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8. LE SEDI UNIVERSITARIE

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LE SEDI UNIVERSITARIE

MICHELE TIRABOSCHI

SOMMARIO: 1. Posizione del problema. — 2. Le formalità necessarie alla istituzione delle sedi di certificazione presso le Università e le Fondazioni universitarie. — 3. Efficacia dell’atto di certificazione.

1. Posizione del problema.

La scelta di contemplare, tra gli organi abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro, le commissioni istituite presso le Università pubbliche e private e le Fondazioni universitarie ha sollevato non poche perplessità tra quanti — soprattutto docenti di diritto del lavoro — si sono occupati dell’istituto della certificazione di cui agli articoli 75-84 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

Autorevole dottrina ha etichettato questa scelta alla stregua di una vera e propria bizzarria del legislatore (1), in taluni casi adducendo una

(presunta) carenza di competenze tecniche che potessero giustificare il coinvolgimento di tali sedi nelle attività di certificazione (2). V’è poi chi

ha sottolineato l’esiguità del numero dei docenti, che impedirebbe una effettiva e sostanziale messa a regime delle sedi universitarie (3), anche

per la mancanza della esperienza e della sensibilità necessarie per poter apprezzare la specificità delle situazioni e valutare gli interessi concreti sottesi alle operazioni di certificazione dei contratti di lavoro (4). V’è

(1) E. GHERA, La certificazione dei contratti di lavoro, in R. DELUCATAMAJO, M. RUSCIANO, L. ZOPPOLI(a cura di), Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, ES, Napoli, 2004, qui 279.

(2) In questo senso cfr. V. SPEZIALE, La certificazione dei rapporti di lavoro nella

legge delega sul mercato del lavoro, in RGL, 2003, I, 281.

(3) F. TOFFOLETTO, Scommessa sulla certificazione, in Il Sole 24 Ore, 6 settembre 2003, 18.

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infine chi ha rilevato che la certificazione dei contratti di lavoro si traduce in una attività sinora estranea ai compiti assegnati alle sedi universitarie, in quanto funzione di carattere essenzialmente ammini-strativo non collegata funzionalmente né all’attività didattica né a quella di ricerca scientifica (5).

L’affidamento alle sedi universitarie di specifiche competenze in materia di certificazione dei contratti di lavoro ha peraltro sollevato una vibrante reazione polemica da parte di una nutrita schiera di giuslavo-risti — non tutti invero docenti a tempo pieno — che hanno firmato un appello volto a denunciare « pubblicamente gli aspetti critici e i rischi connessi al coinvolgimento nella certificazione delle università e dei docenti di diritto del lavoro » anche perché — è stato precisato — « in questo modo sottrarrebbero tempo e risorse preziosi alla ricerca e alla didattica per dedicarlo alle nuove funzioni » (6).

Se è facile replicare alle deboli argomentazioni di quanti ritengono che le sedi universitarie siano prive di adeguate competenze tecniche e sensibilità pratiche, soprattutto nel confronto con gli organismi bilate-rali e le sedi istituite presso le Direzioni provinciali del lavoro e le Province, più articolata deve essere la risposta per quanto attiene alla opportunità di coinvolgere le strutture universitarie nelle procedure di certificazione.

Le competenze in materia di certificazione non vengono infatti attribuite, di per sé, alle singole Università, ma a docenti di diritto del lavoro a tempo pieno che svolgono, in regime di convenzione con soggetti privati, attività di consulenza e assistenza intra moenia. Non si tratta dunque di una abilitazione tout court ma, ai fini della efficacia giuridica della certificazione, circoscritta alle sole attività oggetto di specifica convenzione in conto terzi. In questo senso dispone espres-samente l’articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del 2003, là dove precisa che le sedi universitarie possono essere abilitate « esclusiva-mente nell’ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati

L. NOGLER, La certificazione dei contratti di lavoro, in AA.VV. (a cura di), Il nuovo

mercato del lavoro, Zanichelli, Bologna, 2004, 900 ss.

(5) Così: L. ZOPPOLI, Università e riforma del mercato del lavoro, in DRI, 2004, n. 1, 98-112.

(6) L’appello è reperibile all’indirizzo internet del Centro Studi « Massimo D’Antona », www.lex.unict.it. Si veda inoltre il relativo forum di discussione attivato all’indirizzo www.lex.unict.it/eurolabor/forum/.

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con docenti di diritto del lavoro di ruolo ai sensi dell’articolo 66 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 ».

