Utilizzo prove acquisite in violazione della privacy:
Cassazione e giurisprudenza
11 Marzo 2021Redazione
Uso nel processo civile e penale delle prove illegittime per violazione delle norme sulla riservatezza: filmati, foto, chat, file.
Le videoregistrazioni realizzate in strada sono utilizzabili nel procedimento penale anche in mancanza dell’avviso indicante che l’area è videosorvegliata
Sono pienamente utilizzabili in sede di procedimento penale le videoregistrazioni realizzate all’interno o all’esterno di uffici postali e in strada, anche in mancanza dell’apposita segnaletica di cui agli artt. 11 e 13 d.lgs. n.
196/2003 , in quanto la disciplina a tutela della privacy non può costituire uno sbarramento rispetto alle preminenti esigenze di accertamento del processo penale.
Cassazione penale , sez. II , 19/06/2019 , n. 42022
Sono inutilizzabili le prove acquisite in violazione della legge processuale e non di norme sostanziali
Sono inutilizzabili le prove acquisite in violazione della legge processuale e non di norme sostanziali: le prove raccolte violando una norma di diritto sostanziale (penale o civile che sia) sono utilizzabili nel processo, altrimenti il codice di procedura penale non avrebbe discorso di “acquisizione” – che è termine tecnico processuale che attiene al compimento di un atto tramite il quale si consente l’ingresso di un elemento di prova nel processo – ma avrebbe discorso di raccolta o scoperta di un elemento di prova al di fuori del processo stesso.
A riprova di tale ricostruzione interpretativa basti considerare che quando il legislatore ha inteso estromettere dal processo prove acquisite in violazione di norme penali sostanziali lo ha fatto ponendo una espressa disciplina; basti pensare al disposto della L. n. 281 del 2006 che ha modificato l’art. 240 c.p.p., là dove viene prescritta l’inutilizzabilità di documenti concernenti conversazioni e comunicazioni relativi al traffico telefonico e telematico, formati o acquisiti illegalmente, in violazione della legge penale.
Tribunale Bergamo sez. III, 27/02/2019, n.502
L’art. 191 c.p.p. non ostacola il prelievo del DNA per violazione della privacy
La categoria della inutilizzabilità della prova ex art. 191 c.p.p. – posta a tutela del diritto di difesa dell’imputato: cfr. artt. 193, commi 3 e 7, 197-bis, comma 5, artt. 203, 240, 270, 271, 350, comma 6 e 7, c.p.p. – non è contemplata nell’ordinamento processuale civile, non venendo in rilievo, nei giudizi in cui si controverte di diritti aventi fonte in rapporti di diritto privato, le medesime esigenze di garanzia richieste invece dal giudizio penale – cui provvede l’art. 238, comma 1, c.p.p. –, tenuto conto della diversa rilevanza degli interessi che vengono in questione nel giudizio penale (status libertatis) ed in quello civile, nel quale il Giudice non incontra i limiti della “tipicità” del mezzo probatorio.
Cassazione penale sez. II, 29/01/2019, n.8459
Il trattamento dei dati personali senza il consenso dell’interessato
Il trattamento da parte del privato dei dati altrui senza il consenso dell’interessato, in base alle disposizioni del D.lgs. 196, è consentito solo se i dati stessi non vengano diffusi. Deve ritenersi pertanto illegittimo, per violazione del medesimo D.lgs., l’utilizzo di una prova costituitasi a mezzo registrazione durante un colloquio tra avvocato e cliente, il cui contenuto, ai sensi degli artt. 103 e 271 c.p.p., deve rimanere segreto in virtù del collegamento all’attività professionale. E’ illegittimo, pertanto, il procedimento sanzionatorio che, utilizzando detta prova, leda non solo il diritto alla riservatezza, ma anche il diritto alla difesa.
Tribunale Roma sez. XVI, 13/10/2017, n.19278
Le foto contenute nel pc di utilizzo comune ai coniugi non possono essere utilizzate per provare l’addebito.
I dati incorporati nelle immagini prodotte al fine di esercitare il diritto istruttorio ad offrir prova delle circostanze di fatto allegate a sostegno della domanda di
addebito della separazione sono dati che esprimono la vita sessuale della parte; in quanto tali sono attratti nella disciplina dettata dall’art. 26 codice della privacy, con la conseguente inutilizzabilità dei medesimi in difetto della prescritta autorizzazione del garante. A nulla vale obiettare che si tratta di dati incorporati in computer di uso comune ai coniugi, perché ciò non equivale a dire che quei dati fossero stati messi coscientemente e consapevolmente e volontariamente a disposizione della moglie.
