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L’attività di esame preliminare degli atti introduttivi delle impugnazioni penali

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OGGETTO: Pratica num. 962/VV/2016 - Linee guida in materia di esame preliminare delle impugnazioni e modalità stilistiche di redazione dei provvedimenti.

(delibera del 5 luglio 2017)

“Sommario: 1. Analisi della situazione della giustizia italiana e necessità di un intervento consiliare sulle linee guida in tema di esame preliminare degli atti introduttivi delle impugnazioni e modalità stilistiche nella redazione dei provvedimenti. - 2. L’attività di esame preliminare degli atti introduttivi delle impugnazioni penali. - 2.1. Modelli organizzativi auspicabili per l’attività di esame preliminare degli atti introduttivi delle impugnazioni penali. - 3. L’attività di esame preliminare degli atti introduttivi delle impugnazioni civili. - 3.1. Modelli organizzativi auspicabili per l’attività di esame preliminare degli atti introduttivi delle impugnazioni civili. - 4. Esame preliminare delle impugnazioni ed efficaci tecniche redazionali dei provvedimenti. - 5. Modelli redazionali degli atti auspicabili nel processo penale. - 6. Modelli redazionali degli atti auspicabili nel processo civile.

1. Analisi della situazione della giustizia italiana e necessità di un intervento consiliare sulle linee guida in tema di esame preliminare degli atti introduttivi delle impugnazioni e modalità stilistiche nella redazione dei provvedimenti.

È un dato di comune esperienza che l’inefficienza della giustizia rappresenta un ostacolo non solo all’attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata dei processi, ma anche all’affermazione della certezza del diritto e allo sviluppo del nostro paese.

L’esame dei dati statistici relativi alla durata dei processi in Italia evidenzia come la fase processuale in cui si accumulano maggiori ritardi nella definizione sia quella di impugnazione. In particolare, è in quella del giudizio di secondo grado che principalmente si determina un effetto frenante sulla quantità complessiva dei procedimenti definiti e sui tempi di loro conclusione.

Il rapporto 2016 Doing Business Italia, elaborato dal World Bank Group, con riguardo ai tempi e costi delle controversie, posiziona l’Italia soltanto al 108° posto nella graduatoria dei 190 Paesi considerati, in posizione arretrata rispetto alle nazioni europee più avanzate, anche se con riferimento alla qualità del servizio giudiziario all’Italia è assegnato il punteggio di 13, superiore alla media di 11 dei Paesi più sviluppati, per indipendenza e professionalità dei magistrati.

Da qui l’esigenza di elaborare delle linee guida di carattere generale in materia di esame preliminare delle impugnazioni introduttive del giudizio di secondo grado, sia nel processo penale che nel processo civile, che, avendo ricadute sulla concreta organizzazione degli uffici, possano garantire una maggiore efficienza del sistema giustizia, nonché favorire buone prassi motivatorie che, coniugando sinteticità e completezza, siano espressive di ragionamenti giuridici eminentemente sviluppati per punti essenziali.

Non v’è dubbio che spetti al Consiglio superiore il ruolo di motore propulsivo di tutte quelle buone prassi che, senza naturalmente impingere sul contenuto degli atti giudiziari e giurisdizionali, possano fungere da modelli organizzativi plastici ed efficienti, in grado, dunque, di assicurare al cittadino-utente la migliore risposta giudiziaria possibile per qualità e tempestività del prodotto.

Una rinnovata visione dell’attività giudiziaria intesa non già solo come esercizio di un potere statuale, ma anche, se non soprattutto, come servizio da rendere al complessivo sistema-paese, nella dovuta considerazione che la giurisdizione è, notoriamente, risorsa statuale limitata e che il

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principio della durata ragionevole dei giudizi deve informare pure l’azione della cd.

“amministrazione della giurisdizione”.

A tal fine, il Consiglio ha pertanto intrapreso un’intensa attività istruttoria sviluppatasi, tra l’altro, nella costituzione di due gruppi di lavoro, rispettivamente in materia di “esame preliminare delle impugnazioni del giudizio di secondo grado nel processo civile e penale1“ e in materia di

“organizzazione del lavoro giudiziario anche con riferimento alle tecniche di redazione dei provvedimenti al fine di garantire la ragionevole durata del giudizio2“.

Tali gruppi di lavoro hanno esitato due articolate relazioni che hanno rappresentato una solida base conoscitiva per la riflessione consiliare.

2. L’attività di esame preliminare degli atti introduttivi delle impugnazioni penali.

Il pesante carico di lavoro che grava sulle Corti d’appello nel settore penale ha indotto il Consiglio Superiore a una riflessione sui possibili strumenti organizzativi per migliorare l’efficienza degli Uffici giudiziari e garantire al contempo il principio costituzionale della ragionevole durata dei processi.

In questa direzione, recependo alcune positive esperienze maturate presso talune Corti d’appello, si è ritenuto di focalizzare l’attenzione sull’esame preliminare delle impugnazioni introduttive del giudizio di secondo grado nel processo penale, rivelandosi ottimo strumento organizzativo per una più celere ed efficace risposta di giustizia.

