• Non ci sono risultati.

Discrimen » I limiti penali dell’uso della forza pubblica: una indagine di parte generale

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Discrimen » I limiti penali dell’uso della forza pubblica: una indagine di parte generale"

Copied!
280
0
0

Testo completo

(1)
(2)
(3)

Temi e problemi del diritto

STUDI discipline civilistiche

discipline penalistiche - Criminalia discipline pubblicistiche

filosofia del diritto storia del diritto

TESTI CLASSICI

Comitato scientifico

Marcello Clarich, Aurelio Gentili, Fausto Giunta, Mario Jori, Mario Montorzi,

Michele Taruffo

(4)
(5)

Edizioni ETS

I limiti penali

dell’uso della forza pubblica:

una indagine di parte generale

(6)

© Copyright 2019 EDIZIONI ETS

Palazzo Roncioni - Lungarno Mediceo, 16, I-56127 Pisa info@edizioniets.com

www.edizioniets.com Distribuzione Messaggerie Libri SPA

Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 Assago (MI) Promozione

PDE PROMOZIONE SRL via Zago 2/2 - 40128 Bologna

ISBN978-884675628-2 ISSN 2283-5296

Volume realizzato grazie al contributo del MIUR, linea di finanziamento FFABR (Fondo di Finanziamento delle Attività Base di Ricerca) 2017, prevista dall’art. 1, commi 295 ss., legge 11 dicembre 2016, n. 232.

(7)

dell’uso della forza pubblica:

una indagine di parte generale

(8)
(9)

ed a mio padre, esempio di rettitudine e perseveranza

Art. 7. […] Coloro che promuovono, trasmettono, eseguiscono o fanno eseguire ordini arbitrati debbono essere puniti; ma ogni cittadino, chiamato o arrestato in forza della legge, deve obbedire all’istante. Egli si rende col- pevole resistendo.

Art. 12. La garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino rende necessaria una forza pubblica; questa è dunque istituita per il vantaggio di tutti, e non per l’utilità particolare di coloro ai quali è affidata.

[Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789]

(10)
(11)

Premessa

Ragioni e delimitazione della ricerca Capitolo I

I limiti statici e situazionali all’utilizzo della forza pubblica

1. La disciplina dell’uso della forza pubblica come baricentro dell’equilibrio tra Autorità e Libertà: ambito della trattazione

2. Il profilo “statico” della legittimazione alla coazione pubblica: i soggetti auto- rizzati a farne uso ed i compiti di istituto che possono richiederne l’impiego 2.1. L’attività di polizia e le sue fondamentali partizioni

2.2. Il potere di «coazione diretta» come attribuzione tipica connessa all’e- sercizio dell’attività di polizia: alcune distinzioni

3. Il profilo “dinamico-situazionale” del ricorso alla violenza pubblica 3.1. La violenza da respingere

3.2. La resistenza da vincere

3.3. L’impedire comunque la consumazione di determinati delitti

4. I limiti statici e situazionali all’uso della forza pubblica: un primo riepilogo Capitolo II

I limiti modali nell’uso degli strumenti di coazione fisica

1. Le «armi» e gli «altri mezzi di coazione fisica»: una prima delimitazione categoriale

2. Il piano dell’indagine: le regole operative per l’impiego di alcuni tipici stru- menti individuali di coazione fisica

3. Lo «Use of Force Continuum» ed il ricorso all’arma da fuoco

4. Le moderne «Less Than Lethal Weapons» a disposizione della Forza pubblica:

la pistola «Taser» e lo «spray O.C.»

4.1. L’ingresso di tali strumenti di coazione fisica nell’ordinamento italiano 4.2. I rischi per la salute umana e le regole prudenziali per il loro impiego 5. Gli strumenti da impatto

6. La procedura di ammanettamento ed il pericolo di morte da asfissia posturale 15

17

17 2128

32 3943 49 54 57

59

59 64 66 70 71 75 8183

(12)

Capitolo III

I modelli codicistici di disciplina dell’uso pubblico della forza: uno sguardo storico-comparatistico

1. Oggetto dell’indagine

Sezione I. Il modello liberale del codice Zanardelli

2. Diritti dell’individuo e limiti del potere pubblico nell’ideale del liberalismo:

minime coordinate teoriche

2.1. La pratica attuazione dei principî, ossia del così detto “autoritarismo liberale”

2.2. Le attribuzioni e le guarentigie del pubblico ufficiale nel modello napo- leonico ed i temperamenti degli artt. 192 e 199 del codice Zanardelli 2.3. Il riferimento all’«eccesso» nell’esercizio della «forza pubblica» nei

codici piemontesi

2.4. Il trattamento penale del ricorso alla violenza da parte degli agenti della pubblica forza nel codice Zanardelli

2.5. (Segue) L’uso della violenza pubblica tra adempimento della legge e necessità di difendersi del pubblico ufficiale

2.6. (Segue) La «necessità di respingere da sé o da altri una violenza attuale e ingiusta»

2.7. (Segue) Il ridotto ruolo della provocazione Sezione II. Il modello tedesco

3. La disciplina dello «Schusswaffengebrauch der Polizei»: uno sguardo d’insieme 3.1. L’uso dell’arma da fuoco nel «Verwaltungsrecht»: note sistematiche 3.2. (Segue) La disciplina amministrativa dell’uso dell’arma da fuoco 3.3. La dimensione penalistica del tema ed i problemi di perimetrazione verso

il «Polizeirecht»

Sezione III. Il modello originario del codice Rocco

4. La “rivoluzione” fascista ed il rapporto Stato-individuo: il pensiero politico di Alfredo Rocco

4.1. La tutela penale codicistica del pubblico ufficiale di fronte al cittadino 4.2. L’inserimento dell’art. 53 c.p. nel sistema di giustificazione penalistica

dell’uso della forza pubblica

4.3. La così detta “garanzia amministrativa” dell’art. 16 c.p.p. abr.

5. Un primo tentativo di sintesi Capitolo IV

L’uso della forza pubblica nella cornice delle odierne norme apicali

1. Libertà ed Autorità nel quadro delle norme di vertice dell’ordinamento giuridico: l’oggetto dell’indagine

2. La posizione dell’individuo nella Carta costituzionale: tra diritti, doveri, libertà e limiti

89 89

91 94 99 104 108 110 115119

121123 124 135

140142

145149 152

161 161 162

(13)

2.1. L’approccio della dottrina penalistica al rapporto Stato-individuo: il pensiero di Ferrando Mantovani

2.2. «Diritti inviolabili» dell’uomo e prerogative dello Stato democratico: la necessità di una lettura storicamente orientata del loro rapporto 2.3. Il collegamento tra «diritti inviolabili» e «doveri inderogabili»: in specie,

gli obblighi solidaristici previsti dall’art. 53, comma 1, Cost.

