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LA MALARIA

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Academic year: 2021

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LA MALARIA

STORIA

La malaria è la più importante parassitosi registrata nella storia. La prima descrizione del quadro clinico risale a Ippocrate (v sec. a.C.) che nelle “Epidemie” e negli “Aforismi”

descrive già la tipica febbre intermittente (Pappas et al., 2008). Ma una separazione delle febbri malariche dalle febbri di altra natura, il sospetto che esse fossero prodotte da microorganismi e la loro reale natura furono compresi molto più tardi. Nel 1880 Alphonse Laveran, in Algeria, osservò

per primo il parassita nelle cellule del sangue dei malati e ipotizzò che il morbo fosse causato da un protozoo denominato in seguito

“Plasmodium” (Biography of Alphonse Laveran). Nel 1885 Camillo Golgi a Pavia dimostrò l’associazione tra la periodicità delle febbri malariche ed il ciclo del plasmodio. Nel 1894 Patrik Manson, in Cina, ipotizzò per primo che il Plasmodium fosse trasmesso all’uomo da una zanzara, tesi dimostrata

nel 1897 da Ronald Ross in India. Nel 1898 Giovanni Battista Grassi, a Roma, identificò la zanzara del genere Anophele come vettore della malattia, riuscì ad ottenere la prima trasmissione sperimentale e descrisse il ciclo completo delle varie specie di Plasmodium (Capanna E.). Nel 1905 Carlos Chagas a S.Paulo (Brasile) mise in atto la prima efficace campagna di profilassi antimalarica della storia (Crotti, 2005) (Galante et al., 1992).

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EPIDEMIOLOGIA

La malaria colpiva l’uomo già nei primi periodi della sua storia in Babilonia, Assiria, Cina ed era ben conosciuta anche nell’antica Grecia e a Roma. Durante il Medio Evo essa era prevalentemente diffusa in Europa, Asia e anche in Africa e si diffuse in America probabilmente con la scoperta di Colombo (Covelli et al., 1991).

L’avvento degli insetticidi, la cui azione distruttrice nei confronti delle zanzare apportatrici della malaria ha avuto una parte determinante per la prevenzione di questa malattia, e la scoperta di numerosi farmaci di sintesi efficaci come antimalarici ha fatto sì che la malaria sia stata debellata in molti Paesi, tuttavia essa è tuttora una malattia endemica.

Sebbene questa malattia possa essere presente in tutte le regioni del mondo, le aree endemiche sono comprese tra il 45° parallelo Nord ed il 45° parallelo Sud, dove le condizioni ambientali permettono la sopravvivenza e lo sviluppo della zanzara Anophele (Galante et al.,1992).

I dati forniti nel 2008 dalla WHO (World Health Organization) indicano che :

• La malaria è endemica in 109 paesi.

• Nel 2006 sono stati riscontrati 247 milioni di casi di malaria nel mondo, di cui l’86% è stato registrato nelle regioni africane, il 9% nelle regioni del Sud Est asiatico e il 3% nel Mediterraneo orientale.

• Sono stati stimati 881.000 morti dovuti alla malaria nel 2006, di cui il 91% in Africa e di questi l’85% riguarda i bambini al di sotto dei 5 anni; è stato calcolato che la malattia uccide 1 bambino africano ogni 30 secondi.

• Il World Malaria Report 2008 riporta che 3,3 miliardi di persone (circa la metà della popolazione mondiale) vivono in zone a rischio di trasmissione della malaria, di cui 1,2 miliardi vivono in zone ad alto rischio di trasmissione (più di un caso all’anno ogni 1000 abitanti) e 2,1 miliardi in zone a basso rischio di trasmissione (meno di un caso all’anno ogni 1000 abitanti).

Altri gruppi ad alto rischio sono rappresentati dalle donne in gravidanza, dai rifugiati e dai lavoratori che entrano nelle aree endemiche.

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Numero stimato di persone a basso e alto rischio di contrarre la malaria (WHO 2006)

SEAR = Sud Est asiatico; WPR = Pacifico occidentale; AFR = Africa; EMR = Mediterraneo orientale; AMR = America; EUR = Europa.

La malaria, inoltre, impone un enorme carico economico nei paesi in cui è diffusa; tenendo conto dei fattori come la povertà iniziale e la politica economica, è stato calcolato che i paesi più colpiti dalla malaria crescono dell’1,3% in meno per persona per anno rispetto alle zone in cui la malaria non è presente e che la riduzione dell’1,1% della malaria è associata allo 0,3% di aumento del tasso di crescita economica (World Malaria Report 2008).

La malattia è stata debellata dalla maggior parte dei paesi temprati nel XX secolo e la WHO ha tentato di eradicarla anche altrove, utilizzando dei potenti insetticidi e farmaci antimalarici estremamente efficaci che gradualmente sono diventati disponibili. Dalla fine degli anni cinquanta, l’incidenza della malaria è crollata drasticamente. Tuttavia durante gli anni settanta è diventato evidente che il tentativo di eradicamento era fallito a causa della crescente resistenza della zanzara agli insetticidi e dei parassiti ai farmaci. Oggi la malaria è riemersa in molti paesi, anche dove prima era sotto controllo, o era stata addirittura debellata. I casi sporadici, che sono il risultato di spostamenti in aereo e di scambi commerciali, sono già abbastanza frequenti in Europa occidentale e negli Stati Uniti, dove però, il rischio effettivo di trasmissione è trascurabile (Rang et al., 2008).

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Casi di malaria stimati per 1000 abitanti, 2006

Morti dovuti alla malaria stimati per 1000 abitanti, 2006

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Distribuzione geografica delle specie responsabili della malaria:

Tutti i protozoi responsabili della malaria appartengono al genere Plasmodium ed ogni specie presenta distribuzione caratteristica:

• P. falciparum: è diffuso nella maggior parte dei paesi tropicali e sub tropicali ed è la specie più comune nell’Africa subsahariana.

• P. vivax: è la specie a più larga distribuzione ed è presente anche in zone temperate.

• P. ovale: è piuttosto raro si trova nell’Africa tropicale, Filippine, Nuova Guinea e Vietnam.

• P. malariae: ha una distribuzione localizzata, è presente in Medio Oriente, Asia meridionale, Africa centro occidentale, America centrale e Brasile (Covelli et al., 1991).