Sul piano dell’organizzazione del lavoro l’esame o spoglio preliminare è infatti funzionale al conseguimento di plurimi obiettivi, potendo consentire:

- l’analisi del grado di complessità delle questioni giuridiche poste dalla sentenza di primo grado e dei motivi di impugnazione, con conseguente attribuzione di un coefficiente ponderale di complessità, a sua volta funzionale alla razionale formazione dei ruoli, all’equa distribuzione degli affari tra i magistrati e al rispetto dei carichi esigibili;

- il calcolo dei termini di prescrizione del reato, funzionale ad una cernita ragionata dei processi che possono essere utilmente celebrati nel rispetto dei termini di legge;

- il tempestivo computo della data di scadenza del termini di fase della custodia cautelare, utile alla rapida trattazione dei processi in cui lo stato di privazione della libertà personale dell’imputato attuale o pregresso impone la trattazione prioritaria;

- l’individuazione dei processi per reati di particolare allarme sociale che necessitano di trattazione prioritaria e che possono prevedibilmente richiedere plurime udienze, con conseguente possibilità di programmazione dei ruoli e delle udienze allo scopo di distribuire in maniera ordinata nel tempo la relativa celebrazione;

- la selezione dei processi e delle questioni seriali che possono essere oggetto di udienze monotematiche;

- l’individuazione di problematiche giuridiche nuove conseguenti a modifiche normative o a decisioni degli organi di giustizia sovranazionali che richiedono uno studio preventivo approfondito e l’organizzazione di riunioni sezionali per discuterle a livello teorico;

- l’individuazione dei motivi d’impugnazione riguardanti solo i profili attinenti al trattamento sanzionatorio, che permettono la fissazione di un maggior numero di processi incentrati esclusivamente su questo profilo;

- la sollecita fissazione dei processi nel cui ambito la Corte di Cassazione abbia pronunciato sentenza di annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio o l’individuazione dei processi che impongono particolari misure organizzative;

- l’efficace pianificazione del lavoro, mediante una razionale calendarizzazione dei processi che consente di avere cognizione dei tempi di fissazione e di smaltimento, nonché di individuare i processi più risalenti al fine di garantirne la ragionevole durata.

1 Gruppo di lavoro composto dai dottori Margherita Cassano, Maria Rosaria Cultrera e Stefano Schirò

2 Gruppo di lavoro composto dai dottori Renato Bricchetti, Carlo Citterio e Antonietta Scrima

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Passando poi dal piano dell’organizzazione del lavoro a quello più strettamente processuale l’esame preliminare consente, in primis, un rapido controllo sulla corretta qualificazione del tipo di impugnazione prescelta e garantisce la sollecita applicazione degli strumenti di conversione, qualora il provvedimento di primo grado sia stato oggetto di diverse forme di gravame. Permette, inoltre, una tempestiva verifica sull’osservanza dei termini di impugnazione, delle forme stabilite dalla legge processuale, sulla legittimazione della parte a impugnare, sulla esistenza dei motivi a sostegno della dichiarazione di impugnazione, sull’attualità e concretezza dell’interesse a impugnare. Consente, infine, di individuare con rapidità le impugnazioni con le quali vengono prospettate violazioni non dedotte tempestivamente, quelle proposte contro provvedimenti insuscettibili di autonomo gravame o privi di carattere decisorio o connotati da un contenuto decisorio limitato ai soli profili della competenza.

Ma è altresì assai pregnante il rilievo che l’esame preliminare permette anche di fare una cernita meditata dei motivi di impugnazione non specifici ovvero non conformi alle prescrizioni, imposte a pena di inammissibilità, di cui all’art. 581 c.p.p., a mente del quale (come modificato dal disegno di legge avente a oggetto le modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario appena approvato dal Parlamento) vi è l’onere di enunciare a pena di inammissibilità “: a) i capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione; b) le prove delle quali si deduce l’inesistenza, l’omessa assunzione o l’omessa o erronea valutazione; c) le richieste, anche istruttorie; d) i motivi, con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta »”.

È questo uno dei più delicati snodi dell’intero sistema processuale penale, perché concerne l’ampiezza del “filtro” costituito dalla declaratoria di inammissibilità delle impugnazioni, previsto dall’art. 591, comma 2, cod. proc. pen.; declaratoria che il giudice deve emettere, tra l’altro, qualora l’atto impugn1atorio difetti di uno dei requisiti individuati dall’art. 581 dello stesso codice (art. 591, comma 1, lettera c, cod. proc. pen.).

Il tema è stato recentemente affrontato dalle SS.UU della Suprema Corte di cassazione (Cass., sezioni Unite, n. 8825/2017) chiamate a risolvere il persistente contrasto rilevabile, nella giurisprudenza della Suprema Corte, proprio sul tema della specificità dei motivi d’appello e dei poteri di declaratoria di inammissibilità delle impugnazioni, ai sensi dell’art. 591 cod. proc. pen.

Nella menzionata pronuncia si chiarisce, in via generale, che “l’inammissibilità dell’impugnazione deve essere considerata una categoria unitaria, nell’ambito di un sistema contraddistinto dal principio dispositivo, nel senso che è nella facoltà delle parti dare ingresso, attraverso un atto conforme ai requisiti di legge richiesti, al procedimento di impugnazione e delimitare i punti del provvedimento da sottoporre al controllo dell’organo giurisdizionale del grado successivo”. Si puntualizza, quindi, “che il momento di operatività dell’effetto devolutivo ope legis non può che coincidere con la proposizione di una valida impugnazione, che investa l’organo giudicante della cognizione della res iudicanda, con riferimento sia ai motivi di doglianza articolati dalle parti sia a quelli che, inerendo a questioni rilevabili d’ufficio, si affiancano per legge ai primi” e che “esistono all’interno dell’ordinamento fondamentali esigenze di funzionalità e di efficienza del processo, che devono garantire - nel rispetto delle regole normativamente previste e in tempi ragionevoli - l’effettivo esercizio della giurisdizione e che non possono soccombere di fronte ad un uso non corretto, spesso strumentale e pretestuoso, dell’impugnazione”.

Inoltre, all’esito di un’articolata e ragionata ricostruzione sul contrasto giurisprudenziale emerso in ordine alla specificità dei motivi d’appello, viene così enunciato il principio di diritto secondo cui: “L’appello (al pari del ricorso per cassazione) è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata”.

