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Scienze e Gestione della Natura

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Academic year: 2021

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Sessione II

_________________________________________________________________________________________________________________

Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali

Scuola di Scienze

Corso di Studio in

Scienze e Gestione della Natura

Classe LM-60 − Scienze della Natura

I L F RANCOLINO DI MONTE (B onasa bonasia L . )

NEL PARCO NATURALE ADAMELLO BRENTA :

STUDIO DELLE S CELTE E COLOGICHE NEL

P ERIODO R IPRODUTTIVO

CANDIDATA

Sonia Chelodi

RELATORE

Prof. Ettore Randi

CORRELATORI

Andrea Mustoni

Marco Armanini

Adriano De Faveri

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INDICE

RIASSUNTO ... 1

ABSTRACT ... 2

1 INTRODUZIONE ... 3

2 AREA DI STUDIO ... 5

2.1 Parco Naturale Adamello Brenta ... 5

2.2 Aree campione ... 18

3 IL FRANCOLINO DI MONTE ... 19

3.1 Posizione sistematica ... 19

3.2 Distribuzione della famiglia di appartenenza: i tetraonidi ... 20

3.2.1 Origine e sistematica della famiglia ... 20

3.3 Origine e distribuzione attuale della specie ... 21

3.3.1 Status e dinamica di popolazione in Europa, sulle Alpi ed in Trentino ... 23

3.4 Cenni di biologia ... 27

3.4.1 Morfologia ... 27

3.4.2 Habitat ... 29

3.4.3 Alimentazione ... 32

3.4.4 Biologia riproduttiva e comportamento ... 36

4 MATERIALI E METODI ... 41

4.1 Criteri di raccolta dei dati ... 41

4.1.1 Metodi di monitoraggio utilizzati sull’Arco Alpino ... 42

4.1.2 Scelta e definizione dei transetti nell’area d’indagine ... 44

4.1.3 Protocollo di monitoraggio primaverile al canto ... 45

4.1.4 Rilevamento delle caratteristiche ambientali dei punti d’ascolto ... 49

4.1.4.1 Estrapolazione virtuale dei dati fisio-topografici ... 51

4.1.4.2 Rilevamento sul campo dei caratteri fisionomico-vegetazionali ... 53

4.2 Criteri di analisi dei dati ... 58

4.2.1 Analisi topografica preliminare ... 58

4.2.2 Analisi vegetazionale e costruzione del modello GLM ... 59

5 RISULTATI E DISCUSSIONE ... 63

5.1 Monitoraggio al canto ... 63

5.2 Analisi topografica preliminare ... 64

5.3 Analisi statistica basata sul modello GLM ... 67

5.4 Discussione ... 69

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6 CONCLUSIONI ... 73 7 BIBLIOGRAFIA ... 75 8 APPENDICI ... 81

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RIASSUNTO

Titolo Il francolino di monte (Bonasa bonasia L.) nel Parco Naturale Adamello Brenta:

studio delle scelte ecologiche nel periodo riproduttivo Anno accademico 2015/2016

Candidata Sonia Chelodi Relatore Ettore Randi

Parole chiave Bonasa bonasia, monitoraggio primaverile al canto, modello GLM, gestione forestale, conservazione

La presente tesi di laurea magistrale si inserisce nell’ambito del primo anno di studio sul francolino di monte (Bonasa bonasia L.), condotto nel Parco Naturale Adamello Brenta nel 2015 e volto ad approfondire le conoscenze sull’ecologia della specie.

La fase di monitoraggio del tetraonide ha previsto l’individuazione di sei transetti, ciascuno dei quali costituito da dieci punti di ascolto e richiamo. L’indagine sul campo si è esplicata in un monitoraggio primaverile al canto, che ha previsto l’uso di un richiamo pre-registrato (Playback) emesso in corrispondenza dei 60 punti individuati.

I dati raccolti sono stati inseriti in un’apposita scheda di monitoraggio e successivamente archiviati in un database all’interno del sistema informativo territoriale Esri ArcGis 9.3.

Nell’arco della stagione primaverile di monitoraggio, svoltasi dal 9 aprile al 10 giugno 2015, sono stati registrati 14 contatti. Essi si sono distribuiti su 8 punti, definiti per questo motivo

“attivi al canto”; i restanti 52 punti sono stati definiti “non attivi”. Lo studio si è concretizzato in un confronto tra i due gruppi di punti, sotto il profilo fisio-topografico e fisionomico- vegetazionale.

Per ciascun intorno sono stati estrapolati mediante il software Esri ArcGis 9.3, e restituiti sotto forma di medie con l’utilizzo combinato dei software Microsoft Excel ed R 3.1.1, i relativi dati topografici, ovvero pendenza, quota ed esposizione. In ogni punto d’ascolto è stata quindi eseguita un’indagine relascopico-diametrica, da cui si sono ricavati i parametri forestali quali l’area basimetrica, il numero di piante, il diametro medio dei fusti e la percentuale di composizione arborea specifica, valutati per ettaro.

I dati rilevati sono stati elaborati mediante il software R 3.1.1 in un modello lineare generalizzato (GLM) con i seguenti obiettivi: verificare la significatività del distinguo tra intorni attivi e non attivi al canto, e individuare le covariate ambientali che aumentano la probabilità di un intorno di ospitare il francolino in primavera.

I risultati ottenuti dimostrano che il metodo di monitoraggio primaverile al canto su transetti è idoneo alla specie. È stato altresì appurato che nella scelta ecologica primaverile del tetraonide la pendenza è il solo parametro fisio-topografico statisticamente significativo tra quelli analizzati. I parametri relascopici risultano essere fattori ambientali significativi ma con ampia variabilità interna, giustificabile con la natura eterogenea delle aree ecotonali scelte dal francolino come habitat di elezione nella fase riproduttiva.

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Pur tenendo in considerazione i limiti intrinseci del modello statistico costruito e il ridotto numero di dati trattati, i risultati emersi dall’indagine possono costituire un prezioso contribuito ai fini della maggiore conoscenza dell’ecologia del francolino e della sua conservazione.

ABSTRACT

Title The Hazel Grouse (Bonasa bonasia L.) in Adamello Brenta Nature Park: study of ecological choices in reproductive period

Academic year 2015/2016 Candidate Sonia Chelodi Tutor Ettore Randi

Key words Bonasa bonasia, spring monitoring, GLM model, forest management, conservation

This study can be considered as the first part of a wider research on Hazel Grouse (Bonasa bonasia L.) conducted in Adamello Brenta Nature Park (western Trentino, northern Italy) in 2015, which aims at deepening the knowledge about the ecology of the species.

The phase of grouse monitoring was preceded by the identification of six transects, each of which consists of ten listening and recall points. The work includes a spring monitoring based on pre-recorded call (Playback) emissions at the 60 identified points.

The collected data have been reported into an appropriate monitoring sheet and then stored in a database within the geographic information system ESRI ArcGIS 9.3. During the spring monitoring season, which took place from April 9 to June 10, 14 contacts were recorded.

These contacts are distributed over 8 points, therefore defined as "active", while the remaining 52 points, where no answer has been reported, are defined as "inactive". Main purpose is to compare topographic and vegetation scores between these two groups of points. For each survey area the relevant topographic data, such as slope, aspect and altitude, were assessed by ESRI ArcGIS 9.3, and averages for these parameters have been calculated with the combined application of Microsoft Excel and R 3.1.1. At every listening point a diametric test has been carried out in order to obtain forestry parameters such as basal area, number of plants, average tree diameters and percentage of tree species composition, evaluated per hectare.

These data were processed using R 3.1.1 in a generalized linear model (GLM) with the aim to verify if active and inactive surroundings show statistical significant differences and identify environmental covariates that increase Hazel Grouse presence likelihood in spring.

The obtained results show that in the spring ecological choice of Hazel Grouse the slope is the only significant topographic parameter among those analyzed. The forestry parameters are significant environmental factors but with wide internal variability, justified by the heterogeneous nature of Hazel Grouse’s habitats in reproductive period.

The present study can contribute with the data acquired to the knowledge and the protection of the species.

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1 INTRODUZIONE

Lo sviluppo esponenziale della nostra società negl’ultimi decenni ha provocato varie forme di interferenze dirette ed indirette sugli ecosistemi naturali, che si sono rivelate spesso assai rovinose e hanno portato ad un declino delle componenti naturali più delicate.

