendone maggiori vantaggi economici.

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Vacche, bufale, pecore e capre sono gli animali lattiferi la cui produzione oggi assume un rilevante interesse economico, offrendo la materia prima per una vasta gamma di prodotti alimentari, ognuno dei quali con peculiari caratteristiche sensoriali, nutrizionali e di conservabilità (Corradini C., 1995).

1.2 DEFINIZIONE E COSTITUENTI

Secondo l’aspetto legislativo, il latte è definito come il prodotto della mungitura regolare, completa ed ininterrotta della mammella di bovine in buono stato di salute e di nutrizione (art.

15 del Rdl del 9-5-1929, citato da APA Cuneo, 2004). Di conseguenza il latte non proveniente dal bovino deve essere evidenziato con il nome della specie da cui proviene.

A prima vista il latte può sembrare una sostanza liquida omogenea di colore bianco opaco, ma analizzandolo da un punto di vista chimico fisico, il latte è una miscela complessa di componenti di varia natura, che si può suddividere in quattro frazioni (Corradini C., 1995):

una frazione acquosa, nella quale si trovano disciolti il lattosio, gli altri zuccheri, i sali minerali, i composti azotati non proteici, gli aminoacidi liberi e le vitamine idrosolubili;

una frazione globulare, rappresentata da particelle di grasso (MFG, milk fat globule) costituite da trigliceridi e rivestite da una membrana di natura fosfolipidica e proteica (MFGM, milk fat globule membrane);

una frazione micellare composta dalle caseine;

una frazione colloidale costituita da fosfato tricalcico e da α e β lattoglobuline.

Il colore bianco del latte è conferito dalle micelle di caseina, mentre le sfumature giallastre sono da attribuire alla frazione lipidica (APA Cuneo, 2004).

1.3 IL LATTE DI SPECIE DIVERSE

Ogni specie lattifera fornisce un latte con una composizione chimica caratteristica in relazione alle diverse abitudini, condizioni ambientali ed esigenze nutrizionali; queste differenze determinano caratteristiche nutritive, biologiche e tecnologiche molto diverse.

Il latte prodotto da qualsiasi specie di mammifero contiene un determinato tenore proteico, ma a seconda della prevalenza delle caseine o delle sieroproteine, si distinguono i latti caseinosi

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dai latti albuminosi. I primi coagulano in seguito all’azione del caglio od in ambiente acido, mentre i secondi necessitano l’ebollizione perché avvenga la coagulazione delle sieroproteine.

La quantità di proteine è tanto più elevata quanto maggiore è la rapidità della crescita del mammifero appena nato (Sciancalepore, 1998). Al contrario, il contenuto di lattosio è minore in animali con un lento sviluppo corporeo: una minore quantità di questo costituente, accompagnata da un maggior contenuto di grasso, si verifica per quegli animali che vivono nelle zone fredde e negli oceani dov’è necessario un maggiore apporto energetico; un esempio è la balena che produce un latte la cui percentuale di grasso si aggira intorno al 35%, mentre le percentuali di acqua e lattosio sono rispettivamente del 53,5% e dello 0,7% (Del Bono, 1997;

Sciancalepore, 1998).

Tabella 1: Composizione del latte di specie di mammifero espressa in percentuale (Del Bono, 1997)

Balena Cane Cammello Coniglio Gatto Renna

Acqua 53,5 81,5 87,5 70,5 82,0 67,0

Lattosio 0,7 4,8 3,2 1,8 4,9 3,0

Grasso 35,0 4,0 5,2 12,0 4,0 5,0

Proteine 10,0 9,0 3,0 13,0 9,1 7,2

Sali Minerali 0,8 0,7 1,1 2,7 0 17,8

Il latte più utilizzato ai fini dell’alimentazione umana, sia come alimento diretto sia come derivati, proviene da poche specie animali (bovino, pecora, capra, asino, cavallo e bufalo); la specie che fornisce il latte con l’utilizzo più diffuso a livello mondiale è quella bovina. Il contenuto proteico di questo latte si aggira mediamente intorno al 3,2-3,5%. Per quanto riguarda la qualità delle sostanze azotate, il latte vaccino differisce sostanzialmente da quello umano in quanto, il primo, è di tipo caseinoso (80% di caseina circa) mentre il secondo è di tipo albuminoso. Tra questi due si evidenziano anche differenze nel contenuto in grasso ed in lattosio: infatti il latte umano è più ricco di grassi insaturi a lunga catena (più facilmente assimilabili), contiene una maggiore quantità di lattosio, ma presenta un minor contenuto totale di sali minerali rispetto al latte vaccino, anche se i contenuti di ferro, rame e iodio sono proporzionalmente maggiori. Questo spiega perché i lattanti alimentati con latte di vacca vadano più facilmente incontro ad anemia per carenza di ferro (Succi, Hoffman, 1993;

Sciancalepore, 1998).

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Il latte di pecora, dopo quello di vacca, è il più utilizzato per la produzione di prodotti lattiero- caseari, ha un colore leggermente giallognolo ed un sapore e odore caratteristici molto spiccati.

Il suo contenuto in grasso è circa il doppio rispetto al latte vaccino (Del Bono, 1997; Corradini, 1995) ed anche il suo contenuto proteico è più elevato: questa caratteristica composizione lo rende particolarmente adatto alla caseificazione.

Il latte d’asino ha una composizione chimica molto simile a quello di uomo e questa somiglianza si manifesta anche nei rapporti delle componenti proteiche e nel tipo di acidi grassi. Utilizzato, per queste caratteristiche, fino a qualche decennio fa per l’alimentazione infantile, il latte d’asina è caratterizzato da un elevato contenuto in lattosio, da cui deriva il sapore dolciastro, e da un basso contenuto in grasso; inoltre, deve essere consumato velocemente in quanto si altera anche a seguito della stessa ebollizione.

Il latte di capra è simile a quello bovino nella sua composizione, si presenta di colore bianco puro in quanto è povero di caroteni, specialmente di β-carotene e tocoferolo (Noè e Feligini, 1999). Paragonato al latte vaccino si presenta più denso e viscoso, con un maggior contenuto in grasso, con un sapore leggermente dolciastro per la presenza di acidi grassi liberi: caprico, caprilico e caproico (Urbertalle, 1986; Borghese et al., 1988) e con un caratteristico odore (ircino) che lo differenzia da qualsiasi altro tipo di latte.

Il latte di cavallo ha un contenuto lipidico molto basso, simile a quello del latte d’asina, ma presenta un contenuto proteico superiore. Il contenuto in lattosio si avvicina molto a quello dell’asina ed è di gran lunga superiore a quello del latte vaccino. Viene usato come alimento da alcune popolazioni asiatiche, anche se ad oggi si sa molto poco riguardo alle caratteristiche del latte della specie equina.

Infine, il latte di bufalo, di colore bianco neve, senza odore caratteristico e con un sapore piuttosto delicato, ha un contenuto proteico e lipidico più elevato rispetto a quello vaccino; per tale motivo, così come il latte di altre specie, è utilizzato più che come alimento diretto, quasi esclusivamente nell’industria casearia ed in particolare per la produzione delle famose mozzarelle.

Il latte prodotto dalle varie specie lattifere è diverso non solo in termini qualitativi (per la diversa composizione e struttura degli elementi più caratteristici) come è mostrato nella Tabella 2 ma anche in termini quantitativi (in funzione della capacità produttiva della specie).

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Tabella 2: Composizione del latte di mammiferi domestici e nella specie umana espressi in percentuale (Sciancalepore, 1998).

Uomo Bovino Bufalo Capra Pecora Asino

Acqua 89,3 87,5 82,2 86,4 80,9 90

Lattosio 6,5 4,7 4,7 4,5 4,5 6,2

Grasso 3,5 3,5 7,5 4,3 7,5 1,5

Proteine 1,5 3,5 4,8 4,0 6,0 1,8

Sali Minerali 0,2 0,8 0,8 0,8 1,1 0,5

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2. LATTE DI PECORA

2.1 QUALITA’ DEL LATTE OVINO

Negli ultimi anni la qualità dei prodotti ha assunto una notevole importanza soprattutto perchè, una volta soddisfatti i bisogni quantitativi per le esigenze di massa, l’attenzione da parte dei consumatori si è rivolta alle relazioni che legano l’alimentazione alla salute.

La qualità dei prodotti, quindi, non deve soddisfare il gradimento del consumatore solo dal punto di vista organolettico, ma deve anche, e soprattutto, garantire un apporto equilibrato di principi nutritivi e un controllo igienico, in termini di assenza di inquinanti tossici e patogeni.

La qualità dipende quindi da un insieme di parametri complessi e secondo la norma ISO 8402 viene definita come “l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un prodotto che conferiscono ad esso la capacità di soddisfare le esigenze espresse o implicite del consumatore”; risulta quindi corretto parlare di qualità “nutrizionale”, qualità “igienica”, qualità “organolettica” e qualità “tecnologica”.