La molteplicità degli effetti positivi evidenziati rende certamente auspicabile che presso tutte le Corti d’appello venga data concreta attuazione all’esame preliminare delle impugnazioni, intesa anche come attività di spoglio, ovviamente parametrata alle singole realtà territoriali, alle

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dimensioni dei singoli Uffici giudiziari, all’organico dei magistrati e al numero delle sopravvenienze.

2.1. Modelli organizzativi auspicabili per l’attività di esame preliminare degli atti introduttivi delle impugnazioni penali.

I modelli che possono prefigurarsi sono fondamentalmente due e implicano entrambi uno stretto raccordo operativo tra magistrati addetti a questo tipo di attività e Presidenti di Sezione, in vista di uno stabile aggiornamento degli indirizzi giurisprudenziali, funzionale alla valutazione attenta di eventuali profili di inammissibilità, nonché di una proficua organizzazione del lavoro.

Nelle Corti di piccole-medie dimensioni può prevedersi la creazione di un unico Ufficio

“spoglio” centralizzato composto da un ridotto numero di magistrati che si occupino tabellarmente anche dell’esame preliminare delle impugnazioni e che – di regola – compongano anche i Collegi incaricati della trattazione dei processi definibili in camera di consiglio con ordinanza d’inammissibilità.

Nelle Corti di maggiori dimensioni, sembra preferibile che presso ciascuna Sezione penale venga istituito un Ufficio “spoglio” composto da un numero predeterminato e fìsso di magistrati - correlato alle dimensioni effettive della Sezione e al carico di lavoro - che possano svolgere stabilmente questa attività con un esonero parziale dal lavoro di almeno un’udienza mensile. In quest’ultima ipotesi, soprattutto nelle Corti di maggiori dimensioni, sarebbe opportuna l’istituzione, a livello tabellare, della figura del coordinatore dell’Ufficio “spoglio”, in modo da assicurare l’uniformità delle prassi lavorative dei corrispondenti Uffici “spoglio” sezionali.

3. L’attività di esame preliminare degli atti introduttivi delle impugnazioni civili.

Le considerazioni sopra svolte circa l’utilità dell’esame preliminare degli atti di impugnazione valgono ancor più nel settore civile, alla stregua della riforma legislativa del 2012. Invero, con la disciplina prevista dagli artt. 54 d.1. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n.

134 (c.d. “decreto sviluppo”) è stata introdotta, attraverso gli articoli di nuova formulazione 348 bis, 348 ter e 436 bis c.p.c., la previsione della dichiarazione di inammissibilità degli appelli che non abbiano “ragionevole probabilità” di essere accolti, attraverso «un meccanismo processuale di inammissibilità - una sorta di “filtro”, secondo un modello ispirato ad istituti propri dei sistemi inglese e tedesco- incentrato sulla prognosi, formulata dal medesimo giudice competente per la trattazione della causa, che l’appello sia privo di una ragionevole probabilità di essere accolto»

(delibera consiliare del 19 dicembre 2012).

Il legislatore ha introdotto una modalità di definizione del contenzioso ritenuto non meritevole di approfondimento nel merito con uno strumento processuale sintetico ed essenziale nel contenuto che contenga, anche per rinvio, soltanto i riferimenti argomentativi minimi necessari ad individuare le ragioni della prognosi negativa di fondatezza.

Con delibera consiliare del 19 dicembre 2012, il C.S.M., pur richiamando alcuni profili critici della nuova disciplina, sottolineava l’utilità di un monitoraggio presso tutti i Presidenti delle Corti d’appello, “al fine di conoscere quali provvedimenti organizzativi fossero stati adottati o fossero in via di adozione”. Le segnalazioni pervenute hanno permesso al Consiglio superiore di individuare un modello organizzativo che, favorendo procedimenti omogenei, potesse “offrire agli utenti prassi comuni e garantire il miglior risultato della riforma”, pur prendendo atto “della carenza di risorse magistratuali a disposizione degli uffici giudiziari”, “nel tentativo di limitare al minimo l’inevitabile aggravio di lavoro a carico dei consiglieri d’appello in conseguenza della riforma”.

Sennonché, a distanza di alcuni anni dall’entrata in vigore dei suddetti strumenti processuali, dalle informazioni acquisite presso le Corti d’appello è emerso un quadro che si discosta in maniera significativa dal modello processuale prefigurato e non mostra univoci segnali di applicazione dello strumento dell’inammissibilità per mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento. Ciò potrebbe essere ascritto anche al deficit di appositi moduli organizzativi.

Salvo alcune eccezioni, mancano infatti regole organizzative preordinate allo svolgimento di un esame preliminare (c.d. “spoglio”) dei fascicoli, volto a individuare con celerità gli appelli per i

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quali sia possibile una prognosi di non ragionevole probabilità di accoglimento, definibili con declaratoria d’inammissibilità, nonché gli ulteriori appelli da definire rapidamente con sentenza d’improcedibilità ex art. 348 c.p.c. o d’inammissibilità ex art. 342 c.p.c., o con sentenza con motivazione contestuale a seguito di trattazione orale ex art. 281 sexies c.p.c.

Diffusa, peraltro, è la tendenza di separare, nel ruolo di udienza, la trattazione degli appelli definibili con l’ordinanza d’inammissibilità da quelli suscettibili di definizione in via ordinaria con sentenza.

Spesso poi i difensori delle parti vengono comunque invitati a precisare le conclusioni sulla eventuale sussistenza delle condizioni per la declaratoria d’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c., con conseguente rinvio ad altra udienza.

Ebbene, l’esperienza fin qui maturata ha dimostrato che la riforma del filtro, così come attuata e in mancanza di nuove e idonee regole organizzative del processo d’appello, non ha ottenuto risultati ottimali.