I galliformi alpini, relitti dell’ultima glaciazione, si inseriscono in questo contesto quali specie stenoecie particolarmente sensibili ad ogni modificazione ambientale indotta dai mutamenti climatici, dal disturbo antropico o dalle variazioni nell’uso del suolo. In particolare le popolazioni alpine, isolate rispetto alle popolazioni conspecifiche europee, risultano essere ancora più vulnerabili rispetto ai processi di contrazione e frammentazione dell’areale. Di fatto esse fungono da “cartina tornasole” dello stato di salvaguardia dell’habitat alpino, e quali specie indicatrici mettono in luce la pressione a cui esso è sottoposto. Per quanto riguarda le popolazioni di galliformi, purtroppo sull’Arco Alpino nei decenni passati sono state registrate una progressiva contrazione degli areali e una tendenza generale al decremento nel numero degli effettivi.

L’indubbio interesse conservazionistico è sancito dall’inserimento delle specie appartenenti all’ordine nell’Allegato I e II della Direttiva Uccelli (79/409/CEE) e nella lista rossa dell’IUCN; gli Stati membri dell’Unione Europea sono impegnati quindi in azioni di tutela e conservazione delle stesse.

Alla luce di questa premessa si può comprendere l’importanza, da un lato, degli studi volti alla valutazione dello status e del trend evolutivo delle popolazioni di galliformi, d’altro canto, degli studi sui biotopi caratteristici di questa particolare avifauna, volti all’individuazione degli elementi ambientali che sono richiesti dalle specie per svolgere i propri cicli vitali.

In Italia le conoscenze relative alla distribuzione e alla dinamica delle popolazioni di pernice bianca, gallo cedrone, fagiano di monte e soprattutto di francolino di monte risultano piuttosto scarse e frammentate. I monitoraggi effettuati più o meno regolarmente da enti quali Province, Comprensori Alpini di Caccia, Aziende Faunistico Venatorie e Parchi vengono condotti spesso in maniera non standardizzata, con metodologie differenti, in territori non omogenei e in periodi diversi e, soprattutto, è frequente che non vengano ripetuti con le stesse metodologie nel corso degli anni. Di conseguenza, i dati così raccolti risultano poco omogenei e le possibilità di comparazione degli stessi assai scarse, tanto che è estremamente difficile produrre quadri d’insieme (Gagliardi e Tosi, 2012).

Per quanto riguarda l’aspetto ecologico, è diventata sempre più forte la necessità di acquisire nuove conoscenze sui fattori ambientali che condizionano la vita della comunità faunistica dei tetraonidi. Grande rilevanza per questa famiglia di galliformi è rivestita dalla componente vegetazionale, poiché essa rappresenta la struttura fisionomica portante del loro spazio vitale, ed è fonte di rifugio nonché risorsa trofica diretta. La vegetazione è allo stesso tempo sintesi ed espressione dei fattori abiotici (climatici, edafici, morfologici) e biotici (legati alla fauna e all’attività antropica) che insistono su un determinato spazio vitale; per questo motivo le ricerche dovrebbero concentrarsi su un approfondito studio degli aspetti floristici e vegetazionali, che possono fornire una chiave di lettura della sinergia dei diversi fattori ambientali, spesso di difficile interpretazione. Anche in questo caso è indispensabile

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raccogliere numerosi dati in modo uniforme nelle diverse aree geografiche alpine, al fine di restituire una visione integrata ed organica relativa a quest’interessante avifauna.

Il “Progetto Francolino”, sviluppato dal Parco Naturale Adamello Brenta a partire dal 2015, si prefigge di contribuire al quadro d’insieme previsto come scopo del più ampio ed articolato

“Progetto Galliformi”, avviato nel 2007.

Dei quattro tetraonidi alpini trattati il francolino di monte risulta essere ad oggi la specie meno studiata e meno conosciuta. Monogamo, il tetraonide ha un comportamento riproduttivo che non prevede il confronto dei maschi ed il corteggiamento delle femmine nelle arene. Tale dinamica riproduttiva, unitamente agli habitat abitualmente frequentati dalla specie (zone ecotonali e fustaie molto fitte), rende di fatto più difficoltoso il monitoraggio.

I principali obiettivi del “Progetto Francolino”, in parte ripresi nel presente elaborato, si possono sinteticamente esprimere nei seguenti punti:

- approfondimento delle conoscenze sulla bio-eco-etologia della specie;

- studio delle carte di vocazionalità ambientale al fine di valutare le aree su cui concentrare le azioni di monitoraggio;

- definizione di un metodo di monitoraggio efficace ed efficiente;

- validazione di un metodo di studio dei biotopi caratteristici idoneo alla specie;

- perfezionamento del modello di distribuzione reale della specie entro l’area d’indagine;

- analisi della dinamica di popolazione nel Parco sul lungo periodo;

- sviluppo di piani di gestione volti alla tutela e conservazione della specie.

Il presente studio sperimentale, condotto grazie alla collaborazione con il Parco Naturale Adamello Brenta, si propone nello specifico di studiare le caratteristiche ambientali tipiche delle aree frequentate dal francolino nel periodo riproduttivo. Nella ricerca di una strategia d’indagine idonea alla specie, sono stati sottolineati i punti di forza del metodo applicato e sono state altresì proposte integrazioni migliorative rispetto alle criticità riscontrate.

L’obiettivo è stato quello di porre le basi per uno studio pluriennale, volto ad una più specifica conoscenza del francolino, che fornisca gli strumenti adatti per un’efficace conservazione del tetraonide.

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2 AREA DI STUDIO

2.1 Parco Naturale Adamello Brenta

Il presente studio è stato condotto nel Parco Naturale Adamello Brenta, situato nella parte occidentale del Trentino; con una superficie di 620,5 kmq esso costituisce la maggiore area protetta della Provincia, nonché una delle più estese delle Alpi. Compreso tra le Valli di Non, di Sole, Giudicarie e del Chiese, racchiude un ricco e fortemente diversificato patrimonio naturalistico, costituito da habitat, flora e fauna tipici degli ambienti alpini. Nel logo (figura 2.1) viene rappresentata efficacemente la commistione tra la componente abiotica e biotica.

La marcata ricchezza e diversità investe anche il patrimonio geologico, ed è testimoniata dal titolo Adamello Brenta Geopark, ottenuto nell’anno 2008, anno in cui il Parco è entrato a far parte della Rete Europea dei Geoparchi.

Figura 2.1 Logo del Parco Naturale

Le prime proposte di istituzione che avevano come oggetto un Parco Nazionale nei Gruppi dell’Adamello e delle Dolomiti di Brenta risalgono al periodo tra il 1919 ed il 1935 (Pedrotti, 2008). Di fatto in quel periodo furono istituiti i Parchi Nazionali del Gran Paradiso (R.D.3.12.1922) e d’Abruzzo (su iniziativa privata nel 1922, riconosciuto come tale con il R.D.11.01.1923). Per quanto riguarda l’area trentina si dovette però attendere il 1935, più precisamente la promulgazione della Legge datata 24 aprile (LN 740 24/04/1935), perché fosse creato il Parco Nazionale dello Stelvio (Bardi, 2000). Il periodo che seguì vide crescere l’impegno protezionistico italiano; figlio di questo processo fu un disegno di legge, presentato in Senato negl’anni ’50, in cui si proponeva di estendere la suddetta area protetta trentina di modo che includesse le aree montuose dell’Adamello e del Brenta (Pedrotti, 2008). La proposta non venne realizzata in quell’istanza, e non si concretizzò nemmeno in seguito sotto forma di Parco Nazionale Brenta-Adamello-Stelvio; il nascente Parco Adamello-Brenta, come

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realtà assestante, fu individuato e delineato, insieme al Parco di Paneveggio-Pale di San Martino, nel Trentino orientale, nel primo Piano Urbanistico della Provincia Autonoma di Trento (P.U.P) del 1967. I due parchi trentini furono i primi Parchi Naturali creati in Italia (Zanghellini, 2004). Tracciati i confini dell’area soggetta a protezione, seguirono ancora vent’anni, fino all’emanazione della Legge Provinciale n.18 del 1988 denominata Ordinamento dei Parchi Naturali, prima che la gestione volta alla tutela e alla valorizzazione dei beni naturalistici, ambientali, storici ed economici, fosse affidata all’Ente Parco Adamello Brenta (Fronza et al., 1997).

Oggi è in vigore il testo della Legge Provinciale n.11 del 2007, in materia di Governo del territorio forestale e montano, dei corsi d’acqua e delle aree protette, come integrazione ai contenuti della LP 18/88. Con quest’ulteriore emanazione il Parco Adamello Brenta come ente pubblico è tenuto, in attuazione dei principi costituzionali e dello statuto speciale, nonché nel rispetto degli accordi nazionali, comunitari ed internazionali, a perseguire le seguenti finalità: la conservazione e la valorizzazione della natura, l’applicazione di metodi di gestione atti a favorire l’integrazione tra uomo e ambiente naturale, la promozione e la divulgazione della ricerca scientifica, la realizzazione di uno sviluppo sostenibile attraverso l’uso sociale dei beni ambientali in modo compatibile con la loro conservazione, ed infine l’educazione e la formazione in materia di tutela e valorizzazione naturalistica e ambientale (tratto dall’Art.33, LP 11/07).

