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La responsabilità ex D. Lgs. n. 231 del 2001 nel gruppo di imprese: criteri di imputazione. Avv. Danila Sacchi

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(1)

La responsabilità ex D. Lgs. n.

231 del 2001 nel gruppo di imprese: criteri di imputazione

Avv. Danila Sacchi

(2)

Premessa:

Il Decreto 231 non affronta espressamente gli aspetti connessi alla responsabilità dell’ente appartenente ad un gruppo di imprese.

Tuttavia, il fenomeno dei gruppi societari rappresenta una soluzione organizzativa diffusa nel sistema economico italiano per diverse ragioni, tra cui l’esigenza di diversificare l’attività e ripartire i rischi. Inoltre, alla maggiore complessità organizzativa che contraddistingue il gruppo può accompagnarsi una maggiore difficoltà nella costruzione di sistemi di prevenzione dei reati rilevanti ai sensi del decreto 231. Pertanto, occorre interrogarsi sull’operatività dei modelli organizzativi in relazione a reati commessi da società appartenenti ad un gruppo.

(Linee guida Confindustria 2014)

(3)

CRITERI DI IMPUTAZIONE DELLA RESPONSABILITA’

Art. 5 del D. Lgs. N. 231 del 2001

Responsabilità dell'ente. L'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:

a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;

b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).

2. L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito

nell'interesse esclusivo proprio o di terzi.

(4)

IL GRUPPO PUO’ CONSIDERARSI UN ENTE AI FINI DELLA RESPONSABILITA’ EX D. Lgs. n. 231?

L’ordinamento giuridico considera unitariamente il gruppo solo nella prospettiva economica.

Nella prospettiva del diritto, esso risulta privo di autonoma capacità

giuridica e costituisce un raggruppamento di enti dotati di singole e

distinte soggettività giuridiche. Non essendo a sua volta un ente, il

gruppo non può considerarsi diretto centro di imputazione della

responsabilità da reato e non è inquadrabile tra i soggetti indicati

dell’art. 1 del decreto 231. Lo schermo della distinta personalità

giuridica delle società che lo compongono rimane un dato

insuperabile. Pertanto, non si può in alcun modo affermare una

responsabilità diretta del gruppo ai sensi del decreto 231. Al

contrario, gli enti che compongono il gruppo possono rispondere in

dipendenza dei reati commessi nello svolgimento dell’attività di

impresa. (Linee guida Confindustria 2014)

(5)

LE SOCIETA’ CONTROLLATE POSSONO CONSIDERARSI «UNITA’

ORGANIZZATIVA DOTATE DI AUTONOMIA FINANZIARIA E FUNZIONALE»?

Il quesito si pone in quanto, secondo una parte della dottrina meno recente, le società controllate potrebbero considerarsi come mere articolazioni operative del gruppo complessivamente intese, allo scopo di considerare i soggetti apicali della capogruppo titolari di una posizione di garanzia nei confronti delle società del gruppo.

In realtà questa impostazione non tiene conto dell’autonomia giuridico-economica delle singole società e dell’impossibilità di porre nel nulla lo schermo giuridico creato con la costituzione della società.

(6)

Si può considerare l’amministratore della controllante come titolare di un posizione di garanzia nei confronti delle società controllate?

Per superare le obiezioni poste al precedente approccio, la dottrina ha tentato di sostenere l’esistenza di un obbligo di vigilanza in capo alla società controllante nei confronti della controllata avente ad oggetto l’applicazione dei modelli di gestione e controllo per la prevenzione dei reati e, per di più, di un obbligo di impedimento di reati delle società controllate, ex art. 40, secondo comma. c.p., al fine di estendere la responsabilità dipendente da reato.

Critica:

- l’attività di direzione e coordinamento è un quid minus rispetto alla posizione di garanzia.

- In assenza di un’espressa e specifica previsione non può estendersi analogicamente in malam partem la posizione di garanzia idonea a fondare una responsabilità per omesso impedimento del reato altrui.

(7)

Il controllo societario o l’attività di direzione e coordinamento non possono creare di per sé una posizione di garanzia in capo ai vertici della controllante, tale da fondarne la responsabilità per omesso impedimento dell’illecito commesso nell’attività della controllata (art. 40, comma 2, c.p.). Non c’è alcuna disposizione che preveda in capo agli apicali della controllante l’obbligo giuridico e i poteri necessari per impedire i reati nella controllata. Nelle società del gruppo, giuridicamente autonome, le funzioni di gestione e controllo sono svolte dai relativi amministratori (art.

