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La precarietà del Jobs Act 

 

  Pubblicato Lunedì, 31 Marzo 2014 10:54     Le norme sul lavoro presentate da Matteo  Renzi con il reclamizzato Jobs Act  continuano a far discutere, soprattutto in  ottica di occupazione giovanile e precarietà.  Le modifiche previste, infatti, per i contratti  a tempo determinato e l’apprendistato  lasciano non pochi dubbi circa la loro  capacità di rilanciare il mercato del lavoro e,  con esso, la crescita economica del Paese.     Sul primo punto – i contratti a termine – il  piano Renzi prevede che il datore di lavoro  possa instaurare rapporti di lavoro a tempo  determinato, senza causale, dalla durata  massima di trentasei mesi, con la possibilità  di prorogare il contratto fino ad un massimo di 8 volte. In breve, con l’entrata in vigore del  decreto legge è possibile assumere per otto volte nell’arco di tre anni un lavoratore con un  contratto a tempo determinato di 4/5 mesi, senza che sia più necessario indicare nel  contratto le ragioni giustificative del termine.     Una frammentazione del rapporto di lavoro che, secondo Tito Boeri, noto economista e  fondatore di lavoce.info, rischia di aggravare la già precaria situazione lavorativa di migliaia di  giovani: “Una norma di questo tipo di fatto introduce un periodo di prova di 3 anni in cui il  datore può licenziare senza pagare un’indennità, senza dare un minimo di preavviso e senza  neanche motivazione”.     Se si pensa, poi, che affianco a questa ulteriore flessibilizzazione, la legge delega del governo  preveda l’introduzione “in via sperimentale” di un contratto a tutele crescenti (più volte  sostenuto da Renzi), emerge una contraddizione più che evidente. In proposito Boeri e  Pietro Garibaldi, che da tempo hanno lanciato la proposta del contratto a tutele crescenti –  composto da una prima fase di tre anni senza copertura dell’art. 18 e da una seconda fase di  stabilità in cui si applica pienamente la normativa vigente – non ci sono andati giù leggeri,  parlando di “norme sul lavoro sull’orlo della schizofrenia”.     “Il decreto con la nuova prova triennale – hanno scritto i due economisti – rende del tutto  improponibile un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti come quello da noi  formulato”. “Un periodo di prova così lungo – hanno aggiunto Boeri e Garibaldi – spiazza  qualsiasi altra tipologia contrattuale nel periodo di inserimento. E dopo un periodo di prova di  3 anni, non si può immaginare di avere un contratto di inserimento come il nostro che  allungherebbe la fase iniziale del contratto a 6 anni, quando l’anzianità aziendale media in  Italia è attorno ai 15 anni. Inoltre il decreto aumenta il dualismo nel mercato del lavoro e  innalza le barriere che separano i contratti temporanei da quelli a tempo indeterminato”.     Stesse contraddizioni per quanto riguarda la nuova modifica dell’apprendistato, come ha  fatto notare, sempre dalle pagine di lavoce.info, un’altra economista, Chiara Saraceno: “Un  vero e proprio ritorno indietro, con l’eliminazione sia dell’obbligo a garantire formazione, sia di  quello ad assumere a tempo determinato almeno un venti per cento degli apprendisti prima di  avviare nuovi contratti di questo tipo – una delle buone innovazioni introdotte da Elsa  Fornero”.     Ermes Antonucci          Trovaci su Facebook Agenzia Radicale Agenzia Radicale piace a 3.201 persone. Plug­in sociale di Facebook Mi piace 'Se c’era Renzi...': il tormentone da  fanta­politica del Pd lontano dalla  questione liberale  Articolo 18, quella proposta  incosciente nel Pd  Assemblea Pd evita la rissa, mandato  a Bersani per le regole su Primarie di  coalizione  Bersani e i giovanotti  Bonino­Renzi, se telefonando...  IN EVIDENZA  Renzi, diritto di critica: la ri­forma non è  sempre sostanza    Renzi, un comizio per chiedere la fiducia    Amnistia, al meeting di CL campeggia  solo il No di Luciano Violante   

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   “La differenza tra contratti di apprendistato e contratti a termine si annulla di nuovo, pur  rimanendo a livello formale” ha concluso Saraceno, aggiungendo che “ciò che probabilmente  aprirà a nuove sanzioni Ue”, riferendosi alla sentenza della Corte di Giustizia europea del  2011 che condannò l’Italia a pagare una multa di svariati milioni di euro per non aver  recuperato presso le aziende gli aiuti forniti per l’assunzione di lavoratori mediante contratti  di formazione che, in realtà, non prevedevano alcuna formazione, e che quindi configuravano  aiuti di Stato distorsivi della concorrenza con le aziende degli altri paesi europei.     Lecito dunque che di fronte alle proposte di Renzi, che delegherebbero di fatto alle aziende il  compito di formare senza alcun controllo il personale assunto come apprendista, il pensiero  torni a quella condanna piuttosto indecorosa giunta da Lussemburgo. Così come è facile che,  di fronte all’eliminazione dell’obbligo di assumere una quota degli apprendisti che già lavorano  in azienda prima di assumerne di nuovi, qualcuno come Michele Tiraboschi, giuslavorista e  direttore del centro studi Marco Biagi, si ponga alcune domande circa gli effetti precarizzanti  della riforma: “Oggi le aziende fanno un uso smodato degli stage, che non comportano i  costi gestionali di un’assunzione. Domani questo potrebbe accadere con l’uso indiscriminato  di contratti a termine liberalizzati o dell’apprendistato così com’è concepito”.     Chissà se Renzi, a riguardo, stia già preparando delle slide di risposta...        Aggiungi commento  Tweet Segui @agenziaradicale Succ >  Nome   E­Mail (richiesta)     Notificami i commenti successivi  g f e d c       Aggiorna Invia JComments     presentazione  (video)  Quaderni  Radicali   Ultimo Numero   vai all'anteprima   nuova Agenzia Radicale ­ Supplemento telematico quotidiano di Quaderni Radicali   Direttore Giuseppe Rippa, Redattore Capo Antonio Marulo, Caposervizio Florence Ursino, Webmaster: Roberto Granese   Iscr. e reg. Tribunale di Napoli n. 5208 del 13/4/2001 Responsabile secondo le vigenti norme sulla stampa: Danilo Borsò 

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