A partire dall'anno 1999 l'ente Parco redige un documento contenente le linee guida operative per poter raggiungere gli scopi sopra elencati: il Piano del Parco. Il Piano suddivide l’area protetta in zone a diversa intensità di vincolo: le Riserve integrali (37,8% del territorio), dove l’intervento umano è quasi totalmente escluso, quelle guidate (58,6%), dove vengono praticate le attività tradizionali, le Riserve controllate (3,6%), dove i vincoli sono meno stretti, e infine le Riserve speciali, aree più o meno estese di interesse ambientale finalizzate a scopi peculiari (riserve faunistiche, floristiche, limnologiche, storiche). Il Piano dispone della gestione del territorio in termini di imposizione di vincoli, destinazioni d’uso, sistemi di accessibilità pedonale e veicolare, servizi per la fruizione sociale del parco e indirizzi riguardo agli interventi su flora, fauna e ambiente naturale.

Organo amministrativo del Parco è il Comitato di gestione, in cui sono rappresentati i comuni e le realtà locali, entrambi coinvolti direttamente nella fruizione del territorio. Scopo fondante di quest'organo è di dar voce ai vari portatori d'interesse, al fine di trovare un compromesso tra le condizioni di cui necessitano le attività antropiche tradizionali e turistiche, e la conservazione degli ambienti naturali, della flora e della fauna, che deve rimanere prioritaria per un Parco Naturale.

Nel 2001, come primo parco d’Europa, l’Adamello Brenta ha ottenuto la Certificazione Ambientale ISO 14001, importante riconoscimento internazionale di qualità (Zanghellini, 2004).

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Figura 2.2 Localizzazione geografica del Parco Naturale Adamello Brenta

Il Parco Naturale Adamello Brenta (PNAB) si trova nelle Alpi Retiche, nel settore centro- orientale della catena alpina. Il suo territorio, posto ad un’altitudine compresa tra 477 e 3558 m, comprende due aree montuose dalle caratteristiche geologiche, morfologiche, ambientali e floristiche assai diverse tra loro: ad occidente il Gruppo dell’Adamello-Presanella, ad oriente il Gruppo di Brenta. I due massicci sono divisi dall’ampia Val Rendena, valle glaciale solcata dal fiume Sarca, principale immissario del Lago di Garda. La continuità territoriale tra le due parti delineate è garantita da una fascia naturale di territorio situata a nord di Madonna di Campiglio, in corrispondenza del Passo Campo Carlo Magno. Questa funge di fatto da corridoio ecologico, permettendo l’interscambio biologico ed il flusso genico tra le due aree.

Tra le vette più imponenti delle due catene si annoverano il Monte Adamello (3.539 m), il Carè Alto (3.462 m), il Corno di Cavento (3.402 m), il Crozzon di Làres (3.354), il Monte Fumo (3.418 m), il Monte Mandrone (3.283 m) e la Cima Presanella (3.556 m) nel massiccio montuoso occidentale, a cui si aggiungono la Cima Brenta (3.150 m) e la Cima Tosa (3.173 m) in quello orientale.

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Il Gruppo Adamello-Presanella è costituito da rocce granitiche di origine vulcanica intrusiva, la tonalite e la granodiorite, che ebbero origine tra i 42 e i 29 milioni di anni fa dalla cristallizzazione di roccia fusa (magma) all’interno della crosta terrestre. La durezza di queste rocce e la loro recente formazione conferiscono al massiccio montuoso un aspetto caratteristico, ricco di forme spigolose, cime aguzze e creste

affilate. Figura 2.3 Tonalite dell’Adamello

Numerosi ghiacciai perenni rendono altresì peculiari la morfologia ed il paesaggio del settore occidentale del Parco. Si tratta di relitti delle glaciazioni del Quaternario, che hanno modellato il terreno nel corso di milioni di anni, mediante fenomeni di abrasione ed escavazione, generando valli glaciali dal tipico profilo trasversale ad “U”. Negli ultimi decenni le superfici glaciali sono in una fase di regresso più o meno accentuata (a causa del surriscaldamento globale), ma i nuclei maggiori sono costituiti dalle Vedrette di Làres, della Lobbia, del Mandrone ed infine dalla Vedretta Presanella. Il substrato cristallino non delinea soltanto i profili e le fattezze di quest’area montuosa, bensì ne condiziona anche l’aspetto idrologico:

l’impermeabilità della tonalite, unita alla presenza cospicua di ghiacci perenni, rende il massiccio dell’Adamello-Presanella ricco di corpi idrici superficiali, quali laghi, torrenti e cascate. Tra i laghi si possono annoverare quelli di San Giuliano, Germenega e del Mandrone, tra le cascate quelle di Nardìs e del Làres, situate nella celebre Val di Genova; quest’ultima è la profonda ed ampia incisione glaciale che definisce e separa i due sottogruppi cristallini della Presanella a nord e dell’Adamello a sud. Al Sarca di Genova, torrente che percorre l’omonima valle, spetta il primato di portata idrica, rapportata alla superficie del bacino imbrifero, in ambito alpino.

Figura 2.4 Cima Carè Alto (Adamello) Figura 2.5 Laghi di San Giuliano (foto S.Chelodi) (foto S.Chelodi)

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Nel settore orientale del Parco l’ambiente cambia completamente: da un paesaggio granitico si passa ad una conformazione di tipo dolomitico. Il Gruppo di Brenta è costituito prevalentemente da dolomie e calcari, rocce sedimentarie a base di carbonato di calcio e magnesio, frutto della sedimentazione e litificazione di materiale inglobante gusci, conchiglie e scheletri di organismi caratteristici di mari tropicali risalenti a circa 200 milioni di anni fa.

Figura 2.6 Calcare grigio

La diagenesi completa di queste rocce si ebbe a seguito di molti cicli sedimentari su fondali marini. Il susseguirsi di questi ultimi con le spinte orogenetiche, che hanno conosciuto come momenti geologici di maggiore espressione il periodo tra i 100 e i 60 milioni, e quello tra i 37 e i 24 milioni di anni fa, ha contribuito alla genesi dell’imponente paesaggio dolomitico.

Questo paesaggio è patrimonio da tutelare: le rocce sedimentarie organogene, quali appunto i carbonati del Gruppo di Brenta, sono soggette al modellamento e alla disgregazione a carico degli agenti fisici legati a fenomeni glaciali, carsici e atmosferici. L’evoluzione geomorfologica tipica di tutti i massicci dolomitici dà quindi origine a guglie, campanili, torrioni, alla cui base si accumulano imponenti falde detritiche. Il substrato descritto condiziona l’idrologia, ma in modo diametralmente opposto rispetto al suddetto massiccio di natura cristallina: l’elevata permeabilità delle rocce calcaree e dolomitiche permette la percolazione dell’acqua piovana nel sottosuolo, ed è per questo motivo che il reticolo idrografico risulta prevalentemente sotterraneo. Il Gruppo di Brenta è dominato quindi dal fenomeno del carsismo, e presenta corsi d’acqua superficiali effimeri, attivi soltanto in concomitanza con il disgelo e durante i periodi particolarmente piovosi. I ghiacciai in quest’area sono di modeste dimensioni e concentrati nella parte centrale del Gruppo, inoltre l’acqua che percola nel terreno riemerge in superficie solo in corrispondenza delle aree basali del massiccio dolomitico; per questi motivi i laghi sono rari e solitamente ridotti in estensione e profondità (Laghi di Valagola, Andalo e Molveno). Il Lago di Tovel costituisce un’eccezione, in quanto si è originato a causa dello sbarramento della valle da parte di una frana.

