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PISA verde(e)acqua, Parco sociale

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Academic year: 2021

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A Francesca, famiglia sempre

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INDICE

INTRODUZIONE ...9

2. STORIA ...13

2.1 STORIA EVOLUTIVA DELLA CITTA’ DI PISA...13

2.1.1 LA CITTA’ PREROMANA E ROMANA ...13

2.1.2 LA CITTA’ ALTOMEDIEVALE ...15

2.1.3 NUOVO SVILUPPO DELLA CITTA’: LA REPUBBLICA MARINARA ...17

2.1.4 PRIMA DOMINAZIONE FIORENTINA ...21

2.1.5 SECONDA DOMINAZIONE FIORENTINA: I MEDICI ...25

2.1.6 PISA TRA SETTECENTO E OTTOCENTO ...29

2.1.7 PISA NELLO STATO ITALIANO ...34

2.1.8 I PIANI URBANISTICI DI PISA ...39

2.1.9 IL PIANO DI RICOSTRUZIONE DOPO LA II GUERRA MONDIALE ...50

2.1.10 IL PIANO STRUTTURALE DI VEZIO DE LUCIA ...59

2.2 LE MURA URBANE DI PISA ...63

2.2.1. FASI DI REALIZZAZIONE ...63

2.2.2 ASSETTO DELLE MURA URBANE ...66

2.2.3. LE PORTE URBANE ...69

2.2.4. TORRI E ANTIPORTI ...73

2.2.5. I CAMBIAMENTI DEL XV SECOLO ...75

2.2.6. BALUARDI E BASTIONI TRA IL XVI E IL XVII SECOLO ...76

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2.3 PISA E L’ACQUA ...82

2.3.1. IL RUOLO DELL’ARNO NELLA STORIA DI PISA ...82

2.3.2. L’ACQUEDOTTO MEDICEO: I “CONDOTTI” ...89

3. ANALISI ...97

3.1 GLI STRUMENTI URBANISTICI VIGENTI A PISA ...97

3.1.1. IL PIANO STRUTTURALE ...99

3.1.2. I SISTEMI TERRITORIALI ...100

3.1.3. LE UTOE, UNITA’ TERRITORIALI ORGANICHE ELEMENTARI ...103

3.1.4. ESTRATTO DELLE NTA DEL PS IN RIFERIMENTO AL PROGETTO ...108

3.1.5. IL REGOLAMENTO URBANISTICO ...117

3.1.6. ESTRATTO DELLE NTA DEL RU IN RIFERIMENTO AL PROGETTO ...119

3.1.7. I PIANI INTEGRATI DI SVILUPPO URBANO SOSTENIBILE ...146

3.1.8. IL PIANO URBANO DEL TRAFFICO ...148

3.1.9. IL REGOLAMENTO DEL VERDE ...153

3.2. LE CARTE TEMATICHE DI ANALISI ...158

3.2.1. VIABILITA’ ...158

3.2.2. VERDE URBANO ...158

3.2.3. DESTINAZIONI D’USO ...159

3.2.4. ALTEZZE DEGLI EDIFICI ...159

3.2.5. STATO DI CONSERVAZIONE DEGLI EDIFICI ...160

3.2.6. EPOCA DEGLI EDIFICI ...160

3.2.7. VINCOLI ...160

3.2.7. REGOLAMENTO URBANISTICO DEL CENTRO STORICO ...160

3.2.7. CRITICITA’ ...161

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4. CONCEPT ...175

4.1 PROGETTI PER IL RECUPERO DELLE MURA DI PISA ...175

4.1.1. MASSIMO CARMASSI E L’UFFICIO PROGETTI DEL COMUNE DI PISA ..175

4.1.2. PROGETTO DI RECUPERO DELLE MURA MEDIEVALI DI PISA ...177

4.1.3. PROGETTI DI RECUPERO DELLE AREE ATTORNO ALLE MURA ...180

4.1.4. CHIPPERFIELD: CONCORSO AREA SANTA CHIARA ...189

4.1.5. IL PROGETTO MURA: LA “PROMENADE ARCHITECTURALE” ...195

4.1.6. CONFRONTO TRA I MASTERPLAN E “PISA verde(e)acqua” ...200

5. PARCO SOCIALE ...203

5.1 IL PARCO URBANO NELLA STORIA ...203

5.1.1. LA NATURA NELLA CITTA’ SETTECENTESCA ...204

5.1.2. L’OTTOCENTO: I PARCHI URBANI ...206

5.1.3. IL NOVECENTO ...209 5.1.3. IL PARCO CONTEMPORANEO ...216 5.2. IL PROGETTO URBANISTICO ...220 5.2.1. LA NUOVA VIABILITA’ ...221 5.2.2. I PERCORSI PEDONALI ...224 5.2.3. LE PISTE CICLABILI ...226 5.2.4. LA NUOVA PIAZZA ...228

5.2.5. GLI ORTI URBANI ...230

5.2.6. I GIARDINI ...231

5.2.7. CRITERI DI PROGETTAZIONE DI UN GIARDINO ANALLERGICO...233

5.2.8. DESCRIZIONE DELLE ESSENZE ARBOREE ...238

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CONCLUSIONI ...257

RIFERIMENTI ...259

BIBLIOGRAFIA ...259 RISORSE ELETTRONICHE ...261

ALLEGATI ...263

TAVOLE ...263

RINGRAZIAMENTI ...281

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Il progetto di riqualifi cazione si pone l’obiettivo di recuperare e ridare vita ad un’area della città degradata ed esclusa attualmente dalla fruizione quotidiana dei cittadini e dalle visite dei turisti, un’area che al contrario ha tutti i requisiti per diventare uno dei punti di forza della città stessa. La riqualifi cazione di un’area tanto compromessa necessita di un progetto che sappia inserirsi con sensibilità in un contesto urbano delicato e che sappia ridare personalità alla zona, puntando su funzioni peculiari, diversifi cate e di interesse generale. L’area oggetto di intervento è situata nella zona nord-orientale della città che comprende una porzione delle Mura storiche urbane, l’Acquedotto Mediceo, i canali ad esso connessi ed i relativi spazi circo-stanti. Il progetto mira a recuperare l’area creando un polmone verde dove il cittadino possa vivere, passeggiare o passare, restituendo quindi attrattiva all’intera zona. A tale fi ne si è passati attraverso un attento percorso conoscitivo preliminare al progetto, sia a carattere storico che urbanistico, soffermandosi sugli elementi che costituiscono i principali caratteri peculiari e le criticità di particolare rilevanza all’interno dell’area di intervento. Come conseguenza di questa fase, la riqualifi cazione propone la realizzazione di un nuovo Parco urbano a carattere sociale, che si sviluppi lungo i principali assi dell’area urbana in esame: le Mura urbane e i “Condotti”. Nuove attività e verde rigoglioso a favore di un’idea di ricucitura del tessuto urbano. Si vuole tendere verso un consistente incremento di aree a verde per il godimento di tutti i cittadini. Lo studio di tale progetto urbanistico è stato fi n dal principio strettamente legato e affi ancato da un progetto sociale, essenziale e necessario per il raggiungimento degli obiettivi preposti, un mix funzionale che possa aprire l’area di intervento al contesto urbano circostante e quindi possa renderla permeabile ai fl ussi della città, determinando un deciso innalzamento della qualità ambientale dell’intero contesto.

La fruibilità e il piacere di vivere un luogo sono infatti fortemente connessi alle dinamiche so-ciali che si instaurano sul territorio. L’idea di progetto prende spunto da reali necessità del luogo e dalla concreta volontà del Comune di Pisa di intervenire in tale direzione. Pisa verde(e)acqua si va ad integrare quindi al “Progetto Mura” del Dipartimeto Opere Pubbliche dell’Amministra-zione Comunale pisana e quindi all’interno di un programma di riqualifi cadell’Amministra-zione globale che sta investendo l’intera città di Pisa.

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1. TERRITORIO

L’area oggetto della tesi è situata all’interno della città di Pisa attraversata dal fi ume Arno; la città si estende su un’area pianeggiante a pochi chilometri dalla foce del fi ume e quindi dal Mar Tirreno. In particolare l’intervento è teso al recupero di una porzione di tessuto urbano segnato dal tracciato murario e dell’Acquedotto Mediceo; ubicato nella zona nord-orientale della città, si sviluppa lungo l’asse delle mura urbane e dei “condotti”.

L’area analizzata è delimitata a sud dal quartiere Garibaldi, a ovest dal Lungarno Bruno Buozzi e Lungarno Mediceo, a est dai quartieri Don Bosco e Pratale, a nord da Via del Brennero e a nord-ovest dall’asse di Borgo stretto.