La sede di certificazione sarà pertanto operativa in funzione di specifiche convenzioni di collaborazione e consulenza in conto terzi debitamente firmate dal Rettore di Ateneo, dal Preside di Facoltà, dal Direttore di Dipartimento o Istituto ai sensi della organizzazione interna di ciascuna Università.

L’articolo 66 del d.P.R. n. 382 del 1980, nel disciplinare i contratti di ricerca, di consulenza e convenzioni di ricerca in conto terzi (7),

dispone in primo luogo che le Università e i docenti possono svolgere siffatte attività a condizione che « non vi osti lo svolgimento della loro funzione scientifica e didattica ». In secondo luogo chiarisce inequivo-cabilmente, al comma 6, che i proventi derivanti dalla attività in conto terzi costituiscono entrate del bilancio dell’Università da destinare, secondo quanto previsto in apposito regolamento di Ateneo, in parte al personale docente e non docente incaricato di eseguire il lavoro o che collabora a tali prestazioni e in parte all’Università « per spese di carattere generale » o « per spese sostenute per l’espletamento delle prestazioni medesime », nonché per « l’acquisto di materiale didattico e scientifico » e « per spese di funzionamento dei dipartimenti, istituti o cliniche che hanno eseguito i contratti e le convenzioni ».

Al di là di ogni generica quanto aprioristica retorica sulle « pre-ziose risorse » sottratte alla ricerca e alla didattica (8), questo significa

che, nel promuovere la costituzione di una sede di certificazione universitaria, il singolo docente si impegna ad attirare verso la propria struttura universitaria importanti finanziamenti privati, che potranno poi consentire di trattenere giovani studiosi e di indirizzare la ricerca anche verso quei settori che sempre più raramente beneficiano di adeguati finanziamenti da parte del Ministero dell’istruzione, dell’uni-versità e della ricerca. Nell’ambito dei regimi convenzionali, come visto e come puntualmente disciplinato nei singoli regolamenti di Ateneo, una quota rilevante degli introiti viene trattenuta dalla strutture uni-versitarie e di dipartimento, per la copertura di costi generali e anche per finanziare assegni di ricerca e l’attività del personale amministra-tivo.

Né va trascurata la circostanza che, in questo modo, i docenti universitari di diritto del lavoro possono svolgere attività di consulenza

(7) In Certificazione.

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e assistenza al mondo delle imprese, arricchendo la propria sensibilità ed esperienza, senza dover necessariamente abbandonare le aule e gli istituti universitari per la professione (9). Un modello di assistenza

attiva al mondo del lavoro peraltro recentemente auspicata da una parte del movimento sindacale con riferimento alle funzioni di conci-liazione e arbitrato (10).

Ma vi è anche una ulteriore motivazione che ha spinto il legislatore a investire sulle sedi di certificazione universitaria. Se, infatti, la com-petenza delle altre sedi di certificazione sembra essere limitata alla ap-plicazione dei criteri e indici forniti sotto forma di codici e formulari dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai fini della qualificazione dei contratti di lavoro (11), più peculiare e, se vogliamo, sistematico appare

il contributo offerto dalle commissioni istituite presso le Università, le cui indicazioni costituiranno certamente — per la particolare competenza e/o autorevolezza che caratterizza, o dovrebbe caratterizzare, i suoi com-ponenti — un puntuale e affidabile punto di riferimento per tutte le altre sedi, in merito alla corretta interpretazione degli orientamenti giurispru-denziali e dunque alla formazione di indirizzi unitari (12), nonché un

importante ausilio al corretto funzionamento dell’istituto.

Infatti, come puntualmente precisato dall’articolo 4 del decreto ministeriale 14 giugno 2004 (13), il Ministero del lavoro detiene e

cataloga gli studi ed elaborati prodotti dalle commissioni universitarie ai fini della iscrizione all’apposito Albo che consente lo svolgimento della attività di certificazione stessa, non solo garantendone a tutti la accessibilità a fini di studio e ricerca, ma anche e soprattutto per la definizione dei codici di buone pratiche e indici presuntivi in tema di qualificazione dei contratti di lavoro e dei contratti di appalto.

(9) Cfr. M. TIRABOSCHI, Le procedure di certificazione, in M. TIRABOSCHI(a cura di),

La riforma Biagi del mercato del lavoro, in GLav, 2003, n. 4, suppl., 125; L. NOGLER, op.

cit., qui 38.