Distribuzione secondo le caratteristiche del territorio

• Savana africana: domina il P. falciparum. Trasmissione perenne con variazioni stagionali, morbilità prevalente nei bambini e nelle donne gravide.

• Pianure e valli dell’America centrale, Cina e India: prevale P. vivax. Trasmissione variabile e moderata con forti variazioni stagionali e rischio di epidemie.

• Altopiani, aree semidesertiche e isole del Sud Est asiatico, Sud Africa, isole dei Carabi:

rischio di epidemie dovuto ad aberrazioni climatiche, a fenomeni migratori da aree malariche altamente endemiche e a cambiamenti nelle abitudini agricole.

• Aree di recente sviluppo agricolo in Africa, Asia, Sud America: l’irrigazione in agricoltura può aumentare la trasmissione del plasmodio con conseguente rischio di malaria stagionale con epidemie tra lavoratori immigrati non immuni (Covelli et al., 1991).

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EZIOLOGIA CICLO VITALE E TRASMISSIONE

L’insetto vettore è rappresentato dalle femmine ematofaghe di zanzare del genere Anopheles. Più di 100 specie di Anopheles possono trasmettere l’infezione, ma la maggioranza avendo tendenze zoofile e pungendo l’uomo solo occasionalmente, riveste scarso significato epidemiologico. Per cui non più di 20-30 specie sono importanti nella trasmissione della malaria:

• A. gambiae: in alcuni paesi arabi e nell’Africa tropicale.

• A. funestus: in Africa centrale.

• A. punctulatus: in Polinesia e in Australia.

• A. darlingi: nell’America centro meridionale.

• A. stephensi: in India.

L’infezione nell’uomo ha inizio con la puntura di una zanzara infetta che con la saliva inocula nel circolo ematico gli sporozoiti, organismi mononucleati fusiformi e mobili. Tali sporozoiti arrivano (entro 30 minuti) per via ematica al fegato e rapidamente penetrano nelle cellule parenchimali del fegato (epatociti), dove, durante i successivi 10-14 giorni vanno incontro alla prima fase di riproduzione asessuata, fase tissutale o esoeritrocitaria. In sede endocellulare si accrescono trasformandosi in grossi schizonti e danno origine a migliaia di merozoiti (forme aploidi asessuate) che abbandonano l’epatocita, ormai distrutto, ed invadono i globuli rossi dando origine ad un nuovo ciclo di riproduzione asessuata, fase ematica o endoeritrocitaria, 6-15 giorni dopo l’inoculazione.

Durante la maturazione nei globuli rossi, il parassita rimodella la cellula ospite inserendo proteine e fosfolipidi parassitari sulla membrana cellulare del globulo rosso.

All’interno del globulo rosso il merozoita si trasforma in trofozoita, con tipica forma ad anello ed identificabile dalla presenza di una singola massa di cromatina, tale trofozoita si accresce utilizzando l’emoglobina che viene pinocitata e introdotta nel vacuolo digestivo dove la parte proteica (globina) viene degradata, e diviene fonte di amminoacidi, mentre la

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parte prosteica (eme), che potrebbe essere tossica per il Plasmodium, viene resa innocua da una reazione di polimerizzazione che porta alla formazione di emozoina (pigmento ferro- porfirinico bruno nerastro).

Durante la fase di accrescimento avviene la replicazione mitotica del nucleo del trofozoita che si trasforma in uno schizonte, formato da molte masse di cromatina da ciascuna delle quali si sviluppa un merozoita (si ha la formazione di 6-32 merozoiti a seconda della specie di plasmodio). I parassiti della malaria possono moltiplicarsi nell’organismo con una velocità fenomenale: un singolo parassita P. vivax può dare origine a 250 milioni di merozoiti in 14 giorni (per capire l’azione richiesta ad un farmaco antimalarico si pensi che la distruzione del 94% dei parassiti entro le 48 ore servirebbe solo a mantenere costante il numero di parassiti e non a ridurlo).

A questo punto la membrana dell’emazia si rompe ed i nuovi merozoiti, il pigmento ed i residui cellulari si riversano nel plasma sanguigno; il pigmento viene fagocitato dai leucociti e si deposita in vari organi conferendo loro il caratteristico aspetto scuro, noto come melanosi mentre i merozoiti invadono nuovi globuli rossi causando un altro ciclo schizogonico. Tali cicli si ripetono periodicamente, ad intervallli regolari, e durano 48 ore in P. vivax, P. ovale e P. falciparum, e 72 ore in P. malariae. In alcune forme di malaria alcuni sporozoiti entrano nelle cellule epatiche e si trasformano in ipnozoiti o “forme dormienti”

del parassita, che sono in grado di riattivarsi dopo mesi o anni per riprendere o continuare un ciclo esoeritrocitico di moltiplicazione.

Dopo una serie indefinita di cicli schizogonici ematici, alcuni trofozoiti anziché trasformarsi in schizonti si differenziano in elementi sessuali immaturi, distinti in macrogametociti (femminili) e microgametociti (maschili).

Quando una femmina di Anopheles succhia il sangue di un individuo infetto, gli elementi cellulari, e gli eventuali trofozoiti e gli schizonti presenti, vengono digeriti nell’intestino medio mentre i gametociti fuoriescono dai globuli rossi parassitati e sviluppano.

Nel microgametocita la singola masserella di cromatina si divide in 6-8 nuclei portando alla formazione di microgameti, estremamente mobili, che si distaccano dalla cellula progenitrice. Nel frattempo il macrogametocita si trasforma in gamete femminile maturo, detto macrogamete. Da 20 minuti a 2 ore dopo il pasto ematico avviene la fecondazione con l’entrata del microgamete nel macrogamete; lo zigote che si produce (oocinete) penetra nella parete intestinale della zanzara formando una parete cistica ed il nucleo della giovane oociste subisce una divisione meiotica; questa è seguita da numerose divisioni mitotiche, a cui si accompagna un graduale aumento di volume della cellula che protende sulla

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superficie esterna dell’intestino. Raggiunta la maturazione, l’oociste si rompe liberando migliaia di sporozoiti fusiformi e mobili nell’emocele. Essi migrano in tutti i tessuti della zanzara, in parte penetrando nella ghiandole salivari. Quando l’insetto infetto si nutre sull’uomo, prima dell’indigestione di sangue inocula liquido salivare contenente gli sporozoiti, che iniziano un nuovo ciclo esoeritrocitario. La maggior parte degli sporozoiti è trattenuta nelle ghiandole salivari della zanzara la quale può rimanere infettante fino a 12 settimane. Il ciclo sporogonico nella zanzara è legato alle condizioni ambientali; esso non può essere completato, di solito, se la temperatura è inferiore a 16°C o superiore a 33°C.