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2. STORIA

2.1 STORIA EVOLUTIVA DELLA CITTA’ DI PISA

2.1.1 LA CITTA’ PREROMANA E ROMANA

La particolare conformazione morfologica del territorio ha fatto sì che le origini della città di Pisae risalissero addirittura al Paleolitico superiore; infatti il territorio si prestava ad accogliere insediamenti umani, sin da subito votati agli scambi e ai commerci, grazie alla fi tta rete idro-grafi ca presente. I corsi d’acqua percorribili, dal sistema deltizio agibile, ne facevano uno degli approdi più ambiti della costa tirrenica; di analoga importanza anche la convergenza lungo la valle dell’Arno delle principali reti viarie della penisola. Tali fattori provocarono quindi l’avvicen-darsi nel luogo di varie popolazioni: Etruschi, Greci, Liguri, fi no a giungere ai Romani.

Testimonianze archeologiche provano come già in età neolitica Pisa fosse uno dei principali nodi mediterranei posti sulle rotte di scambio di prodotti di prima necessità, quali il sale e i metalli: una situazione privilegiata e vivace che rimarrà immutata anche nelle epoche storiche successive. Nel VI secolo a.C. Pisa etrusca rivestiva un ruolo fondamentale nel sistema degli scambi commerciali, soprattutto di metalli quali il ferro, lo stagno, il bronzo. Era infatti colle-gata alle principali rotte mediterranee attraverso i suoi approdi marittimi e fl uviali, ma anche alle grandi città del nord della penisola (dell’Emilia, del Veneto), attraverso un sistema viario interno effi ciente.

La piana pisana ha subito molteplici cambiamenti morfologici nel corso dei secoli tanto che rimane non precisata la sua origine geofi sica; infatti, i continui apporti di materiali terrosi tra-sportati dai corsi d’acqua e la conseguente modifi cazione dei loro percorsi, facevano avanzare la line di costa verso il mare. Tutto ciò non era dovuto alla sola azione naturale, anche l’uomo, per ragioni di bonifi ca, di utilizzo agrario e per sistemazioni portuali, ha contribuito.

Nonostante varie necropoli di differenti epoche siano state casualmente scoperte in tempi di-versi all’interno e tutt’intorno la città attuale, a causa dell’indeterminatezza sia delle descrizioni dei reperti sia dei luoghi di rinvenimento, non è stato possibile identifi care la topografi a della

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città alle sue origini, delimitata dalla riva destra dell’Arno e da quella sinistra dell’Auser, sue naturali barriere di difesa.

La fi ne della potenza etrusca e la caratteristica di città di confi ne, avevano accresciuto la vul-nerabilità di Pisa di fronte alla pressione dei Liguri, stanziati ai piedi delle Apuane. A causa di questo vicino nemico, violento e imprevedibile, Pisa affi da la propria sopravvivenza ad un alleato potente quale Roma, rinunciando così alla propria autonomia. Già dal 264 a.C., con l’inizio della guerra punica, Pisa si trovava ad essere la base navale più avanzata utilizzabile per le operazioni militari romane, in particolare contro Cartagine, e veniva considerata come via di passaggio per l’Italia del nord e la Gallia. Nel 193 a.C. Roma stanziò a Pisa un esercito e una fl otta permanente che sconfi sse rapidamente l’offesa ligure, difendendo così la città dalle incursioni nemiche.

Tutti questi eventi, implicarono alcune trasformazioni sul territorio sia dal punto di vista eco-nomico che sociale, defi nendo le linee di sviluppo della futura città. Alla fi ne del II secolo a.C. vennero aperte due strade di grande comunicazione: la via Fiorentina nel 155 a.C. e la via Emilia nel 109 a.C., entrambe determinanti per defi nire l’impianto urbanistico di Pisa ed il suo sviluppo economico.

Pisa in origine aveva il solo porto fl uviale, sul fi ume Auser; per quanto riguarda il porto ma-rittimo, questo entrò in funzione nel momento in cui le navi romane raggiunsero una stazza maggiore, ed era situato nei pressi della località Stagno. Ad unire i due porti venne realizzato un percorso stradale creando così una specie di sistema infrastrutturale integrato, favorendo i traffi ci commerciali e le attività cantieristiche.

Nell’81 a.C. lo stato romano concesse a Pisa la cittadinanza romana, seguita dalla deduzione coloniale fatta da Augusto fra il 41 e il 27 a.C. come Colonia Opsequens Iulia Pisana.

La presenza romana sul territorio portò alla distruzione delle vecchie necropoli etrusche e di gran parte della piana pisana, che fu divisa secondo una griglia quadrata di centurie che scon-volse ogni precedente assetto, delineando un nuovo paesaggio agrario.

Purtroppo le scarse informazioni topografi che dell’epoca ci impediscono la ricostruzione del tracciato delle mura urbane, esistenti sin dall’età augustea in supporto alle difese naturali. Sono giunte ai giorni nostri solo alcune carte riassuntive riguardanti l’intera epoca romana, tra cui la cosiddetta Pianta di Bonanno, elaborata da un antiquario all’inizio del 17701; ma sono

perlopiù ricostruzioni di fantasia che hanno fuorviato per molto tempo la valutazione sulla città romana di Pisa.

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Con il declino di Roma, molte città della To-scana e del Lazio andarono verso un generale e irreversibile deterioramento; ciò non accad-de a Pisa, che, grazie all’importanza strategica della sua base navale e alla presenza dei corsi d’acqua, rimase sostanzialmente intatta fi no al IV secolo d.C..

Purtroppo però nel volgere di pochi anni an-che a Pisa toccò la stessa sorte: dalla magni-fi cenza della città romana si passò a un magni-fi tto agglomerato di costruzioni strette e addossate una all’altra circondate da una cinta muraria che costituiva il maggiore elemento di difesa della nuova città altomedievale, probabilmen-te eretta in occasione delle invasioni barbari-che del VI-VII secolo. In questo periodo Pisa è una città che si sviluppa prettamente in al-tezza, con blocchi addensati di edifi ci che si elevano fi no a cinque o sei piani, affi ancati a schiera lungo le strade e i vicoli.

Si identifi ca nella casa-torre l’emblema archi-tettonico di questo periodo.

La Pisa altomedievale viene distinta in zone descritte da alcuni toponimi: Foriporta indica il territorio posto a est di Borgo Stretto, rag-giungibile uscendo da una porta della città; Ponte era denominata la parte settentrionale della città delimitata dall’Auser alla quale si arrivava attraversando un ponte; Catallo, ter-mine di probabile origine bizantina, indicava l’area a occidente di Ponte, all’ esterno del-la città; Rivolta identifi cava il territorio a sud

Figura 2.1–La Pianura tra Arno e Fosso Reale nel XVIII seco-lo - 1599. In questa tavola i successivi avanzamenti del mare Tirreno sono nettamente evidenziati dalle lame, depressioni del territorio, parallele alla attuale linea di riva

Figura 2.2–Pianta di Bonanno, acquaforte, ricostruzione com-pletamente arbitraria di Pisa Altomedievale, che per quasi due secoli ha fuorviato la ricerca sulla storia urbanistica della città. In alto sono presenti 30 rimandi toponomastici

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di Ponte, dal quale si estendevano più a sud, nell’ordine, le zone di Segio e di Orto; a nord della Rivolta si estendeva la zona del Parlascio che deve il suo nome ad un termine bizan-tino che indica le terme romane; a ovest si estendeva Civitas costituita dalla vecchia città romana2.

Dalla caduta dell’Impero Romano fi no al X secolo d.C., la storia di Pisa è strettamente legata alle invasioni barbariche, al calo demo-grafi co, alle pestilenze, e alle carestie che la città ha subito. Tuttavia il porto continuva a funzionare, ma restano modesti indizi di traffi -co marittimo e fl uviale.

Terminata questa fase Pisa si ricostituirà come importante centro mercantile e rapidamente tornerà ad essere capace di organizzare una fl otta che, con quella genovese, andrà ad an-nientare l’egemonia saracena nel mar Tirreno.

Figura 2.3–Ricostruzione ipotetica di Pisa nel V secolo d.C. Le zone d’acqua sono state evidenziate per mostrare come mai Pisa fosse una città marittima

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2.1.3 NUOVO SVILUPPO DELLA CITTA’: LA REPUBBLICA MARINARA

Durante l’XI secolo Pisa vide crescere il proprio potere politico ed economico a seguito delle guerre antisaracene dalla quale ne uscì vittoriosa; queste imprese valsero riconoscimenti papali e imperiali, come l’acquisizione di possedimenti e diritti commerciali verso l’est del Mediter-raneo. Successivamente Pisa tornò quindi ad espandersi dal punto di vista urbanistico con l’avanzamento di nuove realtà abitative; le mura altomedievali persero così gran parte della loro funzionalità, tuttavia continuarono a condizionare il successivo impianto della città.

Ci fu un forte sviluppo edilizio esterno alla città nella zona di Foriporta; già in età tardoromana erano presenti aree urbanizzate che dovettero essere demolite al fi ne di costruire la cinta mu-raria difensiva altomedievale. Quest’ultima venne a sua volta spianata quando sorsero nuove esigenze di spazi edifi cabili; dalle sue macerie si ricostruì un nuovo abitato secondo un sistema ordinato di vie. Il nuovo assetto della città comprese la costruzione di una nuova realtà urbana, chiamata Chinzica, sulla riva sinistra del fi ume Arno, completamente autonoma sia dal punto di vista amministrativo che religioso, con la propria chiesa monumentale, San Paolo a Ripa d’Arno. Chinzica riprendeva il modello delle urbes mercatorum, infatti, sfruttando la posizione strategi-ca vicina al porto e alle correnti di traffi co della Tosstrategi-cana centro-settentrionale, rendeva la città di Pisa un importante polo commerciale per il Mediterraneo. Abbiamo notizie di un ponte di collegamente tra le due sponde del fi ume di Mezzogiorno e Tramontana a partire dal 1092; a partire dal 1182 questo ponte venne denominato Ponte Vecchio.