Da qui l’opportunità di individuare linee guida che possano contribuire a raggiungere l’obiettivo dell’incremento, in termini quantitativi e con modalità sistematiche, dell’utilizzo del filtro d’inammissibilità nel processo d’appello, cosi da poter effettivamente avvalersi di tale strumento processuale, ferma restando, per la notevole diversità di caratteristiche dei vari distretti, la possibilità per ciascun ufficio di organizzare l’attività secondo diverse modalità, idonee a garantire la definizione degli appelli anche attraverso il filtro di inammissibilità.

3.1. Modelli organizzativi auspicabili per l’attività di esame preliminare degli atti introduttivi delle impugnazioni civili.

L’esperienza maturata in alcuni uffici giudiziari (la Corte di cassazione e alcune Corti d’appello) ha evidenziato che un’importante regola organizzativa e innovativa, utile a governare la massa degli atti d’impugnazione e a indirizzarne la trattazione secondo obiettivi razionali di gestione e di trattazione, è lo spoglio generalizzato di tutti gli atti introduttivi dell’impugnazione.

Infatti, il modello decisionale delineato dagli artt. 348 bis e ter c.p.c. può operare in modo particolarmente efficace se accompagnato dalla rimodulazione dell’organizzazione del lavoro dei giudici d’appello volta a privilegiare un preliminare esame (“spoglio”) delle impugnazioni che si prestano effettivamente ad essere decise, in quanto prive di una ragionevole probabilità di essere accolte.

In tale prospettiva, può essere utilmente previsto, anche mediante l’adozione di specifici provvedimenti tabellari, un generalizzato vaglio preliminare delle impugnazioni.

Tale esame preliminare può essere effettuato dal Consigliere - delegato dal Presidente di Sezione nel rispetto dei criteri tabellari - che, a turno, secondo criteri automatici, esamina di volta in volta un numero predeterminato di fascicoli di nuova iscrizione e, quindi, verifica se il procedimento possa essere trattato in tempi più contenuti per una qualche ragione specifica ovvero se per esso possa essere fissata direttamente l’udienza di precisazione delle conclusioni. In questa stessa sede di primo vaglio al Consigliere può anche essere attribuito il compito di assegnare al fascicolo una classificazione valutativa che segna il percorso, anche temporale, del fascicolo nel prosieguo; questa classificazione può essere o di preferenzialità (o al contrario di ordinarietà) ovvero, appunto, di “filtro”.

La preferenzialità comporta l’inserimento della causa, il cui oggetto rientri in quella particolare categoria di trattazione prioritaria stabilita nel provvedimento tabellare, in una corsia accelerata.

Il vaglio preliminare delle cause di nuova iscrizione (che, in alternativa, può essere affidato direttamente al consigliere assegnatario del procedimento e designato relatore per la prima udienza) assicura, inoltre, l’individuazione delle controversie per le quali appaia necessaria o opportuna la trattazione orale in udienza con conseguente loro distinzione rispetto alle altre in vista di una migliore organizzazione e gestione dei ruoli, di un tempestivo studio del fascicolo da parte del Presidente del collegio e del relatore, non dispersivo dell’energia professionale profusa.

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L’esame preliminare ha una portata applicativa ancora più ampia, atteso che il Consigliere, in sede di primo scrutinio, può ritenere che il fascicolo esaminato presenti degli indici di mediabilità al sensi dell’art. 5, comma secondo D. Lgs. n. 28/2010, come novellato dal D.L. n. 69/13, conv. nella legge n. 98/13.

Esso, ancora, consente di individuare le ipotesi di inammissibilità e improcedibilità degli appelli, le impugnazioni di carattere seriale o connotate dalla medesima questione o da questioni affini e di fissare, quindi, udienze di carattere tematico che permettono la definizione di un maggior numero di procedimenti.

In questi casi è evidente che - previa instaurazione del contradditorio, anche mediante avviso alle parti che l’udienza di trattazione è fissata solo (o anche) per le determinazioni ex art. 348 c.p.c., - il Collegio si trova nelle condizioni di poter definire la causa prima dei tempi ordinari e di alleggerire il carico del ruolo.

L’udienza “filtro”, in tali ipotesi, serve a selezionare le cause suscettibili di pronta definizione e a fare una cernita mirata dei processi civili ai fini di una loro programmata definizione.

Analoghe modalità possono essere previste anche per gli appelli avverso le sentenze del giudice di pace affidate alla trattazione del giudice monocratico presso il tribunale.

Il modello dello spoglio preventivo, attribuito in via diffusa a tutti i magistrati dell’ufficio, a rotazione o in via stabile con ripartizione per materia degli appelli secondo competenze tabellari interne, si addice alle Corti d’appello e ai Tribunali quali giudici d’appello, di piccole e medie dimensioni, composti da una sola sezione o comunque da poche sezioni, essendo agevole assicurare il coordinamento da parte del presidente o dei presidenti di sezione e l’omogeneità delle procedure seguite dai singoli magistrati.

Quanto alle Corti d’appello e agli uffici di grandi dimensioni, l’elevato numero di procedimenti rende ancor più auspicabile lo spoglio preventivo.

È necessario che lo studio da parte del consigliere relatore dei fascicoli fissati per la prima udienza ex art. 350 c.p.c. sia mirato alla rilevazione, nel ruolo di ciascuna udienza di trattazione ex art. 350 c.p.c., degli appelli da definire con ordinanza d’inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c., continuando altrimenti la disposizione a rimanere sostanzialmente disapplicata. Su questa premessa, l’immediata riserva in udienza, previo invito ai difensori delle parti a rassegnare le proprie conclusioni in ordine all’eventuale applicazione del filtro d’inammissibilità, o l’eventuale concessione di breve termine per note sul punto, possono consentire comunque di definire sollecitamente il procedimento e di assicurare la finalità deflativa dell’istituto.