Entro questi limiti, il processo di maturazione dell’oociste risulta più rapido alle temperature più elevate; si calcola che l’intero ciclo dell’Anopheles duri circa 2 settimane nelle pianure tropicali ma 3 settimane e più nelle regioni tropicali montuose più fredde (Covelli et al., 1991); (Robbins et al., 2005); (Rang et al., 2008).

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IMMUNITA’ NELLA MALARIA

La compatibilità ospite parassita non dipende da fattori presenti nel siero ma è correlata alla presenza di recettori superficiali per il parassita specifico sugli eritrociti.

La risposta immunitaria acquisita sembra diretta principalmente contro la fase asessuata ematica del Plasmodium e si manifesta con la soppressione dei sintomi, con la riduzione della intensità della parassitemia o anche con la scomparsa del parassita. Tale risposta è legata essenzialmente agli anticorpi circolanti (immunoglobuline antiplasmodiali). La reazione anticorpale nella malaria mostra un grado elevato di specie e di stadio (sporozoiti, merozoiti endoeritrocitari, merozoiti esoeritrocitari), tutti potenziali bersagli per l’attacco anticorpale. In oltre gli eritrociti parassitati mostrano sulla membrana antigeni plasmoidali.

È evidente che la cronicità dell’infezione è correlata ad un equilibrio sottile tra la reattività immune dell’ospite, potenzialmente letale per il Plasmodium, e meccanismi di evasione immunitaria da parte del parassita quali la localizzazione intracellulare , la variabilità antigenica e le interferenze sulla risposta immunitaria tra cui: l’immunosoppressione, l’attivazione di linfociti policlonali e la stimolazione di anticorpi linfocitotossici (Covelli et al., 1991).

PATOGENESI

L’azione patogena dei plasmodi è legata essenzialmente all’invasione degli eritrociti e alla loro distruzione con l’immissione in circolo di prodotti pirogeni di natura proteica. L’anemia è una caratteristica comune a tutte le forme di malaria anche se essa non è dovuta solamente alla distruzione delle emazie, ma è probabile che intervengano anche meccanismi di tipo autoimmunitario associati al notevole incremento dell’attività fagocitica del sistema del reticolo endoteliale.

I pigmenti formati dal parassita durante la fase di

Globulo rosso infettato da trofozoite di P. vivax

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sviluppo eritrocitario, vengono inglobati dai macrofagi e dalle cellule reticolari della corteccia cerebrale, milza, fegato, midollo osseo , ecc.., che assumono colorazione grigio ardesia o nerastra (melanosi). L’anemia è di tipo emolitico, normocromico, e normocitico.

Gli eritrociti parassitati aderiscono a quelli sani e gli ammassi vengono insieme fagocitati e distrutti. Si verifica diseritropoiesi (distruzione degli eritrociti prima del loro rilascio dal midollo osseo) e sequestro di ferro, poiché il TNF (la cui elevata produzione è indotta dal plasmodio) stimola la fagocitosi e deprime l’eritropoiesi.

Gli eritrociti parassitati da P. falciparum tendono a concentrarsi nei capillari e a conglutinarsi aderendo alle pareti e provocando l’occlusione vasale. La citoaderenza degli eritrociti alle pareti vasali é determinata da proteine che vengono espresse sulla membrana delle emazie parassitate; tali proteine sono recettori per le molecole di adesione le quali sono presenti sulle cellule endoteliali vascolari e sulle pareti dei globuli rossi non infettati. I globuli rossi infettati dal parassita, quindi, aderiscono ad altri globuli rossi non infettati formando delle rosette le quali vanno ad aderire alle pareti del microcircolo.

L’anossia tissutale legata alla riduzione numerica degli eritrociti e le trombosi multiple dei capillari sono responsabili dei processi necrotico-degenerativi e fenomeni emorragici a livello dei vari organi:

La milza generalmente aumenta di volume a causa della marcata attività emopoietica ed emocateretica, può raggiungere dimensioni notevoli nelle fasi acute della malattia mentre nelle infezioni croniche é molto più piccola e fibrosa.

Il fegato appare ingrandito e congesto.

L’anossia renale può portare a ischemia corticale e ad alterazioni epiteliali degenerative con protenuria.

L’anossia cerebrale e i disturbi circolatori che si manifestano a livello dell’encefalo, provocano congestione, alterazioni necrotiche degli endoteli vasali, trombosi, embolie, edemi ed alterazioni degenerative delle cellule della corteccia cerebrale (Covelli et al., 1991); (Robbins et al., 2005).

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SINTOMATOLOGIA

Le manifestazioni cliniche della malaria sono caratterizzate da attacchi febbrili parossistici e intermittenti, da anemia e splenomegalia. Dopo un periodo di incubazione dalla puntura della zanzara infetta si ha l’insorgenza dei primi sintomi corrispondenti a brividi di freddo nonostante la temperatura corporea possa essere superiore ai livelli normali, a cui segue una fase di calore nella quale il malato presenta febbre alta (40-41°C), cute calda e secca, polso e respiro accelerati, cefalea. Alla fase febbrile subentra la fase di sudorazione durante la quale la febbre, per crisi, scompare lasciando il paziente sollevato ma esausto. Gli accessi febbrili riprendono ogni 48 o 72 ore in relazione al tipo di plasmodio responsabile della patologia. Infatti tali episodi periodici di febbre sono dovuti alla rottura sincronizzata di globuli rossi, con conseguente rilascio di merozoiti e residui cellulari. L’aumento della temperatura è associato all’aumento della concentrazione, indotto dal plasmodio, del fattore di necrosi tumorale (TNF) nel plasma.

L’attacco primario dura due o più settimane, al termine del quale segue un periodo di latenza (fase cronica) legata all’equilibrio che si instaura tra ospite e parassita: equilibrio precario che può rompersi in corso di recrudescenze con attacchi simili al primario e di recidive. Le ricadute avvengono più facilmente con quelle forme di malaria che hanno un ciclo esoeritrocitico, perché la forma ipozoitica dormiente nel fegato può risvegliarsi dopo un intervallo di settimane o mesi per dare inizio ad una nuova infezione.