2380-bis c.c.), i quali potranno legittimamente discostarsi dalle indicazioni provenienti dalla holding, senza incorrere in responsabilità

verso quest’ultima. Infine, l’articolo 2497 c.c., in tema di direzione e coordinamento, non individua in capo alla controllante alcun potere peculiare, che non sia spiegabile alla luce del controllo azionario di cui dispone.

(LINEE GUIDA CONFINDUSTRIA 2014)

(8)

Giurisprudenza

«L’esistenza di aggregazioni societarie, come riconosciuto anche

dalla giurisprudenza penale, non determina di per sé un

mutamento delle posizioni di garanzia – che competono solo agli

amministratori di ciascuna società che lo compone – dovendosi

escludere che dal mero collegamento societario derivi in capo agli

amministratori di una società del gruppo l’obbligo di impedire la

commissione di reati nell’ambito di un’altra società del

medesimo. (Corte d’Appello di Roma, 28 marzo 1995)». (Parere

dell’Adunanza della Sezione Terza dell’11 gennaio2005)

(9)

Alla luce di quanto evidenziato, si può concludere che in definitiva il Decreto delinea un modello di responsabilità che non annovera tra i destinatari i gruppi di imprese, bensì gli enti collettivi singolarmente considerati.

Ne consegue che, ai fini dell’estensione o propagazione della responsabilità tra le società del gruppo occorre, a questo punto, accertare, in relazione ad ogni singola società:

1) La posizione del soggetto autore del reato all’interno della società (CRITERIO SOGGETTIVO)

2) La sussistenza di un interesse o vantaggio dalla realizzazione della condotta criminosa (CRITERIO OGGETTIVO)

(10)

Ipotesi applicative in tema di responsabilità del gruppo di imprese

-

RESPONSABILITA’

ASCENDENTE DELLA CAPOGRUPPO

RESPONSABILITA’

DISCENDENTE DELLE SOCIETA’

CONTROLLATE

(11)

Ferme le considerazioni finora svolte, la holding/controllante potrà essere ritenuta responsabile per il reato commesso nell’attività della controllata qualora:

- sia stato commesso un reato presupposto nell’interesse o vantaggio immediato e diretto, oltre che della controllata, anche della controllante;

- da persone fisiche collegate in via funzionale alla controllante abbiano partecipato alla commissione del reato presupposto recando un contributo causalmente rilevante (Cass., V sez. pen., sent. n. 24583 del 2011), provato in maniera concreta e specifica.

Ad esempio, possono rilevare:

- direttive penalmente illegittime, se i lineamenti essenziali dei comportamenti delittuosi realizzati dai compartecipi siano desumibili in maniera sufficientemente precisa dal programma fissato dai vertici;

- coincidenza tra i vertici della holding e quelli della controllata (cd. interlocking directorates): aumenta il rischio di propagazione della responsabilità all’interno del gruppo, perché le società potrebbero essere considerate soggetti distinti solo sul piano formale e non anche sul piano sostanziale.

(12)

GIURISPRUDENZA

Il Trib. Milano, ord. 20 dicembre 2004, ha stabilito che "La responsabilità da illecito amministrativo dipendente da reato può colpire la capogruppo non in modo indiscriminato o irragionevole ma solo quando sussista nei suoi confronti il criterio di imputazione dell'atto all'ente, cioè l'appartenenza qualificata all'ente della persona fisica che ha commesso il reato, ciò che garantisce dal rischio di qualsiasi arbitraria e ingiustificata estensione della responsabilità”. (Trib. Milano, ord. 20 dicembre 2004, in Dir. Prat. Soc., n. 6/2005, 69)

"[...] l'attivarsi di soggetti che non facevano parte in alcun modo delle società controllate e che non avevano alcun ruolo nelle medesime ma solo nella società controllante o in altre società del gruppo - non può che trovare giustificazione nella finalizzazione dell'atto all'interesse di più società e, quindi, non solo di quelle che hanno direttamente ottenuto l'aggiudicazione degli appalti ma anche delle controllanti nella prospettiva della partecipazione agli utili. L'interesse di gruppo si caratterizza, infatti, proprio per questo, per non essere proprio ed esclusivo di uno dei membri del gruppo, ma comune a tutti i soggetti che ne

fanno parte".