Sempre al fine di incentivare il corretto utilizzo del filtro d’inammissibilità, è opportuno, inoltre, che ciascuna sezione dell’ufficio giudicante d’appello individui preventivamente, tra le materie tabellarmente assegnate alla sua cognizione, quelle in cui sia più agevole il ricorso al filtro (ad esempio, in ragione dell’esistenza di pacifici e consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità o della sezione medesima, che certamente rendano più semplice la motivazione sul profilo della “non ragionevole probabilità di accoglimento”).

Da ultimo, l’ufficio del processo può certamente svolgere un importante ruolo ai fini di un maggiore e più efficace utilizzo del filtro in appello. Nelle attività di spoglio preordinate alla pronuncia di ordinanze ex art. 348 bis c.p.c. e di sentenze ex art. 281 sexies c.p.c. possono, quindi, essere opportunamente coinvolti i giudici ausiliari delle Corti d’appello e le varie categorie di tirocinanti che da tempo ormai frequentano stage formativi negli uffici giudiziari, comprese le corti d’appello, sotto la guida del giudice togato per la delicatezza dell’attività in esame.

4. Modalità stilistiche e tecniche di redazione dei provvedimenti.

È un dato di comune esperienza che ogni atto processuale si inserisce in un iter che lo precede e lo segue, volto al perseguimento di un unico risultato finale di giustizia, in tempi ragionevoli.

In questa prospettiva l’attività di esame preliminare delle impugnazioni e i conseguenti diversi epiloghi decisori (ordinanze di inammissibilità o sentenze) non possono non avere anche effetti migliorativi dei modelli argomentativi, da sviluppare in collaborazione con la Scuola della Magistratura e delle relative strutture di formazione decentrata.

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L’esame preliminare, infatti, può assicurare una visione d’insieme dell’elaborazione giurisprudenziale maturata dal giudice dell’impugnazione, permette di cogliere le positività e le criticità delle linee evolutive dell’attività interpretativa siccome declinata dagli Uffici di primo grado, di individuare eventuali vizi rilevati dalla Corte di cassazione nell’attività del giudici d’appello, nonché di concentrare l’attività di approfondimento sulle questioni che abbiano superato il vaglio preliminare.

In altri termini, può rappresentare un fattore di razionalizzazione dell’elaborazione giurisprudenziale e di promozione di modelli di motivazione idonei ad assicurare l’auspicata stabilità e prevedibilità delle decisioni. Il che è a sua volta funzionale a garantire la conoscenza da parte degli utenti e delle Istituzioni interessate degli indirizzi maturati in un determinato ambito territoriale sulle diverse questioni, a rendere più consapevoli e responsabilizzanti le scelte difensive circa la proposizione dell’impugnazione, nonché a dare attuazione al principio consacrato dall’art. 3 Cost. mediante l’uguale trattamento di situazioni identiche.

Pertanto, nell’ambito delle buone prassi da incentivare, sia pure con la cennata avvertenza di giammai oltrepassare il perimetro di esclusiva pertinenza dell’autorità giudiziaria, rientra sicuramente quella volta all’adozione di modelli organizzatori che possano essere di stimolo anche per l’elaborazione di prassi motivatorie più confacenti a canoni di snellezza argomentativa, agilità di comprensione e uniformità stilistica.

La questione aveva già formato oggetto di valutazione consiliare con la risoluzione del Csm del 18 maggio 1988, secondo cui il problema del «collo di bottiglia» della decisione è una delle cause principali della crisi della giustizia civile [^ ] 3.

In linea generale, come è noto, la motivazione è diretta eminentemente alle parti 4; al giudice della possibile impugnazione ed alla collettività, ossia ad ogni cittadino contemporaneo interessato alla corretta amministrazione della giustizia; ciò in omaggio al principio fissato nell’art. 101 della Costituzione.

In questi ultimi anni, del resto, il tema è stato oggetto di ampio dibattitto e di plurimi interventi, fra i quali vanno in particolare menzionati quelli del Primo Presidente Ernesto Lupo, con il “Provvedimento sulla motivazione semplificata di sentenze e di ordinanze decisorie civili” del 22 marzo 2011, nonché dal Primo Presidente Giovanni Canzio, con i successivi decreti n. 68/2016

“Provvedimento sulla motivazione semplificata di sentenze penali”, e n. 136/2016 “La motivazione dei provvedimenti civili: in particolare, la motivazione sintetica”, precisandosi, in quest’ultimi, che la «la tecnica di redazione di sentenza in forma sintetica, anche mediante motivazione semplificata», oltre a perseguire finalità di trasparenza e di maggiore efficienza, costituisce «uno degli indici della capacità di sintesi del magistrato nella redazione dei provvedimenti giudiziari» da tenere in considerazione nelle valutazioni di professionalità.

Ebbene, il Consiglio, condividendo tali indicazioni di principio, avverte l’esigenza di promuovere nella materia di interesse modelli organizzativi idonei ad attuare una giustizia più efficace ed efficiente, secondo le sollecitazioni provenienti dalle Istituzioni europee5.

3 La risoluzione del Csm del 18 maggio 1988 (in Foro it., 1988, V, 249) ha espresso perplessità su siffatto modo di motivare: quanto più chiara diventerà, nella cultura dei giudici, la concezione di ciò che la sentenza deve essere: non un documento avulso dal processo, vivente di vita propria, e nel quale, quindi, tutto deve essere raccontato e analizzato anche indipendentemente dalle reali necessità argomentative sulle quali il giudice ha finito per puntare: e soprattutto non una «difesa» (sorretta da tutti i motivi possibili, come deve fare l’avvocato che non sa quale tra essi sarà più gradito o meglio compreso) della decisione presa, ma un «rendiconto» di ciò che si è pensato per giungere a tale decisione. Ciò consentirebbe uno stile sobrio e discorsivo, articolato in proposizioni semplici perché essenziali e convinte: e dunque potrebbe non essere inesigibile che il giudice tentasse la prova della dettatura a verbale.