Le presentazioni tipiche delle diverse forme di malaria umana sono le seguenti:

MALARIA DA P. falciparum

P. falciparum ha un ciclo eritrocitico di 48 ore, provoca l’infezione designata terzana maligna, “terzana” perché si pensava che la febbre si presentasse ogni 3 giorni e “maligna”

perché è la forma di malaria più grave, terzana tropicale o malaria estivo autunnale

P. falciparum è responsabile di oltre la metà di casi di malaria nel mondo e di quasi tutti i decessi provocati da questa malattia. Può portare a morte gli individui non immuni nell’arco di una o due settimane in assenza di interventi terapeutici.

Il periodo di incubazione è di 9-19 giorni. L’attacco primario è caratterizzato dal comportamento atipico della febbre, che può essere da prima continua o remittente, senza

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reali intervalli apirettici per assumere, solo in secondo tempo, caratteristiche irregolarmente intermittenti con intervalli tra un accesso e l’altro di 48 ore. Le tre fasi tipiche della febbre malarica (brividi di freddo, calore e sudorazione) sono meno definite rispetto alle altre forme. Sono presenti epato-splenomegalia, cefalea, mialgie lombari, nausea, vomito, dolori addominali e diarrea. In assenza di terapia può manifestarsi sindrome perniciosa di estrema gravità capace di provocare in breve tempo la morte dei soggetti colpiti. Nelle zone a malaria endemica la forma perniciosa è piuttosto rara, in quanto tali popolazioni essendo esposte fin dalla nascita all’infezione acquistano un certo grado di immunità verso la malattia; è invece abbastanza frequente tra le persone provenienti dalle zone indenni che si rechino in aree malariche. La tumultuosa replicazione dei parassiti nei capillari encefalici porta ad anossia, edema cerebrale ed aumentata pressione cerebro-spinale con manifestazioni caratterizzate da febbre alta, astenia, convulsioni e coma. L’algidismo è fenomeno terminale frequente nella forma perniciosa:la superficie corporea appare fredda e la temperatura scende rapidamente sotto i livelli normali, si abbassa la pressione sanguigna e al coma segue la morte. La terzana maligna dà sempre luogo al quadro clinico della malattia grave e recrudescenze (ricadute causate dalla persistenza in circolo di forme intra- eritrocitarie) possono svilupparsi per più di un anno prima della guarigione. P. falciparum non ha stadio esoeritrocitico quindi se si riuscisse ad eliminare lo stadio eritrocitico non si avrebbero ricadute.

MALARIA DA P. vivax

P.vivax è il plasmodio dell’uomo a più elevata distribuzione ed è l’agente responsabile della terzana benigna (“benigna”perché meno grave di quella causata da P. falciparum) e di circa il 40% dei casi di malaria nel mondo; è raramente letale ma dà frequenti recidive (ricadute causate dalla persistenza dei merozoiti nel fegato che ricominciano un nuovo ciclo esoeritrocitario 5-6 mesi dopo l’infezione).

Il periodo di incubazione, clinicamente muto, è di 12-20 giorni. L’attacco primario, che dura 2-4 settimane, si manifesta con malessere e febbre che può raggiungere 40°C. La febbre non assume inizialmente periodicità terzana, ma questa peculiarità si osserva circa dopo una settimana con le tipiche fasi di freddo, calore e sudorazione. Recidive possono verificarsi con una certa frequenza per 1-3 anni. La persistenza dell’infezione dopo l’apparente guarigione nell’attacco primario, conseguita con la terapia che elimina i parassiti dal sangue, sembra dovuta alla presenza di parassiti esoeritrocitari sui quali molti farmaci non

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MALARIA DA P. malariae

P. malariae è l’agente eziologico della malaria quartana ed è responsabile di circa il 5% dei casi di malaria nel mondo. Le ricadute sono frequenti al termine di un attacco primario e possono presentarsi anche a distanza di molti anni dal contagio. Non presentando ciclo esoeritrocitario tali ricadute non dovrebbero essere di natura recidiva ma piuttosto collegabili alla recrudescenza di vecchie infezioni latenti ematiche, come dimostrerebbero i casi segnalati di trasmissione per trasfusione di sangue prelevato da individui apparentemente guariti da decenni.

La durata del periodo di incubazione è usualmente di 18-40 giorni. L’attacco primario si manifesta con accessi febbrili caratterizzati da brividi più squassanti e ascesa e discesa delle temperature più rapide. La febbre inizialmente può essere irregolare; in seguito diventa intermittente con intervalli di 2 giorni tra un accesso e l’altro. All’attacco primario, che dura 4-8 settimane, segue una fase di latenza che può durare moltissimi anni (anche oltre 50) con bassa parassitemia costante e ricadute ad intervalli di mesi o anni. Una complicanza di tale infezione è la sindrome nefrosica che colpisce prevalentemente i bambini nelle aree endemiche e che si manifesta con edemi, asciti, proteinuria e ipoproteinemia. Questo quadro è dovuto ad una glomerulonefrite, che evolve in una glomerulosclerosi totale.

MALARIA DA P. ovale

P. ovale provoca un tipo di terzana più benigna di P. vivax con tendenza a guarigione spontanea; è piuttosto rara in percentuale rispetto ai casi di malaria prodotti dagli altri plasmodi nell’uomo.

È considerata quindi una forma relativamente leggera di terzana benigna. Il periodo di incubazione è di 16-18 giorni e, come P. vivax provoca accessi febbrili ogni 48 ore. Sembra avere scarsa tendenza alle recidive e, sebbene si abbia una seconda generazione esoeritrocitaria nel fegato, non è completamente chiarita la presenza di generazioni successive. Il periodo di latenza sembra possa durare fino a 4 anni (Katzung, 2006); (Covelli et al., 1991); (Rang et al., 2008).