Nel caso del latte ovino, utilizzato quasi esclusivamente per la caseificazione, la qualità nutrizionale si identifica nella sua composizione chimica e in modo particolare nel contenuto di grassi e proteine, la qualità igienica si riferisce al ridotto contenuto di carica batterica, soprattutto per i prodotti a base di latte crudo, e la qualità organolettica riguarda le caratteristiche sensoriali di sapore, odore e colore del prodotto, valutate dal consumatore.

Particolare importanza assume la qualità tecnologica, che si identifica con l’attitudine alla caseificazione in termini soprattutto di resa e caratteristiche chimico-fisiche del formaggio: un latte ovino di “qualità” deve quindi trasformarsi con alte rese in prodotti di elevato valore nutrizionale ed organolettico.

Il latte di pecora, essendo particolarmente ricco in caseina e quindi particolarmente adatto alla caseificazione, ha un rendimento in formaggio all’incirca doppio rispetto a quello del latte bovino.

Inoltre l’attitudine casearia del latte è il risultato dell’interazione di numerosi parametri relativi non solo alla composizione chimica, ma anche all’igiene del latte stesso e alla sanità degli animali; non vi è quindi dubbio che le peculiarità di un formaggio dipendano essenzialmente dalle caratteristiche della materia prima e quindi del latte.

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2.2 LA LATTOGENESI MAMMARIA

Il latte è un liquido fisiologico che si forma principalmente nella ghiandola mammaria. Nella specie ovina, l’apparato mammario è situato nella regione inguinale ed è rappresentato esternamente da un sacco globoso ed elastico, inclinato leggermente all’indietro, in senso cranio-caudale, portante due appendici, i capezzoli, che corrispondono alle mammelle.

Il latte si forma nelle cellule epiteliali della mammella, riempiendo un alveolo od acinus; la mammella contiene un elevato numero di alveoli riuniti in grappoli a formare lobuli; questi comunicano, attraversano un dotto collettore ramificato, con la cisterna (seno galattoforo) situata alla base della mammella. La cisterna sbocca nella cavità del capezzolo, che si apre all’esterno in un unico sottile canale (Succi, Hoffmann, 1993; Sciancalepore, 1998).

La maggior parte dei costituenti organici del latte è prodotta nella ghiandola mammaria: il lattosio, alcuni grassi, le caseine, la β-lattoglobulina e l’α-lattoglobulina, che nell’insieme costituiscono circa il 92% dell’estratto secco del latte ovino. Gli altri componenti del latte provengono direttamente dal sangue.

L’attività secretoria della mammella dipende da un complesso sistema di ormoni. Un ormone postipofisario in particolare, l’ossitocina, provoca la contrazione delle cellule epiteliali della mammella ed il conseguente allontanamento del latte verso i dotti e la cisterna. L’eiezione del latte dalla mammella può essere realizzata:

 per suzione naturale: in questo caso la fuoriuscita del latte dal capezzolo avviene per una differenza di pressione provocata dalla suzione da parte dell’agnello con movimenti innati e propri della specie;

 per mungitura manuale: in questo caso la fuoriuscita del latte è originata dal massaggio operato dal mungitore;

 per mungitura meccanica: in questo caso la fuoriuscita del latte rispecchia più fedelmente le caratteristiche della suzione naturale (Succi Hoffmann, 1993; Sciancalepore, 1998).

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3. LATTE DI PECORA MASSESE

3.1 L’ALLEVAMENTO DI RAZZA OVINA MASSESE IN TOSCANA

La razza Massese, originaria della Valle del Forno in provincia di Massa Carrara, oggi è largamente diffusa in altre province della Toscana (Lucca, Pisa, Livorno, Firenze, Pistoia e Grosseto) ed anche in altre regioni (Emilia Romagna, Liguria, Umbria, Veneto, Lazio, Lombardia, e in misura minore in Marche, Molise ed Abruzzo).

I primi dati storici relativi alla sua consistenza risalgono alla statistica generale degli Stati Estensi (1847) effettuata nella stessa provincia di Massa Carrara, dalla quale risultavano 59.435 capi. Ad oggi la consistenza risulta circa di 180.000 capi, di cui 13.500 iscritti al Libro Genealogico (fonte ASSO.NA.PA, 2000).

Figura 1: Allevamento di pecore di razza Massese

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Gli allevamenti di pecora Massese appaiono legati ad un’ovicoltura di tipo tradizionale, con utilizzazione del pascolo nelle sue diverse forme e con presenza limitata (anche se in aumento) di innovazioni tecnologiche quali la mungitura meccanica o l’abbeveraggio automatico; tutto ciò limita lo sviluppo del settore, chiaramente relegato ad uno stato di attrezzatura che riduce le possibilità di un miglioramento delle condizioni di lavoro e della produttività anche se le consistenze medie delle greggi potrebbero giustificare investimenti aziendali volti ad un miglioramento delle strutture.

Gli studi effettuati sulle caratteristiche delle aziende che allevano ovini di razza Massese sono stati finora limitati (Acciaioli A. et al., 1990; Martini M. et al., 1995b) e da questi emergono notevoli differenze tra le diverse province.

3.2 CARATTERISTICHE DELLA RAZZA OVINA MASSESE

La razza ovina Massese, allevata prevalentemente in Toscana, ma con tendenza ad espandersi in altre aree, malgrado le ottime capacità riproduttive non è stata finora oggetto di una razionale selezione genetica e ciò ha contribuito al mantenimento di una forte variabilità delle sue caratteristiche morfologiche (Todaro M. et al., 1998). Oltre agli indirizzi selettivi non omogenei la variabilità morfologica, che riguarda sia i rilievi zoometrici che la conformazione della mammella, sembra legata anche alla diversità degli ambienti e alle tecniche di conduzione adottate dalle aziende, tant’è vero che sono state riscontrate differenze significative sia tra le province di appartenenza che tra i diversi livelli altimetrici (Martini M. et al., 1993a;

Martini M. et al., 1993b; Martini M. et al., 1993c; Martini M. et al., 1994; Martini M. et al., 1997; Martini M. et al., 1998;)

3.2.1 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE

Lo standard di razza, approvato nel 1987 dal Ministero dell’Agricoltura e Foreste, prevede:

a)Caratteri esteriori

Taglia: media, con un'altezza al garrese di 85 cm nel maschio e 77 cm nella femmina;

Vello: semiaperto, o raramente aperto, con bioccoli conici e lana piuttosto liscia, che copre tutto il corpo ad eccezione della testa, del ventre e degli arti; il colore della lana varia dal grigio piombo al nero o marrone, di solito in relazione all'età dell'animale e al sesso; in genere è più scuro nel maschio;

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Pelle: fine, con pigmentazione nera o grigio-ardesia anche a livello delle aperture naturali e dello scroto;

Testa: leggera, proporzionata, vigorosa, distinta, con profilo superiore quasi rettilineo nelle femmine e leggermente montonino nel maschio, occhi vivaci piuttosto sporgenti, orecchie mobili e non troppo lunghe e sottili; le mascelle ed il musello sono larghi, le narici ampie.

Ambedue i sessi sono dotati di corna seghettate e saldamente impiantate con andamento a spirale nel maschio e più leggere ed esili nella femmina. L'attacco delle corna deve essere preferibilmente ravvicinato e la testa non deve presentare lana;

Collo: deve essere piuttosto allungato e sottile, leggero con vello ridotto; le scapole devono aderire perfettamente alle vertebre dorsali;

Tronco: le spalle devono essere ben fuse con il collo; il petto deve essere ampio e potente poiché contribuisce ad aumentare la capacità toracica; la linea dorso-lombare deve essere lunga, ben rilevata, rettilinea, il garrese poco pronunciato Non devono esistere vuoti retroscapolari o cinghiature, tanto meno depressione della linea dorsale ai lombi. La groppa deve essere bene attaccata ai lombi, molto lunga e sufficientemente larga, leggermente inclinata posteriormente; il sacro leggermente rilevato non costituisce difetto;

Mammella: deve presentarsi ben attaccata sotto il ventre anteriormente e deve avere un attacco molto largo e molto alto posteriormente, con profilo posteriore visto di lato rettilineo in linea con le natiche o leggermente sporgente; il piano inferiore deve essere leggermente arrotondato ai lati, mai superare in profondità i garretti. Vista posteriormente la mammella deve presentare un giusto solco mediano provocato dal legamento sospensorio robusto che sopporta tutto il peso della mammella, onde assicurarne la durata. Deve inoltre presentare la rete venosa abbastanza evidente ed essere povera di tessuto connettivo e adiposo. Deve presentare pelle molto fine ed elastica ed essere priva di peli; dopo la mungitura si deve ridurre notevolmente di volume. I capezzoli devono essere di giuste dimensioni, inseriti bassi. Non devono esserci capezzoli soprannumerari troppo accentuati;