2.4. Sicurezza ed ordine pubblico nella Costituzione: rilievi preliminari 2.5. (Segue) Sicurezza ed ordine pubblico come limiti alle libertà della

persona

3. L’uso della forza pubblica come atto amministrativo esecutorio: le direttive di principio

3.1. Potere di coazione diretta ed «esecutorietà» degli atti di polizia 3.2. I principî di riferimento dell’azione di polizia alla luce del diritto ammi-

nistrativo costituzionalmente orientato

3.3. (Segue) La responsabilità diretta dell’agente pubblico e la vicenda della garanzia amministrativa

4. Uso della forza pubblica e diritto alla vita nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo

4.1. L’art. 2 CEDU e l’obbligo di «adeguatezza» della disciplina nazionale in materia di uso della forza pubblica con effetti potenzialmente letali 4.2. Il legittimo ricorso alla forza mortale: il paragrafo secondo dell’art. 2

CEDU ed il limite della «assoluta necessità»

4.3. Le potenziali ricadute dei desiderata convenzionali sull’art. 53 c.p.:

cenni alle opinioni sorte in dottrina Capitolo V

La giustificazione dell’uso della forza pubblica: i limiti sistemici

1. Limiti «statici», limiti «situazionali», limiti «modali» e limiti «sistemici»

all’uso della forza pubblica

2. La «necessità» di ricorrere alla forza nell’esercizio della pubblica funzione 3. L’uso «proporzionato» della forza pubblica

3.1. La progressiva emersione della proporzionalità quale limite assiologico effettivo all’uso della forza pubblica

3.2. Dalla «proporzione» al «giudizio di proporzione»: i problematici oggetti da porre in bilanciamento

3.3. (Segue) L’irriducibile fluidità della “regola di prevalenza” tra gli interessi 4. Una problematica e provvisoria chiusa

Per concludere Bibliografia

163 166 170 177 182 186186

189 195 200 201 205 210

217 217218 223 227 231235 239 243 253

(14)
(15)

Ragioni e delimitazione della RiceRca

i tragici episodi di cronaca che, negli ultimi anni, raccontano del cruento uso della forza da parte dell’apparato di pubblica sicurezza hanno suscitato apprensione ed un vasto dibattito anzitutto in seno alla così detta “società civile”. ed in quanto parte di essa, anche il giurista, ovviamente dall’ambito prospettico che gli si addice, è chiamato ad offrire il proprio contributo. invero, fatti come il decesso, nel corso dello svolgi- mento di ordinarie operazioni di polizia, di Federico aldrovandi, di Stefano cucchi, di gabriele Sandri o di Riccardo magherini, giusto per citare casi ai quali i media hanno dato ampio risalto, ripropongono all’attenzione dello studioso del diritto, seb- bene da angolazioni in parte differenti, anzitutto il problema quanto mai storicamente dibattuto della individuazione dei limiti che l’uso della coazione pubblica incontra di fronte ai diritti fondamentali dell’individuo. in questa sede, si intende perciò racco- gliere lo stimolo che dai suddetti fatti di cronaca proviene a riflettere ulteriormente sulla disciplina generale che sovraintende all’esercizio di tale incisiva forma di espres- sione dell’imperium pubblico, prendendo a filo conduttore del discorso l’art. 53 c.p.

Per vero, la presente ricerca non intende strutturarsi né come precipuo ed analitico studio di tale disposizione codicistica, alla quale, del resto, la dottrina ha nel tempo già dedicato significative trattazioni di stampo monografico1, né come viatico per un più generale studio delle cause di giustificazione, campo, anch’esso, ormai profondamente arato, anche di recente2. il riferimento costante alla suddetta disposizione nondimeno si impone sia perché – o non fosse altro perché – essa ha più volte fornito l’occasio per riflettere più ampiamente sul variabile punto di equilibrio tra esercizio dell’autorità e rispetto della libertà che essa concorre innegabilmente ad individuare, sia perché il quadro di sistema nel quale essa si trova oggi ad operare ne autorizza una lettura distaccata dalle originarie matrici autoritarie ed in grado invece di coglierne – forse non senza alimentare un certo paradosso storico – persino gli effetti delimitativi che essa parrebbe potere imporre all’agire violento del pubblico ufficiale. della fattispecie recata dall’art. 53 c.p., infatti, si è cercato qui di valorizzare le indicazioni che da essa

1 il riferimento è, in particolare, ad AlibrAndi, L’uso legittimo delle armi, milano, 1979; lAuro, L’uso le- gittimo delle armi e degli altri mezzi di coazione fisica nell’ordinamento italiano, Vª ed., Roma, 1999; MusAcchio, L’uso legittimo delle armi, milano, 2006; cAruso de cArolis, continiello, L’uso legittimo delle armi, Bergamo, 2016; sArtArelli, Uso legittimo della violenza pubblica e diritto penale, Bari, 2018.

2 Sia sufficiente, per tutti, il richiamo al recentissimo ed ampio lavoro di consulich, Lo statuto penale delle scriminanti, torino, 2018, passim, ed all’ampia bibliografia che ivi si rinviene.

(16)

parrebbero potersi utilmente trarre per la ricostruzione “in positivo” dei presupposti legittimanti l’uso della forza pubblica, ovviamente nel collegamento con tutto il siste- ma penale (e non solo).

in specie, la ricerca si propone di evidenziare, nei suoi primi due capitoli, anzitutto quali siano i soggetti pubblici titolari del potere di utilizzare la forza nei confronti dei cittadini e le situazioni di fatto al cui ricorrere essi ne possono fare praticamente uso, nonché le modalità operative con le quali l’utilizzo dei (più comuni) mezzi di coazione deve avvenire. nel terzo e quarto capitolo si esploreranno i presupposti politici e nor- mativi che sovraintendono all’uso della forza da parte dell’apparato pubblico, e quindi fissano il delicato punto di equilibrio tra la forma di espressione più rappresentativa ed incisiva dell’autorità, ed il rispetto dei diritti dei cittadini, in primis di quelli alla vita ed alla incolumità fisica. in particolare, nel terzo capitolo si cercherà di definire quali siano state le cornici politico-istituzionali entro le quali il rapporto autorità-individuo deve essere inquadrato nel passaggio dallo Stato liberale a quello autoritario, simbo- leggiato, sul piano interno, dal subentro del codice Rocco a quello firmato da giusep- pe zanardelli e, sul piano esterno, dal confronto del primo con le soluzioni adottate – allora come oggi – dallo StGB tedesco. nel quarto capitolo, invece, l’attenzione si concentrerà sulle coordinate di principio entro le quali il suddetto rapporto deve essere oggi correttamente inquadrato. in tale ultima ottica, il riferimento non potrà che esse- re, dal punto di vista interno, alla nostra costituzione e, da quello sovranazionale, alla convenzione europea dei diritti dell’uomo, che non solo, come del resto altri strumenti internazionali, riserva una specifica considerazione al tema che qui interessa, ma, come noto, è continuamente vivificata dalla giurisprudenza della corte di Strasburgo. nel quinto capitolo, e sempre con attenzione alle indicazioni provenienti dall’art. 53 c.p., si cercheranno di evidenziare quei criteri che nella sostanza – almeno così ci pare – rendo- no definitivamente lecito l’agire violento del pubblico ufficiale, ovverossia il rispetto, nella situazione operativa concreta, dei limiti sistemici della necessità e della propor- zione nell’uso della forza.

non mancheranno, infine, alcuni rilievi conclusivi, ove si cercherà di tirare le fila del discorso sino a lì intrapreso, anche alla luce di ulteriori spunti.

(17)

I lImItI statICI e sItuazIonalI all’utIlIzzo della forza pubblICa

Sommario: 1. la disciplina dell’uso della forza pubblica come baricentro dell’equilibrio tra autorità e libertà: ambito della trattazione. – 2. Il profilo “statico” della legittimazione alla coazione pubblica: i soggetti autorizzati a farne uso ed i compiti d’istituto che possono richiederne l’impiego. - 2.1. l’attività di polizia e le sue fondamentali partizioni. - 2.2. Il potere di «coazione diretta» come attribuzione tipica connessa all’esercizio dell’attività di polizia: alcune distinzioni. – 3. Il profilo “dinamico-situazionale” del ricorso alla violenza pubblica. - 3.1. la violenza da respingere. - 3.2. la resistenza da vincere. - 3.3. l’impedire comunque la consumazione di determinati delitti. – 4. I limiti statici e situazionali all’uso della forza pubblica: un primo riepilogo.

1. La disciplina dell’uso della forza pubblica come baricentro dell’equilibrio tra Autorità e Libertà: ambito della trattazione

probabilmente, è anzitutto la logica comune, piuttosto che il puntuale e pletorico richiamo di una letteratura pressoché sterminata1, ad accreditare l’affermazione se- condo cui la possibilità di fare uso della forza in modo lecito costituisce l’attributo più vistoso che connota l’idea comune di «pubblica autorità», di «pubblico pote- re», di «sovranità pubblica», ovverosia, in una sola e riassuntiva parola, di «stato»2.