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DIAGNOSI

Una diagnosi di sospetto di aver contratto la malattia può essere avanzata in base alla sintomatologia clinica, soprattutto nei soggetti provenienti da regioni malariche; la diagnosi di certezza si basa sull’identificazione microscopica del parassita negli strisci di sangue o nei preparati a goccia spessa, metodica che permette di esaminare una quantità di sangue maggiore rispetto allo striscio sottile determinando così un aumento di sensibilità utile in caso di parassitemia bassa. L’esame microscopico va ripetuto ogni 4-6 ore per più giorni;

nel caso negativo la presenza di pigmento nei grossi mononucleati e nei granulociti neutrofili è fortemente sospetta e impone il proseguimento delle ricerche per evidenziare i parassiti negli eitrociti. La presenza di anticorpi specifici, che sono presenti 30-40 giorni dopo l’inoculazione, possono essere evidenziati con vari metodi immunologici quali immunofluorescenza indiretta, emoagglutinazione indiretta, ELISA (Covelli et al., 1991).

RESISTENZA DELL’OSPITE AL PLASMODIUM Esistono due meccanismi generici di resistenza al Plasmodium:

Il primo meccanismo è rappresentato dalle alterazioni ereditarie dei globuli rossi che rendono i soggetti resistenti al Plasmodium. Diverse mutazioni comuni nei geni dell’emoglobina conferiscono resistenza al Plasmodium riducendo la crescita o la proliferazione del parassita. La compatibilità ospite-parassita non dipende da fattori presenti nel siero, ma è correlata con la presenza di recettori superficiali per il parassita specifico sugli eritrociti, infatti, alcuni soggetti risultano resistenti alla malaria grazie alla mancanza di proteine a cui il parassita si lega. Il P.

vivax, ad esempio, penetra nei globuli rossi legandosi alle proteine del gruppo Duffy. Molti africani, tra cui la maggior parte della popolazione del Gambia, non sono sensibili all’infezione da P. vivax poiché non presentano le proteine del gruppo Duffy.

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Il secondo meccanismo è dovuto a ripetute o prolungate esposizioni al Plasmodium dei soggetti che vivono in aree endemiche i quali sviluppano spesso una resistenza mediata dal sistema immunitario nei confronti della malaria. La risposta immunitaria acquisita sembra diretta principalmente contro la fase asessuata ematica del plasmodio e si manifesta con la soppressione dei sintomi, con la riduzione della durata e dell’intensità della parassitemia o anche con la scomparsa del parassita. Tale risposta immunitaria è legata principalmente agli anticorpi circolanti; nelle infezioni croniche fino ad un terzo delle immunoglobuline è rappresentato dall’anticorpo antiplasmoidale. La reazione anticorpale nella malaria mostra un grado elevato di specificità di specie e di stadio. Infatti tutti e tre gli stadi extracellulari del ciclo del plasmodio sono potenziali bersagli dell’attacco anticorpale. In aggiunta gli eritociti parassitati presentano sulla membrana antigeni plasmoida.

Risulta pertanto sorprendente che nell’uomo l’infezione possa durare molto a lungo. Appare allora evidente che la cronicità dell’infezione è correlata ad un equilibrio complesso e sottile tra la reattività immune dell’ospite, potenzialmente letale per il plasmodio, e meccanismi di evasione immunitaria da parte del parassita quali la localizzazione intracellulare, la variabilità antigenica e le interferenze sulla risposta immunitaria tra cui: l’immunosoppressione, l’attivazione di linfociti policlonali, la stimolazione di anticorpi linfocitotossici. L’immunità cellulomediata è dovuta alla partecipazione dei linfociti T (Robbins et al., 2005).

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STORIA DEI FARMACI ANTIMALARICI

Il primo rimedio efficace contro le febbri malariche è stato l’utilizzo della corteccia dell’albero del genere Cinchona appartenente alla famiglia delle Rubiacee. Questo albero è comune in certe zone dell’America meridionale, la prima menzione dell’esistenza dell’”albero della febbre” risale ad un libro religioso scritto nel 1633 da un frate Agostiniano residente a Lima. Una popolare credenza dice che la corteccia di Cinchona polverizzata fu usata nel 1638 per guarire dalle febbri malariche la contessa Cinchon, moglie del vicerè del Perù. Il nome del genere Cinchona fu coniato da Linneo con chiaro riferimento alla contessa.

I padri Gesuiti furono i principali importatori di corteccia di Cinchona in Europa e per molti anni fu distribuita come rimedio segreto; solo nel 1677 fu inclusa nella “London Pharmacopoeia” con il nome di Cortex Peruanus.

La corteccia della Cinchona contiene più di 20 alcaloidi i principali dei quali sono le due coppie di isomeri ottici chinina e cinconina. La chinina popolarmente nota come “chinino” e la cinconina furono isolate nel 1820 da Pelletier e Caventou, chimici francesi. Per almeno due secoli la polvere di Cinchona prima e la chinina poi sono stati gli unici rimedi disponibili per combattere la malaria. Dopo la scoperta dell’attività plasmodicida del blu di metilene fatta da Elrich nel 1891, molti ricercatori posero la loro attenzione sui composti di sintesi. Il grande impulso alla ricerca lo diede, nella seconda guerra mondiale, la necessità di proteggere le truppe americane impegnate nel Pacifico. Nel dopoguerra furono scoperte la clorochina, l’amodiachina, la primetamina e il proguanile.

Un fenomeno che è venuto ad evidenziarsi in concomitanza all’impiego degli antimalarici è quello della resistenza che i ceppi di Plasmodium sono in grado di acquisire nel tempo.

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Fenomeni di resistenza alla chinina sono comparsi già agli inizi di questo secolo in Brasile, Vietnam, Cambogia e Malaysia. La resistenza alla clorochina è iniziata attorno al 1960 in Sud America e nel Sud Est asiatico, è comparsa nel 1970 nel continente africano e si va estendendo a macchia d’olio; la resistenza alla primetamina, ai sulfamidici ed alle associazioni tra questi due tipi di farmaci è invece di recente acquisizione e sta interessando progressivamente l’Amazonia, il Sud Est asiatico e il Sud Africa (Kaufman e Ruveda, 2005); (Kyle e Shampe, 1974); (Galante et al., 1992).

FARMACI ANTIMALARICI

Nelle infezioni da P. falciparum e P. malariae si verifica un solo ciclo di invasione e moltiplicazione negli epatociti, e l’infezione epatica cessa spontaneamente in 4 settimane.

Per cui una terapia che elimini i parassiti eritrocitari sarà in grado di curare queste infezioni.