Un lungimirante piano urbanistico fu alla base di questa trasformazione da cittadella altomedie-vale a grande città; il nuovo impianto urbanistico aveva una forma quadrangolare e si sviluppava sia longitudinalmente rispetto al fi ume, lungo le sue vie parallele, sia trasversalmente, sull’asse cardine nord-sud costituito dalla via del Borgo e dall’attuale Corso Italia, allora via San Gilio. L’aumento della natalità, il miglioramente dell’alimentazione e delle condizioni igieniche, il prolungamento dell’età media, l’inurbarsi della popolazione che abbandonava la campagna e l’importante ruolo di cerniera fra i mercati d’Oriente e d’Occidente, sono i fattori che stanno alla base dell’eccezionale espansione della città che in questo periodo raggiunse un’area di 185 ettari, cinque volte maggiore della precedente altomedievale. Da un’esigua cifra di 15 mila abitanti nella Pisa altomedievale si arrivò al picco massimo di 50 mila cittadini pisani subito prima dello scoppio della Peste Nera del 13473.

Per il timore che Federico Barbarossa, imperatore del Sacro Romano Impero, arrivasse a Pisa, i lavori di costruzione ed espansione della città subirono una battuta d’arresto; vennero allestite, quindi, nuove difese, in legno, sviluppate linearmente affi nché potessero essere

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immediata-Figura 2.4–Toponimi urbani in uso nei secoli XII-XIV, tra parentesi sono indicati i toponimi più recenti (Tolaini, 1992)

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mente utilizzabili, e subito dopo si ripresero i lavori delle mura; anch’esse costruite a ritmi ac-celerati e con materiali diversi. Per tutto il secolo XIV si continuò a lavorare a queste mura e nei secoli successivi a fortifi carle in vario modo con torri, bastioni, terrapieni, aprendo e chiudendo porte, e realizzando antiporte in corrispondenza degli accessi alla città.

Il nuovo assetto urbanistico di Pisa era costituito da quattro quartieri che prendevano il nome di Ponte, Mezzo, Foriporta e Chinzica; questi erano considerati la base territoriale e amministrativa della città, attorno ad essi si muovevano gli interessi politici ed economici, tanto da nominare ognuno gli Uffi ci Collegiali, i Consigli e le Società del Popolo. II quartiere di Mezzo si estendeva dalle mura di settentrione all’Arno e comprendeva i territori di Rivolta, Segio, Supracastello e Civitate Vetera; Ponte era il quartiere più occidentale, comprendeva parte di Catallo e si estendeva fi no all’Arno; Foriporta occupava la zona orientale comprendendo, oltre alla Foriporta altomedievale, Suarta, Spina Alba e Calcesana; il quartiere di Chinzica era situato sull’altra riva e più si differenziava dal resto della città. Inoltre verso la metà del XIII secolo fu costruito il cosiddetto quadrilatero della Tersana, accostato al tratto terminale delle mura di ponente. Nei quartieri di Foriporta e in Chinzica si formarono larghi tessuti residenziali che si differenzia-vano dai precedenti altomedievali per la maggiore ampiezza e comodità; si creadifferenzia-vano giardini e piantavano frutteti negli orti dietro le case.

Furono realizzati molti lavori di ingrandimento di palazzi nonché di piazze, e ne vennero create di nuove, allargate le strade e raddrizzate altre già presenti. Vi era una nuova tendenza, quella di ingentilire le forme dei fabbricati con l’introduzione di materiali marmorei e di manufatti laterizi decorativi.

E’ in questo periodo che l’Arno entra a far parte della città; con la completa demolizione delle mura altomedievali, le sponde del fi ume mutano radicalmente nella funzione e nell’aspetto, l’al-veo viene disciplinato e riorganizzato entro arginature, in modo da lasciare un percorso laterale per parte. Dal punto di vista urbanistico ci sono moltemplici cambiamenti dovuti ai nuovi affac-ci degli edifi affac-ci sui Lungarni, le due nuove grandi arterie, che corrono da un capo all’altro della città, lungo le quali vennero costruiti due nuovi ponti. Vennero costruiti nuovi scali mercantili, lavatoi e logge, da spazi sottratti alle coltivazioni e alle funzioni industriali.

Sui Lungarni si stabilirono fi ttissime botteghe e logge e sui ponti invece trovarono collocazione attività artigiane diverse: botteghe di guantai e di borsai sono ricordate sul Pontevecchio, come le botteghe di spadai sul Pontenovo. Non ebbero invece botteghe né il Ponte di Spina né il Pon-te a Mare, che erano invece fortifi cati. Rimase invece inalPon-terato il centro amministrativo e politi-co della città, politi-costituito dal palazzo del Comune, dal palazzo del Popolo e da quello delle Curie. La toponomastica cittadina4 rispecchiava particolari concentrazioni di attività in determinate

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zone urbane, comprendendo denominazioni, oggi per la maggior parte scomparse, come piazza delle Biade, chiasso dei Cappellai, chiasso dei Caciaioli, chiasso dei Cuoiai, Fabbriche Mag-giori, via dei Forni, via Notari, canto degli Orafi , piazza del Pane, pietra del Pesce, embolo dei Pellicciai, Taberna, via Le tiratoie, Barattularia, carraia dei Bottai, campo del Canapaio, via La tinta, Borgo delle Campane.

Il centro residenziale si spostò nei nuovi quartieri grazie ai nuovi spazi creati; vi fu quindi una scissione tra il luogo di lavoro e quello destinato all’abitazione.

Con il passare del tempo molte attività mercantili e artigiane si collocarono nei nuovi quartieri, ad esempio il mercato degli ortaggi trasferito in Foriporta, mentre altre attività particolari furono trasferite direttamente fuori dalla città, ad esempio nella zona della Tersana; qui, ai primi del XIII secolo, sorse l’Arsenale Repubblicano, uno spazio protetto esterno alla città dove veniva-no raccolte le attività cantieritistiche pubbliche e private della Repubblica; i lavori per la sua costruzione furono condotti in contemporanea al completamento degli ultimi strati delle mura urbane, dato l’utilizzo degli stessi materiali.

La sua posizione, le sue mura e le sue torri ne fecero un vero e proprio castello a difesa della città dalla parte del mare; al tempo del suo maggiore sviluppo l’Arsenale conteneva ottanta porticati per le galere e molte botteghe artigiane. Anche se era destinato ai bisogni mercantili e militari della città, lavorava anche su commesse esterne, infatti spesso mercanti d’altri paesi operavano su navi fabbricate a Pisa5. Negli ultimi tempi d’indipendenza della Repubblica,

l’Ar-senale vide accentuata la sua funzione difensiva in collegamento al recente Ponte a Mare e alla torre di Stampace, fi no a divenire trasformato in cittadella.

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2.1.4 PRIMA DOMINAZIONE FIORENTINA

Nel 1405, Pisa perse la sua indipendenza; i fi orentini si impadronirono della città e vi eserci-tarono il loro dominio fi no all’annessione del Granducato di Toscana al Regno d’Italia, salvo un breve periodo di riconquistata libertà dal 1494 al 1509.

Durante la dominazione fi orentina, durata quattro secoli, il fi ume Arno, subisce un cambiamen-to di ruolo: da concreta funzione di canale per navigli, a parco fl uviale cosparso di baldacchini parasole.

I fi orentini si concentrarono per lo più sul sistema difensivo di Pisa fortifi cando immediatamen-te la parimmediatamen-te verso il mare, poiché più esposta alle ostilità dei genovesi e dei francesi che control-lavano il Porto Pisano, rinforzando il sistema difensivo già esistente fra la Cittadella e la torre di Stampace. Attuarono inoltre un preciso piano di demolizione che interessò le aree contigue alle fortifi cazioni (da un lato gli edifi ci fra la Porta a Mare e la chiesa di San Paolo a Ripadarno, mentre sull’altra riva del fi ume gli edifi ci compresi fra la Cittadella e la chiesa di San Vito) sia per avere materiale da costruzione, sia per sgombrare il terreno a ridosso di esse; queste aree rimasero poi disabitate per secoli.

Sono questi gli anni in cui Filippo Brunelleschi opera a Pisa: nel 1426 si occupò del restauro del Ponte a Mare e della Cittadella Vecchia, nel 1435 costruì una nuova torre al Parlascio e nel 1440 progettò la Cittadella Nuova, che voleva assicurare per prima cosa il controllo militare della città e poi la difesa da attacchi stranieri. Nel 1446 Brunelleschi morì senza riuscire a portare a termine questo progetto.