Tribunale Larino, 09/08/2017, n.398
Le video riprese sono utilizzabili nel procedimento penale anche in mancanza dell’avviso indicante che l’area è video sorvegliata
Sono pienamente utilizzabili nel procedimento penale le video riprese realizzate all’interno, all’esterno di un ufficio postale e in strada pur in mancanza dell’apposizione dell’avviso “area video sorvegliata” prescritto dagli artt. 11 e 13 del D.Lgs. n. 196 del 2003, in quanto la violazione della disciplina a tutela della privacy non può costituire uno sbarramento rispetto alle preminenti esigenze di accertamento del processo penale.
Cassazione penale sez. II, 21/04/2017, n.28367
Vedi anche: Cass. Pen., sez. 04, del 24/01/2012, n. 10697, Cass. Pen., sez. 02, del 08/03/2013, n. 22169, Cass. Pen., sez. 02, del 24/10/2014, n. 46786, Cass. Pen., sez. 03, del 13/09/2016, n. 46156, Sezioni Unite: Cass. Pen., sez. UU, del 28/03/2006, n. 26795.
Liceità dell’uso di comunicazioni e dati privati del coniuge come prova nel giudizio civile
In un contesto di coabitazione e di condivisione di spazi e strumenti di uso comune quale quello familiare, la possibilità di entrare in contatto con dati personali del
coniuge sia evenienza non infrequente, che non si traduce necessariamente in una illecita acquisizione di dati. È la stessa natura del vincolo matrimoniale che implica un affievolimento della sfera di riservatezza di ciascun coniuge, e la creazione di un ambito comune nel quale vi è una implicita manifestazione di consenso alla conoscenza di dati e comunicazioni di natura anche personale, di cui il coniuge in virtù della condivisione dei tempi e degli spazi di vita, viene di fatto costantemente a conoscenza a meno che non vi sia una attività specifica volta ad evitarlo. In un simile contesto, non può ritenersi illecita la scoperta casuale del contenuto di messaggi, per quanto personali, facilmente leggibili su di un telefono lasciato incustodito in uno spazio comune dell’abitazione familiare. Non occorre dunque addentrarsi nel dibattito non del tutto sopito sulla utilizzabilità a fini di prova nel giudizio civile, di documenti acquisiti in violazione di normative pubblicistiche, dal momento che la produzione non può dirsi frutto di acquisizione illecita.
Tribunale Roma sez. I, 30/03/2016, n.6432
Uso filmati conservati per troppo tempo
Non è inutilizzabile la prova costituita da filmati che, realizzati mediante videoriprese legittimamente effettuate (nella specie all’interno di una chiesa), sono stati conservati per un tempo superiore a quello consentito dalla disciplina in materia di tutela della riservatezza, e fissato in ventiquattro ore successive alla rilevazione dal provvedimento in materia di videosorveglianza adottato in data 8 aprile 2010 a norma dell’art. 11 d.lg. n. 196 del 2003 [1].
Cassazione penale sez. V, 28/05/2015, n.33560
[1] La prova rappresentata dal filmato conservato per un tempo superiore a quello consentito dalla normativa in tema di privacy, ma comunque formato in maniera legittima, non è affetta da inutilizzabilità essendo tale termine posto solo a presidio della tutela della riservatezza.
Nel caso in cui il filmato sia effettuato in luoghi esposti al pubblico e, pertanto, oggettivamente visibili da più persone, non sussiste lesione del diritto alla riservatezza (Sez. IV, 24 gennaio 2012, n. 10697, in C.E.D. Cass., n. 252673).
Prova nel processo civile
In caso di registrazioni di conversazioni tra presenti da parte di un partecipante alle stesse (e quindi con il consenso di uno dei presenti alla conversazione), non è configurabile l’ipotesi di reato di cui all’art. 615 bis c.p. e la registrazione è utilizzabile come prova nel processo civile. Non portano a differenti conclusioni le norme del codice della privacy, allorché le conversazioni registrate non contengano riferimenti a dati sensibili o anche solo a dati personali, intesi come qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione.
In ogni caso, ai sensi dell’art. 24 codice della privacy, il consenso al trattamento dei dati personali non è richiesto “per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale”: quando siano in gioco dati ordinari, il diritto alla privacy e alla riservatezza deve soggiacere rispetto al diritto di difesa.
Tribunale Torino sez. I, 02/05/2013
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