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B A Emorragia post-operatoria 50

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Academic year: 2022

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Emorragia post-operatoria 50

BARRYARMSTRONG

“Il chirurgo ferito che maneggia l’acciaio che indaga la parte malata;

sotto le mani insanguinate sentiamo l’arte pungente e pietosa di chi guarisce…”

(East Coker, T.S. Eliot, 1888–1965)

Ogni colpo di bisturi apre capillari o grossi vasi e sparge sangue prezioso. Il sangue – icona della chirurgia – è il simbolo del sacrificio chirurgico del pazien- te effettuato attraverso l’azione del chirurgo. Questo sacrificio ha un vantaggio inverso – maggiore è lo spargimento di sangue, più infausto sarà l’esito. La per- dita ematica deve essere limitata dall’azione congiunta della tecnica chirurgica e dell’emostasi naturale del paziente. L’interazione tra le caratteristiche del pazien- te e la tecnica del chirurgo determinerà l’entità del sanguinamento durante e dopo l’intervento.

Se l’emostasi del paziente è “debole” allora il controllo chirurgico del sangui- namento dovrà essere “accurato” e completo.

Le complicanze di un sanguinamento sono responsabili di almeno 1/10 del- la mortalità operatoria. Di solito si verificano in pazienti traumatizzati; tuttavia alcuni interventi sono esenti dalle complicanze dovute ad un sanguinamento post- operatorio. L’emorragia può iniziare prima, durante e dopo l’intervento: quando l’emostasi naturale fallisce, il chirurgo si trova ad affrontare un ematoma, una riduzione dei globuli rossi o uno shock inatteso. A seconda delle dimensioni del vaso sanguinante, della bravura degli infermieri e della collaborazione del pazien- te, le cose possono peggiorare poco o molto prima che il chirurgo venga chiama- to. Uno dei ruoli fondamentali degli infermieri che si occupano della gestione post-operatoria dei pazienti è quello di identificare una eventuale emorragia e di avvertire il chirurgo. Una emorragia che si verifica in I o II giornata post-operato- ria è definita “emorragia precoce”. Se siamo sicuri, quando abbiamo chiuso l’addo- me del paziente, che l’emostasi del campo chirurgico era valida, allora l’emorragia può essere dovuta alla semplice lisi di un coagulo, ad una sutura mal eseguita o allo scivolamento di una clip; ma per essere sinceri, in molti casi essa rappresenta uno stillicidio continuo iniziato durante l’intervento.

Una “emorragia secondaria” si verifica dopo più di una settimana dall’inter- vento. Generalmente si associa ad una infezione o ad un processo infiammatorio.

Esempio calzante è un’emorragia del letto pancreatico dopo necrosectomia per necrosi pancreatica infetta (Cap. 18).

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Prevenire gli ematomi e le emorragie post-operatorie

Fattori tecnici: controllate l’emostasi della ferita dopo aver aperto l’addome.

Ottenete il controllo dei vasi maggiori che “pompano sangue” tutte le volte che li trovate. Le emorragie minori e gli stillicidi ematici dovrebbero cessare spontanea- mente. Ricordatevi che per raggiungere una emostasi naturale nelle emorragie minori (“tempo di sanguinamento”) ci vogliono circa 5–7 minuti. Ricontrollate l’e- mostasi della ferita a metà intervento e alla chiusura. Non permettete al vostro assi- stente di pulire la ferita con una spugna perché potrebbe compromettere la benefi- ca azione “tamponante” delle piastrine. Insegnategli a tamponare i vasi sanguinan- ti con tocchi rapidi e delicati piuttosto che a strofinare.

Fattori inerenti il paziente: sicuramente non volete che vi annoiamo con un’al- tra lezione sull’emostasi. Allora ricordatevi i 12 consigli elencati nella Tabella 50.1 che possono servire ad ottenere una migliore coagulazione e a prevenire le emorragie.

Per avere dettagli sui test di coagulazione andate al seguente indirizzo:

http://www.anaesthetist.com/icu/organs/blood/test.htm.

Ematomi post-operatori della ferita

Il fattore coagulante più importante è il chirurgo.

