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3.1. LE IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI. DEFINIZIONE.

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CAPITOLO TRE. IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI: DEFINIZIONE E VALUTAZIONE.

3.1. LE IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI. DEFINIZIONE.

Le immobilizzazioni immateriali insieme alle immobilizzazioni materiali (e alle immobilizzazioni finanziarie) formano la macroclasse delle immobilizzazioni.

Essa costituisce, senza alcun dubbio, una delle parti di maggior rilievo della struttura aziendale e dell'attivo patrimoniale, soprattutto, per le imprese industriali e per tutte le imprese fortemente patrimonializzate.

Le immobilizzazioni come ricorda il legislatore civile nell’art 2424-bis c.c.

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comma 1, sono “elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente nell’impresa”.

In altre parole, esse rappresentano condizioni di produzione durevolmente funzionali allo svolgimento della combinazione economica (in ragione delle scelte del soggetto economico e della destinazione data da esso), che non possono essere distolte dal normale uso o non possono essere alienate, senza pregiudicare l’ordinario svolgimento dell’attività aziendale.

Nella definizione del legislatore si evince il riferimento al fatto che sono beni

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d’uso durevole , cioè beni dotati del carattere della “pluriennalità” con l’attitudine a partecipare alle future produzioni economiche dell’azienda, impiegati come “strumenti” nel processo di trasformazione economico-tecnico (quindi destinati né alla vendita nè alla trasformazione).

La distinzione tra elementi compendiati come costi d’esercizio e elementi iscritti in Stato Patrimoniale, tra le immobilizzazioni, si fonda sul rapporto che la

202

Art.2424bis sulle Disposizioni relative alle singole voci dello Stato Patrimoniale.

203

Termine beni usato in senso lato.

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risorsa ha con l’evolvere della gestione, e non dipende dalle sue caratteristiche intrinseche. E’ la destinazione (impressa dall’imprenditore) del bene/risorsa all’utilizzazione durevole nel processo produttivo dell’impresa, e non la sua natura o struttura, a farlo qualificare come immobilizzazione.

204

Ne consegue che, in funzione della predetta destinazione, è possibile che il medesimo bene operi in un esercizio come immobilizzazione ed in un altro come elemento del capitale disponibile (cioè come disponibilità). Ed il legislatore in virtù della diversa destinazione impone la diversa collocazione in bilancio delle immobilizzazioni rispetto alle disponibilità.

La nozione di immobilizzazione, è un concetto, oltre che economico, finanziario; sotto tale profilo, il termine si riferisce all’impiego di mezzi pecuniari destinati a rimanere immobilizzati per lungo tempo, poiché utilizzati per acquisire fattori a lento rigiro, che ritornano in forma liquida in tempi lunghi e in modo indiretto tramite i ricavi ottenuti dai processi produttivi che tali fattori alimentano

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; le immobilizzazioni sono quindi, sotto tale ottica, considerati come investimenti con tempi prolungati di monetizzazione.

Le immobilizzazioni materiali e immateriali rappresentano due classi diverse di ff. pluriennali, esse non si differenziano solo per la diversa condizione fisica (materiale/immateriale), ma presentano molteplici caratteristiche peculiari, che le rendono due tipologie di risorse durevoli differenti sotto molti aspetti, e tale difformità si riflette anche nel trattamento contabile e nelle metodologie di rilevazione e valutazione.

204

Per un approfondimento del problema relativo alla classificazione dei beni secondo la destinazione economica, piuttosto che secondo i criteri finanziari e delle relative caratteristiche, si richiamano i seguenti scritti: P. Onida, Il Bilancio di Esercizio nelle imprese, Giuffrè, Milano, 1974. G. Ferrero, F. Dezzani, Manuale delle analisi di bilancio, Milano, Giuffrè, 1979.

205

Vedi SUPERTI FURGA F., Reddito e capitale nel bilancio d’esercizio, Giuffrè, Milano,

1987.