4 Cfr. L. LANZA, "“Patologia della motivazione"" relazione tenuta a Roma 27-29 settembre 2004, al corso CSM:

“.. nella motivazione ogni parte, privata o pubblica, deve trovare la sua personale e controllabile risposta nelle ragioni della sentenza del giudice .In buona sostanza e conclusivamente, la motivazione come giustificazione ha sicuramente pluralità composita di destinatari, ma se vi è in essa chiarezza espositiva e rispetto delle regole della razionalità e della logica, ogni lettore riuscirà a trovare in essa la sua ragionevole nicchia di convincimento”.

5 Raccomandazione CM / Rec (2010) 12 del Comitato dei Ministri agli stati membri sui giudici: indipendenza, efficacia e responsabilità (adottata dal Comitato dei Ministri il 17 novembre 2010 in occasione della 1098^ riunione dei

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Il recente rapporto del 21 aprile 2016 sull’azione degli Stati membri del Consiglio d’Europa con riguardo all’indipendenza, efficienza e responsabilità dei giudici afferma esplicitamente che le sentenze devono essere scritte in “clear language”, perché devono essere agevolmente comprensibili dal pubblico (si raccomanda agli Stati membri del Consiglio di Europa di intraprendere azioni adeguate per un progresso in tal senso). Analoghi concetti sono contenuti con riguardo al pubblico ministero in un parere del 18 novembre 2016, in tema di qualità ed efficienza del lavoro dei procuratori, espresso dal Consiglio consultivo dei procuratori europei, istituito dal Consiglio d’Europa6.

Da qui l’opportunità di un intervento del CSM che si faccia interprete delle migliori prassi quanto alle modalità di lavoro del magistrato, per ciò che attenga ovviamente alla forma delle deliberazioni.

5. Modelli di redazione degli atti nel processo penale.

L’articolo 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., nella formulazione conseguente alla recente approvazione da parte delle Aule Parlamentari del disegno di legge avente a oggetto le modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario, dispone che la motivazione deve contenere : «e) la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l’indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e con l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo:

1) all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione e alla loro qualificazione giuridica;

2) alla punibilità e alla determinazione della pena, secondo le modalità stabilite dal comma 2 dell’articolo 533, e della misura di sicurezza;

3) alla responsabilità civile derivante dal reato;

4) all’accertamento dei fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali».

La motivazione della sentenza penale, dunque, deve contenere un giudizio sul fatto di reato e, se del caso, sui fatti processuali nonché l’indicazione del criterio di cui il giudice si è avvalso nel valutare il fatto e il risultato che ha raggiunto.

Essa deve insomma argomentare sul dato probatorio, utilizzabile o inutilizzabile, rilevante o irrilevante, decisivo o superfluo, attendibile o inattendibile.

Segnatamente, il nuovo disposto normativo focalizza con precisione l’ambito dell’ordito argomentativo. Infatti, il legislatore definisce l’iter argomentativo che il giudicante deve seguire nello stendere la motivazione, avendo indicato in modo esauriente i quesiti cui il medesimo deve dare risposta nel decisum.

E’, dunque, necessario, ma, si badi bene, è anche sufficiente, che il giudice motivi quanto all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione e alla loro qualificazione giuridica, nonché in ordine alla punibilità, alle modalità di determinazione della pena

Delegati dei Ministri). Si veda anche il parere n. 11(2016) approvato il 18 novembre 2016, in tema di qualità ed efficienza del lavoro dei procuratori, dal Consiglio consultivo dei procuratori europei, istituito dal Consiglio d’Europa (ove sono enunciati analoghi concetti riguardo al pubblico ministero).

6 Va da sé che nella sequenza processuale il contenuto di ogni atto è influenzato da quello che lo precede. Per questo, il Presidente del Consiglio di Stato non solo ha emanato in data 22 dicembre 2016 un decreto che disciplina i criteri di redazione ed i limiti dimensionali dei ricorsi e degli altri atti difensivi nel processo amministrativo, ma si accinge anche a predisporre un vademecum destinato ai giudici «contenente utili suggerimenti di tecnica redazionale volti ad accrescere la chiarezza e la sinteticità dei provvedimenti giudiziari». Nella stessa direzione si è mosso anche il Presidente della Suprema Corte di cassazione il quale, nel giugno 2016, ha varato decreti sulla motivazione semplificata delle sentenze penali e civili della Corte,. Per completezza si evidenzia che, con il Protocollo d’intesa tra la Corte di cassazione, il Consiglio Nazionale Forense e l'Avvocatura Generale dello Stato del 15 dicembre 2016, al § 6 è stato convenuto che "le memorie predisposte in vista della trattazione camerale non superino, di regola, il numero di quindici pagine", così inserendosi, nell'ambito del processo civile, sia pure a titolo di mera esortazione, un limite quantitativo specifico alla lunghezza degli atti di parte. Peraltro, già con la lettera del 17 giugno 2013, indirizzata al Presidente del Consiglio Nazionale Forense, l'allora Presidente della Corte Suprema di cassazione, Giorgio Santacroce, invitò gli avvocati alla sinteticità nella redazione dei loro atti, raccomandando loro di contenere in un numero massimo di venti pagine la stesura di ricorsi, controricorsi e memorie.

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e della misura di sicurezza; in caso di costituzione di parte civile, quanto alla responsabilità civile derivante dal reato. Infine, occorre dar conto delle vicende processuali e delle ragioni per cui si sono tenute determinate decisioni in punto di applicazione di norme processuali.

Il legislatore, inoltre, detta anche istruzioni di metodo, nel senso che nel far ciò il giudicante deve indicare i risultati acquisiti, i criteri di valutazione della prova adottati (elemento di novità rispetto alla formulazione previgente) nonché enunciare le ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie.

