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Obbligo di orario: è lavoro subordinato?

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Obbligo di orario: è lavoro subordinato?

Autore: Redazione | 15/06/2021

A cosa ha diritto il lavoratore con contratto di collaborazione esterna che deve rispettare un orario di lavoro?

Si sente spesso dire che il lavoratore autonomo si distingue da quello subordinato perché il primo può organizzare la propria attività in totale autonomia di mezzi,

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luogo e di tempo, mentre il secondo deve rispettare le prescrizioni impartitegli dal datore di lavoro, ivi compreso l’orario di inizio e di fine attività. Questa affermazione non è del tutto corretta ed a confermarlo è una recente ordinanza della Cassazione [1].

Nel caso di un dipendente assunto con un contratto di collaborazione esterna (il cosiddetto co.co.co.), è possibile parlare di lavoro subordinato se c’è l’obbligo di orario? Facciamo il punto della situazione.

Cosa distingue il lavoratore autonomo da quello dipendente?

La giurisprudenza ha individuato alcuni indici in grado di contraddistinguere in modo netto ed univoco il lavoro autonomo da quello subordinato allo scopo di scovare le false partite Iva. Non è raro infatti che, al fine di eludere le norme sul lavoro dipendente – più restrittive e vincolanti – le aziende ricorrano a contratti la cui forma è quella della collaborazione esterna ma la cui sostanza è invece quella tipica del lavoro subordinato.

La Cassazione ha così individuato due indici che caratterizzano in modo univoco il lavoro dipendente: l’inserimento in forma stabile del lavoratore nell’organizzazione imprenditoriale (mediante la messa a disposizione delle sue energie lavorative in favore del datore) e l’assoggettamento al potere direttivo del datore di lavoro. In pratica, nel lavoro subordinato, è il datore di lavoro a dire al dipendente cosa deve fare; questi non può sottrarsi alle direttive del suo capo se non vuole subire le sanzioni disciplinari e il licenziamento.

In aggiunta a tali due indici – che restano comunque principali e maggiormente caratterizzanti – sono stati individuati ulteriori indizi di subordinazione. Questi sono:

l’assenza del rischio economico: il lavoratore autonomo si assume il rischio d’impresa, mentre il lavoratore subordinato non rischia nulla di proprio;

il luogo della prestazione: il lavoratore autonomo lavora tendenzialmente fuori dalla sede aziendale del proprio cliente, mentre il lavoratore subordinato di solito lavora nei locali aziendali;

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la forma della retribuzione: il lavoro subordinato percepisce un fisso mensile, mentre il lavoratore autonomo è pagato ad opera;

la modalità della collaborazione: il lavoro autonomo può, al massimo, raccordarsi e coordinarsi con il cliente ma non viene da questo diretto e controllato;

il potere disciplinare: nel lavoro dipendente, il datore può infliggere sanzioni al dipendente che non rispetta il contratto, mentre nel lavoro autonomo le parti sono in una condizione di parità;

il potere di controllo: nel lavoro subordinato, il datore può verificare le assenze del dipendente e chiedere i certificati medici, cosa che non può fare con gli “esterni”;

l’orario di lavoro: nel lavoro subordinato è predeterminato, fisso e continuativo, mentre non c’è vincolo di orario nel lavoro autonomo;

la continuità della prestazione nel tempo è tipica del lavoro subordinato. Il lavoro autonomo, invece, è spesso a spot: realizzata l’opera il rapporto cessa;

la natura personale della prestazione: il lavoratore subordinato lavora personalmente, mentre nel lavoro autonomo, spesso, il lavoratore autonomo si fa supportare da altri suoi collaboratori.

Che succede in caso di falsa collaborazione?

Il lavoratore che è stato assunto con un finto contratto di co.co.co. può fare causa al datore di lavoro e ottenere la conversione dello stesso in un contratto di lavoro subordinato di tipo tradizionale. Il dipendente quindi ha tutto l’interesse a dimostrare la falsità e la simulazione del contratto esterno.

Se c’è l’obbligo di orario è lavoro dipendente?

Secondo la Cassazione, il solo obbligo di osservare un preciso orario di lavoro non è sufficiente a classificare il collaboratore esterno come dipendente.

Affinché il lavoratore assunto con un co.co.co. possa dirsi equiparabile a un dipendente – e perciò possa ottenere la conversione del contratto in uno di tipo

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subordinato – è necessario che il giudice accerti l’esistenza dei due principali indici di subordinazione (di cui abbiamo parlato prima):

lo stabile inserimento del dipendente nell’organizzazione aziendale

e l’assoggettamento al potere direttivo del datore di lavoro.

Quindi, il fatto che al collaborare esterno sia chiesto di prestare la propria attività solo in determinate fasce orarie della giornata non lo trasforma in un lavoratore subordinato se questi resta pur sempre affrancato dal potere decisionale del datore di lavoro e, quindi, resta pur sempre libero di organizzare, come meglio crede, la propria attività.

Come più volte spiegato dalla giurisprudenza, elemento indefettibile del rapporto di lavoro subordinato – e criterio distintivo rispetto a quello autonomo – è la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro. Tale vincolo inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato.

Tutti gli altri elementi del rapporto di lavoro hanno carattere sussidiario e funzione semplicemente “indiziaria”: tra questi, ad esempio, la collaborazione, l’osservanza di un determinato orario, la continuità della prestazione lavorativa, l’inserimento della prestazione medesima nell’organizzazione aziendale e il coordinamento con l’attività imprenditoriale, l’assenza di rischio per il lavoratore e la forma della retribuzione. Questi indici – lungi dal caratterizzare il rapporto di lavoro – possono, tuttavia, essere valutati globalmente, appunto, come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l’apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull’atteggiarsi del rapporto.

Inoltre, non è idoneo a surrogare il criterio della subordinazione nei precisati termini neanche il nome dato al contratto dalle stesse parti (cosiddetta

“autoqualificazione”).

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Note

[1] Cass. ord. n. 16720/21

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