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Mentre la nozione di immobilizzazione materiale è maggiormente chiara ed immediata, per quanto riguarda le immobilizzazioni immateriali vi è una certa resistenza nel riuscire a definirle e nell’individuare le caratteristiche che presentano.

Proprio grazie alla dicotomia che esiste tra le due categorie di immobilizzazioni è possibile individuare alcune delle caratteristiche peculiari delle immobilizzazioni immateriali, valutando appunto gli aspetti di differenziazione rispetto alle materiali.

Attraverso lo studio degli elementi di contrasto si giunge ad una prima definizione degli elementi distintivi degli intangible assets come: la molteplicità d’uso, l’ambiguità causale, l’instabilità di valore e la specificità aziendale.

206

206

Sull’argomento POZZA L., Le risorse immateriali, 1999, pag.107 e ss.

La molteplicità d’uso delle risorse immateriali si evince ad esempio nella capacità che può avere un marchio (come Bulgari o Fiat) di prestarsi a molteplici settori e combinazioni produttive, (profumi, abbigliamento, giocattoli) in perfetta contrapposizione alla rigidità che invece può avere un’immobilizzazione immateriale come un impianto, che spesso è dedicato ad una sola produzione o funzione.

Per quanto riguarda l’ambiguità causale (espressione coniata da DIERICK I., KOOL K. In Asset stock accumulation and sustainability of competitive advantage) intendiamo la difficoltà d’identificare le relazioni causa-effetto legati ad una risorsa immateriale, in effetti è difficile identificare bene, ad esempio, le “cause” che partecipano alla formazione e allo sviluppo dell’avviamento, mentre è maggiormente agevole comprendere le relazioni causa-effetto delle immobilizzazioni materiali(queste sono risultato solitamente di specifici investimenti).

Sebbene, sia le immobilizzazioni immateriali che le immobilizzazioni materiali, presentino una certa instabilità del valore, nelle prime è più accentuata, infatti a differenza delle secondo non sono soggette all’obsolescenza fisica, che si manifesta in modo graduale, ma all’obsolescenza economica, dovuta a cambiamenti esogeni ( come il superamento di una tecnologia)o endogeni (come scelta di un differente posizionamento sul mercato), che spesso si manifestano in modo repentino ; ovviamente anche le risorse materiali sono oggetto di obsolescenza economica, ma la loro tangibilità rende meno brusche le variazioni di valore (poiché è possibile ad esempio convertire un ff.pp. materiale per un’altra produzione, oppure alienare intero o scomposto).

Altra peculiarità è l’accentuata specificità aziendale degli intangibili, è difficile pensare ad un

loro profittevole impiego fuori dall’azienda, in cui si sono sviluppati; essi sono intrinsecamente

legati ad essa, esemplare è la limitata trasferibilità dei costi pluriennali e dell’avviamento, che è

possibili solo se subordinata al trasferimento dell’intera azienda o di un ramo di essa (questo

aspetto influenza anche l’instabilità del valore); a differenza le immobilizzazioni materiali sono

maggiormente autonome e svincolate dal contesto aziendale, grazie alla loro capacità di essere

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Le dottrine aziendale, contabile e giuridica hanno negli ultimi anni cercato di giungere ad una nozione esauriente della classe delle immobilizzazioni immateriali, scontrandosi con la difficoltà di riunire in unica definizione tutte le eterogenee fattispecie che in essa si raggruppano.

Il legislatore italiano definisce le immobilizzazioni in senso lato, come macrocategoria, ma ha preferito non dedicare alcun articolo alla nozione di immobilizzazioni immateriali.

L’approccio civilistico di bilancio si caratterizza, quindi, per l’assenza di una volontà definitoria delle immobilizzazioni immateriali; il legislatore pur avendone la facoltà, ha scelto di non fornire né una definizioni, né un commento sulla classe di elementi patrimoniali ed evita di operare una classificazione che possa scomporre l’eterogenea categoria in sottoinsiemi con un maggior carattere di omogeneità.