Arti: devono presentare gli appiombi corretti evidenziando le caratteristiche di una buona pascolatrice di razza; il garretto deve essere forte e asciutto, con zoccolo di media grossezza e pastoia corta;

b)Caratteri biometrici:

Altezza al garrese: 85 ± 7,8 cm nei maschi e 77 ± 4,3 cm nelle femmine;

Altezza toracica: 36 ± 7,4 cm nei maschi e 33 ± 6,1 cm nelle femmine;

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Larghezza media groppa: 24 ± 8,3 cm nei maschi e 22 ± 9,1 cm nelle femmine;

Lunghezza tronco: 89 ± 6,7 cm nei maschi e 82 ± 6,5 cm nelle femmine;

Circonferenza toracica: 98 ± 4,8 cm nei maschi e 94 ± 4,2 cm nelle femmine;

Peso: 90 ± 11,1 kg nei maschi e 65 ± 15,4 kg nelle femmine;

Figura 2: Ariete di razza Massese

3.2.2 CARATTERISTICHE RIPRODUTTIVE

La Massese è una razza caratterizzata da cicli estrali che si manifestano ad intervalli regolari per tutto l’anno; lo standard di razza riporta i seguenti caratteri riproduttivi (valori riferiti alle pecore adulte):

Fertilità annua ( intesa come rapporto percentuale tra il numero delle pecore che hanno partorito ed il numero delle pecore matricine) = 95%;

Prolificità ( intesa come rapporto percentuale tra gli agnelli nati ed il numero delle pecore che hanno partorito) = 135%;

Fecondità annua (intesa come rapporto percentuale tra gli agnelli nati ed il numero delle pecore matricine):

 per le pecore che partoriscono una volta l’anno = 128%;

 per le pecore che partoriscono 3 volte ogni 2 anni = 180%;

Età media al primo parto: 16 mesi

Il calendario dell'attività riproduttiva della Massese differisce notevolmente da quello delle altre razze ovine, per due motivi principali:

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1.Frequenza dei calori; questa razza, soprattutto se ben alimentata, manifesta estri durante tutto l'anno, pur conservando una maggior frequenza dei parti nelle stagioni primaverile ed autunnale; la stagione degli accoppiamenti si può quindi definire "continua" e l'allevatore in genere incrementa la frequenza dei parti nel gregge lasciando gli arieti tra le pecore entrate in lattazione; la lattazione inizia in tarda estate o autunno e dura fino a maggio-giugno, ma spesso viene interrotta prima da un'altra gravidanza e questo porta al raggiungimento di 3 parti in 2 anni, alternati da due brevi lattazioni durante il primo anno e una lunga lattazione l'anno successivo (Pugliese C. et al., 1999); questo permette di distinguere 3 tipi di lattazione: il tipo 1 è una breve lattazione che inizia in autunno, il tipo 2 è una breve lattazione che inizia in primavera e il tipo 3 è una lunga lattazione che inizia nell’autunno successivo (Franci O. et al., 1998; Pugliese C. et al., 1999);

2. la curva di lattazione, caratterizzata dal fatto di essere corta ma intensa, poichè dopo il picco successivo al parto, che peraltro non persiste a lungo, si flette rapidamente e la produzione di latte diventa trascurabile (Grafico 1). La lattazione breve e la buona fertilità, unite al fatto che l'agnello di Massese è molto ricercato sul mercato, sono elementi che spingono gli allevatori a non prolungare troppo le lattazioni ed ad aumentare il ritmo dei parti.

Grafico 1: Andamento della produzione di latte nel corso della lattazione di pecore di razza Massese espressi in grammi al giorno (g/d) (Franci O. et al., 1996)

Nelle province di GR, FI e PT, sia le primipare che le pluripare presentano parti durante tutto l’anno, anche se maggiormente concentrati nelle stagioni intermedie; in particolare per le pluripare prevalgono i parti primaverili e per le primipare quelli autunnali (Acciaioli A. et al.,

0 500 1000 1500 2000

0 50 100 150 200 250 300

giorni di lattazione

g/d

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1990). Nelle province tirreniche, invece, i parti avvengono soprattutto nei mesi di gennaio e febbraio, sia per le primipare che per le pluripare; solo nel 25% delle aziende i parti sono concentrati nel mese di marzo (Martini M. et al., 1995b)

La durata effettiva della prima lattazione risulta mediamente piuttosto lunga, arrivando a 180,4 giorni (Martini M. et al., 1989b); da questi dati appare evidente che la sua durata convenzionale stabilita in 100 giorni risulta penalizzante per questa razza. Analoga osservazione può essere fatta per le lattazioni successive alla prima, le quali, superando i 190 giorni, risultano notevolmente superiori al valore convenzionale di 120 giorni fissato con il D.M. 22/04/1987; le durate maggiori si hanno nella 2a e 3a lattazione (caratterizzate anche da una maggiore produzione), mentre dalla 4a lattazione in poi è evidente l’inizio della fase decrescente (Martini M. et al., 1989b)

3.2.3 CARATTERISTICHE PRODUTTIVE

La razza Massese è dotata del Libro Genealogico dove viene classificata come razza tipicamente da latte, anche se l'orientamento riproduttivo si presenta in realtà più eterogeneo: si ha infatti una buona produzione di carne basata soprattutto sull'agnello da latte, che costituisce la produzione tipica della Massese.

Lo standard di razza (1987) riporta le seguenti caratteristiche produttive:

Latte: le produzioni medie di razza al netto del latte poppato dall'agnello nei primi 30 giorni si differenziano in base al tipo di allevamento; nel caso di allevamento estensivo abbiamo produzioni di 70 lt in 100 giorni per le primipare, 85 lt in 120 giorni per le secondipare e 90 lt in 120 giorni per le pluripare; in caso di allevamento intensivo le produzioni diventano di 120 lt in 100 giorni per le primipare, 140 lt in 120 giorni per le secondipare e 150 lt in 120 giorni per le pluripare.

La percentuale media di grasso nella lattazione è di 6,2%.

La percentuale media di proteine nella lattazione è di 5,3%.

Carne:il peso medio dei soggetti alla nascita è di 4,5 kg per i maschi e 4,0 kg e femmine, se nati da parto singolo, e 3,5 kg per i maschi e 3,0 kg per le femmine, se nati da parto gemellare;

a 30 giorni il peso dei maschi è 13,5 kg se nati da parto gemellare) e delle femmine 12,5 kg (11,0 kg se nate da parto gemellare); a 1 anno di età i maschi raggiungono il peso di 65 kg (55,0 kg se nati da parto gemellare) e le femmine quello di 45,0kg (40,0 kg se nate da parto gemellare)

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Lana:la produzione media per gli arieti è 2,2 kg e per le pecore1,5 kg. La qualità della lana è mediamente ordinaria, adatta per materassi, tappeti e filati.

Per quanto riguarda la produzione di latte si ha una certa variabilità nella produzione quantitativa, la quale conferma la variabilità genotipica riscontrata anche a livello morfologico.

Studi effettuati su primipare allevate in aziende localizzate nelle province di Lucca, Massa Carrara, Pisa e Pistoia indicano una produzione media reale di 179 ± 49 lt in 100 giorni di lattazione convenzionale; (Cecchi F. et al, 1995).

La produzione delle pluripare si attesta invece intorno ai 205 ± 56 lt in una lattazione di 120 giorni (Bottoni L. et al., 1996).

Per quanto riguarda le province di GR, FI e PT, il 73% del latte prodotto viene venduto e il 27

% viene trasformato in azienda per produrre formaggio e ricotta (Acciaioli A. et al., 1990);

diversa è la situazione per le province tirreniche dove invece tutto il latte prodotto viene trasformato in azienda, ad eccezione di un unico allevamento di Livorno nel quale il 60% viene venduto (Martini M. et al., 1995b).

Il formaggio maggiormente richiesto è il pecorino fresco, ma si producono anche caciotte a media stagionatura e raveggiolo.

Sulla PLV (produzione lorda vendibile) aziendale proveniente dai soli prodotti dell’allevamento incide per il 66% la produzione di latte (di cui il 21% viene trasformato in formaggio o ricotta), per il 30% la produzione di carne e per il 4% gli animali venduti come riproduttori (Acciaioli A. et al., 1990).

3.2.4 VARIABILITA’ DELLA PRODUZIONE DI LATTE

Di seguito saranno analizzati i principali fattori che influenzano la produzione quantitativa sia nelle primipare che nelle pecore dei parti successivi.

Morfologia: Alcuni studi (Martini M. et al., 1995a) hanno messo in evidenza che esistono correlazioni ed associazioni significative anche tra produzione lattea e parametri biometrici, soprattutto per quanto riguarda le pecore secondipare. Gli animali più produttivi sono quelli che presentano i parametri biometrici maggiori.