(10) Cfr. il documento presentato dalla Cisl nel 2004, Per un diritto del lavoro

« legislativo e contrattuale » che abbracci tutte le forme di lavoro, nell’ambito dei lavori

della Commissione di studio per la definizione di uno Statuto dei lavori. In Statuto dei lavori.

(11) Cfr. i contributi di E. RAVERA, La certificazione: sedi e procedure, e di M. PARISI, Le Direzioni provinciali del lavoro, che precedono.

(12) Così, V. SPEZIALE, Gli organi abilitati alla certificazione, in P. BELLOCCHI, F. LUNARDON, V. SPEZIALE (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali,

certificazione dei rapporti di lavoro, Ipsoa, Milano, 2004, vol. IV, 166.

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Precisato che la disciplina in tema di certificazione ha carattere di-chiaratamente sperimentale (articolo 86, comma 12, decreto legislativo, n. 276 del 2003), vi sarà peraltro modo di verificare se questi ambiziosi obiettivi, volti ad avvicinare i docenti universitari al mondo delle imprese e anche alle strutture ministeriali, possano essere realisticamente con-seguiti attraverso l’affidamento di questo nuovo e delicato compito.

Non va peraltro neppure sottovalutato che sono proprio le strut-ture universitarie le sedi presso le quali sono state realizzate le prime sperimentazioni in materia di certificazione dei rapporti di lavoro. Già a partire dal 2000, grazie a una felice intuizione di Marco Biagi, il Centro Studi Internazionali e Comparati dell’Università di Modena e Reggio Emilia ha infatti avviato, su base sperimentale e volontaria, una esperienza pilota nell’ambito di una convenzione con la Regione Emilia Romagna relativa alla promozione dell’incontro tra domanda e offerta di attività autonome e professionali (14).

Vero è, in ogni caso, che l’attribuzione alle sedi universitarie di competenze certificatorie si colloca, a ben vedere, in un più ampio disegno di raccordo tra Università e mercato del lavoro sotteso alla riforma Biagi (15).

Già il Libro Bianco dell’ottobre 2001 (16) sollecitava una nuova

stagione di patti locali per l’occupabilità, assegnando agli Atenei un ruolo di regia e di motore dell’innovazione. E sempre per questa ragione il Libro Bianco invitava le Università a compiere uno sforzo straordinario per assicurare a tutti gli studenti una occasione di occu-pabilità, realizzando una insostituibile funzione: facilitare la transizione dalla scuola al lavoro. Proprio per agevolare la nuova funzione di orientamento al lavoro e un più stretto dialogo con il mondo delle imprese la riforma Biagi affida oggi alle Università tre compiti centrali: il collocamento, l’alta formazione in apprendistato e, appunto, la certificazione dei contratti di lavoro. È attraverso questi strumenti —

(14) Cfr. la relazione Progetto per la promozione dell’incontro tra domanda e

offerta di attività autonome e professionali qualificate a livello regionale mediante procedura di « certificazione » del contratto di lavoro prescelto dagli operatori economici,

in Certificazione. Il Centro Studi è stato ora autorizzato ai sensi dell’art. 76 del

d.lgs. n. 276/2003 con decreto del 22 febbraio 2005, anch’esso reperibile in

Certificazione.

(15) Cfr. M. BIAGI, Università e orientamento al lavoro nel doporiforma: verso la

piena occupabilità, in L. MONTUSCHI, M. TIRABOSCHI, T. TREU(a cura di), Marco Biagi. Un

giurista progettuale, Giuffrè, Milano, 2003, 13-31.

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utilizzabili prioritariamente anche verso i propri studenti — che pare in effetti possibile fare del sistema universitario il segmento strategico di una ben più complessa e articolata rete di relazioni giuridico-istituzionali che si propone l’obiettivo di un reale raccordo tra ammi-nistrazioni periferiche dello Stato, organizzazioni rappresentative degli interessi dei lavoratori e sistema economico e produttivo locale.

2. Le formalità necessarie alla istituzione delle sedi di certificazione presso le Università e le Fondazioni universitarie.

Specificando quanto previsto dall’articolo 76, comma 2, del decreto legislativo n. 276 del 2003, il decreto ministeriale 14 giugno 2004 ha istituito « presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali l’Albo informatico delle Commissioni di certificazione istituite presso le Uni-versità, statali e non statali, legalmente riconosciute e autorizzate al ri-lascio di titoli aventi valore legale, comprese le Fondazioni universita-rie ». La direzione e la responsabilità dell’Albo è affidata al Direttore generale della Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. A questo ufficio del Ministero del lavoro è attribuito il compito di provvedere alla tenuta dell’Albo e di acquisire le domande di iscrizione, nonché la relativa do-cumentazione.

