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La cultura e le verità non dette

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Academic year: 2021

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PATRIMONIO INDIFESO

La cultura e le verità non dette

di GIAN ANTONIO STELLA di GIAN ANTONIO STELLA

Se volevano farsi dei nemici, i dipendenti che ieri mattina, per una assemblea sindacale, hanno chiuso per tre ore il Colosseo e i Fori Imperiali, ci sono riusciti. C’è modo e modo di dare battaglia e rivendicare questo o quel diritto. Fosse pure sacrosanto. Ed è non solo scontato ma legittimo il coro di esasperazione dei turisti, obbligati a code chilometriche (con addirittura il dubbio che il cuore archeologico di Roma fosse chiuso fino alle undici di sera a causa del maldestro cartello in inglese: « from 8.30 am to 11 pm ») ma anche di operatori, ristoratori, albergatori, cittadini. Non è mancata l’indignazione di Ignazio Marino, colto ancora di sorpresa da questa «sua» città che non finisce di dare scandalo: «Il fatto che il Colosseo sia chiuso a chi magari è arrivato da Sydney o New York e aveva solo oggi per poter vedere il monumento millenario, è uno sfregio». «Non lasceremo la cultura ostaggio di quei sindacalisti contro l’Italia. Oggi decreto legge #colosseo #lavoltabuona », ha twittato Matteo Renzi. «Ora basta. La misura è colma», è sbottato Dario Franceschini. Detto fatto, il Consiglio dei ministri ha confermato il minacciato inserimento da parte dei musei e dei siti culturali tra i «servizi pubblici essenziali». Con tutti i risvolti e i limiti automatici in caso di sciopero e di prove di forza. Annuncio accolto all’istante da un fuoco di sbarramento dei sindacati. In prima fila Susanna Camusso. Toccare questi diritti, tuona, tocca la democrazia: «È uno strano Paese quello in cui un’assemblea sindacale non si può fare». E i diritti dei turisti italiani e stranieri che venivano magari per la prima volta in vita loro a Roma e sono stati bloccati ai cancelli? Restano lì, marginali, sullo sfondo... Scaricare le responsabilità dell’ennesima figuraccia agli occhi del mondo sui soliti custodi, i soliti sindacati, i soliti agitatori, però, è troppo comodo. Ferma restando l’insofferenza crescente per l’indifferenza di un certo sindacalismo verso i disagi causati agli utenti, l’assemblea di ieri mattina era annunciata da una settimana. La legge e la prassi avrebbero consentito, riconosce un leader sindacale storico dei Beni culturali, Gianfranco Cerasoli, di pattuire tempi e modi diversi: «Dalle 8 alle 10, per dire, già i disagi sarebbero stati minori. Il guaio è che qui c’è una incapacità storica di gestire le “relazioni industriali”». Sono insopportabili i silenzi, le omissioni, le complicità che hanno coperto per decenni situazioni che altrove sarebbero state risolte con la dovuta fermezza e invece sono state abbandonate a se stesse, per motivi spesso di pura clientela, fino al degrado. I dieci custodi del sito di Ravanusa con un solo visitatore pagante (che poi non pagò) l’anno. Il custode di Pompei colto in flagrante con una ragazzina che aveva adescato in una domus chiusa e punito col solo trasferimento. I custodi ACCEDI COSA DICE IL PAESE 4% si sente

   

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dell’«archeologico» Antonino Salinas di Palermo che, mentre il loro museo veniva ristrutturato, hanno rifiutato per anni di lavorare provvisoriamente altrove... Storie incredibili. Inaccettabili. Detto questo, un Paese che a parole batte e ribatte sulla cultura e la ricchezza dei beni archeologici, dei musei, delle chiese, delle contrade di stupefacente bellezza, deve anche essere coerente. E investire sul serio, su queste cose. Invece siamo sempre inchiodati lì, a un investimento dello 0,19% del Pil: meno di un quarto di quanto spendeva l’Italia nel 1955, mentre stava ancora scrollandosi di dosso le macerie della guerra. I custodi qua e là sono troppi? Certamente. I lettori ricorderanno il caso, per fare un solo esempio, dei diciotto addetti che fanno la guardia a Mazara del Vallo (e dicono che non ce la fanno...) al bellissimo Satiro Danzante ospitato in un solo grande salone dotato per di più di sei telecamere (sei!) per la videosorveglianza. Altrove, però, ce ne sono troppo pochi. E lo conferma l’ultima pianta organica ministeriale, la quale mostra sproporzioni molto ma molto vistose. Possibile che la Campania abbia 1.525 custodi e cioè quanti il Veneto (408) la Lombardia (465), il Piemonte (348), il Friuli­Venezia Giulia (157) e la Liguria (171)? In tutta Italia, dice il ministero, sono previsti complessivamente (la Sicilia, poi, va contata a parte perché ha una quota supplementare di dipendenti propri) 7.735 custodi. In realtà quelli in servizio attualmente sono 7.461: quasi trecento di meno. Si possono distribuire meglio? Sicuro. Ma anche a pieno organico saremmo comunque molto sotto i 9.886 previsti vent’anni fa e sotto gli 8.917 di cui parlava Il Giornale dell’Arte nel 2010. Per non dire di uno studio dello stesso ministero che nel 2009 considerava necessaria una dotazione, per la sorveglianza e l’assistenza ai visitatori, di 12.000 persone. Ben vengano dunque nuove regole che, in nome anche del peso strategico del turismo, puntino a mettere dei paletti più precisi così da evitare al nostro Paese brutte figure come quella di ieri. Brutta figura arrivata nella scia di altri episodi che ci hanno fatto arrossire e che spinsero l’Unesco a darci più di una bacchettata. Ma chi pensa questi problemi si possano risolvere solo facendo la voce grossa rischia, alla lunga, di prendere una cantonata...  © RIPRODUZIONE RISERVATA 

19 settembre 2015 (modifica il 19 settembre 2015 | 07:06) © RIPRODUZIONE RISERVATA

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