Ordine di lattazione: Le produzioni medie più elevate si riscontrano nella 2a e 3a lattazione, forse anche in conseguenza del fatto che queste due lattazioni hanno una durata superiore (Martini M. et al, 1989b).

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Età al parto e precocità: L’età del primo parto sembra avere una certa influenza sulla produzione, in quanto le primipare di età inferiore ai 16 mesi e quelle di età superiore ai 21 mesi si presentano con maggior frequenza nella classe di produzione di 61-120 kg, mentre i migliori risultati sono forniti dalle pecore che hanno un primo parto tra i 16 e i 21 mesi, le quali realizzano per oltre il 50% produzioni comprese tra 121 e 180 kg (Martini M. et al., 1989a).

Quindi con il crescere dell’età al primo parto si ha anche un aumento della produzione media, con una classe di maggiore frequenza compresa tra i 16 e i 18 mesi (Cecchi F. et al, 1995).

Al contrario di quanto rilevato per le primipare, l’età del parto non sembra influenzare la produzione nelle lattazioni successive; ad eccezione dei soggetti che hanno avuto un secondo parto prima dei 17 mesi, la cui produzione risulta inferiore alla media della produzione delle altre secondipare, probabilmente come conseguenza di un’età troppo precoce al primo parto (Bottoni L. et al., 1996).

Periodo di interparto: Anche la durata dell’interparto influenza la produzione quantitativa;

emergono profonde differenze nei risultati produttivi a seconda che le aziende seguano una tecnica riproduttiva improntata al ciclo breve (interparto inferiore a 10 mesi), medio (tra 10 e 12 mesi) o annuale (interparto superiore a 12 mesi). Il gruppo caratterizzato dal ciclo rapido ottiene risultati più bassi sia per la lattazione convenzionale che per quella effettiva; il gruppo intermedio riporta lattazioni effettive in media superiori ai 200 kg e produzioni convenzionali oscillanti tra i 147 e i 171 kg; il gruppo a ciclo lungo realizza produzioni sia convenzionali che effettive medie, indice questo di condizioni o di tecniche di allevamento non ottimali (Martini M. et al, 1989a).

Mese di parto:Circa il mese di parto, nell’ambito delle primipare i migliori risultati produttivi si realizzano con le lattazioni iniziate in febbraio, maggio, giugno e novembre, le quali condizionano la presenza di un maggior numero di soggetti nella classe di produzione di 121- 180 kg. Al contrario non risultano particolarmente idonei a determinare risultati produttivi soddisfacenti i parti di gennaio, marzo, aprile e settembre, ai quali, oltre a lattazioni di 121-180 kg, fanno spesso seguito anche produzioni inferiori ai 120 kg. Infine risultano del tutto sfavorevoli i parti di luglio, agosto, ottobre e dicembre, che portano sempre più frequentemente a produzioni inferiori a 120 kg. Le pluripare fanno riscontrare un comportamento lievemente diverso, sono infatti più frequentemente favorite dai parti iniziati in febbraio e maggio (classe 181-240 kg), ma ottengono buoni risultati anche con i parti di gennaio ed aprile (Martini M. et al, 1989a).

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Alimentazione: Anche nella Massese, così come nelle altre razze ovine, l’alimentazione gioca un ruolo fondamentale nella produzione del latte; se all’animale viene fornita una quantità di alimenti superiore a quella richiesta per la massima produzione, non si provocano significativi cambiamenti nella composizione del latte ma si ha come principale effetto l’accumulo di grasso nell’animale stesso. Al contrario un regime di sottoalimentazione riduce la produzione di latte e di riserve di grasso, specialmente quando i soggetti vengono alimentati esclusivamente con il pascolo e quindi risentono del cambiamento delle stagioni che influenza notevolmente il valore nutritivo della dieta. L’aggiunta di concentrati alla dieta base è quasi d’obbligo se si vuole ottenere una buona produzione lattifera, infatti l’incremento del contenuto energetico della razione è importante per scongiurare possibili squilibri tra entrate ed uscite che inciderebbero negativamente sulle “performances” degli animali. (Berti E. e Lupi P., 1991). E’ importante che la pecora Massese, nota per essere una buona produttrice di latte, arrivi al parto aiutata da un’adeguata alimentazione e con abbondanti riserve corporee da utilizzare durante le prime fasi della lattazione, momento in cui è indispensabile somministrargli alimenti di maggior appetibilità e con un elevato valore nutritivo (Berti E. e Lupi P., 1991).

Anche la composizione del latte è significativamente influenzata dalla dieta, per cui è importante fornire agli animali alimenti che contengono i principi nutritivi precursori delle componenti del latte (Berti E. e Lupi P.,1991). È stato visto che nei bovini un corretto rapporto energia/proteine mantenuto nella dieta può favorire la sintesi di amminoacidi e proteine, mentre utilizzando opportuni rapporti tra le quantità di foraggio e concentrati somministrati si può favorire la produzione di lipidi (Corradini, 1995).

Possiamo dire infine che i migliori risultati per ciò che riguarda la quantità e la qualità del latte nella razza ovina Massese, si ottengono con una dieta equilibrata nei vari componenti, stando attenti a non forzare la produttività degli animali al di là delle loro potenzialità, e a non usare troppi concentrati per non alterare la loro funzione digestiva e per non rischiare di comprometterne la salute (Berti E. e Lupi P., 1991).

Ambiente: Studi effettuati al fine di verificare in che misura la produzione del latte delle pecore Massesi possa essere influenzata dalle azioni apportate dall’ambiente tipico delle pecore di altre razze ( De Maria Ghionna C. et al., 1984), hanno dimostrato che le Massesi sono capaci di estrinsecare favorevolmente le proprie prestazioni produttive anche in una zona di allevamento non propria. Nonostante questo, altri studi (Cecchi F. et al, 1995) hanno rivelato differenze significative di produzione in animali allevati in diverse province della Toscana.

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Andando a considerare la relazione tra misure somatiche e produzioni i risultati mettono in evidenza che i soggetti di mole maggiore sono presenti in provincia di Lucca e appartengono per il 62% alla classe produttiva più elevata, mentre i soggetti di Massa Carrara si trovano ad un livello intermedio e la maggior parte di quelli allevati a Pisa e Livorno appartengono alla classe produttiva minore (Martini M. et al., 1995a).

Stato sanitario della mammella e cellule somatiche: Le forme morbose acute e croniche incidono negativamente sulla produzione quanti-qualitativa del latte. Infatti la comparsa di una qualsiasi forma patologica si ripercuote subito negativamente sulla quantità e sulla qualità della produzione lattea, sia per un eventuale azione diretta sulla mammella (mastite), sia per un’azione indiretta dovuta allo stato di debilitazione dell’animale (Ubertalle et al., 1980).

La mastite è una reazione infiammatoria del tessuto mammario, causata da un’infezione. Essa rappresenta un problema frequente nelle lattifere e può essere legata a vari fattori come scorretti sistemi di mungitura, traumi, ferite, stress, scarsa igiene ambientale o anche da errori alimentari. Il latte mastitico, inoltre influenza anche i parametri tecnologici, infatti si ha innanzitutto un calo dei principali componenti sintetizzati a livello mammario (lattosio, grasso, caseina, sali di calcio e fosforo), un aumento dei componenti filtrati dal sangue (alcune sieroproteine, azoto non proteico, cloruri e sodio) e un aumento del pH; tutto ciò comporta un peggioramento delle caratteristiche lattodinamografiche (Ubertalle e Errante, 1991).

Inoltre la mastite può portare alla liberazione nel latte di germi patogeni per l’uomo come Staphylococcus aureus che può causare gravi problemi sanitari. A questo proposito per monitorare lo stato di salute della mammella, si analizza il contenuto di cellule somatiche (SCC) presenti nel latte, che rappresentano la risposta immunitaria degli elementi della serie bianca all’infezione (leucociti) e frammenti delle cellule alveolari (Harmon, 1994).

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4. STRUTTURA E COMPOSIZIONE DEL LATTE:

4.1 GLI ZUCCHERI (Lattosio)

Gli zuccheri si trovano in soluzione nel latte e tra questi il lattosio rappresenta il maggior costituente solubile. Il lattosio deriva dal glucosio ematico e, in minima parte, dagli aminoacidi glucogenetici non essenziali. È un disaccaride che idrolizzato si scinde in due esosi semplici: il glucosio ed il galattosio. Oltre ad essere importantissimo dal punto di vista nutrizionale, poiché indispensabile al neonato per la sintesi dei cerebrosidi, è molto rilevante dal punto di vista tecnologico per varie ragioni:

 determina la solubilità e la tessitura di alcuni derivati del latte;

 è uno dei responsabili delle alterazioni di colore, sapore e aroma che avvengono nel latte in seguito a riscaldamento dello stesso;

è il substrato principale delle fermentazioni microbiche del latte e casearie poiché rappresenta la sostanza del latte fermentescibile per eccellenza.