(13)

GIURISPRUDENZA

<< La società capogruppo [e le altre società facenti parte di un gruppo] possono essere chiamate a rispondere, ai sensi del D. Lgs. n. 231 del 2001, per il reato commesso nell’ambito dell’attività di una società controllata, purché nella consumazione concorra una persona fisica che agisca per conto della capogruppo [o delle altre società controllate], perseguendo anche l’interesse di queste ultime […] >>.

(Cassazione penale, sez. IV, 18/01/2011, n. 24583)

(14)

REQUISITO SOGGETTIVO: RAPPORTO soggetto - ente

Il soggetto autore e concorrente nel reato può essere:

1) amministratore di diritto della società controllata e, contemporaneamente amministratore di fatto della holding (o viceversa)

2) Coincidenza delle cariche sociali apicali in capo allo stesso possono essere ricoperte dallo stesso soggetto

3) Rapporto di “direzione e vigilanza di cui alla lett. b dell’art. 5 del

Decreto. (es. contratto fornitura tra controllata e controllante: il

partner può essere sottoposto alla vigilanza del soggetto apparente

alla società committente)

(15)

NOZIONE DI AMMINISTRATORE DI FATTO

Diversamente da quanto sostenuto da una parte della dottrina in passato, tale nozione non coincide con l’attività di direzione e coordinamento di cui all’art.

2497 c.c.

L’art. 2639 c.c., infatti, richiede continuità e significatività dell’attività svolta dal soggetto per qualificarlo amministratore di fatto.

« […] l’attività di amministratore di fatto presuppone un’ingerenza completa e sistematica nella gestione sociale (direttive impartite, condizionamento delle scelte operative dell’ente) da parte di un soggetto privo di investitura formale.

La nozione di «direzione e coordinamento» invece attiene ad

un’attività volta a coordinare la politica economica e le linee

essenziali dell’attività delle società collegate, imprimendo una

identità o conformità di indirizzi operativi ad una pluralità di

soggetti formalmente distinti, di modo che il gruppo venga

gestito in modo unitario». (Tribunale di Milano, sez. III

civile, 27/02/2012)

(16)

Solo se i soggetti apicali della capogruppo si ingerissero in modo sistematico e continuativo nella gestione della controllata, così da rendere apparente l’autonomia giuridica di quest’ultima, i vertici della holding potrebbero qualificarsi come amministratori della stessa. In questo caso, peraltro, si verserebbe nella ipotesi del cd. gruppo apparente, ben distante dalla fisiologica realtà dei gruppi, ove la holding indica la strategia unitaria, ma le scelte operative spettano ai vertici della controllata.

(LINEE GUIDA CONFINDUSTRIA 2014)

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CRITERIO D’IMPUTAZIONE OGGETTIVO: INTERESSE O VANTAGGIO

PRECEDENTE ORIENTAMENTO: interesse di gruppo desumibile dalla semplice apparenza ad un gruppo (criteri presuntivi, come ad es. redazione del bilancio consolidato)

NUOVO ORIENTAMENTO: interesse IMMEDIATO E DIRETTO, accertato in concreto, senza automatismi:

- valorizzazione del grado di attività di direzione e coordinamento effettuata dalla capogruppo in caso di responsabilità ascendente

- distinzione tra holding pura e holding impura (operativa o ausiliaria) (GIP Milano ordinanza 2004)

- possibile assenza dell’interesse c.d. apparente, (es. abuso in caso di responsabilità discendente. In questi casi, l’interesse effettivo appartiene alla società controllante)

(18)

Primo orientamento: Valorizzazione dell’interesse del gruppo

In passato, si è proposto di intendere in senso estensivo l’interesse, criterio oggettivo di imputazione di responsabilità da reato (art. 5, comma 1, decreto 231), per farvi rientrare anche l’interesse, unitario e autonomo rispetto a quelli di ciascuna società del gruppo, riferito alla holding o al raggruppamento imprenditoriale complessivamente inteso (cd. interesse di gruppo). Il riferimento normativo di questa ricostruzione è stato individuato nell’articolo 2497 del codice civile, che esclude la responsabilità civile delle società capogruppo nei confronti dei creditori e dei soci delle controllate, quando la diminuzione di valore della partecipazione di questi ultimi e la lesione dell’integrità del patrimonio della controllata risultino compensate dai vantaggi economici derivanti, per queste società, dall’appartenenza al gruppo.