La normativa sul bilancio del codice civile italiano, è fortemente ispirata alla IV Direttiva Cee, la quale di fronte ad un trattamento contabile delle risorse immateriali a livello europeo molto differenziato, ha preferito non disciplinare direttamente la materia, ma lasciare che ogni paese la trattasse liberamente a livello nazionale.

Il legislatore comunitario ha rinviato la disciplina e la definizione delle immobilizzazioni immateriali alle norme di attuazione nazionale, limitandosi a stillare un’elencazione ampia che non trascurasse alcuno dei componenti riconosciuti dalle diverse legislazioni degli stati membri.

trasferibili ed utilizzabili anche nei loro componenti elementari, e grazie all’esistenza di mercati

attivi, in cui possono essere reinseriti (es. capannone).

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Il legislatore italiano del ’91

207

, anch’esso, seguendo l’impianto europeo, tralascia di definire le immobilizzazioni immateriali e si limita nell’art.2424, del Contenuto dello Stato Patrimoniale, ad indicare un elenco, sebbene non esaustivo, di tutti gli elementi immateriali che possono essere iscritti nello stato Patrimoniale, senza dare alcuna definizione delle voci che compongono la classe B I dell’attivo.

208

Con una presa di posizione differente la dottrina contabile, ha cercato di supplire alla sopra richiamata lacuna definitoria e nel documento n.24 dei principi contabili deli’OIC

209

fornisce una definizione delle immobilizzazioni immateriali, qualificandole come quei beni-risorse “caratterizzati dalla mancanza di tangibilità ( quindi immateriali), che sono rappresentati da costi che non esauriscono la loro utilità per l’impresa in un solo esercizio, ma partecipano

207

L’attuazione della IV direttiva Cee è stata introdotta con il D. Lgs. 127 del 9 aprile 1991, il quale nonostante ha lasciato lacune nella definizione della categoria delle immobilizzazioni immateriali, ha apportato un forte carattere riformatore introducendo tra le altre novità gli schemi dello Stato Patrimoniale e del Conto Economico, infatti nella normativa precedente non era disposto alcuno schema definito di situazione patrimoniale, con le voci che lo componevano, ma vi era la sola indicazione del contenuto minimo che il prospetto dello Stato Patrimoniale doveva avere con delle generiche disposizioni.

208

Lo schema dello Stato Patrimoniale descritto nell’art 2424 c.c. prevede per le immobilizzazioni immateriali la seguente articolazione:

B. Immobilizzazioni….

I – Immobilizzazioni immateriali:

1) costi d’impianto e di ampliamento;

2) costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità;

3) diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno;

4) concessioni, licenze, marchi e diritti simili;

5) avviamento;

6) immobilizzazioni in corso e acconti;

7) altre.

209

Ricordiamo che il documento n.24 fu emanato nel marzo 1999, a cura del Consiglio dei

Dottori Commercialisti e del Consiglio dei ragionieri, e in seguito aggiornato dall’Organismo

Nazionale di Contabilità.

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al processo produttivo e apportano benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi.

Infatti, le immobilizzazioni immateriali sono valori relativi ad elementi intangibili, comuni a più esercizi, rilevati nell’esercizio in cui sorgono come costi anticipati, che possono essere sospesi e allocati (se sono rispettate determinate condizioni), attraverso l’ammortamento, negli esercizi in cui si prevede continueranno ad apportare utilità e parteciperanno alla formazione del reddito.

210

Ed è proprio in funzione dei benefici economici futuri che la risorsa si collega con i componenti di reddito futuri.

3.2.1 IL VALORE ORIGINARIO

Il dettato normativo italiano prevede che l’iscrizione del valore originario di un elemento patrimoniale avvenga al costo storico.