Il lattosio, zucchero raro che si trova quasi esclusivamente nel latte dei mammiferi, conferisce il sapore dolce al latte, pur avendo un potere dolcificante inferiore di circa 5 volte a quello del saccarosio (Salvadori del Prato, 2001).

4.2 LE PROTEINE

Le proteine del latte, costituiscono circa il 97% delle sostanze azotate totali e possono essere suddivise fondamentalmente in due gruppi: le caseine, che rappresentano circa l’80% delle SAT (Sostanze Azotate Totali) e vengono elaborate esclusivamente dalla ghiandola mammaria, e le sieroproteine, che costituiscono il 17% delle SAT e comprendono lattoalbumine e lattoglobuline, anch’esse elaborate nella mammella, e sieroalbumine e immunoglobuline di derivazione ematica (Martini M. et al., 1999a).

Si conoscono quattro tipi tipi di caseine: alfa (30%), beta (47%), kappa (7,4%) e gamma (15,6%), caratterizzate da varianti legate al genotipo e che per il loro meccanismo ereditario vengono chiamate “varianti genetiche” (Martini M. et al., 1999a); l’analisi elettroforetica indica anche la presenza di forme a diverso grado di fosforilazione (αs1-Cn, αs2-Cn e β-Cn) e

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di glicosilazione (k-Cn) che derivano generalmente dalla sostituzione di 1 o 2 aminoacidi e in qualche caso anche da una delezione (Addeo F., 1997; Amigo L. et al., 1997; Di Stasio L., 1993).

Le αs-Cn rappresentano il 30% delle caseine totali e si suddividono in due frazioni: αs1-Cn, costituita da 191 aminoacidi e presente in 5 varianti denominate A, B, C, D (chiamata anche

"Welsh") ed E (Chianese L. et al., 1996) e αs2-Cn, costituita da 208 aminoacidi e presente in 3 varianti (Chianese L. et al., 1993). L'esigua presenza di αs-Cn nel latte comporta la diminuzione della comparsa di sapori amari e una scarsa stabilità del latte al calore (Cecchi, 1996).

Le β-Cn costituiscono circa il 50% delle caseine totali e sono presenti in diversi gradi di fosforilazione (Chianese L. et al., 1995); la maggior parte delle razze presenta 2 varianti di β- Cn.

La k-Cn presenta due varianti, A e B, (Alais C.H. e Jollès, 1967) mentre la γ-Cn deriva dall'azione proteolitica della plasmina presente soprattutto nei latti rnastitici, su β-Cn e αs-Cn (Nudda A., 1996).

Nel latte le proteine si trovano in fase di sospensione colloidale e sono presenti in forma di aggregati molecolari di caseine, chiamati "micelle caseiniche". Le micelle hanno un aspetto poroso e spugnoso dovuto alla loro precisa disposizione spaziale e al loro interno penetra il siero; in particolare derivano dall'aggregazione di monomeri caseinici, tra i quali le caseine αs e β si dispongono all'interno, poiché idrofobe, e la caseina k, più idrofila, si dispone esternamente assumendo funzione colloido-protettore; la formazione del complesso è dovuta anche all'intervento del calcio e dei fosfati che formano dei ponti di legame tra β-Cn e αs-Cn, oppure tra due αs-Cn; la variazione del pH e della temperatura può provocare la disgregazione delle micelle, cosa che avviene anche durante la caseificazione quando la coagulazione enzimatica provoca perdita dei gruppi idrofili da parte della k-Cn con conseguente destabilizzazione delle micelle stesse (Salvadori del Prato, 2001).

Per quanto riguarda le sieroproteine, le componenti più consistenti sono la β-Lattoglobulina (51% delle proteine del siero totali) e la α-Lattoalbumina (25%). Anche le sieroproteine presentano un certo polimorfismo. La β-Lattoglobulina presenta 2 varianti, A e B, nelle razze ovine italiane (Russo V. et al., 1981; Davoli R. e Russo V., 1984; Chiofalo L. et al., 1986;

Verità P. et al., 1991; Rampilli M. et al., 1992) ed una terza variante (C) nelle razze ovine straniere (Russo V. e Davoli R., 1983), mentre la α-Lattoalbumina, importante per la sintesi del lattosio in quanto entra a far parte dell'enzima lattosio-sintetasi, è caratterizzata da 2 varianti

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(Davoli R. et al., 1988).

Le proteine del latte (caseine, α-Lattoalbumina, β-Lattoglobulina, sieroalbumine, immunoglobuline, peptoni, aminoacidi ed altri composti azotati non proteici, fra i quali l'urea) vengono per la maggior parte sintetizzate nel reticolo endoplasmatico delle cellule della mammella a partire dagli aminoacidi derivanti dal sangue; a livello dei ribosomi avviene la sintesi delle catene polipeptidiche che poi entrano nell'apparato del Golgi dove si arricchiscono di gruppi prostetici e vengono avvolte in vescicole secretorie; le vescicole secretorie si muovono verso la parte apicale della cellula e, mentre il loro contenuto entra nel lume dell'alveolo mammario, la loro membrana si fonde con quella apicale delle stesse cellule secretorie.

Le componenti proteiche del latte hanno una notevole importanza nel processo di caseificazione; in modo particolare la caseina è quella che, sotto l'azione degli enzimi contenuti nel caglio, si addensa costituendo la "cagliata" e imbrigliando in questa rete anche i globuli di grasso. La sua importanza è quindi fondamentale nel processo di caseificazione e la velocità di formazione del coagulo della cagliata e la sua consistenza sono determinanti per la resa e la qualità del formaggio.

Le altre proteine (proteine del siero) non riescono a cagliare e rimangono in soluzione nel siero che residua dalla cagliata; per addensarle occorrono temperature elevate poiché riscaldando il siero si separano sotto forma di flocculi che affiorando costituiscono la ricotta.

4.3 I LIPIDI

Nel latte i lipidi si trovano dispersi sotto forma di globuli di piccole dimensioni e, poiché la loro densità è inferiore a quella del liquido in cui sono dispersi, tendono ad affiorare ed a stratificarsi in superficie sotto forma di crema; questo processo è detto scrematura spontanea.

Il componente più rappresentato nei lipidi dei vari tipi di latte è la frazione trigliceridica, che rappresenta il 98%-99% del totale; la frazione gliceridica, con il 1%-2% e la frazione monogliceridica, con lo 0,1% rappresentano una parte esigua.

I trigliceridi, costituiti da acidi grassi e glicerolo, derivano in parte dal circolo sanguigno ed in parte sono sintetizzati nella mammella a partire da piccole molecole. Gli acidi grassi dei trigliceridi più rappresentati nel latte ovino sono quelli saturi in quanto quelli insaturi, presenti nelle diete per ruminanti, tendono a subire un processo di idrolisi da parte della microflora ruminale per cui la maggior parte non arrivano indenni alla mammella (Nudda, 1996;

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Thivierge et al., 1998; Dhiman et al., 1999). Anche se in minor quantità rispetto ai saturi, nel latte ovino sono presenti acidi grassi polinsaturi con un numero di doppi legami che vanno da 1 a 6; i monoinsaturi (da Cl0 a C24) sono i più rappresentativi, in modo particolare l'acido oleico che da solo costituisce i ¾ degli insaturi (Polidori et al., 1995; Nudda, 1996). Gli acidi grassi a catena corta (C4 a Cl0) rappresentano circa il 15% del peso (Rossi e Pulina, 1991; Martini et al., 1999) e sono sintetizzati a livello mammario da precursori derivati dai processi fermentativi ruminali: l'acido idrossibutirrico e l'acido acetico.

Quelli a catena media (C12 a C16) rappresentano circa il 35% e vengono, sia sintetizzati dalla mammella, sia prelevati direttamente dal sangue ed immessi nel latte; gli acidi grassi a catena lunga (quelli maggiori di C18) costituiscono il restante 45%, sono prelevati direttamente dal sangue e possono provenire sia dagli alimenti sia dalla lipomobilizzazione delle riserve organiche nel caso di bilancio energetico negativo (Rossi e Pulina, 1991; Muscio e Cianci, 1992). Nella tabella è riportata la composizione acidica del grasso del latte delle quattro specie ruminanti di principale interesse zootecnico.

Tabella 3: Composizione acidica del grasso (Duranti e Casoli, 1988; Naitana et al., 1992;

Palmquist et al, 1993; Zoppi et al., 1993, citati da Nudda, 1996).