Interesse di gruppo genericamente ed astrattamente inteso (ex

multis, Cassazione civile, sez. I, 11/03/1996, n. 2001)

(19)

Critica: In realtà, la riforma del diritto societario si è limitata a prendere atto di un fenomeno organizzativo economicamente diffuso, disciplinando a fini civilistici i rapporti e i profili di responsabilità dei soggetti che vi appartengono, mentre non ha dato espressa dignità giuridica a un generale interesse di gruppo. Pertanto, sarebbe incongruo impiegare l’articolo 2497 del codice civile per estendere la responsabilità da reato di un ente del gruppo a quest’ultimo nella sua interezza.

Accanto a tale argomento, si fa osservare che il decreto n. 231 del 2001 non prevede l’istituto del concorso di «persone»

nel reato di cui all’art. 110 c.p. Ne consegue l’impossibilità

di estendere la responsabilità per l’ente in assenza di un

legame (c.d. immedesimazione organica) tra esso il soggetto

autore del reato.

(20)

SUPERAMENTO VECCHIO ORIENTAMENTO:

La giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., V sez. pen., sent. n. 24583 del 2011) ha chiarito che l’interesse o vantaggio dell’ente alla commissione del reato devono essere riscontrati in concreto. Non si può, con un inaccettabile automatismo, ritenere che l’appartenenza della società a un gruppo di per sé implichi che le scelte compiute, ad esempio, dalla controllata perseguano un interesse che trascende quello proprio, essendo piuttosto imputabile all’intero raggruppamento o alla sua controllante o capogruppo.

Perché anche un’altra società del gruppo sia ritenuta responsabile da reato, occorre quindi che l’illecito commesso nella controllata abbia recato una specifica e concreta utilità - effettiva o potenziale - e non necessariamente di carattere patrimoniale - alla controllante o a un’altra società del gruppo.

(21)

GIURISPRUDENZA

<< La società capogruppo [e le altre società facenti parte di un gruppo] possono essere chiamate a rispondere, ai sensi del D.

Lgs. n. 231 del 2001, per il reato commesso nell’ambito dell’attività di una società controllata, purché nella consumazione concorra una persona fisica che agisca per conto della capogruppo [o delle altre società controllate], perseguendo anche l’interesse di queste ultime […] Non è sufficiente un generico riferimento al gruppo per affermare la responsabilità della holding >>.

(Cassazione penale, sez. IV, 18/01/2011, n. 24583)

(22)

GIURISPRUDENZA

In tema di responsabilità da reato degli enti, qualora il reato presupposto sia stato commesso nell'ambito dell'attività di una società facente parte di un gruppo o di una aggregazione di imprese, la responsabilità può estendersi alle società collegate solo a condizione che all'interesse o vantaggio di una società si accompagni anche quello concorrente di altra società e la persona fisica autrice del reato presupposto sia in possesso della qualifica soggettiva necessaria, ai sensi dell'art. 5 del. d.lg. n. 231 del 2001, ai fini della comune imputazione dell'illecito amministrativo da reato. (In motivazione, la Corte ha precisato che la responsabilità della capogruppo o di una controllata non può discendere dalla mera presunzione di coincidenza dell'interesse di gruppo con quello delle singole società, dovendosi verificare in concreto la sussistenza di un interesse o di un vantaggio della “holding” o di altra società del gruppo).

(Cassazione penale, sez. II, 27/09/2016, n. 52316)

(23)

DISTINZIONE HOLDING PURA, HOLDING OPERATIVA e HOLDING MISTA (ordinanza GIP Secchi Milano 2004)

La scomposizione dell'impresa in una pluralità di società può portare a separare fra loro, facendone oggetto di separate società, le due fondamentali funzioni imprenditoriali: l'attività di direzione da un lato e l'attività di produzione o scambio dall'altro. Si da così luogo ad una società capogruppo — che si definisce in questo caso holding - che non svolge alcuna attività di produzione o di scambio ma che si limita ad amministrare le proprie partecipazioni azionarie cioè a dirigere le società del proprio gruppo (società operanti).

In altri casi invece la holding, in forza della propria partecipazione di controllo in altre società, esercita sulle controllate una attività di direzione e coordinamento, ponendosi così a capo di un gruppo di società. In questo caso la funzione della holding è essa stessa funzione imprenditoriale corrispondente alla funzione di direzione strategica e finanziaria che è presente in ogni impresa. Nelle imprese isolate questa funzione si assomma alle funzioni operative. Nei gruppi invece essa si separa dalle funzioni operative dando luogo al fenomeno per il quale l'impresa si scompone in una pluralità di fasi separate, esercitate ciascuna da un soggetto diverso; sicché la holding esercita, in modo mediato, la medesima attività di impresa che le controllate esercitato in modo immediato e diretto.