Nelle infezioni da P. vivax e P. ovale si sviluppa uno stadio quiescente epatico, detto degli ipnozoiti, che non è eradicato dalla maggior parte dei farmaci, per questo possono manifestarsi recidive dopo una terapia diretta contro i parassiti eritrocitari. Per curare queste infezioni si richiede una terapia che eradichi i parassiti sia dai globuli rossi che dal fegato.

I farmaci antimalarici si classificano in base all’azione contro i diversi stadi del ciclo vitale del parassita, in:

Schizonticidi tissutali: eliminano le forme in sviluppo (eritrocitarie) o quiescenti nel fegato portando così ad una cura radicale. A questa classe appartengono le 8-aminochinoline:

primachina e tafenochina.

Schizonticidi ematici: agiscono sui parassiti eritrocitari permettendo una cura soppressiva:

curano la febbre provocata dalla malaria e determinano la guarigione clinica. Di questo gruppo fanno parte i derivati chinolina-metanolici come chinino e meflochina, varie 4-aminochinoline come la clorochina,il fenantrene alofantrina, farmaci che interagiscono con la sintesi del folato come i sulfoni, o farmaci che interferiscono con l’azione del folato tra cui primetamina e proguanile. Anche i composti derivati dalla pianta di Artemisia annua, come l’artemisina, l’arteflene e l’artesunato, sono risultati efficaci.

Gametociti: uccidono gli stadi sessuati e prevengono la trasmissione alle zanzare.

Profilattici eziologici: prevengono l’infezione eritocitaria.

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Clorochina

Farmaco d’elezione sia nel trattamento che nella profilassi della malaria.

Azione antimalarica: é uno schizonticida ematico molto efficace nel trattamento delle infezioni da P. falciparum sensibile. Moderatamente efficace nel curare attacchi di malaria da P. vivax, P.

malariae e P. ovale. Elimina rapidamente la febbre (in 24-48 ore) e la parassiremia (in 48-72 ore) in caso di parassiti sensibili. Non elimina le forme quiescenti epatiche di P.vivax e P. ovale e per questo motivo si deve associare primachina per la cura radicale di queste specie.

Meccanismo d’azione: è una 4-aminochinilina sintetica che si accumula nei vacuoli alimentari dei plasmodi ed inibisce l’eme-polimerasi, enzima che polimerizza l’eme in emozoina. Il parassita malarico ha una capacità limitata di sintetizzare amminoacidi e li deve perciò trovare preformati nell’ambiente intraeritrocitario, ma, la

concentrazione di amminoacidi liberi all’interno dell’eritrocita non è sufficiente a garantire la crescita e la differenziazione del parassita, che per tanto ricorre alla degradazione dell’emoglobina per procurarsi gli amminoacidi necessari. Quindi l’interferenza con il catabolismo dell’emoglobina da parte dell’antimalarico determina effetti selettivamente tossici per il parassita.

Resistenza: il P. falciparum è attualmente resistente alla clorochina nella maggior parte del mondo. La resistenza sembra essere dovuta a mutazioni nei geni trasportatori del P. falciparum per cui si ha un ridotto accumulo intravacuolare del farmaco.

Effetti tossici: a basse dosi, causa irritazione gastrointestinale, eritemi cutanei e cefalea. A dosi elevate può causare gravi lesioni cutanee, neuropatie periferiche, depressione miocardia, danno retinico, compromissione uditiva e psicosi tossica. È considerato un farmaco sicuro durante la gravidanza.

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Chinina e chinidina (stereoisomero destrogiro della chinina)

La chinina rimane la terapia di prima scelta nella malaria da P. falciparum.

Azione antimalarica: è uno schizonticida ematico efficace contro le forme eritrocitiche di tutte le specie di Plasmodium. È gametocida verso P. vivax e P.ovale ma non ha effetti sulle forme esoeritrocitiche o sui gameti di P. falciparum (non è attiva contro lo stadio epatico del Plasmodium, quindi non eradica le infezioni da P. vivax e P. ovale). Con l’emergenza e la diffusione della resistenza alla clorochina, la

chinina è attualmente l’agente chemioterapico più importante per il P. falciparum.

Meccanismo d’azione: è una crinolina- metanolica, il suo meccanismo d’azione, come quello della clorochina, è associato all’inibizione dell’eme polimerasi parassitaria, ma, dato che il chinino non è così fortemente

concentrato nel plasmodio come la clorochina, ci potrebbero essere degli altri meccanismi. La chinina, infatti, si lega al DNA a duplice filamento impedendo la separazione dei filamenti con conseguente blocco della replicazione del DNA e della trascrizione dell’RNA.

Resistenza: si sta sviluppando una certa resistenza alla chinina, che, come per la clorochina è conseguente a mutazioni nei geni dei trasportatori del Plasmodium.

Effetti tossici: comunemente provoca cinconismo, i cui sintomi comprendono disturbi gastrointestinali, cefalea, vertigini, annebbiamento della vista, tinnito. Un grave sovradosaggio provoca disturbi della conduzione cardiaca, ipotensione, disturbi al sistema nervoso centrale come deliro e coma. Si possono avere effetti ematotossici, tra cui emolisi nei pazienti con carenza di glucosio-6-fosfato deidrogenasi. La chinina può stimolare il rilascio di insulina provocando ipoglicemia. Una rara complicanza del trattamento con chinina è la “febbre dell’acqua nera”; caratterizzata da marcata emolisi ed emoglobinuria (anemia emolitica associata ad insufficienza renale). La chinina è controindicata in gravidanza in quanto può stimolare le contrazioni uterine specialmente nel terzo trimestre.

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Meflochina

La meflochina è il farmaco chemioprofilattico raccomandato nella maggior parte delle regioni di endemia malarica con ceppi clorochina-resistenti, sebbene la sua tossicità sia un problema.

Azione antimalarica: è uno schizonticida ematico attivo contro P. falciparum e P.vivax;

tuttavia, non ha non ha effetti sulle forme epatiche dei parassiti e sui gametociti. Il farmaco non è adatto al trattamento di pazienti con malaria in forma

grave, poiché chinina e chinidina sono attive più rapidamente e con queste è meno probabile la resistenza. La meflochina è efficace nella profilassi contro la maggior parte dei ceppi di P. falciparum; è raccomandata per la chemioprofilassi in tutte la zone malariche, eccetto quelle in cui è assente la resistenza alla clorochina (nelle quali appunto si preferisce l’uso della clorochina) e in alcune aree

del Sud Est asiatico, con un’alta prevalenza di resistenza alla meflochina. Come per la clorochina, l’eradicazione di P.vivax e P.ovale richiede un ciclo di primachina.