Al contempo, tale disposizione richiede che l’esposizione deve essere “concisa”.

La concisione si coniuga necessariamente con la completezza della motivazione, con la sua fedeltà ai dati probatori, con la sua logicità. Requisiti tutti che formano un valore complessivo inestimabile: la stabilità della decisione.

In altri termini, concisione, chiarezza, sinteticità, essenzialità, proporzionalità, adeguatezza costituiscono il DNA della motivazione [del ragionamento probatorio soprattutto] dei provvedimenti del giudice del terzo millennio.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono il Consiglio avverte l’esigenza di formulare delle linee guida volte all’implementazione di modelli di motivazione che, in conformità con il dato legislativo, possano contribuire a prospettare una modalità di redazione dei provvedimenti più moderna e, a sua volta, funzionale a innervare un circolo virtuoso caratterizzato da una migliore redazione degli atti di impugnazione e una maggiore efficacia della attività di spoglio da parte del giudice dell’impugnazione.

In tale direzione, con specifico riferimento alle modalità formali di esercizio dell’attività giudiziaria (e difensiva) penale, il Consiglio ritiene pertanto di formulare le seguenti linee guida, ispirate al principio per cui la redazione degli atti e dei provvedimenti deve essere improntata alla sinteticità e alla chiarezza.

1) Circa le modalità di redazione dei capi di imputazione da parte del pubblico ministero (si tratta di un’attività preliminare che necessariamente ridonda sulle modalità organizzative del lavoro del giudice penale), si segnalano, quali misure opportune e utili, a titolo esemplificativo, quelle di:

- adottare l’indicazione numerica e progressiva dei plurimi e diversi capi di imputazione (l’uso delle – limitate - lettere dell’alfabeto determina conseguenze di farraginosità e confusione, specialmente nei processi complessi, con rischio di errori materiali e dispersione di tempo);

- evitare i capi di imputazione “narrativi”, ossia quelli che eccedono lo scopo di rappresentare i tratti della fattispecie concreta che riproducono la struttura del reato contestato, inglobando una serie di informazioni attinenti a profili inessenziali dell’addebito;

- evitare i capi di imputazione cumulativi, cioè quelli nei quali viene data un’unitaria descrizione dei fatti in concreto contestati, ma con l’indicazione di più norme incriminatrici (nella prospettiva implicita, o dichiarata, del concorso formale o materiale della continuazione), provvedendo alla redazione autonoma di un capo di imputazione per ciascun reato;

- individuare con precisione il tempo di consumazione e la natura istantanea o meno del reato.

2) Circa le modalità grafiche e di impostazione strutturale del testo della motivazione della decisione si palesa utile che, in merito allo svolgimento del processo, trovi spazio la precisa indicazione dei rinvii determinanti la sospensione dei termini di prescrizione o dei termini di custodia cautelare. Sembra inoltre opportuno che si provveda alla numerazione delle pagine, nonché alla suddivisione del testo in paragrafi e sotto-paragrafi progressivamente numerati (i primi corrispondenti ai “punti” della decisione; i secondi alle “questioni” rilevanti per il singolo punto). Tale tecnica risponde alle potenzialità che il SICP può sviluppare e assolve contemporaneamente a tre importanti funzioni: aiuta l’estensore a seguire un percorso logico- giuridico adeguato al caso; permette al giudice dell’impugnazione un puntuale esercizio della possibilità di adottare, ricorrendone le condizioni, la motivazione per relationem; costituisce il

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presupposto necessario di atti di impugnazione con motivi effettivamente specifici e richieste puntuali ed altrettanto specifiche.

3) Con particolare riguardo alla sentenza d’appello si suggerisce che essa si caratterizzi innanzitutto per una struttura concisa e puntuale delle risposte agli specifici motivi d’appello, preceduta dall’indicazione dei dati essenziali della vicenda processuale, con riguardo ai punti della decisione censurati con i motivi d’appello. In generale, tali dati essenziali sono:

l’imputazione e il suo contesto; il dispositivo di primo grado; l’indicazione delle prove sulla cui base il primo giudice ha concluso per l’affermazione o per la negazione della responsabilità; la definizione del trattamento sanzionatorio; i fatti processuali rilevanti. Per queste ragioni, la suddivisione in paragrafi e sotto-paragrafi assicura una più efficace e solida motivazione della sentenza d’appello;

4) Con particolare riguardo alle modalità di trasposizione nel testo della motivazione del contenuto di atti di prova o di precedenti provvedimenti, intervenuti nel corso del procedimento, va rimarcata la opportunità che la trasposizione di verbali di dichiarazioni o del contenuto di conversazioni intercettate dev’essere corredata da un’adeguata pertinente valutazione critica dei contenuti, funzionale alla decisione.7

6. Modelli di redazione degli atti nel processo civile.

Plurimi sono i riferimenti normativi che nel campo civile riguardano la sinteticità degli atti del giudice.

In particolare, l’articolo 132 cod. proc. civ., che disciplina il contenuto della sentenza, al n. 4 del secondo comma prevede che essa debba contenere “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.

L’articolo 118 disp. att. cod. proc. civ. precisa che la motivazione della sentenza “consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”, che “debbono essere esposte concisamente e in ordine le questioni discusse e decise dal collegio ed indicati le norme di legge e i principi di diritto applicabili” e che “in ogni caso deve essere omessa ogni citazione di autori giuridici”.

Dal canto suo, l’articolo 134 cod. proc. civ. stabilisce che “l’ordinanza è succintamente motivata”. Disposizione applicabile anche per le ordinanze di cui agli articoli 186 quater e 702-ter cod. proc. civ..