(24)

L'oggetto della holding, in questo caso, non è dunque la gestione di partecipazioni azionarie come tali, ma l'esercizio indiretto di attività d'impresa. Sulla base di queste premesse questo Giudice ritiene di dovere affermare che le società controllanti Ivri Holding e Cogefi hanno esercitato, attraverso le controllate, una propria attività d'impresa ed hanno soddisfatto, sempre attraverso le controllate, un proprio

interesse.

Ivri Holding e Cogefi sono state direttamente coinvolte nella gestione dell'attività di impresa delle società controllate e non si sono limitate alla mera gestione delle partecipazioni possedute in queste ultime.

Dagli atti emerge che le controllanti, attraverso i propri amministratori, hanno attivamente partecipato alla fase delle scelte decisionali concernenti la gestione degli appalti e la consumazione degli illeciti.[…]

Devono dunque ritenersi pienamente realizzati i presupposti di cui agli

artt. 5, 6 e 7 D.lgs. 231/2001.

(25)

Distinzione forme di raggruppamento societario rilevante al fine di individuare i criteri di imputazione di cui all’art. 5:

Holding PURA (o finanziaria): non svolge alcuna attività di produzione o di scambio, propria delle controllate, ma si limita ad amministrare le proprie partecipazioni

Holding OPERATIVA: svolge attività di produzione e scambio di beni e servizi in modo diretto con le altre società del gruppo

Holding MISTA: esercita in modo mediato e indiretto l’attività di impresa attraverso i propri amministratori, che partecipano alle fasi decisionali inerenti l’attività svolta dalla società controllata. La capogruppo esercita, quindi, il compito di direzione e coordinamento

(26)

Conseguenze applicative della distinzione:

Solo nel caso di Holding operativa o mista si

rischia una risalita di responsabilità per i

reati commessi nella società controllata

(Tribunale di Lucca 2 agosto 2017, FS spa)

(27)

RESPONSABILITA’ DISCENDENTE DELLA SOCIETA’

CONTROLLATA PER REATO COMMESSO DALLA CAPOGRUPPO Ipotesi appliicative:

- Valutazione in concreto di un reale interesse concorrente o coincidente della società controllata;

- interesse della controllata solo apparente;

- interesse della controllata configgente (c.d. abuso di posizione unitaria, sanzionato anche penalmente 2634 c.c. infedeltà patrimoniale);

- Interesse della società inesistente (scatole vuote).

(28)

GIURISPRUDENZA sulla RESPONSABILITA’ DISCENDENTE e sull’“interesse apparente”

L’interesse e il vantaggio devono essere verificati in concreto, nel senso che per fondare l’estensione della responsabilità la società deve ricevere una potenziale o effettiva utilità (nella fattispecie la Corte ha ritenuto corretto l’addebito alla capogruppo dell’illecito amministrativo sottostante alla commissione del reato di truffa ai danni dello Stato, di cui formalmente aveva beneficiato una controllata, attraverso la valorizzazione della circostanza che beneficiaria finale dell’operazione era proprio la capogruppo, cui le società erano tenute a conferire liquidità: era emerso che il reato era risultato commesso nell’interesse o a beneficio solo apparente della controllata, mentre in realtà tale interesse ed il conseguente beneficio riguardavano la controllante, nella cui disponibilità finivano le liquidità di volta in volta percepite.

(Cass. pen. n. 52316 del 2016)

(29)

GIURISPRUDENZA sulla mancanza di interesse (scatole vuote)

(Trib. Torino, sez. g.i.p., 28 gennaio 2004, Resp. amm. soc. enti 2006, 1, 187) Il giudice ha escluso la responsabilità amministrativa delle società cc. dd. “cartiere" (od anche "scatole vuote") per le truffe attraverso esse perpetrate, in difetto di un loro interesse e vantaggio. In particolare, il giudice ha osservato che dette società sono costituite soltanto per consentire alle persone fisiche imputate delle truffe di lucrare guadagni, venendo sfruttate come intermediari fittizi, che operano in perdita e accumulano debiti verso l'erario, con la conseguenza che le operazioni illecite non sono in concreto realizzate nell'interesse oppure a vantaggio degli enti coinvolti, ma esclusivamente nell'interesse delle persone fisiche che materialmente le pongono in essere.

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