Figure 2.7-2.8 Due scorci sul Massiccio delleDolomiti di Brenta (foto S.Chelodi)

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La Val Rendena, che divide i due massicci montuosi, presenta un gruppo di linee di frattura e piani di scorrimento generato dalla tettonica delle placche europea ed africana e chiamato nel suo complesso Falda delle Giudicarie. L’estrusione del recente plutone intrusivo ad occidente e le spinte orogenetiche che hanno investito il Gruppo di Brenta ad oriente sono innescate proprio dalla collisione tra le due placche continentali e dalla subduzione della placca europea al di sotto della placca africana. Questo processo, ovvero l’evoluzione della catena alpina, è stato essenzialmente continuo, e si è protratto dal Cretaceo medio (circa 100 milioni di anni fa) fino ai giorni nostri. In corrispondenza del fondovalle rendenese è utile ricordare che si rinvengono le rocce più antiche di tutta la zona del Parco, ovvero le “scisti di Rendena”, appartenenti al basamento metamorfico di età paleozoica antica (300 milioni di anni fa) che esisteva già al tempo di precedenti eventi orogenetici. Le scisti hanno subito, a causa di temperatura o pressione elevata, o l’interazione di entrambe, una ricristallizzazione allo stato solido della roccia originaria preesistente (liberamente tratto e rielaborato da Pedrotti, 2008; Fronza et al., 1997; Tomasi, 1973;1990;

Buscani e Castiglioni, 1977; AA. VV., 1992;

Arrighetti, 1973; Bosellini, 2005).

Figura 2.9: carta geologica dell’area delle Giudicarie

L’elevata diversità a livello biologico del Parco Adamello Brenta è da imputarsi non solo alle diversificazioni geologica e geomorfologica, bensì anche alla varietà climatica che lo caratterizza. Il clima del Parco è infatti di transizione tra quello prealpino e quello endoalpino, ed è caratterizzato da inverni freddi e secchi ed estati fresche e piovose. Le precipitazioni medie annue sono superiori ai 1100 mm/anno, poiché i massicci Adamello-Presanella e Dolomiti di Brenta rappresentano una barriera orografica alle correnti umide provenienti da sud (Arrighetti, 1973). A livello topografico il Parco presenta differenze altitudinali che rasentano massimi di 3000 metri, e complessità morfologiche vallive che creano un mosaico di aree a pendenza ed esposizione estremamente diversificate. Inoltre la natura chimico-fisica delle rocce, granitiche a matrice silicea ad ovest della Val Rendena e dolomitiche a matrice carbonatica a est, crea il presupposto per lo sviluppo di due tipologie di suoli: dall’una a reazione acida, dall’altra a reazione basica o neutra. Ne consegue lo sviluppo naturale di endemismi e popolamenti floristici specifici, evidenti soprattutto alle quote più elevate, dove la forza selettiva ambientale è massima.

Riassumendo, la varietà degli aspetti morfologici, climatici ed edafici genera nell’area protetta un’elevata diversità a livello di habitat e microclimi, a cui corrisponde una complessità delle

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fitocenosi in termini di composizione floristica, struttura vegetazionale e distribuzione degli individui.

La fitocenosi, essendo costituita dagli organismi produttori, è l’indicatore vivente più espressivo di un habitat. La sua composizione è il riflesso delle componenti abiotiche, nonché di quelle biotiche, legate alla fauna e all’attività antropica. Una buona conoscenza dei tipi di fitocenosi è un’utile premessa per qualsiasi studio di ecologia, anche a sfondo faunistico come nel caso del presente studio. La vegetazione funge di fatto da rifugio e sito riproduttivo per molte specie animali e costituisce la loro base trofica diretta o indiretta (Ubaldi, 2003).

Figura 2.10: Fasce vegetazionali dell’ambiente alpino (C.Ferrari)

Gli ambienti vegetazionali più rappresentativi dell’area di studio possono essere suddivisi in base al gradiente altitudinale nelle seguenti fasce: collinare, montana inferiore e superiore, subalpina, alpina e nivale.

Il piano collinare interessa superfici comprese tra il fondovalle e 800-900 metri s.l.m., ed è caratterizzato da boschi di latifoglie caducifoglie. Nel settore dell’Adamello-Presanella, in corrispondenza di questo piano, sono diffusi boschi costituiti da specie mesofile: il frassino maggiore (Fraxinus excelsior), il tiglio (Tilia cordata) e in misura minore il carpino bianco (Carpinus betulus). Alle stesse quote sulle Dolomiti di Brenta, caratterizzate da una minore presenza di acqua, si presentano principalmente specie quali la roverella (Quercus pubescens), l’orniello (Fraxinus ornus) e il carpino nero (Ostrya carpinifolia), ovvero specie a carattere xerofilo.

La fascia montana si estende tra 800-900 e 1600 metri s.l.m. e può essere suddivisa in inferiore (tra 800-900 m e 1300 m s.l.m.) e superiore (1300-1600 m s.l.m.). In entrambi i settori del Parco le specie arboree dominanti nelle due suddivisioni sono l’abete rosso (Picea abies), il faggio (Fagus sylvatica), il pino silvestre (Pinus sylvestris) e l’abete bianco (Abies alba), ma le associazioni che vi troviamo sono eterogenee, proprio a causa delle differenti condizioni edafico-ambientali. Nella fascia montana del settore Adamello-Presanella, in

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condizioni di maggiore umidità dominano il faggio e l’abete bianco, altrimenti sono diffusi boschi misti di latifoglie mesofile, quali l’acero montano (Acer pseudoplatanus), il frassino maggiore, il tiglio e la rovere (Quercus petraea). D’altro canto nel piano montano delle Dolomiti di Brenta, in condizioni subatlantiche a elevata umidità atmosferica, sono presenti boschi a dominanza di faggio, che costituiscono lo stadio finale della successione vegetazionale tipica di questa fascia. In situazioni di clima continentale arido invece, sono presenti boschi di pino silvestre a carattere eliofilo, pioniero e xerotollerante.

La fascia subalpina comprende un ampio intervallo altitudinale, da 1600 a 2250 metri s.l.m., e presenta boschi di conifere, che, diradandosi all’aumentare della quota, cedono il posto agli arbusteti. Il larice (Larix decidua), pianta pioniera e colonizzatrice di questa quota, è la specie che raggiunge in entrambi i gruppi montuosi le quote più alte, sia in esemplari isolati (2500 m s.l.m.) sia in formazioni boschive (2200 m s.l.m).

Figura 2.11 Bosco di conifere nelle Dolomiti di Brenta (foto F.Marsilli)

Al di sopra delle formazioni boschive, dove le condizioni ambientali sono a mano a mano più avverse e selettive, le differenze nella struttura della vegetazione e nella composizione specifica risultano ancor più evidenti; esse prendono forma nella cosiddetta tundra artico- alpina, formazione costituita da arbusti contorti, arbusti nani e salici striscianti. Nel Gruppo Adamello-Presanella le rare mughete sono accompagnate da ginepri ed ericacee, quest’ultime rappresentate dal rododendro ferrugineo (Rhododendron ferrugineum), caratteristico di substrati acidi o neutri. Endemico dell’area a substrato siliceo risulta essere anche l’ontano verde (Alnus viridis), che costituisce arbusteti igrofili pionieri su pendici umide e ai margini di torrenti. Per quanto riguarda il pino cembro (Pinus cembra), esso costituisce una specie marginale in queste aree, ed è rappresentato da pochi individui nelle zone più endalpiche. In quota troviamo inoltre associazioni a dominanza di mirtillo (Vaccinium sp.), tipico anch’esso di terreni a pH acido. Le Dolomiti di Brenta sono caratterizzate invece dalla presenza di comunità a dominanza di pino mugo (Pinus mugo), accompagnato da ericacee tra cui il rododendro peloso (Rhododendron hirsutum), specie tipica dei substrati calcarei.

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Figura 2.12-2.13 Mugheta e Gentiana lutea, tipiche delle Dolomiti di Brenta (foto S.Chelodi)

Nella fascia alpina, da 2200 a 3000 m s.l.m., s’incontrano praterie e pascoli d’alta quota.

Questa fascia è caratterizzata da importanti particolarità floristiche ed endemismi che contribuiscono a conferire al Parco un elevato valore naturalistico. Lo strato erbaceo ci rivela in modo inequivocabile la natura chimico-fisica del substrato, che in quota condiziona in modo preponderante la crescita degli individui. Nel settore siliceo prevalgono le associazioni a dominanza di Carex curvula e Nardus stricta; in quello calcareo le praterie alpine sono rappresentate da associazioni a dominanza di Carex firma, Carex sempervirens e Sesleria caerulea. Tra le specie esclusive dei substrati del primo settore si possono annoverare Arnica montana, Gentiana punctata, Campanula barbata, Silene rupestre, mentre per quanto riguarda il secondo Gentiana lutea, Daphne striata, Pederota bonarota, Papaver rhaeticum.

La fascia nivale, che si estende oltre i 3000 m s.l.m. presenta popolamenti discontinui costituiti prevalentemente da crittogame (Pignatti 1998; Pedrotti, 2005).