Durante la dominazione fi orentina la città di Pisa appare degradata e abbandonata dai suoi stes-si cittadini in quanto a causa della presstes-sione fi scale, della perdita di valore del patrimonio edi-lizio urbano, dell’interruzione delle attivà mercantili e artigiane tradizionali e della liquidazione della vecchia classe imprenditoriale pisana. Molti immobili passarono quindi in mani fi orentine che avviarono un processo di accorpamento delle unità abitative già esistenti, comportando la costruzione dei palazzi che caratterizzeranno la Pisa del Quattrocento; venivano preferite alcune zone della città come i Lungarni sia per la presenza del fi ume, sia perché erano lungo il percorso obbligato per ogni genere di processione o manifestazione pubblica.

Con l’intervento di Carlo VIII Re di Francia, nel 1494 si concluse la prima dominazione fi oren-tina. Si creò immediatamente una nuova magistratura pisana che si pose come obiettivo quello di abbattare gli interventi fi orentini sulle fortifi cazioni.

Purtroppo ricominciarono subito le guerre e gli assedi da parte fi orentina e il centro della città diventò il centro delle operazioni militari per i quindici anni che seguirono.

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Durante questi anni sanguinosi, i pisani misero a segno alcune importanti vittorie prima di cedere alla potenza fi orentina: come nel 1499 durante il violentissimo attacco alla fortezza di Stampace; come nel 1500 quando i pisani riuscirono a mettere in fuga i fi orentini che avevano occupato il Forte del Barbagianni.

Per ottenere questi risultati i pisani stessi distrussero i borghi limitrofi alla città per evitare che i fi orentini vi si fortifi cassero; gli effetti di queste operazioni furono gravissime e durevoli nel Durante questi anni sanguinosi, i pisani misero a segno alcune importanti vittorie prima di cedere alla potenza fi orentina: come nel 1499 durante il violentissimo attacco alla fortezza di Stampace; come nel 1500 quando i pisani riuscirono a mettere in fuga i fi orentini che avevano occupato il Forte del Barbagianni.

Per ottenere questi risultati i pisani stessi distrussero i borghi limitrofi alla città per evitare che i fi orentini vi si fortifi cassero; gli effetti di queste operazioni furono gravissime e durevoli nel tempo.

Nel 1509 Pisa perse nuovamente la sua libertà al termine di un assedio durato quindici anni nei quali la fame, la miseria, le malattie, la scomparsa di ogni attività intellettuale, il clima di sospetto e di paura e le atrocità delle rappresaglie, generarono condizioni diffi cilissime per l’esistenza di una popolazione confi nata dentro le mura della propria città.

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Figura 2.6–Le mura e i bastioni nella seconda metà del Cinquecento, con aggiunte le fortificazioni seicentesche (Tolaini, 1992)

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2.1.5 SECONDA DOMINAZIONE FIORENTINA: I MEDICI

Dopo la riconquista fi orentina, vennero concesse numerose agevolazioni ai cittadini pisani, dato lo stato in cui versava l’intera città al termine dell’assedio durato quindici anni. Come testimo-nia il censimento del 15566 la popolazione era diminuita ancora e almeno la metà era fi orentina

o di altri paesi. Di conseguenza a questa crisi demografi ca, molte parrocchie si aggregarono, provocando la scomparsa di alcune chiese nel nucleo più antico della città.

Fin da subito i fi orentini vollero ricostruire il sistema di fortifi cazioni della città che era stato fortemente danneggiato negli anni precedenti e affi darono questo compito ai fratelli Antonio e Giuliano da Sangallo che vi lavorarono fi no al 1512 progettando la difesa della Cittadella Nuova. L’articolazione complessa dei volumi e la colorazione dovuta al laterizio di questa nuovo forte, dettero una nuova immagine alla città. Per quanto riguarda la Cittadella Vecchia, questa, al con-trario, fu svuotata e alleggerita delle artiglierie, trasferite nella Nuova, per evitare che i pisani se ne impossessassero e la usassero come riparo. Purtroppo Pisa in quegli anni si trovava in condi-zioni misere che continuarono a peggiorare sotto il governo di Alessandro de Medici, facendola diventare una città semideserta, amministrata da priori fantoccio e svuotata di intellettuali; la svolta arrivò a partire dal 1537, anno in cui andò al potere Cosimo I de Medici.

Egli, scelse come sua principale residenza la città di Pisa a causa del clima più temperato e la fece diventare il centro effettivo del potere; questa abitudine venne mantenuta anche dai suoi successori.

Venne allestito il Collegio studentesco ducale nella sede della Sapienza; da qui Cosimo poteva controllare la formazione dei futuri funzionari dello stato e l’Ordine di Santo Stefano. Quest’ul-timo aveva funzione sia militare, come difesa marittima, che religiosa ed inoltre rappresentava per Cosimo I uno strumento di controllo assoluto sul ceto nobiliare toscano.

Per quanto riguarda il sistema idrografi co pisano, anche in questo caso, Cosimo attuò una serie di opere volte alla sistemazione dei canali e ai collegamenti tra essi e il porto marittimo; a que-sto proposito venne istituito il Magistrato et Offi cio dei fossi nel 1547 riformando l’Opera della Riparazione del Contado. Lungo il canale, già riscavato nel 1330 e prolungato fi no a Livorno nel 1468, fu installato il varatoio, una macchina per trasferire i navicelli dal fi ume al canale anche in presenza di torbe, senza dover aprire le cateratte. Venne inoltre restaurato il canale dei Navicelli (1563-75) che sveltì il percorso fl uviale da Firenze a Pisa e a Livorno e defi nì un sistema idroviario destinato a durare fi no ai primi del Novecento.

Dal quinto anno del suo ducato, Cosimo trasformò la città in un grande cantiere sotto ogni punto di vista; venne realizzato un nuovo Arsenale necessario per la realizzazione di galere di

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dimen-sioni superiori, lasciando quello Repubblicano all’allevamento dei cavalli dell’esercito. Anche il sistema difensivo venne rimoderna-to: nel 1544 venne sostituita la torre edifi cata dal Brunelleschi sulla porta del Parlascio con un grande bastione. Di seguito venne eseguita una nuova apertura nelle mura, la Porta Nuo-va, sullo stesso disegno della Porta a Lucca; ciò fece mutare le prospettive dell’area del Duomo e ripristinò vecchi percorsi all’estremi-tà nord-occidentale della citall’estremi-tà, rimasti a lungo interrotti per la chiusura della Porta del Leone e della Porta di Santo Stefano7.

Venne di fatto attuato un processo di rimodel-lamento delle vecchie forme medievali, sim-bolo di quella libertà pisana ormai perduta, dando alla città un nuovo stampo manieristi-co. Nel giro di pochi anni venne “fi orentiniz-zata” l’intera città con l’introduzione di gigli, stemmi, statue e iscrizioni. In tale processo Cosimo fu affi ancato dapprima da Luca Mar-tini8, provveditore di Pisa dal 1547, e

succes-sivamente dal Vasari. Quest’ultimo fu il pro-gettista dell’intervento in Piazza dei Cavalieri, dove fu eretto il Palazzo della Carovana, sullo scheletro del preesistente palazzo pubblico medievale e il palazzo dello Spedale, detto poi dell’Orologio, formato da due vecchi edifi ci collegati da un voltone.

Alla fi ne del secolo, con la costruzione del Pa-lazzo Granducale, anche i palazzi signorili e le comuni abitazioni subirono un mutamento; le nuove facciate, prevalentemente lungo le vie che ospitavano i palazzi gentilizi della

Re-Figura 2.7–Palazzo della Carovana e Palazzo dell’Orologio, Va-sari (Tolaini, 1992)

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pubblica e sui Lungarni, assunsero sontuose forme cinquecentesche di stampo fi orentino9. Le

case-torri nei vicoli stretti, andarono via via scomparendo, al loro posto i nuovi organismi edilizi, che ne utilizzavano i pilastri come scheletri per le loro strutture. Anche i colori delle facciate cambiarono: si passò dal grigio del verrucano e dal rosa del laterizio a vista, a superfi ci di into-naco, segnate da riquadri e da cornici di arenaria.

Anche il quartiere di Chinzica, fi no ad allora utilizzato a soli scopi militari, assunse nuove fun-zioni; vi venne realizzato un grande complesso di magazzini per il trattamento del grano, di cui la città era il principale centro di approvvigionamento dello Stato.

Risolse inoltre il problema della viabilità nella zona orientale della città, dove era stata costruita la Cittadella Nuova.

Uno degli interventi più importanti che si registrarono sotto il potere di Cosimo fu sicuramente quello relativo al rifornimento idrico di Pisa che fi no ad allora era sempre stato limitato ai pozzi, alle poche cisterne e saltuariamente al fi ume (poco utilizzato perché spesso torbido e alimen-tato da scoli di paduli e stagni), rendendo la situazione igienica gravissima. Venne ideato un acquedotto che collegasse la sede dell’Ordine dei Cavalieri e le acque di Asciano, progetto che sarà poi ripreso dal Granduca Ferdinando I nel 1591; Fu realizzata una struttura ad archi che portava l’acqua direttamente nella piazza dei Cavalieri, dove fu eretta una statua gigantesca del primo Granduca ad opera di Pietro Francavilla. Infi ne vennero bonifi cate le aree idonee all’agri-coltura così per tutelare ulteriormente il valore paesaggistico della città.