Acidi grassi Ovini Bovini Caprini Bufalini SCFA

C 4:0 – butirrico C 6:0 – capronico C 8:0 – caprilico C 10:0 - caprinico

3,63 2,36 2,95 6,66

3,32 2,34 1,19 2,81

3,00 2,00 3,00 9,00

3,6 1,6 1,1 1,9 MCFA

C 12:0 - laurico C 14:0 - miristico C 16:0 - palmitico C 16:1 - palmitoleico

3,74 9,78 22,49 2,61

3,39 11,41 29,53 3,38

5,00 11,00 26,00 -

2,0 8,7 30,4 3,4 LCFA

C 18:0 - stearico C 18:1 - oleico C 18:2 - linoleico C18:3 - linolenico

10,83 25,19 4,17 2,62

9,84 27,39 2,00 1,10

6,00 20,00 3,10 1,00

10,1 28,7 2,5 2,5

Insaturi / saturi 0,47 0,55 0,45 0,54

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4.3.1 VARIABILITÀ DEL CONTENUTO LIPIDICO

Il grasso è la componente del latte più variabile; nel corso della lattazione si osserva infatti una diminuzione della percentuale di grasso nella fase in cui la produzione di latte è elevata (primo periodo dopo il parto) e un suo aumento percentuale progressivo verso la fase finale della lattazione, quando la produzione quantitativa diminuisce. Si osservano differenze anche tra il latte della mungitura mattutina e quello della mungitura serale (quest'ultimo è più ricco di grasso in percentuale) e nel corso della stessa mungitura (il primo latte è più magro mentre il grasso si concentra negli ultimi getti).

I fattori che maggiormente influenzano la variabilità della componente lipidica sono:

Razza; è un fattore molto difficile da valutare poiché necessita il mantenimento di influenze ambientali costanti in modo da considerare esclusivamente le reali potenzialità genetiche (Martini M. et al., 1999a). Da alcuni studi effettuati risulta che la razza Massese ha un contenuto lipidico talvolta superiore (Duranti E. e Casoli C., 1988) e talvolta inferiore (Olivetti A. et al., 1989; De Maria Ghionna C. et al., 1984) alle altre razze; la razza ha inoltre effetto sulla composizione acidica dei lipidi, infatti studi effettuati su pecore di razza Sarda, Comisana e Massese hanno rilevato un maggior contenuto di acidi grassi saturi nel latte di quest'ultima (Duranti E. e Casoli C., 1990)

Ordine di parto; all'aumentare dell'età dell'animale alcuni ricercatori hanno osservato un incremento di lipidi (Olivetti A. et al., 1988; Casoli C. et al., 1989; Maria-Levrino G. e Gabina D., 1990; Pulina G., 1990; Maria G. et al., 1991; Pilla M.A. et al., 1991; Pulina G. et al., 1992;

Giaccone P. et al., 1993; Orsillo N., 1995-1996; Pellegrini O. et al., 1997; Zullo A. et al., 1997), al contrario di altri che hanno osservato un contenuto costante fino alla sesta lattazione (Pugliese C. et al., 1999); sembra comunque non esserci un'influenza rilevante sulla composizione in acidi grassi (Casoli C. et al., 1989; Rossi G. e Pulina G., 1991);

Stadio di lattazione; il contenuto lipidico è legato allo stadio di lattazione Soprattutto in relazione all'effetto della variazione quantitativa (Pulina G. et al., 1992); in particolare i lipidi, come le proteine, hanno un andamento inverso rispetto alla produzione quantitativa, ovvero diminuiscono all'aumento della quantità e viceversa (Cavani C. et al., 1988; Hassan S.H., 1995; Pugliese C. 1997); anche la composizione in acidi grassi può andare incontro a modificazioni: Martini M. e coll. (1988) hanno riscontrato un'evoluzione statisticamente positiva degli acidi grassi insaturi e del loro rapporto con i saturi nel corso della lattazione;

Allattamento; nel latte di pecore che allattano direttamente l’agnello è stata riscontrata una

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notevole variazione del tenore di acidi grassi a catena corta o media, a differenza di quello delle pecore munte (Bianchi M. et al., 1983);

Stagione di parto; anche l'epoca di parto può influire significativamente sia sulla percentuale di grasso del latte (Olivetti et al., 1989; Maria-Levrino e Gabina, 1990; Maria-Levrino et al., 1991; Giaccone P. et al., 1993-1994; Zullo et al., 1997) che sul contenuto in acidi grassi: nel latte dei soggetti che hanno partorito a primavera è stato osservato un aumento degli acidi grassi a catena corta e media, nonché un aumento del rapporto saturi/insaturi, rispetto a quello dei soggetti che hanno partorito in autunno; gli acidi grassi a catena lunga ha mostrato invece un andamento opposto (Muscio A. et al., 1989; Casoli C. et al., 1995; Rossi e Pulina G., 1991);

Tipo di parto; il parto gemellare sembra favorire la produzione di un latte più povero di grassi (Niznikowski et al., 1994; Nudda A., 1996);

Clima; l'effetto del clima è dovuto sia all'azione diretta di temperatura, fotoperiodo e altitudine che all'azione indiretta di condizionamento della disponibilità dei pascoli. Riguardo alla temperatura, mentre un innalzamento non determinerebbe delle conseguenze dirette sulla qualità del latte, un abbassamento sensibile provocherebbe una diminuzione delle produzioni con conseguente aumento del tasso lipidico (Thompson G.E. et al., 1982); al contrario il fotoperiodo, in coincidenza del periodo più lungo di durata del giorno, determinerebbe un aumento della produzione ed una diminuzione di lipidi (Bocquier F. et al., 1990; Pulina G. et al., 1994); infine l'altitudine influisce sulla qualità poiché gli animali che vivono in montagna, acquistando un maggior stato di benessere, producono un latte più ricco di grassi (Bianchi M.

et al., 1991);

Tecnica di allevamento; secondo alcuni studi la tecnica di allevamento può influenzare la qualità del latte soprattutto in virtù del fatto che mentre la transumanza prevede l'utilizzo di risorse pabulari non omogenee, l'allevamento stanziale agevola l'utilizzo di tecniche più avanzate e consente di razionalizzare l'alimentazione in base alle disponibilità del foraggio e alle esigenze del gregge, con conseguenti risultati più soddisfacenti (Martini M. et al., 1999);

Mungitura; la tecnica di mungitura può influenzare la qualità del latte soprattutto se non effettuata a fondo poiché, avendo il latte di "sgocciolamento" un maggior contenuto lipidico, una mungitura incompleta potrebbe provocare una riduzione della percentuale di grasso (Pulina G. et al., 1992); ricordiamo infatti che il contenuto lipidico aumenta con il progredire della mungitura in relazione alla viscosità dei globuli che ne rallenta la discesa attraverso i dotti galattofori (Martini M. et al., 1999); inoltre è stata rilevata una maggiore percentuale di grasso nel latte della mungitura serale (Zullo et al., 1997);

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Alimentazione; l'alimentazione è un fattore fondamentale nel modificare direttamente o indirettamente le caratteristiche del latte; sono stati condotti molti studi in relazione all'influenza dell'alimentazione sulla qualità del latte nei quali si evidenzia che in genere per migliorare la qualità in termini di contenuto lipidico viene privilegiato l'uso dei foraggi, che promuovono la produzione di acido acetico, precursore con l'acido butirrico della sintesi dei lipidi del latte. (Cappa, 1984; Cottier et al., 1986; Piva e Fusconi, 1989; Ubertalle A. et al., 1991; Bianchi et al., 1991; Cavallucci et al., 1994; AbdeI-Rahman e Mehaia, 1996). Oltre a questo possono avere una notevole influenza sulla composizione lipidica la qualità degli alimenti, l'utilizzo del pascolo, l'uso di mangimi, insilati e integratori, nonché la somministrazione degli alimenti con la tecnica dell'unifeed, talvolta utilizzata (Molti G., 1994);

l'alimentazione rappresenta il maggior fattore di variabilità anche della composizione acidica dei lipidi in quanto influenza notevolmente il tipo e la quantità di precursori disponibili a livello mammario per la sintesi; la somministrazione di quantità insufficienti di energia provoca ad esempio una mobilizzazione dei grassi di riserva sotto forma di acidi grassi liberi (FFA) i quali sono captati dalla mammella ed incorporati nel grasso del latte con conseguente incremento dei grassi ad elevato peso molecolare, e in particolare di acido oleico (Rossi G. e Pulina G., 1991);

Zona di allevamento; la razza Massese non sembra mostrare variazioni nella composizione qualitativa del latte se spostata dal suo luogo di origine (De Maria Ghionna et al., 1984), mentre per altre razze (Valle del Belice) alcuni studi hanno rilevato una maggior quantità di lipidi nel latte delle pecore allevate nella loro zona d'origine rispetto a quelle allevate nelle zone d'espansione (Todaro M. et al., 2002).