1 nondimeno, ineludibile appare il richiamo alla nota teoria weberiana che individua lo stato proprio in virtù del «monopolio» che esso detiene, all’interno del proprio territorio, «dell’uso legittimo della forza fisica»:

v. infatti Weber, Politik auf Beruf (1919), trad. it. di CoCCia, La politica come professione, con introduzione di Cavalli, roma, 1997, 32 s., nonché in modo più esteso, nella logica della triplice distinzione del potere legittimo in «razionale» (legale, e che si avvale di un apparato amministrativo burocratico), «tradizionale» (per consue- tudine) e «carismatico» (religioso), a secondo della fonte della sua legittimità, v. id., Wirtshaft und Gesellschaft (1922), trad. it coordinata da roSSi, Economia e società, I, milano, 1961, 210 s. la persistenza di un tale monopolio è peraltro ancora oggi confermata nel nostro ordinamento dal divieto penalmente sanzionato di farsi giustizia da sé usando la violenza e dalla eccezionalità delle ipotesi nelle quali il privato è ammesso a fare uso di quest’ultima (v.

artt. 392, 393, 571 e 52 c.p.).

2 Valgano per tutte, al riguardo, le riassuntive definizioni di stato quale «forma storica di organizzazione del potere politico, che esercita il monopolio della forza legittima in un determinato territorio e si avvale di un apparato amministrativo», ovvero, secondo altra prospettiva, quale «ordinamento giuridico originario, in quanto i suoi poteri non derivano da altri soggetti, e «sovrano», poiché dotato di «una capacità di agire senza altri limiti che quelli posti da se stesso […]»: v. infatti, rispettivamente, bin, Pitruzzella, Diritto pubblico, Xª ed., torino, 2012, 6, e barile, Cheli, GraSSi, Istituzioni di diritto pubblico, XVª ed., padova, 2016, 7-8 (corsivi nel testo). per una più ampia rico- struzione storica della elaborazione dottrinale del concetto di stato-istituzione e delle sue principali catteristiche, si veda comunque, e per tutti, bobbio, Stato, governo, società. Per una teoria generale della politica, torino, 1985, 43 s.

(18)

ed invero, «stato», «potere», «autorità», «forza» e «violenza» sono concetti che la pubblicistica più tradizionale – ma forse ancora prima la storia sul piano empirico – ritiene legati da un quanto mai visibile fil rouge3. d’altra parte, è sempre ed anzi- tutto il medesimo buon senso a suggerire come sia proprio il dispiegarsi di una tale forza, coazione o violenza, che dire si voglia4, a costituire, molto più di quanto faccia l’esercizio di altre attribuzioni tipiche della pubblica autorità, lo strumento in gra- do di incidere in modo più profondo sui diritti e sulle libertà di coloro che ad essa risultano soggetti. tanto più, infatti, i presupposti legittimanti l’uso della coazione pubblica si riveleranno laschi, quanto più, intuitivamente, saranno ad immediato rischio i beni primari della persona, a partire da quelli della vita e dell’incolumità individuale; e quanto più, ulteriormente, risulteranno di facile compressione – a ben vedere – anche le altre libertà delle quali il cittadino dovesse formalmente godere, il cui esercizio, infatti, sarebbe costantemente sottoposto alla spada di damocle della reazione pubblica.

non deve stupire, perciò, che alla stessa affermazione dello stato moderno, e quindi alla teorizzazione del concetto di «sovranità», che ne coglie l’essenza, abbia corrisposto il problema della definizione dei limiti di esercizio delle prerogative che tale sovranità compongono5, tra le quali, in primis, quella di fare uso della forza, essendo stata sin dall’inizio particolarmente avvertita la necessità di «evitare una trasformazione dello strumento di coazione in strumento di repressione» del tutto incontrollato6. del re- sto, che la riserva dell’utilizzo (legittimo) di quest’ultima costituisca la più connota- tiva attribuzione della sovranità statuale, pur non esaurendola7, ovvero, secondo una diversa prospettiva, che le norme poste dallo stato siano per antonomasia coercitive, quindi esigibili con l’uso della forza8, sembra confermato dal fatto che, nel distinguere

3 a tale proposito, sia sufficiente il richiamo all’ampia e classica trattazione di PaSSerind’entrèveS, La dot- trina dello stato. Elementi di analisi e di interpretazione, IIIª ed., torino, 2008, 19 s., 31 s., 113 s., 225 s., nonché, sebbene in termini non sempre coincidenti, l’agile saggio di arendt, On violence (1970), trad. it. di d’amiCo, Sulla violenza, parma, 1996, spec. 39 s.

4 pur essendo consapevoli che i lemmi «forza», «coazione» e «violenza» non sono perfettamente sinonimi, tanto più nell’ambito del diritto penale, al fine di evitare fastidiose ripetizioni nel discorso essi verranno utilizzati in modo promiscuo, salvo diversa specificazione, essendo comunque sottinteso che la presente trattazione intende focalizzarsi sull’uso della violenza personale fisica sul cittadino da parte dell’autorità.

5 mette chiaramente in luce tale dato storico, tra gli altri, toSato, Stato (dir. cost.), in Enc. dir., XlIII, mi- lano, 1990, 768.

6 V. icasticamente d’ambroSi, adornato, L’uso legittimo degli strumenti di coazione fisica nei servizi a tutela dell’ordine pubblico, milano, 2006, 6.

7 per una agile ricostruzione storica del concetto di «sovranità», legato all’opera di razionalizzazione di Jean bodin, e delle sue componenti, v. alleGretti, Profilo di storia costituzionale italiana. Individualismo e assolutismo nello stato liberale, bologna, 1989, 101 s. e Giannini, Stato (dir. vig.), in Enc. dir., XlIII, milano, 1990, 224 s.

8 la nota prospettiva è quella normativistica di Hans Kelsen, il quale, ricondotta l’essenza del fenomeno statuale ad «un ordinamento nel senso di un sistema di norme», vede l’elemento che distingue tale ordinamento da quello di altre comunità sociali nel suo carattere «coercitivo», dato che le norme che lo compongono si caratterizzerebbero «per il fatto di sancire uno specifico atto coercitivo che, a determinate condizioni, dev’essere posto da un essere umano contro un altro essere umano»; nella prospettiva del giurista austriaco, la sovranità

(19)

le così dette «forme di stato», si ricordi come sia proprio la diversità della disciplina che regolamenta il «potere di usare legittimamente la coercizione» nei confronti dei cittadini9, e quindi il «modo in cui è risolto il rapporto tra autorità e libertà»10, a dare principalmente ragione alle diverse categorie concettuali dello «stato assoluto», dello

«stato liberale», dello «stato totalitario» e via dicendo.

se perciò si muove dall’idea che l’uso della forza costituisce, ad un tempo, la più vistosa espressione esteriore della sovranità dello stato e lo strumento di compressio- ne maggiormente penetrante delle libertà personali, sarà difficile non riconoscere alle norme che tale potestas disciplinano una rilevanza sistematica assolutamente centrale, apparendo queste come una sorta di “manifesto” del modo di intendere il rapporto dialettico tra autorità e libertà che un certo ordinamento esprime in un determina- to momento storico11. «poco importa che in un paese non esista la pena di morte», sostiene ad esempio luigi ferrajoli, se poi, tra le altre cose, «il monopolio penale e giudiziario dell’uso della violenza può essere vanificato dai poteri paralleli più o meno estesi in tema di libertà conferiti dalle stesse leggi alle forze di polizia»12. ed è proprio su tali «leggi», lato sensu intese, che si vuole qui soffermare l’attenzione.

a tale proposito, occorre da subito avvertire che, in ordinamenti complessi come quelli attuali, la ricognizione delle disposizioni che regolano l’uso della forza da parte dell’autorità pubblica è opera che non solo appare di intuitiva difficoltà ma che pure risente, almeno in una certa qual misura, delle scelte discrezionalmente operate da colui che la intraprende. Va difatti tenuto presente che il riferimento alla “regolamen- tazione” – ovviamente da intendersi in senso giuridico – di un certo fenomeno si presta ad essere interpretato con ampiezza assai diversa, il che richiede ulteriori precisazioni.