A causa di tutti questi fattori, dalla seconda metà del ‘500, le condizioni di Pisa migliorarono notevolmente, tanto da registrare una forte crescita demografi ca. Purtroppo nel 1630 ci fu una grave epidemia di peste che riportò la città a circa 10mila abitanti.

In quegli stessi anni la città fu segnata dai gravi cedimenti del Ponte Vecchio che all’epoca era l’unico collegamento per i cittadini tra le due aree urbane e veniva utilizzato anche come scena-rio per la Battaglia del Ponte, simbolo delle virtù civiche pisane ormai da diversi anni.

Nel 1637 il Ponte crollò defi nitivamente; seguirono diversi incarichi per la sua ricostruzione e la realizzazione delle piazze alle sue estremità, fi no a che nel 1659 fu ricostruito.

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Figura 2.9–Stemmi, iscrizioni, statue, busti e interventi medicei sulla pianta di M. Z. [Scorzi] che ha il nord in basso (Tolaini, 1992)

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2.1.6 PISA TRA SETTECENTO E OTTOCENTO

Nel 1737 morì l’ultimo erede della famiglia dei Medici, Gian Gastone de Medici, che non ebbe eredi, e il Granducato di Toscana passò alla famiglia dei Lorena, nella persona di Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa d’Asburgo, imperatrice d’Austria. Egli non spostò mai la sua residenza in Toscana, lasciando l’amministrazione nelle mani del fi glio Pietro Leopoldo. Si dovette far fronte allo stato di decadenza della città; per questo i Lorena cominciarono ad attuare una serie di riforme generali per la riorganizzazione dello stato. Venne attuato imme-diatamente un piano di risanamento e bonifi ca; vennero perfezionati gli aspetti scenografi ci dei Lungarni con opere di risanamento delle sponde tra il Ponte di Mezzo, prima Ponte Vecchio, e la Chiesa di San Matteo, e rimodernamenti e rifacimenti di edifi ci religiosi e civili.

In particolare nel 1766 vennero restaurate le sponde dell’Arno, cercando di attribuirvi un profi lo dolce e regolare, eliminando così le imperfezioni medievali; fu enfatizzata, sulla riva sinistra del fi ume, la funzione amministrativa della Piazza dei Banchi. Inoltre fu costruito un teatro più spazioso in piazza San Nicola oggi Piazza Carrara, e la realizzazione sul Palazzo Pretorio della nuova torre civica dove venne apposto l’orologio pubblico.

Nonostante la poca popolazione rimasta in città, l’Università di Pisa10 si mantenne con dignità,

così come la seppur modesta attività manifatturiera e l’attività edilizia, soprattutto di ristruttu-razione.

Nonostante tutti questi interventi da parte dei Lorena, Pisa manteneva i problemi che da sem-pre l’avevano caratterizzata, come l’igiene, la sanità e l’approvvigionamento idrico. Nel Sette-cento si cominciò ad intervenire in questo senso cercando di provvedere alla completa pavi-mentazione del centro urbano, cercando di rinforzare l’acquedotto che era in pessimo stato, realizzando fonti pubbliche per il centro, promuovendo nuove leggi sulle sepolture in modo da evitare possibili epidemie.

Nel 1767, convinto che la Toscana ormai non sarebbe stata più in grado di sostenere una qual-siasi guerra, Pietro Leopoldo promosse politiche di disarmo di stampo religioso; riformò tutta l’organizzazione militare disfacendosi delle artiglierie, delle navi, degli arsenali e delle «inutili fortezze», ridando ai cittadini la possibilità di sfruttare così l’intera città, che, fi n dalla prima conquista era stata disposta a scopi militari. Leopoldo ordinò inoltre la soppressione di venti chiese, di eredità medievale, stravolgendo le abitudini dei cittadini fortemente legate alla reli-gione.

Tra la reggenza di Pietro Leopoldo e la Restaurazione, venne creato quello che oggi chiamiamo catasto ferdinandeo-leopoldino, o più correttamente catasto napoleonico-lorenese,

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strumen-to che verrà utilizzastrumen-to per conoscere l’aspetto fi scale-economico della To-scana.

Nel 1769, Pietro Leopoldo commis-sionò l’ideazione di un piano di rifor-ma catastale ad alcuni funzionari, tra cui Nelli, che optava per un catasto geometrico-particellare, e Pagnini, che invece continuva a dar fi ducia al vecchio sistema delle portate dei pro-prietari, per ovviare alle grandi spese che comportava un catasto geometri-co. Il progetto però continuò ad esse-re rinviato fi no a che nel 1778 venne nominata una nuova commissione composta da G. Neri, Nelli, Barbolani da Montauto, Ippoliti e il già ci-tato Pagnini; c’era l’evidente volontà di collegare una riforma tributaria ad una comunitativa per il rifacimento degli estimi.

Dopo circa due anni ci si rese conto che non sarebbe stato possibile por-tare a termine il catasto generale; fu

così che la decisione sugli estimi tornò ad essere di competenza delle singole comunità. La più importante innovazione che introdusse Pietro Leopoldo fu il cosiddetto Codice Leopoldi-no, che abolì, seppur per soli 4 anni, la pena di morte, fi no al 1790, anno in cui fu ripristinata. Nel 1801, anno in cui Napoleone si stabilì nella penisola italiana, la Toscana venne ceduta dall’Austria alla Francia; il Granducato di Toscana fu soppresso e istituito il Regno di Etruria. Quest’ultimo venne poi eliminato nel 1807 e fu restaurato il Granducato, amministrato, per conto dell’impero francese, da Elisa Bonaparte Baciocchi.

Già a partire dal 1790, in Francia c’era la volontà di compiere un nuovo catasto generale; nel 1807 poi Napoleone decise di effettuare con nuovi metodi e su larga scala il nuovo catasto, che si doveva estendere a tutto il territorio dell’Impero e quindi anche al Granducato.

Figura 2.10–Pianta di Giacinto Van Lint, 1846 : oltre a rappresentare con precisione i tracciati viari, rileva numerosi chiostri, la piazza S. Caterina, le due stazioni per Firenze e per Lucca, gli insediamenti suburbani di porta Nuova, di porta a Lucca

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Dopo l’annessione all’Impero, si riscontrarono alcuni problemi che rallentarono molto l’ef-fettivo inizio delle operazioni, infatti la sem-plice applicazione dei metodi francesi risultò impossibile; i comuni toscani erano molto più ampi di quelli francesi, e questo rendeva im-possibile il concetto di divisione amministrati-va già in uso nel territorio francese.

La parentesi napoleonica durò solo fi no al 1814, quando cadde l’Impero e fu restaurato il potere lorenese nel Granducato, con Ferdin-dando III, fi glio di Pietro Leopoldo.

L’impresa del catasto generale in Toscana non riuscì, tuttavia il metodo francese dette qual-che risultato: furono misurate quasi 200.000 ettari di superfi cie, completi di mappe e regi-stri di possessori per 24 comunità, più altre 16 incomplete. Sotto Ferdinando III si riprese quindi il lavoro francese apportando solo alcu-ne correzioni

Alla fi ne dei lavori le 242 comunità del Gran-ducato furono uffi cialmente rappresentate al catasto con 242 quadri d’insieme; esse erano divise poi in 3.150 sezioni, a volte rappresen-tate con un unico foglio, più spesso con due o tre, per un totale di 8.567 fogli. I documenti del catasto erano composti dagli atti prepara-tori, comprensivi di mappe, lucidi e di quader-ni indicativi dei geometri, per quanto riguarda la misura; e i vari elaborati per la stima. In seguito vennero raccolti i reclami dei posses-sori, e una volta corrette, le mappe, divennero documenti defi nitivi, che vennero distribuiti a ciascuna comunità; una copia non autentica

Figura 2.11–Pianta Scorzi, fine del XVII secolo. Questa pianta attenta e rigorosa, si differenzia nettamente dalle precedente per il contenuto rigorosamente documentario: il tessuto urbano e gli ampi spazi verdi dentro le mura sono dettagliati con pre-cisi intenti artografici. La pianta rappresenta un nuovo modo di intendere la città

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fu fornita anche alle varie Deputazioni di fi umi e fossi11.

Durante il trono di Ferdinando III non ci furono importanti edilizi, ma solo una modesta espan-sione del centro abitato. Intorno al 1820 si riprese a lavorare alle sponde dell’Arno rendendole sempre più rettilinee e libere da scali. In questi anni in città si andava formando una nuova classe di intellettuali, imprenditori e ingegneri, che si interessava alla nascente industrializza-zione, al diverso uso di capitali, al rinnovamento delle istituzioni e all’uso di nuove tecnologie; questa minoranza si scontrava con la maggioranza della popolazione più conservatrice.