Errore n. 1: “La ferita era asciutta quando abbiamo chiuso” (Fig. 50.1) Fatto. Una tecnica chirurgica impeccabile minimizza il rischio di emorragia post-operatoria. Mentre viene chiuso l’addome è possibile che, ad una singola occhiata, possa sfuggire un vaso sanguinante temporaneamente in spasmo. Anche l’ipotensione, l’uso di divaricatori chirurgici e/o uno pneumoperitoneo possono mascherare dei vasi sanguinanti. Il chirurgo “smanicato” controlla l’emostasi più volte durante gli ultimi 10–15 minuti di intervento, elimina il pneumoperitoneo o riposiziona i divaricatori e le pezze laparotomiche per individuare eventuali vasi beanti nascosti.

Tabella 50.1. Emostasi chirurgica: cosa fare se il paziente sanguina ancora? (di Ahmad Assalia) 12 consigli utili

Prima Poi valutate l’eventualità di

Applicate PRESSIONE... Trasfondete PIASTRINE e PLASMA con il PACKING o PEZZE fresco congelato

Abbiate PAZIENZA Somministrate PROTAMINE Suturate con PROLENE (contro l’eparina)

(o altro materiale) Trasfondete EMAZIE CONCENTRATE (se il sanguinamento persiste)

Chiedete aiuto al PROFESSORE Se non può aiutarvi – PREGATE...

... di non ritrovare il vostro paziente in OBITORIO

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Se nel post-operatario, dalla ferita chirurgica, malgrado l’azione di pressione locale esercitata, si ha un sanguinamento continuo, si dovrebbe ri-esplorare la ferita.

Per evacuare i coaguli ed ottenere il controllo dei punti sanguinanti, spesso basta somministrare un anestetico locale ed usare una tecnica sterile in una sala operatoria per interventi di chirurgia minore con buona illuminazione. Prima di iniziare l’atto chirurgico, somministrate una dose profilattica di antibiotici ev, poiché una ri-esplo- razione per emorragia aumenta il rischio di infezione. Se invece pensate che l’emato- ma della ferita abbia origine da un vaso maggiore, è meglio tornare in sala operato- ria. Ad esempio un ematoma che si espande rapidamente in sede di trocar epigastri- co dopo una colecistectomia laparoscopica di solito ha origine da una arteria epiga- strica superiore danneggiata. Attendere che l’emostasi dell’arteria epigastrica supe- riore avvenga spontaneamente di solito non uccide il paziente ma determina un volu- minoso ematoma ed ecchimosi che richiedono intere settimane per riassorbirsi.

Emorragia addominale post-operatoria

Le due parole che più spesso associamo ad un reintervento per emorragia sono:“Si fermerà.”

Errore n. 2: Se il paziente sta sanguinando ed è ipoteso, utilizzate due vie veno- se di grosso calibro e somministrate rapidamente almeno 2 litri di Ringer lattato.

Fatto. L’evidenza dei fatti, in continuo aumento, dimostra che una energica reintegrazione idrica è in grado di ripristinare la pressione sanguigna ed il polso periferico, ma determina un aumento della mortalità e della morbilità. In caso di emorragia incontrollabile, una rapida stabilizzazione con liquidi diluisce i fattori

Fig. 50.1. “Quando abbiamo chiuso era asciutta…”

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coagulativi, aumenta il flusso ematico nella sede responsabile dell’emorragia in atto e può “far scoppiare il coagulo” (Ken Mattox), aprendo così anche nuovi vasi.

Esperimenti su modelli animali ed umani hanno dimostrato i vantaggi di una ridu- zione dei liquidi ev in caso di emorragia incontrollabile. Una ipotensione “control- lata” ed un basso volume di liquidi in infusione ev, rappresentano la strategia migliore per salvaguardare i meccanismi emostatici del paziente.

Mentre il sanguinamento da una o in una ferita chirurgica superficiale è evi- dente ad occhio nudo, quello post-operatorio nella cavità addominale è “nasco- sto” e perciò più difficile da diagnosticare. Una emorragia addominale post-ope- ratoria è un trauma chirurgico iatrogeno che pone considerazioni diagnostiche e terapeutiche simili a quelle per la gestione dei traumi addominali penetranti e chiusi (Capp. 34 e 35).