Così, ad esempio, occorrerebbe chiarire se in tale riferimento si intenda comprendere anche le eventuali norme che attribuissero ad una determinata autorità il potere od il dovere di ricorrere alla forza in determinate circostanze, ovvero se, dando per presup-

dello stato, invece, consisterebbe nell’essere tale ordinamento «supremo», cioè «non derivabile, nella sua va- lidità, da alcun ordinamento superiore», dipendendo tale validità da una norma «presupposta» e «ultima», in quanto «non più bisognevole di alcuna ulteriore legittimazione o derivazione» (così detta «norma fondamentale»

o Grundnorm): v. infatti KelSen, Lineamenti di teoria generale dello stato, a cura di Carrino, I, torino, 2004, rispettivamente 5 s., 19 s. e 33 s. (corsivi nel testo).

9 secondo volPi, Libertà e autorità. La classificazione delle forme di Stato e delle forme di governo, IVª ed., torino, 2010, 5 s., infatti, la forma di stato alluderebbe all’«insieme dei principi e delle regole fondamentali […]

che disciplinano i rapporti tra lo stato, inteso […] come apparato titolare del potere di usare legittimamente la coercizione, da un lato, e la comunità dei cittadini, singoli o associati, dall’altro».

10 Così, da ultimo, Caretti, de Siervo, Diritto costituzionale e pubblico, IIª ed., torino, 2014, 20, ed in precedenza, per tutti, v. autorevolmente mortati, Istituzioni di diritto pubblico, I, IXª ed., padova, 1975, 135 e bobbio, Stato, cit., 95.

11 Invero, osserva condivisibilmente lavaGna, Autorità (dir. pubbl.), in Enc. dir., IV, milano, 1959, 483, che sul piano giuridico «la libertà non è un prius rispetto all’autorità, ma sorge con essa, in virtù del medesimo sistema normativo», con la conseguenza, tra le altre, che «il rapporto autorità-libertà è un rapporto valutabile in termini esclusivamente giuridici; cioè alla stregua di un qualche ordinamento (positivo o anche ipotetico o utopistico)».

12 Cfr. Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, IXª ed., roma-bari, 2008, 795-796.

(20)

posto tale aspetto, si voglia focalizzare l’attenzione su quelle regole che disciplinano poi in concreto l’esercizio della violenza pubblica in siffatti frangenti. si dovrebbe inoltre chiarire sino a quale livello regolativo si intende spingere la ricognizione norma- tiva, che in tale ambito risulta anzitutto perimetrata dalle disposizioni costituzionali e comunitarie, da un lato, e da quelle della legge ordinaria statale, dall’altro: fonti, tutte queste, che senz’altro restituiscono un’immagine significativa della regolamentazione della materia, ma che di certo non la esauriscono, risultando non meno rilevanti, quan- to meno agli effetti pratici, le discipline amministrative di natura operativa. ancora, e sottintendendo che il ricorso alla forza importa di per sé l’uso di una violenza nei con- fronti di altri, si dovrebbe specificare a quale forma di quest’ultima si voglia estensiva- mente o limitatamente alludere, considerato il carattere polisemantico che il termine

«violenza» ha ormai assunto nell’ambito giuridico, e precipuamente nel settore penale, come si avrà modo in seguito di ricordare. se poi la suddetta “regolamentazione” vo- lesse ricomprendere anche le conseguenze giuridiche che un eventuale uso distorto della forza pubblica può comportare, l’indagine dovrebbe allora inoltrarsi in molti dei diversi rami che compongono l’ordinamento giuridico, e di certo nel diritto penale, nel diritto civile, nel diritto amministrativo ed in quello disciplinare, a tacere d’altro.

da qui, la necessità di chiarire preliminarmente ciò che si intende precipuamente trattare dell’ampia disciplina che ad oggi regolamenta, sotto numerosi ed eterogenei profili, l’uso della forza pubblica, il che, come bene si comprende, dà la forma all’inte- ro studio intrapreso. orbene, il profilo che qui interessa evidenziare è quello dei “limiti penali” all’esercizio pubblico della forza, ossia l’esistenza di quegli specifici confini che, laddove oltrepassati, possono procurare al pubblico ufficiale delle conseguenze penali per l’uso che egli abbia fatto della violenza. non si tratta certo qui, ovviamente, di indugiare sulle quelle fattispecie di parte speciale che si prestano a reprimere con la pena fatti di uso non legittimo della forza pubblica, da intendersi in prima battuta come esercizio di violenza fisica sull’individuo; al contrario, l’intento è quello di com- piere un’indagine di parte generale della materia, che si è scelto di articolare idealmen- te in due fasi distinte, sebbene strettamente collegate.

nella prima fase della ricerca, comprendente idealmente i primi due capitoli, si è scelto di procedere anzitutto alla identificazione per categorie dei soggetti pubblici propriamente titolati ad usare la forza nei confronti dei privati, e quindi alla specifi- ca individuazione, entro la più ampia area delle attribuzioni che l’ordinamento loro riconosce, di quelle che in astratto possono comportare l’uso della forza, nonché alla ulteriore perimetrazione – ove legalmente prevista – delle più specifiche situazioni di fatto che legittimamente l’agente pubblico può fronteggiare ricorrendo alla medesima.

seguirà, quindi, una indagine sui più comuni strumenti di coazione fisica che la stessa normativa, come si constaterà, individua e consente a determinati pubblici ufficiali di utilizzare per l’assolvimento dei compiti istituzionali in precedenza emarginati. In tale prospettiva, particolare attenzione verrà riservata alla disciplina “secondaria” che specifica i criteri operativi di impiego di tali strumenti, la cui rilevanza ai fini dell’even-

(21)

tuale rimprovero penale per l’improprio esercizio della forza pubblica emergerà nel prosieguo del lavoro.

al termine di questa prima fase, apparirà invero chiaro come le norme richiamate, se da un lato – ed in positivo – individuano come detto le condizioni che legittimano in astratto l’uso della forza, dall’altro – ed in negativo – dischiudono pure, per con- seguente differenza, l’area dell’illegittimo ricorso alla stessa. È tuttavia da precisare, sotto il primo versante, che le norme vigenti non consentono di ritenere conclusiva- mente lecito il ricorso alla forza per il solo fatto che esso risulti rispettoso dei criteri autorizzativi formali e delle regole operative di impiego degli strumenti di coazione fisica ai quali si sarà fatto cenno sino a quel momento. ed invero, proprio la seconda fase dell’indagine, alla quale sono dedicati, seppure da prospettive diverse, gli ulteriori tre capitoli, dimostrerà che il sistema subordina la piena liceità penale del ricorso alla violenza pubblica al rispetto di ulteriori canoni “di sistema” che risultano riferiti alla concreta dinamica di svolgimento del fatto storico, e che si uniscono idealmente ai limiti in precedenza esplorati nella definizione dello spazio giuridico-penale entro cui il pubblico ufficiale autorizzato può legittimamente (in astratto ed in concreto) fare uso della violenza.

2. Il profilo “statico” della legittimazione alla coazione pubblica:

i soggetti autorizzati a farne uso ed i compiti di istituto che possono richiederne l’impiego

Che non tutti coloro che esercitano pubbliche funzioni possano fare legittimamente uso della forza per adempiere ai doveri del proprio ufficio è cosa che dovrebbe apparire chiara, e ciò sia per intuitivi motivi giuridici che per comprensibili ragioni pratiche.