L'adozione del costo storico come metodologia privilegiata per l’assegnazione del valore agli elementi patrimoniali e come cardine del sistema delle valutazioni di bilancio, è motivata dalla primaria esigenza di “certezza” e prudenza richiesta dal nostro sistema contabile.

210

Le immobilizzazioni rappresentano vincoli durevoli che la gestione passata pone alla

gestione futura. Nonostante l’effetto di rallentamento e la maggiore indeterminatezza del valore

del reddito (per le maggiori congetture), che si verificano nel caso di un’eccessivo peso delle

immobilizzazioni; molti autori sottolineano l’importanza dell’investimenti in immobilizzazioni

per il sicuro sviluppo dell’impresa. ZAPPA sostiene che “nelle aziende moderne le

immobilizzazioni vaste e durevoli sono di sovente lo strumento più efficace, applicato per

conseguire più alte e non effimere produttività” ZAPPA G.,L’economia delle aziende di

consumo, Giuffrè, Milano, 1962

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Infatti tale criterio basandosi nella valutazione di un attività sul costo sopportato, risultato di uno scambio su un mercato, permette nel processo di stima di un valore, di partire da dati dotati di una certa attendibilità.

Tale prudenza è ancor più motivata in riferimento alla valutazione delle attività patrimoniali intangibili.

Esso senza dubbio rappresenta il criterio più remoto, diffuso e utilizzato nelle valutazioni di bilancio anche a livello internazionale, sebbene in tale ambito negli ultimi anni la normativa contabile, in particolar modo i principi FASB, per primi e in seguito gli IAS, stanno cercando d’introdurre metodi di valutazione alternativi al costo in linea con una visione prospettica rivolta al futuro (forward looking), in contrapposizione all’esasperata e continua attenzione del costo storico al passato (backward looking).

Nonostante questi nuovi sviluppi e critiche è giusto riconoscere gli aspetti positivi di tale criterio, oltre la maggiore certezza nella stima, esso è un metodo poco “discrezionale”, di agevole applicazione rispetto ad altri criteri(come ad esempio il fair value o il valore in uso), inoltre sono pratici anche la verificabilità del processo estimativo e la controllabilità dei risultati.

Nonostante il valore che i beni hanno per l'impresa non sia intrinsecamente dato dal costo, bensì dalla capacità che essi hanno di contribuire alla produttività nell’azienda. Tuttavia, il costo storico può essere adoperato come misura, quanto meno iniziale, di tale produttività in considerazione del fatto che, al momento della decisione d’investimento, quando il bene viene acquisito nel complesso produttivo; si procede ad una valutazione riguardo alla convenienza (profittabilità) dell'impiego delle risorse disponibili avendo come parametro di riferimento giust'appunto il costo di acquisizione o di produzione dell’attività.

Infatti ragionando in una prospettiva di razionalità economica, il sostenimento di

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una spesa pari a 100 per l'acquisto di un bene si giustifica se, e soltanto se, si presume di poter realizzare, dall'utilizzo di quel bene, un ritorno, almeno pari alla spesa sostenuta.

La determinazione del costo storico avviene secondo le indicazioni contenute nell'art. 2426 cc. punto 1). Nel procedere a tale determinazione occorre distinguere secondo la modalità di acquisizione del cespite nel complesso aziendale.

Se l’immobilizzazione immateriale deriva da acquisizione da terze economie, si verifica la fattispecie relativamente più semplice, dove il valore iniziale di accoglimento nel sistema contabile è ottenuto aggiungendo al costo d’acquisto (desunto dalla fattura o dal contratto),gli oneri accessori. L'accessorietà va intesa nel senso di includere nel costo storico tutte quelle componenti di spesa direttamente connesse con l'acquisto del bene e l'inserimento dello stesso nell'organizzazione produttiva della società. Si pensi, per esempio, alle spese di trasporto o di installazione, alle spese notarili per la stipula dell'atto di cessione del bene, agli oneri fiscali direttamente connessi con il trasferimento del bene.