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5. I GLOBULI DI GRASSO NEL LATTE DEI RUMINANTI

Nel diciassettesimo secolo le osservazioni di Van Leeuwenhoek portarono alla scoperta di piccoli globuli di grasso, misurabili nell'ordine dei micron, nel latte. Durante il diciannovesimo secolo altri scienziati si interessarono ai globuli di grasso e scoprirono che questi ultimi erano secreti a partire dalle cellule del tessuto mammario, dopo essere stati ricoperti da una membrana detta "milk fat globule membrane" (MFGM) (Keenan, 2001).

Nel 1924 Palmer e Samuelsson (citati da Keenan, 2001) individuarono un'alta concentrazione di fosfolipidi nella membrana dei globuli di grasso nel latte. Jeffers nel 1935 poté iniziare a descrivere il processo di secrezione del grasso nel latte, ma solo alla fine del 1950 gli studi furono approfonditi da Bargmann et al. grazie all'utilizzo del microscopio elettronico (Bargmann and Koop, 1959).

Studi recenti dimostrano che il globulo di grasso è costituito da due parti distinte: il core e la membrana. Il core è composto da gliceridi che sono rivestiti dalla membrana MFGM, a sua volta formata da fosfolipidi, glicoproteine, lipidi neutri, enzimi ed altri composti minori. L'MFGM agisce da emulsionante naturale permettendo alla materia grassa, idrofoba, di rimanere dispersa nel plasma del latte, idrofilo (Mather e Keenan, 1998);

inoltre essa agisce come una barriera fisica naturale, riducendo l'ingresso delle lipasi dentro il cuore di trigliceridi del globulo di grasso, prevenendo così la lipolisi (Sundheim et al., 1987).

5.1 LE GOCCE LIPIDICHE

Gli studi effettuati sul bovino hanno evidenziato la presenza, oltre alle gocce lipidiche citoplasmatiche (CLD), nel tessuto mammario omogeneizzato, anche di strutture vescicole- simili e gocce simili. Queste strutture hanno un diametro variabile dai 0,05 ai 0,25 µm (Dylewsky et al., 1984; Deeney et al., 1985), inoltre sembrano molto simili alle CLD e questo fece dedurre che la matrice di queste strutture fosse probabilmente composta da trigliceridi. Si possono evidenziare, oltre alle CLD, anche le H-LD (gocce microlipidiche pesanti) e le L-LD (gocce microlipidiche leggere). Le µLD sono state osservate lungo tutta

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la cellula, più spesso in prossimità delle CLD e a volte in contatto con la superficie di queste, o addirittura si constatò che le loro matrici si univano ed il materiale di rivestimento delle µLD si integrava sulla superficie delle CLD (Dylewsky et al., 1984).

Le µLD possono unirsi alle CLD, quando hanno un diametro superiore ad 1 µm (Keenan e Patton, 1995), fornendo trigliceridi per un continuo accrescimento in volume (Dylewsky et al., 1984; Deeney et al., 1985; Stemberger e Patton, 1981; Wooding 1971).

Si suppone inoltre che ci sia un continuo accrescimento delle µLD e che queste vengano contemporaneamente rilasciate nel lume alveolare (Stemberger e Patton, 1981).

Sembra, però, che entrino in gioco ulteriori meccanismi per favorire questo accrescimento.

Un esempio può essere rappresentato dall'azione delle proteine di trasporto lipidico, che convogliano i trigliceridi dal loro sito di sintesi alle gocce in accrescimento (Patton, 1973).

I globuli di grasso più piccoli, del latte, si originerebbero probabilmente attraverso la secrezione di µLD, che hanno subito o nessuna, o poche fusioni. Le gocce più grandi invece, si originerebbero attraverso continue fusioni con µLD. Questa interpretazione però non esclude che ci possano essere altri meccanismi, oltre alla fusione, per l'accrescimento delle gocce lipidiche (Keenan e Patton, 1995).

Sembra che siano forze fisiche di vario genere, a interagire con le gocce e a spostarle nel sito di escrezione della cellula. Tuttavia, Orci et al. e Stein e Stein (1973) formularono una teoria innovativa, che supponeva che ci fosse una regolazione nei movimenti intracellulari delle gocce lipidiche, da parte dei microtubuli del citoscheletro.

Grazie all'ausilio della colchicina e della vincristina si vide che queste sostanze dissociavano i microtubuli, localizzati nel tessuto apicale delle cellule galattogene, dal loro assemblamento e interferivano nei processi secretori del fegato (Orci et al., 1973; Stein e Stein, 1973) e del pancreas (Lacy e Malaisse, 1973).

Questi due alcaloidi furono utilizzati poi anche da Patton (1974) per interrompere la lattazione della capra. Sia la componente acquosa che la secrezione del latte vennero così inibite.

Nel 1977 Patton riprese gli studi sulle pecore e dopo averle trattate con la colchicina osservò una ridotta secrezione sia della materia grassa che di quella non grassa del latte.

La ridotta secrezione della parte grassa non sembrava legata ad una diminuzione della sintesi dei lipidi nel latte; la secrezione appariva infatti rallentata ed i globuli sembravano aumentare di dimensione. Quindi si suppose che sia la parte grassa che quella non grassa del latte seguissero un meccanismo di secrezione comune.

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Ulteriori studi sull'argomento dimostrarono che il trasporto intracellulare delle proteine necessitava di un sistema di microtubuli, mentre i lipidi non sembravano avere questa necessità (Nickerson e Keenan, 1979).

Tuttavia alcune proteine, che si ritengono associate all'actina ed ai microtubuli, coinvolti nella cattura e nel trasporto delle vescicole, sono state trovate nel MFGM, isolate da gocce lipidiche mammarie (Wu et al., 2000 citato da Bosquette, 2002).

Nel citoplasma le gocce lipidiche sono associate con l'ADRP (adipocyte differentiation- related protein). Nel latte, i globuli di grasso contengono numerose proteine associate all'MFGM fra le quali anche la butirrofillina e la xantina-ossidasi (Mather and Keenan, 1983).

La butirrofillina accumulandosi, chiude la membrana apicale del MEC (cellule epiteliali del tessuto mammario) (Banghart et al., 1998), suggerendo che la xantina-ossidasi, si leghi al dominio citoplasmatico della butirrofillina associata alla membrana plasmatica e crei un'

"impalcatura" che assume una funzione di recettore nei confronti delle gocce citoplasmatiche, che si legano con l'ADRP, fino a che la goccia lipidica non è completamente avvolta dalla membrana apicale che taglia e rilascia, a questo punto, il globulo di grasso nel latte (Mather e Keenan, 1998).

Ancora comunque i meccanismi di transito delle gocce lipidiche attraverso il citoplasma verso le regioni apicali della cellula, da dove esse sono secrete, non sono conosciuti con certezza, si possono dunque solo ipotizzare teorie riferendoci solamente a ciò che è noto riguardo al trasporto delle vescicole, in altri tipi di cellule (Keenan, 2001).

5.2 COSTITUZIONE E SECREZIONE DEI GLOBULI DI GRASSO DAL TESSUTO MAMMARIO

Più del 95% dei lipidi, nel latte bovino e nelle altre specie, sono costituiti da trigliceridi.

Gli acidi grassi per la sintesi di quest'ultimi derivano dai lipidi contenuti nel sangue, in particolar modo dai trigliceridi dei chilomicroni e dalle Very Low Density Lipoproteins (VLDL) (Patton e Jensen, 1975).

Recentemente il processo attraverso il quale si ha il trasporto dei componenti del latte, tramite le cellule epiteliali del tessuto mammario (MEC), è stato rivisitato da vari autori (Shennan et al., 2000; Keenan, 2001; Boisgard et al., 2001).

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Studi recenti indicano che, le gocce di grasso del latte sono trasportate dal reticolo endoplasmatico, dove sono sintetizzate, alla regione apicale, assemblandosi in globuli di varie dimensioni: da 0,21µm a 81µm (Mather e Keenan, 1998; Ollivier-Bousquet, 2002);

quindi vanno incontro ad un processo denominato "budding" dalla membrana apicale e a livello del lume cellulare sono ricoperte da una membrana detta "MFGM" (Keenan, 2001).

Figura 3: I percorsi di secrezione nelle cellule epiteliali mammarie. A= percorso delle gocce lipidiche citoplasmatiche; B= percorso delle gocce microlipidiche C= percorso secretorio per i componenti della crema del latte. Adattato da Mather e Keenan (1998)

Anche se questa teoria è quella più avvalorata, non è possibile descrivere esattamente come il MEC coordini la sintesi dei componenti del latte. Probabilmente il "budding" è dovuto ad un accumulo dei trigliceridi sulla membrana del reticolo endoplasmico (ER), che sono rilasciati successivamente da quest'ultimo nel citoplasma, sotto forma di gocce ricoperte o dalla metà esterna o da quella citoplasmatica della membrana dell'ER (Long e Patton,

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1978; Scow et al, 1980; Mather e Keenan, 1998); tuttavia come detto, questo resta un meccanismo non ancora identificato (Keenan, 2001; Ollivier-Bousquet, 2002).