Quanto ai primi, non si può qui non evidenziare come una generalizzata autorizzazio- ne dei pubblici ufficiali ad utilizzare mezzi di coazione fisica per l’adempimento dei compiti di istituto rischierebbe di compromettere irrimediabilmente quel tendenziale primato delle libertà individuali sull’imperium pubblico che traspare, a tacere d’altro, dagli artt. 2 e 13 della Costituzione e, comunque, dall’intera intonazione personalistica della stessa. sotto un diverso ma convergente punto di vista, che in seguito occorrerà nuovamente assumere ed approfondire, si deve puntualizzare come il ricorso all’uso della forza per il soddisfacimento in concreto di interessi pubblici altro non costituisca se non una forma di (auto)esecuzione diretta dei provvedimenti amministrativi che tale interessi intendono perseguire, laddove, come noto, il generale principio di separazione dei poteri prevederebbe di regola che a sindacare la legittimità della pretesa amministra- tiva, ed eventualmente ad autorizzarne l’esecuzione coattiva, fosse l’autorità giudiziaria e non già direttamente la stessa amministrazione, a meno che – e questo è il punto – ciò non sia (eccezionalmente) previsto dalla legge: garanzia, questa, tanto più indispensa- bile ove si consideri che, nell’ambito di cui si discorre, l’esecuzione dell’atto ammini-

(22)

strativo avviene mediante l’uso della violenza fisica, che può compromettere i diritti più intimi della persona come quello alla vita, all’incolumità fisica od alla libertà personale.

dal punto di vista pratico, inoltre, è anzitutto il buonsenso a suggerire che l’uso per fini istituzionali di strumenti, come quelli di coazione fisica, che per definizione attentano alle più preziose libertà individuali non può che essere riservato a soggetti che siano stati specificamente formati, da un punto di vista operativo, all’impiego degli stessi.

ed è proprio alla luce di queste ragioni di principio e pratiche, tese a circoscrivere l’area dei pubblici agenti legittimati a fare uso degli strumenti di coazione fisica, che deve affrontarsi la lettura della disciplina di dettaglio in materia, la quale, altrimenti, rischia di rivelarsi in certi suoi tratti del tutto forviante; ed emblematico, in tal senso, appare l’art.

53 c.p., al quale, come detto, pur deve riconoscersi un ruolo centrale nella regolamen- tazione dell’uso pubblico della forza. Invero, tale disposizione letteralmente qualifica come non punibile quel «pubblico ufficiale» che, nel rispetto di altre condizioni delle quali si dirà, «al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso […] delle armi o di altro strumento di coazione fisica». dalla lettura del testo normativo parrebbe in effetti potersi trarre prima facie una duplice conseguenza interpretativa: da un lato, l’e- stromissione della «persona incaricata di un pubblico servizio» (art. 358 c.p.) e di quelle

«esercenti un servizio di pubblica necessità» (art. 359 c.p.) dalla rosa di quegli agenti pubblici che, potendo invocare la scriminante in questione, risultano implicitamente autorizzati a fare uso dei predetti «strumenti» di coazione fisica13, il che vale a maggior ragione per il semplice privato, ancorché nell’esercizio (eccezionale) di potestà coerci- tive di diritto pubblico14; dall’altro, l’inclusione di tutta l’ampia categoria dei «pubblici ufficiali», così come definita dall’art. 357 c.p., nel novero di coloro che invece, potendo giovarsi della medesima causa di giustificazione, per il medesimo ragionamento logico risulterebbero legittimati a ricorrere ai medesimi mezzi per adempiere ai doveri del pro- prio ufficio. ma è proprio quest’ultimo risultato ermeneutico a non persuadere.

13 tale evidente volontà di estromissione da parte del legislatore era stata da subito colta dalla dottrina tradi- zionale: tra gli altri, v. manzini, Trattato di diritto penale italiano secondo il codice del 1930, II, torino, 1933, 247;

Stein, Uso legittimo delle armi (articolo 53 codice penale), in Riv. pen., 1936, 713; maGGiore, Diritto penale, Parte generale, Vª ed., I-1, bologna, 1949, 317; Cavallo, Diritto penale, Parte generale, II, napoli, 1955, 678; FroSali, Si- stema penale italiano, Parte prima, II, torino, 1958, 320; Pannain, Manuale di diritto penale, Parte generale, IVª ed., torino, 1967, 747; iazzetti, Uso legittimo delle armi per fatti commessi in servizio di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza e per il mantenimento dell’ordine pubblico, in Riv. pol., 1962, 116; antoliSei, Manuale di diritto penale, Par- te generale, XVIª ed., milano, 2003, 277. più di recente, tra i numerosissimi, basti il rinvio a Pedrazzi, Introduzione al diritto penale, IIIª ed. a cura di aleSSandri, milano, 2003, 69 ed a Fiore, Fiore, Diritto penale, Parte generale, Vª ed., torino, 2016, 368. per l’impraticabilità di una interpretazione analogica che rendesse comunque disponibile a tali soggetti la scriminante de qua, v. per tutti bellaGamba, I problematici confini della categoria delle scriminanti, milano, 2007, 56, ma in senso contrario, cfr. Pavarini, Corso di Istituzioni di diritto penale, bologna, 2013, 153.

14 tipico è il caso del privato che proceda all’arresto ai sensi dell’art. 383 c.p., al quale la giurisprudenza non riconosce, infatti, la possibilità di giovarsi dell’art. 53 c.p.: v. Cass. pen., sez. V, 22.4.1999, traverso, in Giust. pen., 2000, II, spec. 393, nonché in dottrina, per tutti, maGlio, Giannelli, Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere; uso legittimo delle armi e di altri mezzi di coazione fisica, in Riv. pen., 2004, 290 e GiovaGnoli, Giardetti, Uso legittimo delle armi, in GiovaGnoli (a cura di), Studi di diritto penale, Parte generale, milano, 2008, 813.

(23)

Invero, sebbene non sia mancato chi, specie in passato, ha inteso in senso rigorosa- mente normativo – e cioè ampio (v. art. 357 c.p.) – il riferimento al «pubblico ufficiale»

contenuto nella disposizione codicistica in discorso15, nella dottrina maggioritaria si registra oggi un’ampia convergenza di opinioni nel ritenere che, al contrario, detto richiamo debba intendersi in senso assai più restretto, e segnatamente inclusivo dei soli appartenenti alla così detta «forza pubblica», salvo, chiaramente, quanto dispone il comma 2 dello stesso art. 53 c.p. a tale conclusione in genere si perviene rilevando come soltanto quei particolari pubblici ufficiali che di tale «forza» fanno parte sareb- bero difatti autorizzati, per l’espletamento dei loro compiti d’istituto, ad utilizzare le armi e gli altri strumenti di coazione fisica16. Il punto è, tuttavia, che sebbene non man- chino nel diritto positivo espliciti riferimenti alla predetta «forza pubblica», come tra gli altri testimoniano, volendo guardare ai soli codici, gli artt. 329 c.p., 131 e 470 c.p.p.,

15 In questo senso si pronunciava, tipicamente, la più parte della dottrina tradizionale: v. infatti tra gli altri manzini, Trattato ult. cit., 247; Stein, Uso, cit., 714; battaGlini, Diritto penale, Parte generale, IIª ed., bologna, 1940, 235; altavilla, Uso legittimo delle armi, in N. dig. it., XII, pt. 2ª, torino, 1940, 768; maGGiore, Diritto, cit., 317; Cavallo, Diritto, cit., 677; FroSali, Sistema, cit., 320; Pannain, Manuale, cit., 747; iazzetti, Uso, cit., 114, 119; ranieri, Manuale di diritto penale, IVª ed., I, padova, 1968, 169 s.; antoliSei, Manuale, cit., 276-277.

più di recente, ancora in questo senso, v. Cadoni, Interpretazione ed applicazione dell’art. 53 del codice penale, in Riv. pol., 1970, 134 e 143 s.; PiSa, Osservazioni sull’uso legittimo delle armi, in Annali Fac. giur. Univ. Genova, 1971, 178; roSSi, Uso legittimo delle armi, in Rass. arma carab., 1974, 431 s.; bettiol, Pettoello mantovani, Diritto penale, Parte generale, XIIª ed., padova, 1986, 388; riz, Lineamenti di diritto penale, VIª ed., padova, 2012, 241 s.; de vero, Corso di diritto penale, I, IIª ed., torino, 2012, 552.