Figura 2.14 Prateria d’alta quota dell’Adamello (foto F.Marsilli)

La struttura, la composizione specifica e l’evoluzione delle formazioni vegetali non subiscono soltanto l’azione dei fattori naturali, bensì anche le modificazioni indotte dall’uomo. Attività antropiche quali le pratiche selvicolturali hanno portato alla costituzione di boschi cedui mirati alla produzione di legname, nonché alla diffusione di ampie peccete secondarie; in altri casi prati e pascoli sono stati creati ad hoc con lo scopo di praticarvi l’allevamento. Alle

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forme e successioni primarie naturali si aggiungono quindi, all’interno del Parco, forme e successioni secondarie di sostituzione.

Tra la fascia montana e quella subalpina si ha la maggior concentrazione di ampi spazi aperti dedicati all’allevamento dei bovini, che interrompono la continuità del bosco e ne abbassano il limite altitudinale di 200-300 m. Il disboscamento operato per creare questi ambienti ha portato a distese erbacee secondarie di tipo polifita, caratterizzate da specie dominanti (si tratta di seslerieti, curvuleti e festuceti) unite a specie non proprie dell’ambiente in questione, tra cui il larice, specie ad accrescimento rapido che va a comporre i margini, o specie nitrofile (Rumex sp., Urtica sp., Senecio sp.), adattate a vivere su terreni ricchi di composti azotati frutto del pascolo. Particolarmente favorita in questo contesto risulta essere anche la specie Nardus stricta, resistente al calpestio del bestiame; tipica di suoli cristallini è ampiamente diffusa anche sui suoli carbonatici per via dell’acidificazione del suolo a carico degli animali.

All’elevata diversità a livello di habitat e microclimi corrisponde non solo una complessità delle fitocenosi, bensì anche delle zoocenosi. La varietà e l’integrità degli ambienti del Parco garantiscono le condizioni idonee per la sopravvivenza e la riproduzione della maggior parte delle specie appartenenti alla fauna alpina. Nel presente elaborato saranno citate soltanto le entità faunistiche di maggior rilievo e visibilità, ricordando comunque che le componenti della fauna invertebrata e della microfauna costituiscono un anello fondamentale della catena alimentare e dell’intero ecosistema.

Il Parco Naturale Adamello Brenta ospita un elevato numero di specie ornitiche, sia stanziali che migratorie, molte delle quali di interesse comunitario; i due settori del Parco infatti sono stati designati come Zone di Protezione Speciale (ZPS) all’interno della Direttiva 79/409/CEE (Direttiva Uccelli).

Nel Parco sono presenti tutte e quattro le specie di tetraonidi caratteristiche dell’Arco Alpino:

la pernice bianca (Lagopus mutus), il francolino di monte (Bonasa bonasia), il gallo cedrone (Tetrao urogallus) e il fagiano di monte (Tetrao tetrix), tutte considerate “relitti glaciali”.

Tra i galliformi del Parco è importante citare anche la coturnice (Alectoris graeca).

Figure 2.15-16-17 Pernice bianca, fagiano di monte, gallo cadrone (immagini da web ed archivio PNAB)

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I rapaci, sia diurni che notturni, sono altresì protagonisti indiscussi della classe degli uccelli;

tra questi si annoverano l’aquila reale (Aquila chrysaetos) e il gufo reale (Bubo bubo), che esercitano la loro attività predatoria su ampi spazi; l’astore (Accipiter gentilis) e la civetta nana (Glaucidium passerinum), specie legate a popolamenti forestali maturi, ma anche specie legate ad ambienti ecotonali come l’assiolo (Athene noctua) (Caldonazzi et al., 1994).

L’ente riveste un ruolo importante nel monitoraggio e nella conservazione delle specie animali, e deve la sua nascita proprio all’approvazione da parte dell’Unione Europea di un progetto che ha coinvolto un’emergenza faunistica: l’orso bruno (Ursus arctos arctos).

Nell’anno 1996 la popolazione del plantigrado era ridotta a tre esemplari di sesso maschile e considerata “biologicamente estinta” sulle Alpi Centrali; a seguito delle reintroduzioni operate nel contesto del progetto “Life Ursus”, la popolazione è aumentata e attualmente conta nel Parco e nelle aree limitrofe 48-54 individui (Groff et al., 2016).

Figura 2.18 Orso (archivio PNAB)

La presenza dello stambecco (Capra ibex) nell’area dell’Adamello-Presanella è frutto anch’essa di un progetto di reintroduzione, iniziato nel 1995. Le altre specie presenti, che completano il quadro degli ungulati alpini, sono: il camoscio (Rupicapra rupicapra), il cervo rosso (Cervus elaphus) e il capriolo (Capreolus capreolus). Unica specie alloctona è invece il muflone (Ovis musimon), introdotto a scopo venatorio durante gli anni ’70, ed ora presente con due piccole popolazioni in Val Nambrone (Adamello-Presanella) e nella zona meridionale del Gruppo di Brenta.

Figura 2.19 Stambecco (archivio PNAB) Figura 2.20 Camoscio (foto S.Chelodi)

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L’ordine dei carnivori è rappresentato dai mustelidi, tra i quali la faina (Martes foina), la martora (Martes martes), la donnola (Mustela nivalis), il tasso (Meles meles) e l’ermellino (Mustela erminea). Tra i canidi ampiamente diffusa è la volpe (Vulpes vulpes); di notevole interesse risulta la presenza ancora sporadica del lupo (Canis lupus), che ha iniziato a ricolonizzare questi territori, nei quali si era storicamente estinto a causa della pressione antropica (Osti, 1988). Nel 2010 è stata accertata geneticamente la presenza della specie nel Parco (Groff et al., 2010). Si tratterebbe di un individuo maschio, siglato M24, primo esemplare di lupo dopo oltre 150 anni di assenza della specie. Attualmente sembra stabile anche la presenza di una femmina italica, F10, contattata la prima volta nel Parco il 2 giugno 2014 (Groff et al., 2015). Ad oggi inoltre il Parco è coinvolto nel progetto Life WolfAlps, che mira a promuovere una gestione e una conservazione integrata e condivisa del lupo su tutto l’arco alpino. Nel gennaio 2013 è stato fototrappolato in Val di Tovel un esemplare di sciacallo dorato (Canis aureus), canide in dispersione dalla Slovenia (Volcan, 2013), di cui ancora sono poche le conoscenze in merito allo status (Groff et al., 2014).

Figure 2.21-2.22 Ermellino e marmotta (archivio PNAB)

Figure 2.23-2.24 Lupo e lince (fotografati nel parco faunistico di Spormaggiore-archivio PNAB)

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Nel 2008 è stata accertata nelle Dolomiti di Brenta la presenza di una lince euroasiatica (Linx linx) proveniente dalla Svizzera (Groff et al., 2010). L’esemplare, un maschio siglato B132, secondo gli ultimi dati disponibili è collocato in Val di Ledro (Groff et al., 2015). Per quanto concerne gli ordini degli insettivori e dei roditori è appurata la loro importanza nelle relazioni ecologiche, tuttavia sono ancora scarse le conoscenze in merito. Tra gli insettivori si distingue il toporagno alpino (Sorex alpinus); tra i roditori si possono annoverare la marmotta alpina (Marmota marmota), l’arvicola delle nevi (Chionomys nivalis), l’arvicola rossastra (Microtus subterraneus) e il moscardino (Muscardinus avellanarius). Le popolazioni di lagomorfi, nello specifico di lepre comune (Lepus europaeus) e di lepre alpina (Lepus timidus), hanno mostrato negl’ultimi anni un vistoso declino (AA.VV., 2007). Nell’ambito dei mammiferi di rilevanza notevole si ricordano i chirotteri, di cui il Parco ospita tre specie di interesse comunitario: il vespertillo di Blith (Myotis blithy), il rinolofo maggiore (Rhinolophus ferrum-equinum), e il rinolofo minore (Rhinolophus hipposideros) (Martinoli et al., 2001).

Tra i rettili ricordiamo il ramarro (Lacerta viridis), l’orbettino (Anguis fragilis), la lucertola vivipara (Lacerta vivipara), il biacco (Hierophis viridiflavus), il colubro liscio (Coronella austriaca), il saettone (Elaphe longissima), l’aspide (Vipera aspis) e il marasso (Vipera berus) (Barbieri, 1994).

Figure 2.25-2.26 Ramarro e salamandra (foto S.Chelodi)

Come rappresentanti della classe degli anfibi citiamo invece il tritone alpino (Triturus alpestris), la salamandra pezzata (Salamandra atra), l’ululone dal ventre giallo (Bombina variegata) e la rana di montagna (Rana temporaria).

Il monitoraggio mirato alle singole componenti della biodiversità, siano queste ambientali, floristiche o faunistiche, consente di prendere coscienza dello stato di salute degli ecosistemi nel loro complesso, e di mettere in atto progetti volti al mantenimento di un ambiente naturale quanto più possibile integro e diversificato.