Al costo storico originariamente sostenuto e iscritto dovranno anche essere imputate, ad incremento del valore del cespite, quelle spese successivamente sostenute per migliorie, ammodernamento o ampliamento del bene stesso

211

. Nella realtà il procedimento non è così automatico e scevro da problemi valutativi, infatti possono presentarsi problemi nel computo del valore originario d’iscrizione; quando il prezzo non combacia con il costo iscrivibile in Stato Patrimoniale.

Oltre agli eventuali costi accessori da aggiungere per ottenere il valore d’iscrizione, in alcuni casi è necessario scorporare dal prezzo quote relative a costi che devono essere eliminati dal computo del valore dell’immobilizzazione.

211

Cfr. RUGGIERO,Il costo storico quale criterio di valutazione dei cespiti patrimoniali, 2006

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Come nel caso di costi di finanziamento contenuti in modo più o meno implicito nel prezzo pagato per un bene immateriale acquisito, se il pagamento avviene in modo dilazionato. E’ opinione concorde in dottrina, che gli oneri finanziari debbano essere attribuiti in via diretta al conto economico, e non devono essere compresi nel computo del valore del costo storico assoggettato ad ammortamento.

212

Nel caso, invece, di produzione interna il costo storico, a cui il bene deve essere iscritto in bilancio, è costituito dal costo complessivamente sostenuto per la relativa produzione, fino al momento in cui il bene può essere utilizzato.

Occorre, quindi, in tal caso individuare i fattori produttivi impiegati per la fabbricazione del bene, così da sommare i costi rispettivi che andranno a formare il costo di produzione.

Nel calcolo del costo di produzione devono essere compresi tutti i costi direttamente imputabili alla risorsa (costo primo), e anche altri costi non direttamente, ma “ragionevolmente” imputabili ad essa. Questi ultimi sono riconducibili ai quei costi comuni (come i costi energetici o le spese di manutenzione), che partecipano alla produzione della risorsa, ma come conseguenza della loro partecipazione a processi produttivi più ampi; essi non trovano un riscontro diretto e immediato su un particolare prodotto o fase di produzione.

La partecipazione di tali costi alla formazione del costo di produzione permette di avvicinarsi ad una configurazione di costo pieno, che meglio esprime il sacrifico sostenuto rispetto al costo primo; sebbene tale configurazione soffra di

212

La scorporazione degli oneri finanziari acquista difficoltà nel caso essi non siano

esplicitamente separati dal costo dell’immobilizzazione.Vedere per un approfondimento

sull’argomento FELLEGARA, op.cit., 1995, pag.94 ss. L’autrice tratta anche del problema di

definizione del valore originario d’iscrizione nel caso di acquisto su mercati esteri, mediante

valuta straniera.

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congetture, essendo ottenuta da scissioni di costi comuni a diverse attività della gestione.

Per completare la dissertazione sulle diverse modalità di acquisizione di una risorsa immateriale è giusto accennare anche alla possibilità di acquisizione tramite l’acquisto di un’entità più grande, che la comprende come un ramo o un complesso aziendale.

In entrambi i casi il prezzo d’acquisto sostenuto è rappresentativo, non di una determinata risorsa immateriale, ma di un molteplice gruppo di elementi aziendali. Quindi ai fini dell’iscrizione autonoma e della valutazione in bilancio delle risorse che lo compongono, è necessario suddividere tale valore, allocandolo in base al valore che gli elementi posseggono, in particolare in funzione della loro capacità di partecipare alla produzione aziendale e alla creazione di valore.

Quindi si aggiunge un livello di difficoltà maggiore, oltre alla normale aleatorietà propria della valutazione delle immobilizzazioni immateriali, si ha il problema della ripartizione di un valore comune; ciò presuppone che il valore attribuito alla singola risorsa sia risultato di stime e congetture, che implicano la formulazione di giudizi soggettivi e relativamente discrezionali.