Tra gli interventi emblematici di questo nuovo modo di pensare sono da annoverare il ponte sospeso tra via Sant’Antonio e via Santa Maria realizzato nel 1825 da Ridolfo Castinelli e Carlo Ginori-Lisci così come la realizzazione tra il 1841 e il 1848 della ferrovia a vapore chiamata Leopolda in onore del sovrano, che collegava Livorno a Firenze. Tale ferrovia, insieme a quella Lucca-Pisa realizzata nel 1846, permise a Pisa di trovarsi al centro della prima rete ferroviaria nazionale, fra Livorno, Lucca e Firenze.

Nel 1835 la città fu rappresentata da un nuovo catasto geometrico parcellare12 e nel 1846, Vin

Lint ne disegnò una pianta realistica, che divenne nuovo oggetto di studio e intervento per le nuove generazioni di progettisti.

Nel 1852, dopo numerosi piccoli ritocchi, le diverse necessità della città vennero raggruppate in un progetto molto simile ad un vero e proprio Piano Regolatore Generale, ad opera dell’inge-gnere Silvio dell’Hoste. Tale progetto prevedeva l’apertura di larghe strade rettilinee, che colle-gassero le sue aree storiche più rilevanti; infatti, secondo dell’Hoste, i monumenti risultavano isolati perché mai coinvolti in un piano che comprendesse l’intera città.

All’epoca non si tutelavano le preesistenze, ma si sovrapponeva un nuovo schema urbanistico su quello antico per “abbellimento”13.

Purtroppo Il piano di Dell’Hoste rimase per la maggior parte solo ad uno stato di intenzionalità, per due motivi principali: la mancata progettazione di espansione relativa agli assi di collega-mento viario, e la non tempestiva comprensione del progetto da parte della cultura locale: solo ottanta anni dopo il piano sarà ripreso in occasione del concorso per il nuovo Piano Regolatore della città di Pisa.

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Figura 2.12–Silvio dell’Hoste, Pianta geometrica della città di Pisa con diversi progetti di abbellimenti e accrescimenti sia inter-namente che esterinter-namente alle mura (1852) in cui si evidenzia la riapertura dell’asse via S.Maria - via S.Antonio, lo sventramento dell’odierna piazza Dante, la strada da piazza Cairoli a piazza S. Caterina, lo sventramento fra Borgo e S. Andrea, la strada da Stampace a piazza Toniolo, il ponte a porta Fiorentina

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2.1.7 PISA NELLO STATO ITALIANO

La storia urbanistica di Pisa riprende vigore in seguito all’annessione del Gran Ducato di Toscana al Regno della Sardegna nel 1859. L’intento principale dei Pisani consisteva nel dare una nuova luce alla città, ma l’ide-ale artistico proprio di quel periodo risultava caratterizzato da concetti di abbellimento e di decoro che assumevano le proporzioni e i rapporti aurei come a se stanti ed estranei ad ogni identità storica e culturale14.

La Piazza del Duomo e della Torre fu la prima area ad essere sistemata, il suo ambiente ori-ginario venne particolarmente alterato dall’a-pertura di via Turelli, causando la demolizio-ne delle case del Capitolo, della Chiesa di San Ranierino e della Chiesa dei Curati. La Torre venne così trasformata in una sorta di rotatoria stradale disconnessa dal suo conte-sto conte-storico originario.

In quegli anni le ripetute piene dell’Arno in-dussero i Pisani a risolvere il problema rela-tivo alle esondazioni, che, fi no ad allora, era stato affrontato solo parzialmente. Furono presentati due progetti a fronte delle piene, il

primo, del 1863, appartenente all’ingegner Bellini, consisteva nel rialzamento delle spallette; il secondo, meno immediato, riguardava la realizzazione di un canale scolmatore, chiamato fos-so scaricatore, a monte di Pisa. La scelta ricadde sulla prima fos-soluzione a causa dell’alluvione dell’Arno del 1869 che provocò numerose vittime, l’inondazione della parte a sud della Città e la distruzione del Ponte a Mare. Venne fatto costruire, dall’ingegnere Simonelli, una muraglione in laterizio continuo e uniforme, eliminando gli scali, i levatoi e l’oratorio di Santa Maria della Spina, all’epoca troppo aggettante sul fi ume15. Quest’ultimo, successivamente, fu ricostruito

spostato.

Figura 2.13–Apertura della nuova via Torelli, 1862 (Rupi e Mar-tinelli, 1997)

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La stazione ferroviaria centrale, fuori dalle mura, nella parte meridionale della Porta di San Gilio, venne aperta nel 1862. Intorno ad essa fu creata una fascia di terreno da urba-nizzare collegato con il centro urbano.

Inizialmente incaricato alla realizzazione di tale opera fu l’ingegnere Bellini, successiva-mente l’architetto Vincenzo Micheli, il quale pose al centro del suo progetto l’attuale Piazza Vittorio Emanuele II, nota allora come Barrie-ra, in quanto la sua forma ellittica era divisa in due parti uguali dalla barriera daziaria e collegata alla stazione da un ampio viale ad imbuto.

La costruzione di tale Piazza comportava, d’al-tro canto, la distruzione sia della Porta di San Gilio, ubicata nel centro di essa, che del tratto di mura interessato dal largo.

In relazione all’epoca storica, questo progetto urbanistico rivelava ampiezza di vedute e in-telligenza di soluzioni, costituendo per molto tempo il fondamentale svincolo stradale. Di-fatti, ancora oggi, la Piazza Vittorio Emanuele II rappresenta un’effi cace struttura urbana16.

Il primo Primo Piano regolatore della città venne redatto nel 1871 dall’ingegnere Miche-li prevedendo una grande arteria di circonval-lazione che attraversava l’Arno grazie ad un ponte metallico sito nelle vicinanze del di-strutto Ponte a Mare e che collegava Pisa con i traffi ci provenienti dalle città limitrofe. Dal Piano Regolatore emergeva come dalla Piazza Vittorio Emanuele II si diramassero sia le vie vecchie che quelle attuali, tra cui via

Bene-Figura 2.14–Vedute del Lungarno scattate in tempi diversi; la prima mostra il Lungarno verso il 1871, quando il monumento a Ferdinando I era ancora al suo posto di fronte allo sbocco di via S. Maria ed erano iniziati i lavori del muraglione di spon-da; la seconda mostra il medesimo punto del Lungarno dopo lo spostamento del monumento nella vicina piazza e il muraglione ultimato

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detto Croce, via Nino Bixio, il viale della Stazione ed infi ne via Crispi. Sventramenti entro le mura e nuove abitazioni presso le periferie fuori Porta Garibaldi, fuori Porta a Lucca e in Barbaricina, rappresentavano, all’interno del Piano, l’aspetto edi-lizio. Si trattava di aree non sotto-poste a dazio e ciò garantiva l’ac-quisto dei materiali da costruzioni a prezzo inferiore, allo stesso tempo, all’interno di esse, la maggiore di-sponibilità di terreni consentiva la coltivazione di piccoli orti.

Progressivamente nuove strutture come il grande teatro, il ponte di

ferro, nuovi istituti universitari e nuove strutture ospedaliere sorgevano nella città.

Il progresso tecnologico e scientifi co del ventesimo secolo portò ad un cambiamento nelle abi-tudini dei cittadini; dal punto di vista commerciale, man mano, le botteghe di vendita e le bot-teghe artigiane tradizionali subentravano ai venditori ambulanti. Questo mutamento fece sì che venissero modifi cati i piani terra degli edifi ci e le facciate dei fabbricati tipici dell’architettura pisana del tempo.

Grazie ad un Regolamento del 1921 emanato dal Comune furono defi niti specifi ci parametri di edifi cabilità ed un certo ordine di abitabilità delle costruzioni successive. L’attivazione dell’ac-quedotto di Filettole, avvenuto nello stesso anno, garantì la dotazione di acqua corrente nelle abitazioni cittadine.

Nel 1928, durante l’amministrazione fascista, fu bandito il concorso per la costruzione del ponte della Vittoria. L’anno seguente, all’interno di Piazza Vittorio Emanuele II, ex piazza della Barriera, furono inseriti il Palazzo delle Poste, il Palazzo dell’Amministrazione Provinciale, ed infi ne i pini marittimi persero il posto delle palme.