Il paziente ha una emorragia addominale? Tachicardia, ipotensione, stato confusionale, sudorazione, aumento del dolore in sede di incisione o all’addome, distensione addominale, oliguria, calo dell’ematocrito o ecografia positiva al letto del paziente, sono frequentemente diagnostici. Tuttavia ricordate che l’ipotensione dopo un intervento non è sempre dovuta ad una emorragia. Se gli effetti degli ane- stetici e dei narcotici persistono, si può determinare un calo pressorio. La terapia antalgica peridurale post-operatoria è una causa frequente di ipotensione ma anche in questo caso attenti a non tralasciare l’ipotesi di una eventuale emorragia. La sta- bilizzazione con liquidi durante il primo intervento può risultare inadeguata a compensare la perdita e il sequestro di liquidi nel “terzo spazio”. Il paziente può aver perduto liquidi per diarrea e vomito. Negli anziani o nei casi di assunzione cronica di steroidi, una crisi addisoniana può provocare ipotensione ed una rapida risposta ai corticosteroidi.

Devo portare di corsa il paziente in sala operatoria? Se il paziente è in grave stato di shock e presenta una grave sindrome compartimentale da emoperitoneo massivo, dovete precipitarvi in sala operatoria ed aprire l’addome. In caso contra- rio, valutate i seguenti passaggi.

Devo sottoporre l’addome ad esami radiologici ? In pazienti stabili la TC è in grado di confermare le dimensioni dell’ematoma (ad es. nel letto della colecisti) e di valutare l’entità dell’emoperitoneo. Come per un trauma addominale chiuso, la diagnosi TC ed il follow-up consentono di attuare in sicurezza un trattamento non chirurgico. La comparsa di un “blush” alla TC – stravaso di mezzo di contrasto – può localizzare l’origine di un sanguinamento in atto. In situazioni specifiche (ad es. dopo un intervento per trauma epatico) con l’angiografia è possibile localizzare e trattare il sanguinamento.

Devo trattare il paziente non chirurgicamente? Attualmente, dato che la mag- gior parte dei pazienti con trauma addominale chiuso è trattata con successo sen- za intervento chirurgico, tendiamo ad applicare le lezioni apprese anche alle emor- ragie post-operatorie da rottura o lesione dei vasi addominali. I pazienti che conti- nuano a mostrare segni di ipovolemia dopo una “blanda” stabilizzazione, dovreb- bero essere riportati in sala operatoria. Dovreste inoltre evitare di applicare ancora il vecchio dogma che prevede di trattare un emoperitoneo con il tamponamento in

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attesa che la pressione intraperitoneale superi quella della sede di origine del san- guinamento. Questa pratica, ormai datata, determina una sindrome compartimen- tale addominale che richiede una decompressione. I pazienti stabili dovrebbero essere tenuti sotto stretta osservazione emodinamica e sottoposti ad esami seriati dell’ematocrito. La necessità di una trasfusione iniziale non rappresenta una con- troindicazione all’approccio conservativo; raramente sappiamo quanta emoglobina sia andata perduta durante e dopo l’intervento – e quanto il suo calo sia stato deter- minato dall’emodiluzione.

L’approccio conservativo sta fallendo? La persistenza di una perdita ematica, dimostrata dal bisogno di ulteriori trasfusioni, indica che l’approccio conservativo è fallito. Trasfusioni continue si associano ad un aumento della mortalità, delle infe- zioni e della degenza ospedaliera, indipendentemente dalla gravità dello shock. Nei pazienti in cui non sia possibile effettuare trasfusioni per motivi religiosi (Testimoni di Geova), sentitevi più liberi a porre l’indicazione ad interventi radio- logici o chirurgici. Siate rapidi ad intervenire nelle pazienti in gravidanza poiché anche uno shock materno lieve può determinare una vasocostrizione utero-pla- centare e un grave shock fetale.