La proteina detta "adipocyte differentiation-related protein" (ADRP) è stata identificata nell'omogenato della ghiandola mammaria in lattazione, nell'ER e nelle frazioni delle gocce lipidiche, come legata al processo di differenziazione dell'adipocita e sembra che questa possa avere un ruolo nel rilascio di trigliceridi in gocce, così come avviene negli adipociti (Heid et al., 1996 citato da Bosquet, 2002).

Negli adipociti e nelle cellule steroidogeniche, oltre l'ADRP espressa prevalentemente durante la differenzazione dell'adipocita, è stata individuata un'altra proteina, la peripilina, espressa invece durante la fase di accumulo dei lipidi. Quest'ultima proteina è in grado di bloccare stericamente l'accesso della lipasi ormone-sensibile, che catalizza la fase limite nell'idrolisi dei trigliceridi alla superfice delle gocce (Brasaemble et al., 2000). Non è ancora noto se esiste un meccanismo simile nel MEC (cellule epiteliali del tessuto mammario) per regolare la crescita o la lipolisi delle gocce lipidiche, tuttavia l'ADRP è sempre presente nella MFGM dopo che i globuli di grasso sono stati secreti nel latte, suggerendo che i meccanismi di accumulo delle gocce lipidiche in questo sito non siano le medesime descritte negli adipociti (Heid et al., 1996).

Un'altra famiglia di proteine, le caveoline, di solito individuate sulla superficie della cellula e nell'apparato del Golgi e individuate anche nelle cellule dell'epitelio mammario del topo in fase di lattazione (Park et al., 2001) sono state riscontrate nell'ER, associate con le membrane che circondano le gocce lipidiche. Le caveoline contengono i gruppi NH2 e COOH terminale. E' stato dimostrato che, la caveolina -1 e la caveolina -2, accumulate nel reticolo endoplasmatico, possono trovarsi associate alla membrana che circonda la goccia lipidica (Ostermeyer et al., 2001), possono giocare un ruolo nel mantenere in equilibrio il colesterolo nel sangue e probabilmente svolgono un ruolo di controllo sul trasporto e l'accumulo delle gocce (Pol et al., 2000).

Nella MFGM e nelle gocce lipidiche sono state identificate molte altre proteine di membrana e del lume cellulare (Ghosal et al., 1994; Wu et al., 2000). Alcune proteine appartenenti al lume cellulare del reticolo endoplasmatico (calreticolina, disulfide isomerasi, immunogolulina binding-protein) sono associate con le gocce di grasso, ma non sono identificabili a livello della MFGM, facendo così supporre una loro perdita durante la secrezione. Si deduce quindi, che queste proteine dell'ER possano essere coinvolte nella formazione delle gocce lipidiche o nel loro trasporto (Ghosal et al., 1994).

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6. LA MEMBRANA DEI GLOBULI DI GRASSO DEL LATTE (MFGM)

Il globulo di grasso intracellulare è ricoperto da uno strato superficiale diffuso (MFGM), composto da fosfolipidi, glicosfingolipidi, colesterolo e proteine (Keenan et al, 1970;

Keenan et al., 1983; Kanno, 1990; Keenan e Dylewski, 1995), ma non da beta-carotene (Keenan et al., 1970).

Figura 4: Visione schematica della membrana a mosaico fluido (Singer e Nicolson, 1972)

I fosfolipidi e i glicosfingolipidi sono ritenuti lipidi polari per la loro duplice natura, sia idrofoba che idrofila; è infatti questo il motivo che conferisce un ruolo emulsificante alla MFGM. Di queste due famiglie di lipidi, le più rappresentate nella membrana sono la fosfatidilcolina (35%), la fosfatidiletanolamina (30%), la sfingomioelina (25%), il fosfatidilinositolo (5%) e la fosfatidilserina (3%) (Danthine et al., 2000).

Quando il globulo di grasso si avvicina alla membrana plasmatica della cellula, si può osservare al microscopio elettronico, un denso strato a macchia di 10-20 nm tra la membrana e il globulo (Wooding, 1971).

Questo strato è costituito principalmente da proteine, inclusa la xantina ossidasi, la butirrofillina, l'adipofillina (Keenan et al., 1982; Mather e Keenan, 1998) e da una classe di proteine a basso peso molecolare, come la GTP-binding proteins (Keenan e Dylewsky, 1995; Ollivier-Bosquet, 2002).

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La butirofillina è una glicoproteina idrofoba, trans-membrana, ed è altamente concentrata nella parte apicale delle cellule secretici del latte (Niera e Mather, 1990).

La xantina-ossidasi è distribuita attraverso il citoplasma, ma sembra essere più presente nella parte apicale della superficie della cellula (Jarasch et al., 1981).

Figura 5: Visione schematica di alcune proteine (Michalski et al., 2002).

La MFGM, dunque, si origina da diversi strati distinti e in totale questi variano da 10 a 20 nm (Walstra et al., 1999).

Dopo il core lipidico di trigliceridi, si ha un primo strato interno che circonda la goccia di grasso intracellulare, quindi uno strato denso a base di proteine situato nella faccia interna della membrana a doppio strato e in conclusione la membrana a doppio strato (Keenan e Mather, 2002).

La doppia membrana dell’MFGM è riportabile al modello del mosaico fluido (Chandan et al., 1972), inoltre è stata anche osservata una disposizione asimmetrica delle proteine (Mather e Keenan, 1975; Kanno, 1990).

È stato osservato che alcuni enzimi di membrana hanno i loro siti attivi solo ad un lato della doppia membrana, per esempio la 5’-nucleotidasi possiede siti nella faccia più esterna della membrana, a differenza della Mg2+-adenosina trifosfatasi, che vede i suoi siti collocati invece nella parte più interna della membrana (Keenan et al., 1983).

A differenza delle proteine, i carboidrati invece, sono uniformemente distribuiti superficialmente alla membrana più esterna e si possono osservare tramite il microscopio

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elettronico a trasmissione (Horisberger et al., 1977).

Il ruolo fisiologico delle proteine della MFGM non è completamente chiaro nonostante i numerosi studi. Tuttavia ci sono alcune proposte sulla funzione fisiologica nella cellula perché queste proteine sono parte integrante della membrana plasmatica delle cellule secretorie della ghiandola mammaria.

In questi anni, sono stati individuati nella MFGM del bovino diversi fattori con proprietà benefiche sulla salute.

Osservando l’effetto delle proteine delle ghiandole mammarie bovine e di alcune proteine della MFGM sullo sviluppo del cancro nelle cellule, Spitsberg e Gorewit (1997) studiarono la capacità di una particolare proteina della MFGM, la FABP (fatty acid binding protein), di inibire a basse concentrazioni la crescita di alcune linee cellulari derivanti da carcinoma della mammella nella specie umana. In base a questi risultati suggerirono di applicare la MFGM come un cibo supplementare per prevenire lo sviluppo del cancro, specialmente del cancro alla mammella, negli esseri umani. È stata dimostrata la presenza di una proteina onco-soppressore, BRCA1, nella MFGM dell’uomo e del bovino. La proteina BRCA2, così come la BRCA1, è coinvolta nei processi di riparazione del DNA, tuttavia ha una funzione aggiuntiva come uno dei diretti regolatori delle citochinesi. L’ipotesi della possibile prevenzione del cancro usando la MFGM del bovino come alimento supplementare è basata sul fatto che dopo il consumo della MFGM, un certo numero di peptidi inibitori vengono rilasciati dalla MFGM e in seguito assorbiti nel tratto digestivo. I peptidi assorbiti potrebbero entrare nel flusso sanguigno e dopo raggiungere l’organo o i tessuti, dove possono esercitare la loro azione inibitoria nelle cellule soggette a trasformazioni carcinogeniche (Spitsberg, 2005). Questa idea è stata ispirata da alcuni ricercatori i quali hanno evidenziato che un piccolo peptide di 11 aminoacidi identico alla porzione c-terminale della proteina FABP è stato visto essere un potente inibitore della crescita cellulare (Spitsberg et al. 1995).

La MFGM è un componente essenziale della crema, ed è il principale fattore in grado di abbassare i livelli di colesterolo nel siero. Studi hanno dimostrato un effetto inibitore diretto nella MFGM del bovino nella ipercolesterolemia nel topo. Questa inibizione è stata spiegata dal significante legame del colesterolo alle MFGM nell’intestino degli animali sotto esperimento. È stato recentemente dimostrato che uno dei fosfolipidi della MFGM, la sfingomielina, è un inibitore effettivo dell’assorbimento intestinale del colesterolo nei topi (Spitsberg, 2005).

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