16 nel senso del testo, v. nel tempo, tra i numerosi, di viCo, Dell’eccesso nell’uso legittimo delle armi (art. 53 e 55 cod. pen), in Riv. pen., 1933, 890; deloGu, L’uso legittimo delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, in Arch.

pen., 1973, 185; alibrandi, L’uso, cit., 57; ardizzone, Uso legittimo delle armi, in Enc. dir., XlV, milano, 1992, 979; Pulitanò, Uso legittimo delle armi, in Enc. giur. Treccani, XXXVII, roma, 1994, 2; mezzetti, Uso legittimo delle armi, in Dig. disc. pen., XV, torino, 1999, 131; anFoSSi, L’uso legittimo delle armi, in CarinGella, GaroFoli

(a cura di), Studi di diritto penale, I, milano, 2002, 573 s.; romano, Commentario sistematico del codice penale, I, IIIª ed., milano, 2004, 564; moSCa, Art. 53, in marini, la moniCa, mazza (diretto da), Commentario al codice penale, I, torino, 2002, 434; manduChi, Uso legittimo delle armi, in CaSSeSe (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, VI, mi- lano, 2006, 6130; muSaCChio, L’uso, cit., 78; albeGGiani, Art. 53, in ronCo, ardizzone (a cura di), Codice penale ipertestuale, IIª ed., torino, 2007, 365; arena, Le cause di giustificazione, macerata, 2008, 192; SCarCella, Uso, cit., 259; PanebianCo, L’uso legittimo delle armi, in de vero (a cura di), La legge penale, il reato, il reo, la persona offesa, torino, 2010, 390; Provolo, L’uso legittimo delle armi, in ronCo (opera diretta da), Il reato, II, IIª ed., bologna, 2011, 828; Ghirardelli, La legittima difesa, milano, 2013, 108; CaruSo de CaroliS, Continiello, L’uso, cit., 41;

PuCCetti, Uso legittimo delle armi, in CoCCo, ambroSetti (a cura di), Il reato, II-2, padova, 2017, 187; Sartarelli, Uso, 21 s., ed ivi ulteriori riferimenti bibliografici. nella manualistica, v. in termini espliciti mantovani, Diritto penale, Parte generale, Xª ed., padova, 2017, 265-266; boSCarelli, Compendio di diritto penale, Parte generale, VIIIª ed., milano, 1994, 82; zanotti, Le cause di giustificazione, in aa.vv., Introduzione al sistema penale, II, torino, 2001, 112; Padovani, Diritto penale, XIª ed., milano, 2017, 211-212; manna, Corso di diritto penale, Parte generale, IVª ed., padova, 2017, 329; Palazzo, Corso di diritto penale, Parte generale, VIIª ed., torino, 2018, 407; Pulitanò, Diritto penale, VIIª ed., torino, 2017, 262; marinuCCi, dolCini, Manuale di diritto penale, Parte generale, VIª ed.

agg. da dolCini, Gatta, milano, 2017, 302; CadoPPi, veneziani, Manuale di diritto penale, Parte generale e Parte speciale, IIIª ed., padova, 2007, 287; GaroFoli, Manuale di diritto penale, Parte generale, XIVª ed., roma, 2018, 724 s.; CaneStrari, CornaCChia, de Simone, Manuale di diritto penale, Parte generale, bologna, 2007, 560; SolinaS, Uso legittimo delle armi (53), in CoCCo (a cura di), Manuale di diritto penale, Parte generale, Il reato, padova, 2012, 150; PiSa, Cause di giustificazione, in GroSSo, PeliSSero, Petrini, PiSa, Manuale di diritto penale, Parte generale, IIª ed., milano, 2017, 305-306; ramaCCi, Corso di diritto penale, VIª ed. a cura di Guerrini, torino, 2017, 318.

(24)

68 e 474 c.p.c., 82 c. nav., di essa non è dato però rinvenire una definizione normativa espressa, la quale consenta di identificare in modo inequivoco gli agenti pubblici che ne farebbero parte.

non può stupire, perciò, che alla elaborazione del concetto categoriale di «forza pubblica» abbia provveduto la dottrina penale ed amministrativa, nonché quella giu- risprudenza chiamata a fare applicazione delle norme che ad esso espressamente allu- dono. né, di conseguenza, deve meravigliare la pluralità delle ricostruzioni proposte, le quali trovano origine non solo nella differenza dei criteri aggregatori utilizzati dai vari studiosi che si sono cimentati sull’argomento, i quali hanno variabilmente colto il proprium della «forza pubblica» ora nel tipo o nella finalizzazione dell’attività svolta dal pubblico ufficiale che vi apparterrebbe, ora nell’ufficio di sua afferenza, ora alla sua dotazione di poteri coercitivi personali e/o reali, e via dicendo, ma anche nella evoluzione storica del dato normativo conferente e delle strutture amministrative del così detto «stato-apparato»17. nondimeno, si registra in dottrina una significativa con- vergenza di vedute nel ritenere che dalla l. 1°.4.1981, n. 121, recante il «nuovo ordina- mento dell’amministrazione della pubblica sicurezza», sia in verità possibile dedurre tanto l’indicazione di un nucleo di corpi amministrativi che rientrano certamente nel concetto di «forza pubblica» (in senso soggettivo), quanto la perimetrazione dell’atti- vità – per vero assai ampia – nella quale si esplica la funzione della medesima «forza»

(in senso oggettivo) e nel cui esercizio il pubblico ufficiale risulta potenzialmente auto- rizzato a fare uso dei mezzi di coazione fisica18.

sotto il primo profilo, si è osservato come dalla predetta legge possa trarsi l’indi- cazione secondo la quale la «forza pubblica», come tradizionalmente designata, si identificherebbe oggi nelle «forze di polizia», così come lascerebbero desumere gli artt. 13, comma 5 e 14, comma 2, l. 121/1981 – che conferiscono al prefetto ed al Que- store il potere, rispettivamente, di disporre e di organizzare la «forza pubblica e […]

le altre forze eventualmente poste a [loro] disposizione in base alle leggi vigenti» – letti in combinato disposto con l’art. 16 della legge citata, il quale a sua volta detta l’elenco dei corpi amministrativi che costituiscono tali «forze», definendole unitariamente, ap- punto, come «forze di polizia». Queste ultime, in particolare, sarebbero costituite, nel rispetto delle specifiche competenze di ogni Corpo19:

17 per questi criteri, ed anche in prospettiva storica, v. Stein, Uso, cit., 715 s.; levi, Delitti contro la pubblica amministrazione, milano, 1935, 93 s.; manzini, Trattato di diritto penale italiano secondo il codice del 1930, V, torino, 1935, 39 s.; zanobini, Forza pubblica, in Enc. it., XV, roma, 1949, 758 s.; Sabatini, Forza pubblica, in Nov.mo dig. it., VII, torino, 1961, 604 s.; CorteSe, Forza pubblica, in Enc. dir., XVIII, milano, 1969, 15 s.

18 su questi risultati interpretativi sembrano infatti sostanzialmente convergere romano, Forza pubblica, in Dig. disc. pubbl., VII, torino, 1991, 26 s.; Caia, Polizia di Stato, ivi, XI, torino, 1996, 341; lauro, Istituzioni di polizia amministrativa, roma, 1998, 170 s.; meoli, Ordine e sicurezza pubblica, in Patti (diretta da), Il diritto.

Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, X, milano, 2007, 509; riPamonti, Art. 53, in dolCini, Gatta (diretto da), Codice penale commentato, I, IVª ed., milano, 2015, 967. per un più ampio concetto di «forza pubblica», esteso anche alle forze armate e alla così detta «polizia privata», v. invece lauro, L’uso, cit., 36 s.