È sicuro lasciare un grosso ematoma o dei coaguli in addome? Certamente è meglio ripulire alla perfezione l’addome piuttosto che lasciare in giro sangue e deri- vati della sua degradazione: il sangue e l’emoglobina forniscono un terreno fertile per i batteri che sono all’origine di ascessi. È stato poi dimostrato che i prodotti di scarto del sangue vecchio contribuiscono all’instaurarsi di una sindrome da rispo- sta infiammatoria sistemica (SIRS,Cap. 48). D’altra parte una re-laparotomia ha le proprie percentuali di morbilità precoce e tardiva (e di mortalità). Anche se è lo strumento ideale per fermare una emorragia da una arteria sanguinante, può aumentare lo stillicidio superficiale generalizzato dovuto ad una coagulopatia.

Ricordatevi che eseguendo una laparoscopia in elezione, alcuni giorni dopo la ces- sazione dell’evento emorragico, è possibile lavar via grossi coaguli residui.

Il processo coagulativo del paziente è adeguato? Questa dovrebbe essere una delle vostre maggiori preoccupazioni, che decidiate o meno di aspettare o di ope- rare. Una grave coagulopatia acquisita può verificarsi intra-operatoriamente o nel- l’immediato periodo post-operatorio. Questa sindrome da “coagulazione intrava- sale disseminata” (CID) è secondaria ad un grave insulto, come ad esempio una sepsi, una embolia gassosa, adiposa o di liquido amniotico, un errore trasfusionale, una neoplasia estesa od un trauma severo. Per risolvere questo problema sono necessari una rapida correzione della causa primaria ed il trattamento della coagu- lopatia che consuma sia le piastrine che i fattori coagulativi e distrugge sia la fibri- na che il fibrinogeno per fibrinolisi. È necessaria una terapia con componenti mul- tipli del sangue e in alcuni casi un trattamento specifico come l’utilizzo del fattore VII ricombinante attivato. Una trasfusione di piastrine può essere utile quando la conta piastrinica assoluta è <50000 ed il paziente sta sanguinando. Avvertite subito la banca del sangue e valutate l’eventualità di consultare un ematologo se è presen- te una CID.

Considerate il primo intervento specifico. Siete stati voi ad eseguire il primo intervento perciò siete quelli che sanno meglio cosa è andato – o potrebbe andare – male. Inseritelo come fattore nel vostro decision-making.

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Emorragia addominale potenzialmente letale

“Il sanguinamento è iniziato nella zona del retto ed è continuato fino a Los Angeles.” (Cartella clinica di un paziente riprodotta in Details in Professional Liability, 27 Gennaio, 1999)

Quando un paziente sta compensando la perdita di sangue la sua pressione ematica può essere di 1/3 al di sotto della norma, ma gli organi centrali rimango- no ben perfusi. Il paziente è sveglio e cooperativo: la diuresi è di 0,5 ml/Kg all’ora e sono palpabili le pulsazioni di radiale e pedidia. Tuttavia l’emorragia in atto o una improvvisa emorragia massiva possono sbilanciare questa stabilità. L’anamnesi (ad es. lenzuola del letto o garze intrise di sangue, il recentissimo intervento “cruento”), combinata ai riscontri clinici, vi porterà ad intervenire con urgenza.

È utile ottenere l’emostasi medica attraverso una rapida correzione delle ano- malie coagulative ma, in questi casi urgenti, l’emostasi meccanica è essenziale.Un re-intervento per ottenere emostasi meccanica valida, generalmente implica una re- laparotomia, ma, in pazienti stabili, è possibile raggiungere il medesimo scopo uti- lizzando anche metodiche mini-invasive quali la laparoscopia, la endoscopia gastro- intestinale o la radiologia interventistica.

Re-laparotomia per emorragia

In sala operatoria vorrete avere quanti più “assi” nella manica possibile.

Mentre vi chiedete: “Quale procedura fermerà l’emorragia?”, pensate alle seguenti opzioni: serviranno ad aumentare la vostra fiducia.