La strada più sicura da percorrere per assegnare il valore alle diverse componenti del prezzo comune, sarebbe il riferimento ai prezzi di mercato, solitamente applicati per i determinati beni; ma tale soluzione è difficile da applicare, poiché molto spesso non esiste un mercato attivo per queste risorse.

Difficilmente applicabile è pure il riferimento ad un ipotetico costo di

riproduzione, infatti stiamo parlando di risorse per le quali è illogico parlare di

una possibile ricostruzione, date l’unicità e l’astrattezza proprie dei loro processi

di formazione.

(11)

Metodo valido in tali casi potrebbe essere la valutazione al valore d’uso,che calcola il valore di una risorsa attraverso una stima approssimativa dei benefici economici futuri ottenibili dallo sfruttamento di una determinata condizione produttiva

.213

Nel caso di un’acquisizione (che può avvenire tramite acquisto, fusione,..) di un intero complesso aziendale o ramo di esso, si ha un prezzo di riferimento riconducibile ad elementi sia patrimoniali sia materiali che immateriali.

La prima mossa in tale caso è finalizzata all’allocazione del costo certo della negoziazione ai singoli elementi materiali; la differenza tra costo d’acquisizione complessivo e valore dei beni materiali definisce il valore massimo assegnato ai beni immateriali; in un secondo momento si passa all’individuazione dei beni immateriali identificabili autonomamente e per i quali è possibile determinare in modo affidabile il fair value; e dei beni per i quali sia possibile desumere un valore identificativo alternativo.

Il residuo valore non allocato ad alcuno specifico bene materiale ed immateriale andrà a formare il valore dell’avviamento, espressione di tutte quelle indistinte condizioni produttive non identificabili, ma che in tal caso è iscrivibile alla voce A I)5. dell’Attivo.

214

Molto interessante è la rinnovata disciplina internazionale per quanto riguarda la contabilizzazione degli intangibili, che emergono dalle Business Combinations;

lo IASB ha emanato nel Marzo 2004 il nuovo IFRS 3 dedicato al trattamento

213

Il computo del valore d’uso consiste in un procedimento di non semplice realizzazione, infatti se può risultare incerta, ma fattibile, la dimostrazione dell’esistenza di flussi economici futuri relativi ad un elemento immateriale, ben più ardua è la loro quantificazione.

214

Il problema dell’allocazione del valore degli elementi immateriali all’interno di

un’acquisizione di un complesso aziendale è molto più ampio e complesso. In particolare

rimandiamo per approfondimenti a FELLEGARA, op.cit.1995, POZZA, op.cit.2004.

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contabile delle aggregazioni aziendali, e contemporaneamente a rinnovato lo IAS 36, dedicato all’Impairment Test, e lo IAS 38 dedicato Intangible Assets

215

3.3. AMMORTAMENTO.

Una volta iscritte in bilancio, gli elementi patrimoniali

216

devono essere sistematicamente ammortizzati in ogni esercizio, in relazione al contributo che essi offrono alla gestione del periodo e in relazione alla loro residua possibilità di utilizzazione. L’ammortamento consiste nella ripartizione e allocazione del costo dell’immobilizzazione nei vari esercizi ai quali essa offre un contributo.

Il codice civile parla di sistematicità del processo d’ammortamento, nel senso che deve essere compiuto sulla base di un piano predefinito d’imputazione delle quote di costo ai vari esercizi, secondo un determinato criterio di ripartizione.

217

Il piano e le quote d’ammortamento devono essere definite tenendo conto di tre elementi:

∙ il valore da ammortizzare, costituito dalla differenza tra il valore originario eventualmente al netto di svalutazione o aumentato in seguito a rivalutazioni; e il valore residuo al termine della vita utile, solitamente posto pari a zero.