Figura 2.15–Progetto della nuova barriera daziaria sulla Piazza Vittorio Ema-nuele, 1861

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Figura 2.16–Piano regolatore di Vincenzo Micheli (1871). Redatto dopo l’Unità e benché mai approvato dal Governo, fu il principale strumento delle radicali modifiche avvenute fra Ottocento e Novecento. I principali contenuti del piano furono: una grande arteria fra il Duomo e piazza S. Antonio attraverso il ponte Solferino; il rialzamento delle sponde del fiume e la loro trasformazione in muraglione verticale continuo; una grande strada fra piazza S. Paolo all’Orto e via A. Volta

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2.1.8 I PIANI URBANISTICI DI PISA

Nei primi anni del Novecento, l’espansione e la riqualifi cazione della città di Pisa necessitavano di un’organizzazione e di un piano che fosse sganciato dalla struttura urbana ed architettonica tipica degli sviluppi dell’Ottocento. Pertanto, sia all’interno che all’ esterno delle mura, occor-revano nuovi servizi e funzioni. Il Novecento fu il secolo del progresso tecnologico e delle tra-sformazioni sociali, eventi che determinarono una importante richiesta di spazi da destinare alle funzioni nascenti. Il 10 Agosto del 1929 vennero, così, indetti due Concorsi fra gli Ingegneri ed Architetti italiani, uno per il “Progetto di massima del Piano regolatore di ampliamento e siste-mazione interna della città di Pisa”, e l’altro per il “Progetto di sviluppo della Marina di Pisa”. Secondo le linee direttrici del bando, i tecnici erano chiamati innanzitutto a non alterare i ca-ratteri storico-artistici peculiari del centro, mediante la tecnica del “diradamento igienico”, la quale consentiva la messa in luce degli edifi ci principali. In merito alla viabilità essi avrebbero dovuto progettare uno studio in grado di diminuire il traffi co nella zona interna, creando, fuori le mura, i nuovi sobborghi collegati tra di loro attraverso un viale, teso al mantenimento dell’an-tica cinta muraria. Relativamente allo spazio esterno al centro città, per rendere funzionale il sistema dei canali navigabili, si rese necessario localizzare gli spazi industriali ed agricoli che progressivamente si stavano sviluppando. Infi ne, l’ultima area da sistemare era rappresentata dalla Marina di Pisa. Il Progetto maggiormente conforme alle indicazioni del bando fu quello redatto dagli architetti romani Paniconi, Petrucci, Susini e Turafoli, chiamato 3P-ST.

In esso si cercava di mettere in luce i monumenti propri del centro storico, come avvenne nel caso di Santa Caterina, il cui retro venne valorizzato dalla costruzione di una nuova Piazza; dopo ottant’anni venne nuovamente affrontato il tema dell’Hoste, ossia di congiungere tra di loro i monumenti della Città mediante strade perpendicolari all’asse che attraversa il Ponte di Mezzo. Secondo il Piano, per evitare il congestionamento del traffi co nel centro storico, era prevista la creazione di un viale che costeggiasse la parte esterna delle mura urbane, le quali collegavano fra di loro i nuovi quartieri. L’Area industriale a Porta a Mare, la zona vicina al Canale Navicelli e l’ampliamento dell’aeroporto di San Giusto furono anch’esse interessate dal progetto.

Non venne tralasciata, inoltre, la progettazione del verde, difatti, come elemento di unione tra la città antica e la sua espansione furono lasciate libere le aree intorno alle mura, vennero realiz-zati numerosi viali alberati, parchi, aree sportive, scuole, concedendo la possibilità ai residenti degli isolati urbani di disporre di grandi aree verdi.

Le esigenze sociali, culturali, ed economiche della città furono corrisposte dalla costruzione di istituti universitari, nuove facoltà, cliniche specializzate, case, mercati generali e carceri.

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Il Piano realizzato dagli architetti romani presentava, dunque, una traccia esemplare dell’Urba-nistica italiana di quegli anni, che privilegiava progetti urbani a scala intermedia fi nalizzati alla costruzione della città.

Tra gli altri partecipanti al Concorso, la Commissione premiò altri tre progetti, tra cui: il pro-getto dell’Ingegnere C. Chiodi e degli architetti G. Merlo e G. Valtolina di Milano, chiamato C.M.V., il progetto dell’architetto E. Fagiuoli di Verona e dell’Ingegnere G. Steffanon di Pisa, contrassegnati dal motto Spes Nutrit Patientiam ed infi ne, il progetto degli urbanisti romani G. Cancellotti, E. Fuselli, L. Lenzi, E. Montuori, L. picconato, A. scalpelli, R. lavaggio, G. nicolosi e C. Valle, contrassegnati dalla sigla P.817.

In realtà il piano 3P-ST non fu mai adottato, difatti, nel corso degli anni, molti interventi urbani, pubblici e privati, portarono alla nascita di diversi edifi ci pubblici, tra cui il Palazzo di Giustizia, le nuove Cliniche dell’Ospedale Santa Chiara e la fabbrica della Marzotto, costruiti in luoghi diversi rispetto a quelli previsti dal Progetto.

Per questo motivo, nel 1935, fu bandito un secondo Concorso che vide la vittoria di un Proget-to, la cui rielaborazione avvenne solo nel 1938.

Esso, a differenza del Progetto 3P-ST, conteneva un ampliamento della città completamente di-verso, ma soprattutto poneva al centro del piano il miglioramento della viabilità. Erano previste nuove strade e l’urbanizzazione del quartiere di Porta a Lucca, abolendo così l’idea originaria di mantenere una zona di rispetto intorno alla cinta muraria. Altro esempio di rottura dal Piano vincitore del primo Concorso era la distruzione integrale del tessuto storico dell’area della Nun-ziatina per realizzare un tracciato curvilineo di collegamento tra il quartiere Sant’Antonio e le logge dei Banchi, nonché la nuova rete stradale presso la Cittadella che annientò i Vecchi Ma-celli e distrusse l’integrità delle mura per l’apertura di altre brecce di collegamento.

Nel periodo intercorso tra le due guerre mondiali si verifi carono interventi edilizi privi di organi-cità urbanistica in grado di dar vita ad un impatto visivo complessivo; le fondamentali regole di pianifi cazioni sulle quali si erano basati i piani regolatori realizzati erano ormai messe da parte. Pertanto lo stile tipico della cultura di regime era ravvisabile solo in alcuni edifi ci che si per-devano nel tessuto urbano della città, destando indifferenza nei loro confronti18. Tutto ciò non

consentiva una visione di insieme, era quindi negata una uniformità architettonico-urbanistica. Una situazione di degrado, incentivata dalle distruzioni belliche e dagli interventi di ricostruzio-ne che urbanizzarono tutte le aree confi nanti alla cinta muraria, creando una periferia priva di qualsiasi qualità urbana, prese il sopravvento sull’entusiasmo derivante dai temi di riqualifi ca-zione e costruca-zione della città risalente ai primi anni del Novecento.

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Figura 2.18–Progeto 3P-ST, vincente del Concorso per il nuovo piano regolatore e di ampliamento di Pisa ad opera degli architetti romani Mario Paniconi, Giulio Pediconi, Concezio Petrucci, Alfio Susini, Mose’Tufaroli, divenuto nel 1931 Piano Regolatore di Pisa e di Marina di Pisa

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Figura 2.20–Concorso per il nuovo piano regolatore e di ampliamento di Pisa, progetto proposto dal gruppo denominato forma urbis pisarum. Questo progetto si differenzia perché prevede tre espansioni residenziali autonome, quasi quartieri-satelliti uno esterno a Porta a Lucca, uno verso Cisanello e il terzo a San Giusto

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Figura 2.21–Concorso per il nuovo piano regolatore e di ampliamento di Pisa, gruppo CMV. Il progetto si sovrappone al centro storico con un sistema urbano di confluenze scenografiche ed effetti prospettici attraverso una elaborata articolazione di percorsi

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Figura 2.22–Concorso per il nuovo piano regolatore e di ampliamento di Pisa, questo progetto addossa al centro storico grandi espansioni urbane senza lasciare nemmeno una fascia di verde al di fuori delle mura, e si sovrappone totalmente all’antico tessuto con un reticolo di piazze collegate tra loro da radiali regolari e grandi assi rettilinei

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Figura 2.23–Concorso per il nuovo piano regolatore e di ampliamento di Pisa, gruppo P.8. Il progetto assume la ferrovia come un limite e pertanto l’espansione risulta limitata verso est e verso sud. In particolare, verso sud accanto alla zona industriale viene previ-sto soltanto un vaprevi-sto quartiere operaio

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2.1.9 IL PIANO DI RICOSTRUZIONE DOPO LA II GUERRA MONDIALE

Durante la Seconda Guerra Mondiale, Pisa subì gravissimi danni, tanto che nel dopoguerra si avviò subito un processo di ricostruzione; gli architetti ed ingegneri Pera, Bellucci, Ciangherotti e Fascetti redassero un Piano di ricostruzione che, insieme alle successive varianti, rimarrà lo strumento operativo fi no all’adozione del PRG del 1965.

Il Piano conteneva delle espansioni esterne al centro cittadino di media e bassa densita, date da molteplici cause; prima fra tutte l’impossibilità di operare all’interno del tessuto urbano, già molto denso perché di origine medievale e con una orditura viaria minuta, che non soddisfaceva più le esigenze dell’epoca.

Si può dire che i bombardamenti bellici furono l’occasione per rimettere mano ad un sistema urbano che ormai non accontentava più i bisogni dei cittadini; venne rivista la rete stradale, sia interna che esterna, vennero create nuove piazze, attuati espropri di aree edifi cate e, inoltre, vennero imposti divieti di ricostruzione in alcune aree in modo da diradare gli edifi ci.