19 secondo la giurisprudenza, tuttavia, la qualifica di pubblico ufficiale appartenente al Corpo non andrebbe

(25)

a) dalla «polizia di stato»;

b) dall’«arma dei Carabinieri»;

c) dal «Corpo della guardia di finanza»;

d) dal «Corpo degli agenti di custodia» (adesso «polizia penitenziaria»: v. art. 1 d.p.r.

15.12.1990, n. 395, recante l’«ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria»);

e) dal «Corpo forestale dello stato» (ora annesso come «unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare» all’arma dei Carabinieri: v. artt. 7 s., d.lgs. 19.8.2016, n. 217 e 174-bis, d.lgs. 6.3.2010, n. 66).

a tale elencazione andrebbero tuttavia aggiunti quanto meno:

f) il «Corpo delle Capitanerie di porto-Guardia costiera» nell’esercizio delle sue fun- zioni extra militari (v. gli artt. 134 s. d.lgs. 66/2010 e 81-82, 1235 c. nav., nonché il d. min. marina merc. 8.6.1989 istitutivo della Guardia costiera);

g) i militari in servizio nelle forze armate – che usualmente risultano funzionalmente distinte dalle forze di polizia20 – ai quali tuttavia provvedimenti di legge attribu- iscano, usualmente per un tempo definito ed in casi particolari, compiti di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica21, com’è ad esempio accaduto in vir- tù di quanto disposto più di recente dall’art. 7-bis del d.l. 23.5.2008, n. 92 nell’am- bito della così detta operazione «strade sicure», o dall’art. 1, comma 2, del d.l.

25.7.1992, n. 349, con riferimento alla più risalente operazione denominata «Vespri siciliani»22;

riconosciuta agli «allievi», che in quanto tali non sono ancora investiti delle relative funzioni a meno che non vengano mandati in servizio di ordine pubblico: così, e con riferimento agli allievi della polizia di stato, v. Cass.

pen., sez. VI, 31.3.1995, Valbusa, in Cass. pen., 1996, 1447. per l’estensione di tale dictum agli allievi di tutti gli altri Corpi di polizia, v., in dottrina, amato, I reati dell’operatore di polizia, roma, 2005, 19.

20 la dottrina di settore infatti insegna tradizionalmente che, pur essendo entrambe legittimate all’uso della forza, mentre le forze di polizia hanno il compito di custodire l’ordine interno al paese, le forze armate sono deputate al mantenimento della sicurezza di questo rispetto alle aggressioni provenienti dall’esterno: in questo senso, sostanzialmente, v. romano, Forza pubblica, cit., 26; Caia, Polizia, cit., 340; meoli, Ordine, cit., 509.

21 In tale prospettiva, parla efficacemente di «forza pubblica straordinaria», lauro, Istituzioni, cit., 172.

22 problemi di legittimazione e disciplina dell’uso delle armi o di altri strumenti di coazione fisica da parte delle forze armate non si pongono, ovviamente, di una formale dichiarazione dello stato di guerra verso un altro stato.

Questioni di tale natura, relative anzitutto alla legge applicabile, e quindi ai limiti di giustificazione del ricorso all’uso della forza, si sono invece poste nei casi in cui ai militari siano state attribuite missioni all’estero di così detta «Peace keeping» o «Peace building», ovvero mansioni di scorta a bordo di natanti battenti bandiera nazionale e naviganti in acque ove si siano manifestati episodi di pirateria. sul punto, v. infatti precipuamente: i commi 1-sexies e 1-septies dell’art. 4 del d.l. 4.11.2009, n. 152 («disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo svi- luppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle forze armate e di polizia […]»), inseriti in sede di conversione dalla l. 29.12.2009, n. 197; l’art. 19, commi 3-4 e commi 8-9 della l.

21.7.2016, n. 145 («disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali»); l’art. 5, com- ma 2, del. d.l. 12.7.2011, n. 107, convertito dalla l. 2.8.2011, n. 130, peraltro poi abrogato dall’art. 15, comma 6-bis, del d.l. 18.2.2015, n. 7, inserito in sede di conversione dalla l. 17.4.2015, n. 43, in materia di pirateria. In dottrina, v.

in argomento, tra gli altri, viGanò, Missioni militari all’estero e uso legittimo delle armi alla luce della convenzione eu- ropea dei diritti dell’uomo, in Cass. pen., 2008, 3092 s.; Padovani, La legge penale militare di guerra, i conflitti armati e le operazioni militari all’estero, in GarGani (a cura di), Il diritto penale militare tra passato e futuro, torino, 2009,

(26)

h) la «polizia locale», sebbene in qualità soltanto di “forza ausiliaria” di polizia, poi- ché, salve le competenze proprie di polizia giudiziaria espressamente riconosciutele dall’art. 57 c.p.p., e considerati comunque i limiti territoriali del suo possibile inter- vento23, lo svolgimento da parte di essa di compiti di polizia di sicurezza è soltanto eventuale, necessitando la richiesta in tal senso dell’autorità di polizia e la previa indi- viduazione del personale idoneo da parte del prefetto, così come risulta chiaramente dagli artt. 3, 4 e 5 della l. 7.3.1986, n. 85 («legge-quadro sull’ordinamento della po- lizia municipale», ma meglio sarebbe parlare di «polizia locale»: v. art. 12 della stessa legge) e dall’art. 54, comma 2, del d.lgs. 18.8.2000, n. 267 (rubricato «testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali»: d’ora innanzi t.ue.l.)24. peraltro, ver- so un significativo potenziamento delle funzioni securitarie svolte dalla polizia locale sembra essersi mosso anche il recentissimo “decreto-sicurezza” (d.l. 4.10.2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla l. 1°.12.2018, n. 132), il quale ha difatti implemen- tato gli strumenti giuridici ed operativi da essa impiegabili nell’espletamento di tale attribuzione, ad esempio autorizzando a certe condizioni gli operatori di polizia locale l’accesso al C.e.d.-s.d.I. interforze istituito dall’art. 9 della l. 121/1981, che consente di verificare la pendenza di provvedimenti restrittivi o di ricerca a carico dei soggetti (art. 18), avviando la sperimentazione a livello locale dell’uso del così detto «Taser»

(art. 19)25, ovvero fornendo un interpretazione autentica dell’art. 5 della l. 85/1986 che chiarisce quali siano i casi nei quali tali operatori di polizia possono legalmente portare le armi anche al di fuori del territorio di competenza (art. 19-ter)26.

59 s.; di martino, Operazioni militari all’estero e legge penale applicabile. Note brevi su una disciplina in bilico tra il provvisorio e l’attesa, ivi, 69 s.; roSin, Missioni militari internazionali: la necessità di una disciplina penale «ad hoc», ivi, 107 s.; brunelli, L’uso delle armi del pubblico agente tra giustificazione e scusa, in aa.vv., Studi in onore di Mario Romano, II, napoli, 2011, 783 s.; tondini, Stato di diritto e lotta alla pirateria nelle acque somale, in Dir. pen. proc., 2013, spec. 236 s.; brunelli, Esercizi di diritto penale sul caso Enrica Lexie, in Cass. pen., 2015, 2054 s.; riondato, Missioni militari internazionali italiane c.d. di pace all’estero. Novità giuspenalistiche nella legge di riforma 21 luglio 2016, n. 145, in Dir. pen. cont., 2017, n. 5, 287 s.; Sartarelli, Uso, cit., 47 s.

23 V. infatti esemplarmente, in giurisprudenza, Cass pen., sez. II, 10.6.2015, mancini, in Guida dir., 2015, n. 42, 79, che ha ritenuto insuscettibile di convalida, in quanto illegittimo, l’arresto in flagranza operato da un agente di polizia locale in quanto egli, avendo operato al di fuori dell’ambito territoriale di sua competenza, è stato ritenuto «privo della qualifica di agente o ufficiale di polizia giudiziaria» e quindi «non legittimato» all’arresto ai sensi dell’art. 57 c.p.p.