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2.2 Aree campione

La scelta delle aree campione su cui concentrare lo sforzo di monitoraggio è fondamentale per indirizzare lo studio dell’ecologia del francolino, in quanto esse devono essere rappresentative in proporzione di tutti gli habitat potenzialmente occupati dalla specie all’interno dell’area di studio. L’individuazione si è basata sui modelli di distribuzione reale e potenziale della specie elaborati nello studio del 2008 di Mustoni et al. (figure 3.7-3.8), nell’ambito dello “Studio sulla determinazione delle potenzialità faunistiche del territorio provinciale”.

A partire dalle aree campione sono stati delineati 6 transetti, di cui 2 disposti su substrato siliceo, e 4 su terreno calcareo. Come si può notare nella figura, il transetto 5, denominato

“Malga Plan”, si trova al di fuori del confine del Parco; il transetto 4, denominato

“Malghette”, presenta i primi due punti d’ascolto e richiamo esterni ad esso.

Figura 2.27 Panoramica sui 6 transetti scelti per il monitoraggio

La lunghezza totale campionata è pari a 16,09 km, la quota minima rilevata sui percorsi 1149 metri s.l.m., quella massima 1787 m s.l.m. Nella tabella seguente sono riassunti i parametri morfometrici di ciascun transetto, ricavati grazie al software Esri ArcGis 9.3.

ID Transetto Tfr1 Tfr2 Tfr4 Tfr5 Tfr6 Tfr8 Tot

LTOT (m) 2361,15 2796,71 2644,35 2347,96 2697,09 3242,90 16090,16

QuotaMIN (m) 1184 1149 1697 1539 1493 1256 -

QuotaMAX (m) 1364 1582 1787 1624 1690 1523 -

Tabella 2.1 Generalità relative ai transetti

Nel paragrafo 4.1.2 seguirà una descrizione puntuale dei criteri di scelta dei transetti con relativi punti d’ascolto e richiamo per il francolino; si rimanda inoltre alla sezione dedicata alle appendici la presa visione delle mappe dei singoli percorsi (Appendice A).

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3 IL FRANCOLINO DI MONTE

Figura 3.1 Illustrazione dei due sessi del francolino (Atlante della fauna selvatica italiana - Uccelli)

3.1 Posizione sistematica

Phylum: Chordata Classe: Aves Ordine: Galliformes Famiglia: Tetraonidae

Genere: Bonasa (Stephens, 1819)

Specie: Bonasa bonasia (Linneo, 1758, Svezia)*

* Formalmente il primo genere indicato da Linneo fu Tetrao, con sinonimo Tetrastes.

Italiano: Francolino di monte Tedesco: Haselhuhn Inglese: Hazel Grouse Francese: Gelinotte

La specie è politipica. La tassonomia risulta quindi complessa, in quanto nella Regione Paleartica sono state identificate dodici sottospecie (Del Hoyo et al., 1994), incluse in quattro principali: B.b.bonasia (Linneo, 1758), con areale che comprende l’Europa Settentrionale fino ai Monti Urali e alla Polonia; B.b.sibirica (Buturlin, 1916), distribuita dal bacino del fiume Pechora e dai Monti Urali verso est fino alla Siberia Nord-Orientale; B.b.vicinitas (Riley,

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1915), che vive dalla Siberia Sud-Orientale fino al Giappone; infine B.b.rupestris (Brehm, 1831), tipica dell’Europa Centrale e Meridionale, dalla Polonia alla Grecia (De Franceschi, 1992). La sottospecie italiana è definita da molti autori, tra i quali Scherini (1990), Artuso &

De Martin (2003) e Brichetti & Fracasso (2004), come B.b.rupestris. Tuttavia è utile ricordare che questa definizione tassonomica include le sottospecie styriaca, rhenana (Kleinschmidt, 1917) e schiebeli (Kleinschmidt, 1943), come riportato nel dettaglio dagli autori Brichetti e Fracasso (2004) e De Franceschi (2004).

3.2 Distribuzione della famiglia di appartenenza: i tetraonidi

I fossili più antichi appartenenti all’ordine dei galliformi possono essere fatti risalire al Miocene inferiore (circa 23 milioni di anni fa, IUGS). In Italia sono presenti solo due famiglie di galliformi: i tetraonidi e i fasianidi.

La famiglia dei tetraonidi ha una distribuzione esclusivamente Olartica, e comprende sei generi e sedici specie, i cui areali si estendono tutti tra il 26° e l’81° di latitudine Nord (Johnsgard, 1983; De Franceschi, 1992). In Europa e sulle Alpi italiane sono presenti attualmente quattro specie: il fagiano di monte, il gallo cedrone, la pernice bianca e il francolino di monte (IUCN, 2015).

3.2.1 Origine e sistematica della famiglia

Per quanto concerne la famiglia dei tetraonidi, tutte le specie fossili risalenti al pre-Pliocene (prima di 5,3 milioni di anni fa, IUGS) sono state individuate solamente in America; inoltre nella Regione Neartica (Nord-America) attualmente è presente sia il maggior numero complessivo di generi, che il maggior numero di generi endemici rispetto alla Regione Paleartica (Eurasia). Queste prove empiriche avvalorano l’ipotesi di un’origine Nord- Americana dell’intera famiglia; tuttavia, data la scarsità di fossili così antichi, non è possibile trarre conclusioni definitive al proposito (De Franceschi, 1992). L’origine boreale è suggerita altresì dalle particolarità morfologiche quali la forma del corpo tozza con ali corte e spesso piumaggio dotato di doppia rachide, nonché dall’abitudine di scavare buche nella neve durante le giornate più fredde. Le zampe, corte e robuste anch’esse, presentano quattro dita fornite di forti unghie, adatte ad una vita terricola (De Franceschi, 2004). Dalle testimonianze di natura fossile si desume che probabilmente i tetraonidi hanno avuto origine comune a quella dei fasianidi (Scherini, doc. inedito, 1990). In principio la prima famiglia era classificata come sottofamiglia tetraoninae, ed inclusa come tale nella seconda. Solo secondariamente i sistematici hanno riclassificato i taxa, separandoli e ponendoli entrambi allo stesso livello gerarchico, ovvero quello di famiglia. L’autore De Franceschi (2004) segnala diversi casi di ibridazione tra esemplari appartenenti alle due famiglie.

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I tetraonidi hanno i seguenti caratteri morfologici diagnostici: caruncole nude ed erettili sopraoculari; narici ricoperte da piume; tarsi piumati e privi di sperone; dita piumate o, come nel francolino di monte, pettinate; 16 o 18 penne timoniere della coda (nel francolino sono 16); infine apparato digerente con due intestini ciechi molto sviluppati (Artuso, 2008), conseguenza di una specializzazione alimentare prevalentemente erbivora (Scherini, 1977).

L’autore G. Scherini, in un documento inedito dattiloscritto datato 1990, si sofferma in dettaglio sulla descrizione del tratto finale dell’apparato digerente, poiché quest’ultimo è uno degli elementi che contraddistinguono i tetraonidi rispetto ai fasianidi; di fatto egli getta le basi per l’attuale classificazione sistematica della famiglia a cui appartiene il francolino.

Figura 3.2 Zampa con dita pettinate Figura 3.3 Esemplare maschio di francolino (web)

3.3 Origine e distribuzione attuale della specie

Il francolino di monte (Bonasa bonasia L.) è una specie eurosibirica-boreoalpina, con distribuzione paleartica e origini siberiane (Scherini et al. 1996; Boano e Brichetti, 1989; De Franceschi, 2004; Gustin et al. 2008). La sua presenza nel continente euro-asiatico risale al Pleistocene (2,6-0,012 milioni di anni fa, IUGS). In tale epoca la temperatura globale si abbassò notevolmente, soprattutto nell’emisfero boreale. L’Eurasia andò incontro a ripetizioni cicliche di periodi glaciali ed interglaciali. La progressiva avanzata dei ghiacci provocò uno spostamento verso sud di interi biomi e di specie faunistiche adattate alle alte latitudini, quali i tetraonidi. Al termine della glaciazione del Würm (circa 12.000 anni fa, limite tra Pliocene e Pleistocene) i ghiacci iniziarono a ritirarsi e le specie animali ormai adattate al freddo andarono incontro a destini diversi. Alcune si estinsero, altre, come i tetraonidi, ripercorrendo l’iter a ritroso verso nord, si ristabilirono nel Nord Europa. Lungo il loro percorso trovarono sui maggiori rilievi europei clima e vegetazione adatti alla loro sopravvivenza e riproduzione, e vi si insediarono.