Il decreto ministeriale prevede, ai fini dell’esercizio delle attività di certificazione ad opera delle Università, l’obbligo di registrazione presso il predetto Albo, previa presentazione della richiesta mediante lettera raccomandata, corredata da floppy disc che riproduca la neces-saria documentazione (articolo 3, comma 1, decreto ministeriale 14 giugno 2004) (17).

Condizione per l’abilitazione alla certificazione dei contratti di la-voro è, come detto, la presenza di una convenzione in conto terzi ex articolo 66 del d.P.R. n. 382 del 1980. Dal combinato disposto dell’ar-ticolo 76, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 276 del 2003 e dell’articolo 66, comma 1, del d.P.R. n. 382 del 1980 risulta che gli unici docenti abilitati alla costituzione di una sede di certificazione sono quelli di ruolo e — almeno in via preliminare — quelli a tempo pieno. L’articolo

(17) Per chiarire ulteriormente le modalità di presentazione della domanda di abilitazione alla certificazione delle sedi universitarie il Ministero del lavoro è succes-sivamente intervenuto con due lettere-circolari del 15 e 17 febbraio 2005, in Certificazione.

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66 del d.P.R. n. 382 del 1980 dispone, infatti, che l’esecuzione di tali convenzioni/contratti in conto terzi sia « affidata, di norma, ai diparti-menti o, qualora questi non siano costituiti, agli istituti o alle cliniche universitarie o a singoli docenti a tempo pieno ». Mentre l’articolo 76, comma 1, del decreto legislativo n. 276 del 2003 parla di rapporti di collaborazione e consulenza attivati non con i dipartimenti, come do-vrebbe essere « di norma », secondo quanto dispone l’articolo 66 del d.P.R. n. 382 del 1980, ma con i singoli docenti di diritto del lavoro. Ne consegue, anche per evitare possibili conflitti di interesse sollevati dalla dottrina con riferimento a docenti a tempo definito che esercitano la professione di avvocato (18), che solo i professori di ruolo a tempo pieno

dovrebbero essere abilitati a richiedere, anche per il tramite del proprio Dipartimento, la costituzione di una sede di certificazione. Nulla impe-disce tuttavia che, nell’ambito della predetta convenzione, il docente incaricato si possa poi avvalere della collaborazione di altri docenti, anche non a tempo pieno, cultori della materia, collaboratori e anche veri e propri professionisti. È facile tuttavia prevedere che ai fini del sostegno e del radicamento dell’istituto anche presso le Università, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali finisca per adottare una interpretazione “flessibile” abilitando anche i docenti a tempo definito. Non a caso, con riferimento alle prime due sedi universitarie autorizzate, Modena e Ge-nova, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali si è limitato a ri-chiedere — salvo nuovi orientamenti — che almeno un docente nella commissione sia a tempo pieno.

Ai fini dell’ottenimento della registrazione e del mantenimento della stessa, è poi previsto che le Università debbano inviare all’atto della registrazione, e ogni sei mesi, studi ed elaborati contenenti indici e criteri giurisprudenziali di qualificazione dei contratti di lavoro con riferimento a tipologie di lavoro indicate dal Ministero; nonché, ai fini del mantenimento della registrazione medesima, una relazione sulla attività di certificazione svolta. Al riguardo va segnalato che la fre-quenza semestrale, prevista per l’aggiornamento degli indici (articolo 3, comma 4, decreto ministeriale 14 giugno 2004), ritenuta da taluni eccessiva in virtù della tendenziale stabilità degli indici giurispruden-ziali nel tempo (19), non sembra costituire che un monito alla

corret-tezza delle operazioni di certificazione da parte delle commissioni, di

(18) In questa prospettiva cfr. A. TURSI, La certificazione dei contratti di lavoro, in

Working paper, C.S.D.L.E. « M. D’Antona », 2004, n. 41.

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cui le parti contrattuali, e le esigenze di certezza e riduzione del contenzioso che l’istituto si propone di realizzare, non potranno che giovare. Vero è peraltro che l’abbondante elaborazione dottrinale in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro e le relative rassegne giurisprudenziali dimostrano come la materia in esame sia suscettibile di svariate letture e ipotesi ricostruttive. Di modo che l’onere dell’ag-giornamento semestrale non potrà che fungere da pungolo per le sedi universitarie alla costituzione di sedi di certificazione altamente quali-ficate e sostenute da una solida base teorica.