24 proprio tali delimitazioni inducono Caia, Polizia, cit., 341, meoli, Ordine, cit., 509, e tra i cultori del diritto penale marinuCCi, dolCini, Manuale, cit., 302, anFoSSi, L’uso, cit., 574 e GiovaGnoli, Giardetti, Uso, cit., 812, a non ricomprendere la polizia locale tra le «forze di polizia»; diversamente, v. romano, Forza, cit., 28; lauro, L’uso, cit., 40 (e successivamente, id., Istituzioni, cit., 171) e nella manualistica, per tutti, ramaCCi, Corso, cit., 319, nonché, in riferimento anche alla previgente normativa del 1977, id., Il Vigile urbano come agente di Polizia Giudiziaria e di Pubblica sicurezza (1979), ora in ramaCCi, Raccolta di scritti, II, torino, 2013, 529 s. a tale ultima conclusione giunge peraltro anche la giurisprudenza pronunciatasi (favorevolmente) sull’applicabilità dell’art. 328 c.p. ai vigili urbani: tra le più recenti, pur con il correttivo caso per caso del criterio funzionale di cui si dirà, v. Cass pen., sez. VI, 25.6.2009, in Guida dir., 2009, n. 44, 61, con nota adesiva di SCotti, ed Id., 13.10.2005, tobia, in Foro it., 2006, II, 511.

25 V. comunque infra Cap II, § 4.1.

26 per un primo e differenziato commento alle richiamate disposizioni del d.l. 113/2018, v. CiSterna,

(27)

i) gli appartenenti ai servizi di informazione (così detta «Intelligence»), ma ciò limitata- mente all’espletamento delle attività noverate dall’art. 23, comma 2, della l. 3.8.2007, n.

124, che ha riformato il «sistema di informazione per la sicurezza della repubblica»27. ed invero, se la regola generale, sancita dal comma 1 del citato art. 23, è quella che gli appartenenti al «dipartimento delle informazioni per la sicurezza» (dIs) ed ai «servi- zi di informazione per la sicurezza» – costituiti dall’«agenzia informazioni e sicurezza esterna» (aIse) e dall’«agenzia informazioni e sicurezza interna» (aIsI) (v. artt. 2 e 21 l. 124/2007) – non sono considerati ufficiali o agenti di polizia giudiziaria o di polizia di sicurezza, il comma 2 dello stesso art. 23 prevede, tuttavia, che ai medesimi soggetti si possano attribuire siffatte qualifiche per non oltre un anno «In relazione allo svolgimento di attività strettamente necessarie a una specifica operazione dei ser- vizi di informazione per la sicurezza o volte alla tutela delle strutture e del personale del dIs o dei servizi di informazione per la sicurezza». ed è proprio nello svolgimento di tali attività, del resto, che tali soggetti risulterebbero legittimati all’uso delle armi e degli altri strumenti di coazione fisica. a tale conclusione, infatti, si è giunti anche osservando a contrario come la speciale causa di giustificazione introdotta dall’art. 17 della l. 124/2007 a beneficio del personale dei “servizi” che nell’esercizio dell’ufficio commettano reati non si applichi, tra l’altro, ai «delitti diretti a mettere in pericolo o a ledere la vita, l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o l’incolumità di una o più persone»: circostanza, quest’ultima, dalla quale deriverebbe l’applicabilità, in tali frangenti, delle scriminanti ordinarie, ed in particolare di quelle previste dagli artt. 51 e 53 c.p.28, il che ragionevolmente si giustifi- ca sul presupposto – precipuamente in tale ultima ipotesi normativa – che il pubblico ufficiale abbia utilizzato armi od altri strumenti di coazione fisica.

Politiche securitarie, alcune disposizioni andrebbero ripensate, in Guida dir., 2018, n. 44, spec. 96 s.; amato, Ced interforze anche per vigili dei Comuni più piccoli, ivi, 2019, n. 4, 68 s.; bertaCCini, Accesso al centro elaborazione dati interforze da parte del personale della polizia municipale, in Curi (a cura di), Il decreto Salvini. Immigrazione e sicurezza, pisa, 2019, 241 s.; id., Dotazioni di armi comuni ad impulsi elettrici e interpretazione autentica sulle armi in dotazione alla polizia municipale, ivi, 249 s.; innoCenti, Il decreto legge 113/2018 e alcuni ambiti interessati della polizia amministrativa: comunicazione dell’arrivo di persone alloggiate in strutture ricettive, la sperimentazione della pistola ad impulsi elettrici e la costituzione di un’armeria nel corpo e servizio di polizia locale, in Riv. pen., 2019, 123; riSiCato, Il confine e il confino: uno sguardo d’insieme alle disposizioni penali del “decreto sicurezza”, in Dir.

pen. proc., 2019, spec. 18. sul precipuo punto, v. anche, a livello ufficiale, la circolare esplicativa del ministero dell’Interno 20.12.2018, n. 557/pas/u/017997/12982, spec. § 5 s.

27 sul punto, v. per tali conclusioni amato, L’uso legittimo delle armi nella dottrina e nella pratica, in Gnosis, 2012, n. 1, 78-79; id., Uso legittimo delle armi: la posizione dell’operatore dei servizi di sicurezza, tra la disciplina comune e quella speciale, in archiviopenale.it. (2014, n. 3), spec. 10 s. e 18 s.; CaruSo de CaroliS, Continiello, L’uso, cit., 43 s. per analoghe conclusioni, nella vigenza della precedente legge 24.10.1977, n. 801, v. SCandone, L’uso legittimo delle armi da parte degli operatori dei servizi di informazione e sicurezza, in Riv. pol., 1988, 541 s.

28 In questo senso, v. amato, L’uso, cit., 78-79, nonché id., Uso, cit., 10-11, 18-19 e riPamonti, Art. 53, cit., 968. più in generale, sulla speciale causa di giustificazione introdotta dall’art. 17, l. 124/2007, v. anzitutto Caute-

ruCCio, Considerazioni in tema di scriminanti delle condotte previste dalla legge come reato nel nuovo ambito di appli- cazione della recente legge 3 agosto 2007, n. 124, in Riv. pen., 2008, 99 s., e più ampiamente, da ultimo, Giordana, L’applicazione delle scriminanti e delle garanzie funzionali ai reati di terrorismo, in Dir. pen. cont., 2017, n. 5, 147 s.

Riferimenti

Documenti correlati

non deve stupire, perciò, che alla stessa affermazione dello stato moderno, e quindi alla teorizzazione del concetto di «sovranità», che ne coglie l’essenza, abbia corrisposto

Il tema si ricollega a quella che può essere definita come dimensione informativa della pubblica amministrazione 27 , che fa riferimento principalmente alla

Possono presentare domanda di partecipazione alla selezione, entro il termine di 30 giorni decorrenti dal giorno successivo alla data di pubblicazione del

Il quesito avanzato ha riguardo ai limiti posti dalla legge al potere del Procuratore della Repubblica di nominare un vicario, alla rilevanza di tale nomina ed alla rinunciabilità

Ne è ovvia conferma il fatto che, attraverso il medesimo sistema operativo, un soggetto può compiere reati completamente diversi, come mandare una mail diffamatoria, scaricare

di persuasione nei confronti del paziente, non ideologico né paternalistico, bensì volto a ricostruire un equilibrio fra tutela della salute e consapevole

Ramacci F., Introduzione all’analisi del linguaggio legislativo penale, Giuffrè, Milano Rampioni R., I reati dei pubblici ufficiali contro la P.A., in Questioni fondamentali

 se l’Utente intende esportare dati presenti nell’archivio anagrafico dipendenti, anagrafico dipendenti azienda, e nello storico dei dipendenti aggiornato con i movimenti in fase di