Si mirava ad una più facile accessibilità alle funzioni più importanti, come la stazione ferrovia-ria, alle principali strade di comunicazione (via Tosco-Romagnola, via del Brennero, via Aurelia) e ai quartieri della città, riprendendo alcune linee guida del Piano vincitore del concorso del 1929, per un impatto piuttosto radicale sul tessuto storico cittadino.

II Piano introdusse inoltre una viabilità di circonvallazione: un semi-anello esterno di colle-gamento tra la via Aurelia e la Calcesana che avrebbe congiunto i quartieri di San Giusto e di Porta a Piagge. Inoltre, in relazione alle varie zone di intervento, si indicavano le diverse densità e tipologie edilizie; ad esempio nella zona della stazione si concentrava le attività recettiva ed erano ammesse ricostruzioni fi no ad una altezza di 30 metri con tipologie a palazzo porticato, mentre per quanto riguarda le vie adiacenti si potevano raggiungere i 15 metri.

Tutti questi interventi determinarono un aumento di densità e drastici cambiamenti morfologici; la città non era più legata al suo tessuto storico.

Per quanto riguarda la viabilità vennero realizzati solo gli interventi relativi alla zona della sta-zione, la via di collegamento tra il Ponte Solferino e la via Bonanno e il raccordo tra quest’ultima e il Ponte della Cittadella; per ciò che concerne invece la lottizzazione dell’area della Cittadella, non venne realizzata. Negli anni ‘50 si realizzò, su progetto di Michelucci, una sfortunata si-stemazione a verde di questa area, mai aperta al pubblico per un contenzioso patrimoniale tra Stato e Comune e ridotta ben presto ad area degradata.

Nella zona di Porta a Mare vennero realizzati la Chiesa di San Giovanni al Gatano di Saverio Muratori, il Poliambulatorio di Roberto Menghi e la nuova sede della Canottieri Arno di Luigi

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Pera, ognuno dei quali rappresentava un’interessante architettura caratterizzata da notevoli aspetti compositivi e strutturali. Realizzazioni signifi cative furono inoltre il palazzo della Borsa di Commercio di Bartolucci che ripercorreva in chiave moderna I’idea della defi nizione volume-trica della piazza Vittorio Emanuele continuandone il disegno; il nuovo quartiere residenziale di Ignazio Gardella e Roberto Menghi costituito da un insieme di villette a schiera su un’area vicina al Parco di San Rossore; e il nuovo villaggio CEP di Italo Gamberini costituito da un’edi-lizia economica popolare per quindicimila abitanti. Tutti questi interventi di buona qualità non riuscirono però purtroppo a innescare un processo di riqualifi cazione generale della città.

PRG DI DODI E PICCINATO

Nel 1965 venne adottato il nuovo Piano Regolatore Generale di Dodi e Piccinato, quando già le varianti al Piano di Ricostruzione avevano consentito di attuare vari programmi di edifi cazione residenziale pubblica, come i quartieri popolari satellite dei Passi, di Gagno e del CEP. La rela-zione tecnica del P.R.G. Dodi Piccinato infatti recitava: «Lo sviluppo del dopoguerra realizzatosi in tutte le direzioni rischia di porre oggi la città al centro di una espansione isotropa a macchia d’olio, la cui radiocentricità minaccia di soffocare I’antico nucleo urbano. II nuovo piano rego-latore deve assumere come punto di base lo sforzo di rottura di questo accerchiamento con la creazione di un nuovo sistema di sviluppi riuniti in una relazione prevalente, tale da comporre I’insieme di un nuovo organismo aperto anziché chiuso»19.

Dodi e Piccinato, andando contro a tutte le precedenti bozze di PRG degli anni ‘50 e ‘60, indi-rizzaro lo sviluppo residenziale e industriale verso est, nell’area di Cisanello; ciò avvenne dopo che presero atto che i territori di maggior valore naturalistico e paesaggistico erano situati a ovest (San Rossore, Tombolo e Coltano) e che la zona ad est (da Cascina a Pontedera) godeva di una forte relazione socio-economica con la città.

Questo Piano venne approvato nel 1970, ma fu subito oggetto di numerose varianti tra le quali quella generale del 1973 e quella dell’aggiornamento cartografi co del 1979. Queste varianti andavano contro il concetto unidirezionale proposto da Dodi e Piccinato, a favore del più tra-dizionale modello a macchia d’olio. Le modifi che riguardavano una minor rigidità tipologica; si prevedevano non più espansioni a blocco multipiano, ma tipologie unifamiliari, più alla portata dei piccoli operatori economici locali.

Negli anni ‘80 l’Amministrazione Comunale si incaricò di redigere un nuovo Piano Regolatore; nell’area di Cisanello vi fu una vera e propria corsa a costruire il più velocemente possibile e a

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costi contenuti per paura che le nuove direttiva potessero limitare l’indice fondiario di tali zone, vista I’inversione dell’andamento demografi co, e in questo modo si venne a creare una periferia priva di qualsiasi qualità urbana20.

La normativa del Piano, sebbene rispondente ai parametri quantitativi di legge, con la sua ri-gidità produsse una nuova realtà edilizia discordante con I’ambiente costruito preesistente. La città si sviluppava così in termini parassitari, sia nell’ampliamento delle periferie già esistenti, sia nelle zone di nuova espansione.

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IL PRELIMINARE DI ASTENGO

Nel 1986 Giovanni Astengo21 fu incaricato

dall’Amministrazione Comunale per l’elabo-razione di un nuovo P.R.G. coadiuvato da un gruppo di tecnici interno al Comune coordina-to da Riccardo Ciuti22. Si doveva far fronte a

tutte quelle problematiche emerse che il Pia-no Dodi-Piccinato Pia-non riuscì a risolvere. Il processo di formazione del Piano fu prece-deduto da un progetto preliminare, dal quale derivare, con opportuni sviluppi e varianti, il defi nitivo Piano Regolatore.

Il suo progetto si basava sostanzialmente sul fatto che il processo di formazione delle deci-sioni non dovesse derivare dalle imposizioni del governo locale, ma da un confronto co-stante e aperto con la città; inoltre Astengo sosteneva che si dovesse inglobare all’interno della pianifi cazione anche le zone esterne alla cinta muraria, al contrario di come era avvenu-to fi no ad allora, quando le periferie esterne si andavano formando fuori ogni controllo. Astengo voleva distaccarsi e superare il mo-dello di pianifi cazione fondato sullo zoning23

e sulle zone omogenee24 perché lo riteneva

inadatto a conservare l’immagine del centro storico.

Questo modello poteva essere adeguato solo per aree limitate e con caratteri uniformi, mentre per il resto delle aree già parzialmente o totalmente edifi cate, poteva condurre all’ap-piattimento e allo scadimento dell’immagine urbana.

Figura 2.29–Analisi morfologica e ambientale del centro storico di Giovanni Astengo

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Astengo sostituì questo modelli con il suo impianto normativo, capace di controllare i vari tipi edilizi presenti nella morfologia urbana, di gestire precisi volumi da rimuovere, da trasformare e di defi nire gli arredi urbani, gli spazi per i servizi, per il verde e per i parcheggi. Inoltre utilizzò largamente il Piano di Recupero25, elaborandone vari nel proprio progetto preliminare, al fi ne di

prescrivere paramentri per le aree di maggiore interesse storico o ambientale.

Concludendo, il Progetto Preliminare di Astengo era rivolto, da un lato al riordino e al rinnovo del tessuto esistente, dall’altro esponeva idee di grande respiro che miravano alla riorganizza-zione dell’intero insediamento pisano.

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Una di esse verteva sulla riorganizzazione del traffi co; Astengo prevedeva un sistema viario esterno, dal quartire di Cisanello fi no all’Aurelia, che avrebbe separato le varie categorie di fl ussi di traffi co e proposto modifi che al percorso ferroviario. Altre indicazioni di vasto rilievo urba-nistico previste dal Preliminare furono lo spostamento dell’Ospedale Santa Chiara a Cisanello, rimasto invece a lungo a ridosso della Piazza del Duomo, e il suo recupero per funzioni museali; la rilocalizzazione delle sedi universitarie, tra I’altro recuperando le Industrie Marzotto e i vecchi Macelli; il decentramento di altre strutture pubbliche dal centro storico; la rilocalizzazione di edifi ci produttivi il recupero di volumi per le residenze studentesche. Alcuni importanti inter-venti hanno trovato soluzione urbanistica e si sono materializzati nel corso della formazione del Preliminare, a dimostrazione che I’alta professionalità e i rigorosi criteri seguiti erano al tempo stesso molto concreti.

Nel febbraio del 1990, Astengo consegnò il proprio Progetto Preliminare alla Giunta Comunale, purtroppo però, non poté essere rielaborato a causa della sua prematura scomparsa, ma lasciò uno strumento già particolarmente sviluppato nei suoi vari aspetti descrittivi, grafi ci e normativi, tanto da cambiare nell’immaginario collettivo il concetto dell’urbanista. Quest’ultimo diventava un ruolo di carattere prettamente scientifi co, basato su un lungo percorso di documentazione, quantifi cazione, analisi ed elaborazione di valori numerici e non rappresentativi dei carateri socio-economici della popolazione e morfologici-strutturali della città.

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