In Europa il francolino abita i principali rilievi montuosi nella parte meridionale dell’areale, mentre nella parte settentrionale frequenta aree di pianura. È presente con continuità, come specie politipica, nella taiga eurasiatica, sui Carpazi, sui Balcani e sulle Alpi. Popolazioni ridotte e frammentate vivono invece nelle pianure di Francia, Belgio, Germania, ex Cecoslovacchia e Polonia. Il limite orientale dell’areale europeo è costituito dalla catena degli

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Urali, mentre quello occidentale è rappresentato dalle regioni di confine tra Francia, Belgio e Germania; la specie si spinge a Nord fino alla Scandinavia ed a Sud fino alle Prealpi Italiane e alla Penisola Balcanica. Sulla base di valutazioni attendibili ma datate, la popolazione europea è stata stimata, nel suo complesso, in poco meno di 600.000 coppie (Scherini et al., 1996;

AA.VV., 2000). La stima più aggiornata indica come presenti nell’Unione Europea 470.000- 760.000 coppie (BirdLife International 2004).

Figura 3.4 Areale europeo della specie (Cramp et al., 1980)

Sulle Alpi Italiane l’areale di nidificazione del francolino è compreso tra la Val d’Ossola in Piemonte e le Prealpi Giulie in Friuli Venezia Giulia; le propaggini più settentrionali sono localizzate in provincia di Bolzano, mentre quelle più meridionali si trovano nella provincia di Vercelli e Verona (Artuso e De Martin, 2003). Per quanto riguarda le Alpi occidentali la specie in tempi storici era ritenuta più diffusa, ma si è estinta probabilmente già due secoli fa (Arrigoni degli Oddi, 1929), ovvero nel corso del XIX secolo (Ramponi, 1928; Moltoni, 1930; Perlini, 1942). Il suo ritorno nella zona della Val d’Ossola è documentato nel periodo compreso fra gli anni Trenta e Cinquanta del secolo scorso (De Francheschi, 1983b; Brichetti, 1987) e nella Valsesia a fine anni Ottanta (Bordignon e Pescarolo, 1990).

Figura 3.5 Areale italiano di nidificazione (Brichetti e Cambi, 1982)

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3.3.1 Status e dinamica di popolazione in Europa, sulle Alpi ed in Trentino

La specie, nidificante residente (De Franceschi, 2004), gode in Europa di un quadro normativo “sulla carta” favorevole: è inserita nell’Allegato III della Convenzione di Berna e nell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE (Direttiva Uccelli), successivamente abrogata e sostituita integralmente dalla versione codificata della Direttiva 2009/147/CE; in Italia inoltre è specie protetta citata nell’articolo 2 della Legge Nazionale 157/92. Per quanto riguarda lo stato di conservazione attribuito secondo i criteri della Lista Rossa IUCN, il francolino è specie non a rischio a livello mondiale, a più basso rischio (Lower Risk, LR) nella Lista Rossa Nazionale (LIPU & WWF, Calvario et al., 1999) e vulnerabile (VU) nella Lista Rossa della Provincia Autonoma di Trento (Piano Faunistico Provinciale, PAT, 2011). Tuttavia gli studi sul campo con oggetto questa specie si rendono ancor più impellenti, in quanto di fatto quest’ultima è in moderato continuo declino nell’Unione Europea (periodo 1970-1990 e 1990-2000), ed anche a scala pan-europea (BirdLife International 2004).

Premessa imprescindibile, per poter affrontare correttamente il discorso relativo alla consistenza ed alla densità di popolazione del francolino, è la seguente: la valutazione quantitativa risulta difficoltosa anche in zone di limitata estensione a causa del comportamento particolarmente elusivo, e delle fluttuazioni stocastiche (anche localizzate) che caratterizzano le popolazioni europee del tetraonide. Molti autori, nel corso di studi condotti entro i confini dell’areale europeo durante il XX secolo, hanno evidenziato fluttuazioni di consistenza cicliche, con periodi di riferimento diversi e di portata variabile (Siivonen, 1957; Rajala e Linden, 1972; De Franceschi, 1986; Del Hoyo et al., 1994).

Malgrado le difficoltà a cui si può andare incontro, il monitoraggio della specie, che rimane certamente il tetraonide meno conosciuto a livello alpino, appare fondamentale al fine di poter disporre delle informazioni necessarie per la periodica valutazione dello stato di conservazione delle sue popolazioni prevista dai vincoli di Rete Natura 2000 (Borgo e Mattedi, 2011).

La distribuzione del francolino di monte ha subito una contrazione marcata nella parte occidentale e centrale dell’areale europeo; si è estinto ad esempio sui Pirenei e sul Massiccio Centrale. Nel secolo scorso la popolazione europea è andata incontro ad un declino considerevole in Francia (Yeatman, 1976), Belgio (Lippen e Wille, 1972), Germania, Austria e Svizzera (Glutz et al., 1973). Solo nella Penisola Scandinava le popolazioni raggiungevano nello stesso periodo storico numeri considerevoli e in aumento: in Svezia le coppie censite furono 150.000 (Ulfstrand e Hoegstedt, 1976), e in Finlandia 230.000 (Merikallio, 1978).

Ricordiamo che secondo i dati reperiti più recenti (2004) entro i confini dell’Unione Europea la popolazione è stata stimata in 470.000-760.000 coppie, pari al 19%-25% di quella totale del continente europeo (2.5-3.1 milioni di coppie), e compresa tra il 5% ed il 24% di quella globale (BirdLife International, 2004).

Nelle foreste della Polonia nord-orientale, in Finlandia, in Scandinavia e in Siberia sono state osservate densità autunnali fino a 30-38 maschi di francolino/kmq, mentre nelle foreste del Centro Europa la densità massima censita è di 11 individui/kmq. In Svizzera la densità

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primaverile è diversificata: in pianura vivono fino a 2 coppie/kmq, e nei boschi sopra i 1000 metri s.l.m. fino a 5 coppie/kmq (Glutz, 1985).

In Italia il francolino di monte si è localmente estinto sulle Alpi Occidentali; in passato sono stati registrati decrementi significativi anche in alcune zone delle Alpi Orientali, dove, nel caso di alcune popolazioni, ha subito contrazioni pari a circa due terzi della consistenza in poco più di trent’anni (De Franceschi, 1982). Secondo Brichetti (1987) e Scherini (1996) in alcune aree invece, quali la Valtellina, la Val di Fassa, la Val di Fiemme e il Tarvisiano, la densità della specie è rimasta praticamente costante o in leggero aumento nello stesso intervallo di tempo. La consistenza delle popolazioni alpine italiane è stata stimata in primavera attorno a 5.000-6.000 coppie (De Franceschi, 1994; BirdLife International 2004).

La densità alpina varia mediamente a seconda della regione, ma si attesta attorno al valore di 1-1,2 coppie/kmq; in ogni caso non eccede le 2-3 coppie/kmq a causa della frammentazione degli habitat idonei, che si possono ravvisare a titolo esemplificativo in Val d’Ossola o nella Foresta del Cansiglio (De Franceschi, 2004).

Nel periodo 1990-2000 in Italia la specie nell’insieme è stata considerata stabile da BirdLife International (2004). Tuttavia lo stato di conservazione è stato considerato “inadeguato”

(Gustin et al. 2009).

In Trentino sono state registrate fluttuazioni di consistenza regolari di 3 e 6 anni (Cattadori e Hudson, 2001). La consistente riduzione degli effettivi, rilevata fino agli anni ’80 sull’intero Arco Alpino (Alpi Carniche meno 60-78%, periodo 1955-1981), ha portato all’imposizione del divieto di caccia della specie nella Provincia Autonoma di Trento (PAT) a partire dal 1988. La mancanza di interesse venatorio, unita all’elusività del francolino ed allo scarso interesse gestionale, ha avuto come conseguenza lo scarso grado conoscitivo della sua reale distribuzione (Piano Faunistico Provinciale, PAT, 2011). Esempi virtuosi con la finalità di colmare le lacune conoscitive sul tetraonide oggetto di questo studio sono i seguenti: nel 1995 da parte di Schröder, e nel 2003 da parte dell’Università dell’Insubria in collaborazione con l’Istituto Oikos; in queste occasioni sono stati elaborati dei Modelli di Valutazione Ambientale per individuare le potenzialità faunistiche della Provincia Autonoma di Trento (Pedrotti et al., 2003) e del territorio del Parco Naturale Adamello Brenta (Schröder, 1995;

Piano Faunistico PNAB, 2007). Attualmente non si hanno ancora a disposizione delle stime numeriche relative alla consistenza in Trentino, ma nel 2008 sono stati elaborati e pubblicati i dati relativi al suo areale distributivo reale e potenziale, emerso dall’applicazione del Modello di Valutazione Ambientale (MVA) proposto da Mustoni et al. (2008), e ripreso poi nel Piano Faunistico Provinciale (PAT, 2011). Esso costituisce la stima che più approssima la reale presenza del francolino, e viene utilizzato come riferimento per finalità gestionali ed eventuali progetti di conservazione.