Come già evidenziato, gli elaborati provenienti dalle sedi di certi-ficazione istituite presso le Università sono catalogati dalla Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, responsabile della tenuta dell’Albo, e accessibili a fini di studio e ricerca, nonché funzio-nali alla individuazione delle clausole indisponibili di cui all’articolo 78, comma 4, del decreto legislativo n. 276 del 2003, e alla definizione dei codici di buone pratiche e degli indici presuntivi di cui all’articolo 84, comma 2 (articolo 4, decreto ministeriale 14 giugno 2004).

Il decreto ministeriale non precisa le modalità di svolgimento delle attività di certificazione, che saranno dunque determinate dal regola-mento interno delle commissioni stesse nel rispetto delle regole proce-durali stabilite dal decreto legislativo n. 276 del 2003.

Nelle convenzioni di collaborazione e consulenza in conto terzi dovrebbe peraltro essere puntualmente indicata la composizione della commissione di certificazione, che in ogni caso potrà essere composta anche da un solo docente di diritto del lavoro di ruolo, ma che non può comprendere docenti che, in ragione di altre attività di consulenza o per motivi attinenti all’esercizio della attività di avvocato, si trovino in una situazione di incompatibilità.

3. Efficacia dell’atto di certificazione.

Va infine chiarito che l’effetto prodotto dall’atto di certificazione è il medesimo, qualunque sia l’organo che ha effettuato la certificazione del contratto. Così, l’atto di certificazione prodotto presso la commis-sione istituita in una struttura universitaria non possiede una forza giuridica diversa rispetto a quello prodotto dalla commissione istituita

in E. GRAGNOLI, A. PERULLI(a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi

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presso un ente bilaterale ovvero una Direzione provinciale del lavoro o la Provincia.

Ai sensi dell’articolo 79 del decreto legislativo n. 276 del 2003, infatti, una volta prodotto da una qualsiasi delle sedi abilitate, l’atto di certificazione produce i suoi effetti fino al momento in cui sia accolto uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili avverso di esso. In particolare, l’atto vincola medio tempore non solo le parti stipulanti il contratto oggetto di certificazione, ma anche i terzi che sono tuttavia legittimati attivi a instaurare uno dei rimedi di cui all’articolo 80. L’atto di certificazione, in altre parole, ha il potere di conferire al contratto una particolare efficacia e un effetto di certezza che si impone ai terzi e che impedisce loro di mettere in discussione il contenuto dell’atto fino a che non intervenga una sentenza di merito che ne accerti l’invalidità.

I soggetti terzi cui la norma si riferisce sono da identificarsi con i soggetti abilitati allo svolgimento dell’attività di vigilanza sulla corretta applicazione delle norme in materia di lavoro, quali gli istituti previ-denziali, le Agenzie delle Entrate e gli organi periferici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Questi soggetti, pertanto, in pre-senza di un contratto regolarmente certificato, potrebbero esercitare soltanto i poteri di accertamento e vigilanza; mentre è da escludere che possano validamente porre in essere atti di autotutela che presuppon-gano una contestazione della natura del rapporto. Ne consegue che per ottenere il recupero delle contribuzioni eventualmente omesse dal datore di lavoro è comunque necessario o l’annullamento da parte del giudice amministrativo dell’atto che impedisce l’azione di autotutela oppure la modifica ad opera del giudice ordinario della qualificazione originaria del contratto e la condanna del datore di lavoro alla regola-rizzazione della posizione previdenziale del lavoratore (20).

(20) Non è tuttavia sostenibile che l’istituto in parola impedirebbe l’accerta-mento e l’azione degli enti previdenziali, così contravvenendo al principio di buon andamento della P.A. Sul punto cfr. M.G. GAROFALO, La legge delega sul mercato del

lavoro: prime osservazioni, in RGL, 2003, 359; A. TURSI, La certificazione dei contratti di

lavoro, in DRI, 2004, n. 2, 247. Essi infatti avrebbero ampia possibilità di intervento e

potrebbero, al pari degli altri legittimati attivi, anche agire in via cautelare, al fine di ottenere una tutela immediata dei propri diritti (art. 79). Allo stesso modo, tenuto conto della possibilità di agire in via cautelare, risulta vanificata la critica secondo la quale l’istituto della certificazione produrrebbe effetti positivi per il committente o datore di lavoro il quale non si vedrebbe contestato il contenuto dell’atto fino alla pronuncia di merito. In questo senso, V. SPEZIALE, L’efficacia giuridica della

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