L’articolo 281-sexies cod. proc. civ., espressamente applicabile anche al giudizio d’appello, stabilisce che il giudice, in caso di decisione a seguito di trattazione orale della causa, pronuncia sentenza al termine della discussione, “dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.

Del pari, l’articolo 429 cod. proc. civ., al primo comma, nel testo attualmente in vigore, prevede che “Nell’udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto .e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nei dispositivo un termine non superiore a sessanta giorni per il deposito della sentenza”.

L’articolo 348-ter cod. proc. civ. stabilisce che l’inammissibilità dell’appello ex articolo 348 bis cod. proc. civ. è dichiarata “con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi”.

7 Servente a una migliore redazione dei provvedimenti giudiziari è, infine, un’adeguata organizzazione dei ruoli, che consenta momenti di peculiare opportunità di approfondimento. In particolare, la pianificazione di udienze dedicate alla trattazione di medesime questioni giuridiche - una casistica non tanto per tipologia di reato quanto per problematiche applicative - può permettere uno studio specifico più approfondito delle articolate problematiche giuridiche e, quindi, in un’ottica di migliore utilizzazione della risorsa tempo, contribuire all’implementazione di modelli di motivazione semplificata.

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Con specifico riferimento al giudizio di cassazione un richiamo sostanziale alla sinteticità degli atti di parte è contenuto sia nell’articolo 363 cod. proc. civ., sia nel n. 3 dell’art. 366 cod. proc.

civ., che disciplina il contenuto del ricorso.

Con la riforma di cui al d.l. 31 agosto 2016, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197, è stato generalizzato il ricorso alla trattazione in camera di consiglio per i procedimenti civili che si svolgono dinanzi alle sezioni semplici della Suprema Corte di cassazione, le quali, in tal caso, pronunciano ordinanza. È stato, infatti, previsto che la Corte, a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio, salvo che la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale la Corte si deve pronunciare ovvero che il ricorso sia stato rimesso dalla sezione filtro in esito a camera di consiglio che non ha definito il giudizio. In tal modo la nuova disciplina è intervenuta non solo sulla modalità di trattazione del ricorso per cassazione ma anche sulla forma del provvedimento decisorio, essendo stati così ampliati considerevolmente i casi di definizione dei procedimenti dinanzi alla S.C. con ordinanza che, a norma dell’art 134 cod. proc. civ., è “succintamente motivata”.

Va pure rimarcato che, in tema di obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali, il comma 9-octies dell’art. 16 bis del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, prevede espressamente che gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche debbano essere redatti in maniera sintetica.

L’ordito complessivo di tali disposizioni testimonia come anche nel processo civile la sinteticità degli atti processuali, siano essi del giudice o delle parti, non va intesa come brevità a tutti i costi, ma piuttosto come corretta proporzione tra la mole delle questioni da trattare e la consistenza dell’atto - ricorso memoria, o, infine, sentenza - chiamato ad esaminarle.

Invero, non può negarsi che la sinteticità e la chiarezza espositiva degli atti del giudice e di quelli delle parti agevolino il dialogo tra i protagonisti del processo e possano contribuire ad assicurare ai cittadini una giustizia di qualità superiore, per tempi di definizione e comprensibilità del prodotto giudiziario.

In tal senso, con riguardo ai provvedimenti del giudice, è auspicabile che:

- l’esposizione in fatto e in diritto sia breve ed essenziale, limitata a quanto strettamente necessario in funzione della decisione;

- si riportino le questioni di fatto e di diritto rilevanti ai fini della decisione in paragrafi contraddistinti da una numerazione progressiva, esponendo in modo ordinato il ragionamento giustificativo delle statuizioni. Potrebbe rivelarsi anche utile il ricorso a stringhe motivazionali per le questioni ripetitive, così come il riferimento a precedenti conformi;

- si strutturi il periodo in modo snello, leggibile e comprensibile (stile sobrio e neutrale;

linguaggio piano e non involuto);

- si limiti il ricorso a parole straniere, da riportarsi in corsivo, ai soli casi in cui manca una equivalente e parimenti incisiva espressione in lingua italiana;

- si utilizzi una grafica comune, con caratteri uniformi, per dimensione e tipologia. È utile porre in rilievo utilizzando il carattere corsivo le parti delle dichiarazioni testimoniali e delle dichiarazioni personali delle parti rese in sede di interrogatorio libero o formale.

L’obiettivo deve essere quello dell’elaborazione di un nucleo motivazionale che, pur sintetico nei contenuti e “conciso” nell’esposizione, si prospetti chiaro ed esauriente e abbia, quindi, adeguata “tenuta” per il caso di eventuale gravame.

Analogamente è a ragionarsi riguardo alle modalità di redazione del provvedimento a contenuto decisorio di appello. È auspicabile che esso prenda le mosse dalla sentenza di primo grado (della quale è il caso di indicare anche la data di pubblicazione) e che poi riporti sinteticamente i motivi d’appello, sia principale che incidentale.

Il devolutum va posto in luce in modo adeguato, dando analitica, quanto succinta risposta a ciascun motivo di impugnazione, scandagliato graficamente in modo separato e specifico, con numerazione progressiva, dando altresì esplicitamente atto della formazione del giudicato interno.

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La redazione sintetica e chiara della motivazione del provvedimento decisorio di secondo grado agevola, altresì, l’individuazione dei casi in cui l’inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis cod.

proc. civ. è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, essendo consentito, ai sensi del penultimo comma dell’articolo 348-ter cod. proc. civ., proporre ricorso per cassazione soltanto per i motivi di cui ai n. 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell’articolo 360 cod. proc. civ..

Tanto premesso, il Consiglio

delibera

di approvare le presenti linee guida, funzionali al miglioramento dell’attività di esame preliminare degli atti di impugnazione nonché al perseguimento della sinteticità e della chiarezza dei provvedimenti giudiziari.

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