Meccanismo d’azione: è un derivato 4-chinolinico di sintesi, l’azione antiparassitaria si associa all’inibizione dell’eme polimerasi; tuttavia non raggiungendo all’interno del parassita concentrazioni simili a quelle della clorochina, si ritiene che possano essere coinvolti altri meccanismi.

Resistenza: in alcune zone, in particolare nel Sud Est asiatico, si è sviluppata resistenza del P.

falciparum dovuta,come per la chinina, ad una aumentata espressione dei trasportatori plasmodiali che pompano i farmaci fuori dal parassita.

Effetti tossici: comuni effetti sfavorevoli sono disturbi gastrointestinali, eritemi cutanei, cefalea e vertigini. Ad alte dosi ha provocato alterazioni della conduzione cardiaca, disturbi psichiatrici, sintomi neurologici e convulsioni.

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Primachina

La primachina è il farmaco d’elezione per l’eradicazione delle forme quiescenti epatiche di P.vivax e P. ovale.

Azione antimalarica: è attiva contro lo stadio epatico di tutti i parassiti che causano malaria nell’uomo. È il solo farmaco disponibile attivo contro lo stadio quiescente, di ipnozoiti, di P.vivax e P.ovale, permettendo così una cura radicale di quelle forme di malaria in cui i parassiti hanno uno stato dormiente nel fegato. È gametocida per le quattro specie di plasmodi che provocano la malaria nell’uomo, ed è perciò il farmaco antimalarico migliore per prevenire la trasmissione della malattia. Non colpisce gli sporozoiti ed ha bassissima attività contro lo stadio eritrocitico del parassita. Sebbene da sola non sia attiva negli attacchi acuti di malaria da P.vivax e P.ovale, è frequente la prescrizione di un ciclo di 14 giorni di primachina, dopo il trattamento con clorochina.

Meccanismo d’azione: è una 8-aminochinolina sintetica. È uno schizonticida tissutale ed inoltre limita la trasmissione della malaria agendo come gametocita. Forma metaboliti chinolina- chinone, che sono composti redox trasferenti elettroni che agiscono come ossidanti cellulari.

Resistenza: la resistenza alla primachina è rara, sebbene sia stato riportato un decremento di sensibilità al farmaco da alcuni ceppi di P.vivax.

Effetti tossici: solitamente ben tollerata, può provocare disturbi gastrointestinali, prurito, cefalea e metaemoglobinemia con cianosi.

Può causare emolisi negli individui con carenza della glucosio-6-fosfato

deidrogenasi. In questa condizione i globuli rossi non sono in grado di rigenerare NADPH, la cui concentrazione viene ridotta dai metaboliti ossidanti derivanti dalla primachina. Di conseguenza, le funzioni metaboliche dei globuli rossi sono inibite e si verifica emolisi. La primachina è controindicata in gravidanza.

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Farmaci antifolato

I farmaci antifolici si classificano in due tipi di composti in base al loro meccanismo d’azione:

1. Farmaci inibitori della sintesi del folato: sulfamidici e sulfoni.

2. Farmaci che prevengono l’utilizzo del folato: primetamina e proguanile.

Azione antimalarica: gli antifolici sono schizonticidi ematici che agiscono prevalentemente contro P. falciparum. Sulfamidici e sulfoni sono debolmente attivi contro gli schizonti eritrocitari, ma non contro gli stadi epatici o i gametociti; non sono utilizzati da soli come antimalarici ma sono efficaci in associazione con altri farmaci. La primetamina e il proguanil agiscono lentamente contro le forme eritrocitarie di tutte la 4 specie di plasmodi che causano la malaria nell’uomo ma nessuno dei due è gametocida o efficace contro lo stadio di persistenza epatica di P. vivax e P. ovale. Non sono utilizzati da soli come antimalarici ma sono efficaci in associazione con altri farmaci. La combinazione di farmaci del tipo 1 e farmaci del tipo 2 produce un blocco sequenziale della stessa via metabolica agendo su punti diversi, si ha dunque un’azione sinergica. Tra queste ricordiamo Fansidar: associazione primetamina-sulfadossina (la sulfadossina è il sulfamidico più usato nel trattamento della malaria) è stata ampiamente impiegata nel trattamento della malaria clorochina-resistente anche se la resistenza a questa combinazione si è ormai sviluppata in molte zone.

Meccanismo d’azione: essenziale per la sopravvivenza e lo sviluppo del parassita malarico è la sua estrema capacità di sintetizzare in maniera altamente efficiente basi pirimidiniche, dal momento che non è in grado di utilizzare quelle preformate dell’ospite. Gli antimetaboliti interferiscono con il ciclo dell’acido folico e quindi con il trasporto dell’unità monocarboniosa, processo fondamentale per produrre basi nucleiche. Sulfamidici e sulfoni bloccano la sintesi dell’acido folico perché competono con l’acido p-aminobenzoico per il legame con l’enzima diidropteroato sintetasi. Il sulfamidico più usato nel trattamento della malaria è la sulfadossina e l’unico sulfone utilizzato è il dapsone. Primetamina e proguanile prevengono l’utilizzo del folato inibendo la conversione del deidrofolato a tetraidrofolato operata dalla idrofolato- riduttasi (enzima essenziale nella via biosintetica dei folati); inibiscono selettivamente la idrofolator-riduttasi dei plasmodi, hanno maggiore affinità per l’enzima dei plasmodi che per

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proguanil è un derivato delle biguanidi, è un profarmaco che in vivo subisce una ciclizzazione ossidativa con formazione del metabolita attivo: cicloguanil.

PROGUANIL

Resistenza: in molte aree sono comuni ceppi di P. falciparum resistenti agli antagonisti dei folati. La resistenza si deve principalmente a mutazioni della idrofolato-riduttasi o della diidropteroato-sintetasi.

Effetti tossici: gli effetti tossici dei sulfonamidici comprendono eritemi cutanei, disturbi gastrointestinali, emolisi, danno renale ed interazioni farmacologiche causate dalla competizione per i siti di legame delle proteine plasmatiche. La primetamina ad alte dosi può provocare carenza di acido folico.