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Figura 3.6 Carta della distribuzione potenziale del francolino di monte in Trentino (Mustoni et al. 2008;

Piano Faunistico Provinciale, PAT, 2011)

In base allo studio di Mustoni et al. (2008), come si può osservare in figura 3.6, sembra esistere una buona idoneità del territorio provinciale alla specie (53,6% della superficie risulta idonea alla specie), la quale potenzialmente potrebbe andare a occupare tutte le aree boscate di media quota caratterizzate dalla presenza di stadi forestali maturi con abeti e larici, accompagnati dallo strato arbustivo tipico degli stadi iniziali delle successioni e dei margini dei boschi. Il modello realizzato evidenzia altresì una idoneità buona anche per tutte le aree boscate di fondovalle delle zone endalpiche, mesoendalpiche e mesoesalpiche (Piano Faunistico Provinciale, PAT, 2011).

Per quanto concerne il territorio del Parco Naturale Adamello Brenta, i dati di presenza disponibili sono frutto delle segnalazioni effettuate a partire dal 2005 dal personale dell’ente, nell’ambito del progetto di monitoraggio faunistico mirato (MFM: standardizzato secondo un protocollo d’azione) e monitoraggio faunistico occasionale (MFO). In figura 3.7 a questi rilevamenti puntuali si aggiungono le superfici delineate dal sopra citato lavoro di Mustoni et al. (2008). L’areale potenziale del francolino all’interno dei confini del Parco copre una superficie di circa 221,12 kmq, pari a circa un terzo della sua totale estensione (620,5 kmq), e costituisce il 6,3% del territorio idoneo complessivo a livello provinciale. Il territorio a buona vocazionalità si trova sia sul comparto cristallino che su quello calcareo, dal fondovalle a 1.600-1.700 m s.l.m. (Piano Faunistico del Parco Naturale Adamello Brenta, 2007).

L’approfondimento delle conoscenze sulle esigenze ecologiche del francolino e l’implementazione del MVA, uniti ad un sistema standardizzato di verifica delle consistenze e monitoraggio, risulterebbero opportuni al fine di perfezionare la carta di distribuzione reale (figura 3.8), valutare la vocazionalità offerta dal territorio provinciale, e formulare ipotesi relative al trend della popolazione presente e alle sue eventuali espansioni future all’interno dell’area di studio, sia questa riferita al territorio del Parco o della Provincia (Piano Faunistico PNAB, 2007; Piano Faunistico Provinciale, PAT, 2011).

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Figura 3.7 Carta della distribuzione potenziale del francolino di monte nel Parco Naturale Adamello Brenta. L’area a vocazionalità buona è evidenziata in verde chiaro, quella a vocazionalità ottima in verde scuro (Mustoni et al. 2008). Rappresentati in modo puntiforme i risultati dei monitoraggi faunistici mirati ed occasionali (MFM/MFO)

Osservando le carte nelle figure 3.7 e 3.8 si evidenzia una maggiore estensione dell’areale potenziale rispetto a quello reale, ulteriore conferma dell’importanza di concrete azioni di tutela e conservazione della specie. Il divieto di prelievo venatorio (L.N.157/92; L.P. 24/91) costituisce il primo passo in questa direzione, la cura dell’aspetto gestionale forestale rappresenta un altro importante elemento per la conservazione della specie nel medio-lungo periodo.

Figura 3.8 Carta della distribuzione reale del francolino di monte nel Parco Naturale Adamello Brenta (Mustoni et al. 2008). Rappresentati in modo puntiforme i risultati dei monitoraggi faunistici mirati ed occasionali (MFM/MFO)

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3.4 Cenni di biologia

3.4.1 Morfologia

Bonasa bonasia rupestris

Dimensioni medie Maschio adulto Femmina adulta

Lunghezza totale (cm) 39,5 38,5

Apertura alare (cm) 55 54

Lunghezza ala (cm) 18,5 18

Lunghezza becco (mm) 17 17

Lunghezza tarso (mm) 40-41 -

Peso medio in autunno (gr) 355-480 315-465

Tabella 3.1 Dimensioni e peso medi secondo Scherini (documento inedito, 1990)

Figure 3.9-3.10 Illustrazione dei due sessi (Scherini, 2001)

Il francolino di monte è il più piccolo dei quattro tetraonidi alpini. Il suo aspetto generale è raccolto e mimetico, variegato di bianco, beige, grigio, ruggine e nero; questo particolare si rivela particolarmente vantaggioso ai fini della sopravvivenza, e quindi della riproduzione, per un animale che vive nel sottobosco, ambiente ricco di chiaro-scuri. La colorazione criptica e l’atteggiamento elusivo (l’animale ha vista scarsa ma udito fine) sono stati selezionati nel tempo dal processo evolutivo, e rendono il contatto visivo diretto particolarmente raro, perlopiù a sorpresa, con conseguente frullo d’ali e involo veloce verso il basso (Scherini, doc.

inedito, 1990; Scherini, 2001).

Il dimorfismo sessuale nel francolino, specie che adotta una strategia riproduttiva tipicamente monogama, risulta estremamente ridotto, e limitato a particolari non sempre evidenti. Il maschio si contraddistingue per un sottogola nero brillante, contornato sulle guance da un caratteristico collarino di piume bianche largo 7-9 mm. Nella femmina i colori in generale sono più smorzati, con una minor opposizione di tinte. Entrambi i sessi presentano un ciuffo di penne erettili sul vertice della testa, che appaiono però più evidenti nel maschio. Esse sono

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lunghe 2,5-3,5 cm e possono essere alzate verticalmente in entrambi i sessi, ma in situazioni diverse (nella stagione degli amori o in situazioni d’allarme). Le caruncole, prominenze carnose sopraoculari rosso-aranciate particolarmente marcate del maschio in primavera, sono assenti nei giovani del’anno e poco appariscenti nella femmina.

Il piumaggio del francolino è costituito da 10 remiganti primarie e 13 secondarie; la coda, che si apre in un semicerchio perfetto, è formata da 14 timoniere lunghe 12-13 cm, barrate vicino all’estremità con una banda sub-apicale nera alta 18-25 mm. Due grandi sopracodali grigie nascondono completamente la coda qualora non sia spiegata, e con essa la caratteristica banda nera. Le penne, dotate di iporachide molto lunga, assicurano un piumaggio ben compatto e isolante che protegge la specie dalle gelate del periodo invernale (Scherini, documento inedito, 1990).

Negli individui giovani, che vestono il loro primo abito prestissimo (la muta post-natale completa ha luogo durante la seconda e terza settimana di vita), la crescita delle remiganti è velocissima. I giovani assomigliano alle femmine adulte, ma appaiono più rossastri e macchiati sui fianchi, e con gola bianca. L’abito giovanile è uguale nei due sessi, ma nel mese di agosto nei maschi si differenzia il sottogola nero che li contraddistingue (Scherini, documento inedito, 1990). Per quanto riguarda le mute a cui vanno incontro gli esemplari adulti, si hanno una muta post-nuziale estiva totale, che di fatto rende indistinguibili i maschi, che perdono le piume nere, dalle femmine, e una muta primaverile molto incompleta, che riguarda solo le penne della testa e del collo. La prima avviene da fine giugno (eccezionalmente inizia già a maggio) a ottobre-novembre; da essa sono escluse solo le remiganti p9 e p10, che di fatto sono le uniche a fornirci indizio valido per un’approssimazione dell’età degli individui (De Franceschi, 1992; Gagliardi et al., 2012).

Dall’osservazione della forma e dell’usura delle suddette remiganti la durata della vita in natura per la specie è stata quantificata attorno ai 7 anni.

Il becco è moderatamente curvo, bruno scuro nei maschi, più chiaro nelle femmine. Le zampe mostrano un adattamento più alle necessità della vita arboricola che a quella di marcia terricola, e sono dotate di dita lunghe, poco pettinate e con pollice molto basso. Le impronte su terra umida o neve appaiono sulla stessa linea, a 10-15 cm di distanza. I pettini, analogamente alle unghie ed al becco, subiscono muta dopo la stagione degli amori.

Figura 3.11 Piumaggio del francolino di monte. A timoniere; B pettorali; C laterali; D remiganti secondarie; E copritrici; F remiganti primarie; G timoniera centrale (naturamediterraneo.com)

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