Fino a questo momento avete limitato il reintegro del volume e consentito una ipotensione controllata. A questo punto, prima dell’induzione dell’anestesia, l’ipovolemia deve essere corretta in maniera aggressiva per evitare un collasso car- diocircolatorio, il più delle volte causato da una diminuzione improvvisa della resi- stenza periferica, dovuta ai miorilassanti e, all’improvvisa decompressione di una ipertensione intra-addominale che a sua volta determina un ristagno periferico e una riduzione del ritorno venoso.

Vorrete avere a disposizione una banca del sangue ben fornita, un anestesista capace, i mezzi per tenere caldo il paziente durante l’intervento, dei bravi assisten- ti (compreso un collega anziano, con esperienza), una illuminazione adeguata (prendete in considerazione l’eventualità di utilizzare lampade extra o luci fronta- li), una buona divaricazione ed un buon campo operatorio che consentano una rapida esposizione della sede di sanguinamento e l’isolamento di qualsiasi vaso di grosso calibro beante con il suo controllo prossimale e distale.

Preparate il vostro equipaggiamento. Una emostasi meccanica durante un reintervento prevede una buona manualità chirurgica, suture, suturatici meccani- che, clips, elettrobisturi (bipolare o monopolare), ultrasuoni (Ultracision- Harmonic Scalpel), laser, argon beamer, legatura dei vasi prossimali, scleroterapia o applicazione di agenti emostatici topici (garze, spugne, schiuma di gelatina, tam-

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poncini di cellulosa, strato di collagene, trombina topica, colle di fibrina).

L’omentoplastica è stata utilizzata per ricoprire superfici con emorragia a nappo, ma il semplice elettrobisturi o gli agenti emostatici, possono essere altrettanto effi- caci.

Se l’emorragia è abbondante, prendete in considerazione l’eventualità di una autotrasfusione autologa, reinfondendo il sangue perso.

Spesso l’urgenza dell’intervento e lo stato critico del paziente terranno voi ed il vostro team coi nervi tesi. Il chirurgo saggio di solito racconta qualche aneddoto divertente o qualche barzelletta non offensiva per rilassare l’équipe. Questo per- mette di rompere lo stato di tensione emotiva e spesso aumenta l’efficacia delle pre- stazioni del gruppo.

Per non rischiare di danneggiare strutture vicine e per arrestare l’emorragia ci vuole pazienza. Siamo stati educati con l’aneddoto di un famoso chirurgo britannico che fu chia- mato ad operare un paziente con un’emorragia post-colecistectomia. All’intervento, nella profondità del triangolo di Calot, si visualizzò un vaso che perdeva abbondantemente – pro- babilmente il moncone dell’arteria cistica. Il chirurgo non si affrettò ad usare le clamps, che avrebbero messo in pericolo il dotto biliare vicino. Invece zaffò con calma il letto della cole- cisti e disse: “Ragazzi, vado a prendere una tazza di tè. Chiamatemi tra mezz’ora” Quando tornò trovò tutto asciutto. [I curatori]

Molto probabilmente la sede di origine dell’emorragia sarà quella che vi aspettavate – nella sede della vostra precedente “macellazione”. Se non è così, cer- cate altrove; tirando l’omento durante la colectomia potreste aver lacerato la milza, retraendo il fegato per esporre il duodeno potreste averlo danneggiato, estrinse- cando il piccolo intestino edematoso potreste aver lacerato il mesentere e così via.

Non è insolito, anche se un po’ imbarazzante, repertare all’esplorazione soltanto dei coaguli di sangue senza evidenziare la fonte di sanguinamento, ormai contratta e trombizzata.

La maggior parte delle cause di emorragia può essere controllata seguendo i 12 consigli della Tabella 50.1. In caso contrario, provate uno dei tanti espedienti emostatici a vostra disposizione. Imparate bene le “manovre speciali” (ad es. l’uso di puntine per controllare una emorragia presacrale).E non dimenticate i principi del “damage control” che avete appreso per i traumi (Cap. 35): non esitate a zaf- fare uno stillicidio superficiale o un sanguinamento venoso ostinati e di ritornare in sala operatoria un altro giorno (o dopo una tazza di tè).

“L’unica arma con cui un paziente incosciente può subito rivalersi sul chirurgo incompetente è l’emorragia.” (William Stewart Halsted, 1852–1922)

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