Artemisinina

L’artemisinina è un componente attivo isolato dalla pianta di Artemisia annua L. ed utilizzato da più di 2000 anni nella medicina popolare cinese come antipiretico. Essendo l’artemisinina un composto poco solubile e con scarsa biodisponibilità, sono statisintetizzati degli analoghi per migliorare la solubilità e l’efficacia antimalarica: artesunato e artemetre.

Azione antimalarica: l’artemisinina e i suoi analoghi sono schizonticidi ematici efficaci molto rapidamente contro tutti i tipi di malaria dell’uomo, inclusa la malaria clorochina- resistente e quella cerebrale. L’artemisinina non ha effetto sullo stadio epatico. Sono gli unici farmaci affidabilmente efficaci contro i ceppi resistenti alla chinina. L’incidenza di recidive è alta e per questo è preferibile utilizzare questi farmaci in associazione con un altro farmaco. Non sono utili per la chemioprofilassi.

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Meccanismo d’azione: è un lattone sesquiterpenico che contiene un gruppo perossidico. L’artemisinina e i suoi derivati sono rapidamente trasformati nel metabolita attivo:

diidroartemisinina che si concentra nei globuli rossi infetti dove dà luogo alla produzione di radicali liberi dovuta alla rottura, catalizzata dal ferro, del ponte endoperossido nel vacuolo alimentare del parassita, in tale maniera l’ambiente diviene poco adatto alla vita del Plasmodium.

Resistenza: ceppi di P falciparum resistenti all’artemisinina non sono ancora stati identificati.

Effetti tossici: le artemisinine sembrano essere meglio tollerate degli altri antimalarici. Gli effetti indesiderati più comuni sono la nausea, il vomito e la diarrea. Dovrebbero essere evitate in gravidanza perché negli animali si sono riscontrati effetti teratogeni (Katzung, 2006); (Rang et al., 2008); (Trevor et al., 2007).

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CURA E PREVENZIONE

Un rinnovato impegno per il controllo della malaria in tutto il mondo si basa sulla combinazione di strumenti e metodi efficaci atti alla cura e alla prevenzione. L’avvento delle zanzariere impregnate con insetticidi a lunga durata (LLINs: Long-Lasting Insecticidal Nets), le terapie combinate a base di Artemisinina (ACT: Artemisinin-based Combination Therapy) e il supporto degli insetticidi ad azione residua (IRS: Indoor Residual Spraying) presentano una nuova opportunità per il controllo della malaria.

Secondo il World Malaria Report 2008, gli obiettivi di una politica di trattamento contro la malaria sono i seguenti:

• Assicurare la rapida guarigione dall’infezione

• Ridurre la morbilità e la mortalità

• Ridurre l’impatto dell’infezione del feto durante la gravidanza

• Prevenire l’insorgenza e la diffusione della farmaco-resistenza

• Prevenire la malaria nei viaggiatori.

Al fine di ottenere ciò si rende necessario attuare strategie di prevenzione e di trattamento.

Nella prevenzione attraverso il controllo del vettore la WHO prevede due principali approcci che comprendono l’impiego di zanzariere trattate con insetticidi (ITNs: Insecticide Treated Nets) e degli insetticidi ad azione residua spruzzati all’interno delle abitazioni (IRS). Chiaramente tali interventi di base dovrebbero essere accompagnati dal controllo delle larve e dalla gestione ambientale.

La WHO raccomanda il trattamento di tutte le infezioni non complicate dovute a P.

falciparum con la terapia combinata a base di Artemisinina (ACT), di cui al momento ne sono disponibili 4 diverse combinazioni: 1-arthemether /lumefantrine, 2- artesunate/amodiachina, 3- artesunate/meflochina, 4-artesunate/sulfadoxina/primetamina.

I pazienti affetti da P. vivax devono essere trattati con clorochina e primachina. I pazienti affetti da malaria grave devono essere trattati con chinino o con derivati dell’artemisinina e trasferiti in un impianto sanitario dove è possibile fornire, se necessario, il trattamento parenterale. Nelle aree ad alto rischio di trasmissione deve essere somministrato un trattamento preventivo intermittente (IPT) con sulfadoxina-primetamina (SP) alle donne in gravidanza (World Malaria Report, 2008).

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Farmaci di profilassi

Molti farmaci, la maggior parte dei quali sono anche utilizzati per il trattamento della malaria, possono essere presi preventivamente, giornalmente o settimanalmente, per raggiungere dosi più basse di quelle usate nel trattamento di una persona che ha effettivamente contratto la malattia.

L’uso di farmaci profilattici è ristretto ai viaggiatori e ai visitatori a breve termine delle aree endemiche visti i loro costi elevati e gli effetti tossici dell’impiego a lungo termine.

I farmaci moderni utilizzati nella prevenzione sono: meflochina (LARIAM®), doxiciclina (disponibile genericamente) e la combinazione atovaquone (idrossinaftochinone, inibitore della catena di trasporto mitocondriale degli elettroni nel parassita) + proguanil (MALARONE®).

La scelta del farmaco da utilizzare dipende dal tipo di resistenza che i parassiti della zona hanno sviluppato.

Vaccinazione

I vaccini per la malaria sono ancora in fase di sviluppo. I primi studi promettenti che hanno dimostrato le potenzialità di un vaccino contro la malaria sono stati eseguiti nel 1967 attraverso l’immunizzazione di topi con sporozoiti vivi attenuati da radiazioni; tale vaccino ha protetto circa il 60% dei topi sottoposti alle successive iniezioni con sporozoiti vitali (Nussenzweig et al., 1967). Dal 1970 sono stati compiuti notevoli sforzi per sviluppare strategie di vaccinazione simili sull’uomo tuttavia non esistono vaccini efficaci introdotti nella pratica clinica Molti lavori sono stati eseguiti per cercare di capire i processi immunologici che possono garantire la protezione dopo immunizzazione con sporozoiti irradiati ed è stato riscontrato che gli sporozoiti iniettati vengono riconosciuti dal sistema immunitario il quale provvede alla creazione di anticorpi contro il parassita, tali anticorpi sembrano essere specifici per la proteina circumsporozoite (CSP) che riveste lo sporozoita (Zavala et al., 1983). In virtù di questo la CSP sembra essere ancora oggi la proteina più promettente su cui sviluppare un vaccino contro la malaria.

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