∙ la vita utile (riferimento all’evoluzione futura della gestione), supposta sulle base delle prospettive temporali di utilizzo dell’elemento considerato. Solitamente la durata della vita utile dei beni immateriali in senso stretto è stabilita riferendosi, se determinato, al periodo che la legge

215

Per approfondimenti rinviamo POZZA, op.cit., 2004; STAIANO, op.cit., 2006.

216

Il dettato normativo si riferisce alle immobilizzazioni la cui utilizzazione è limitata nel tempo; tale precisazione crea problemi interpretativi e insinua il dubbio su una possibile distinzione tra risorse ad utilizzazione limitata per le quali è previsto l’ammortamento e risorse a utilizzazione indeterminata. Approfondiremo nel capitolo quattro tale aspetto.

217

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o il contratto stabiliscono come intervallo nel quale l’azienda può sfruttare in esclusiva la risorsa. Diversamente nel caso degli oneri pluriennali, mancando precisi riferimenti ed essendo tali elementi incerti, in applicazione del postulato della prudenza, il legislatore prevede una durata convenzionale massima di cinque anni.

218

Analoga disposizione, ma più attenuata, è prevista per l’ammortamento, per il quale è possibile stabilire durata della vita utile, e quindi periodi d’ammortamento superiori a cinque anni, ma a determinate condizioni. La nostra legislazione viste le presenti disposizioni lascia poco spazio all’esistenza di risorse a durata indeterminata, tranne forse il marchio.

∙ il criterio di ripartizione del valore, il documento 24 suggerisce l’utilizzo, per la determinare delle quote di ammortamento, del metodo a quote costanti in funzione dell’immediatezza e della semplicità di applicazione;

oppure del metodo delle quote decrescenti, apprezzato sia rispetto al postulato di prudenza, sia per la coerenza dal punto di vista economico, considerato che la maggior parte delle risorse tende a creare maggior valore proprio nei primi anni di utilizzo. Nonostante i consigli il documento non esclude l’uso di metodi alternativi, se più opportuni al caso specifico.

Il piano di ammortamento dovrebbe coprire e prolungarsi teoricamente per tutto il tempo della durata di utilizzazione della risorsa, ma nella realtà, soprattutto in considerazione delle disposizioni di legge previste per gli oneri pluriennali e per l’ammortamento, difficilmente accade.

Stabilito il piano d’ammortamento deve sempre esserne controllata l’adeguatezza nel tempo, cioè se si mantengono i tre riferimenti sopra citati: la

218

Cfr.Art.2426 cc., punto 5.

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previsione della vita utile, il valore residuo, le modalità previste di ottenimento dei benefici.

Se si verificassero dei cambiamenti è possibile modificare possibile il piano, correggendolo in funzione di un nuovo valore residuo, un nuovo criterio di ripartizione o una nuova previsione di vita utile. Infatti la “sistematicità”

richiamata in Nota Integrativa, non presuppone rigidità. In tali casi è, però, necessario motivare le modifiche apportate in Nota Integrativa.

Stabilite le quote d’ammortamento, queste trovano accoglimento nel Conto Economico degli esercizi in cui la risorsa partecipa; e come contropartita si aggiungono in Stato Patrimoniale al Fondo d’Ammortamento che rettifica il valore dell’immobilizzazione specifica.

L’ammortamento rappresenta una perdita di valore sistematica e fisiologica, giustificata dalla cessione dell’utilità del bene al processo produttivo; essa non deve essere confusa con le perdite di valore straordinarie e gravi, per le quali è prevista un’ulteriore svalutazione; e al verificarsi di quest’ultima l’ammortamento deve essere corretto al nuovo valore svalutato.

3.4.VALORE RECUPERABILE, SVALUTAZIONE E RIVALUTAZIONE.

Secondo quanto prescrivere il documento 24 dell’OIC, dal momento in cui un

elemento entra nell’Attivo di bilancio e poi, successivamente, in ogni momento

della vita utile, il valore d’iscrizioni al costo dell’immobilizzazione immateriale

non può eccedere il valore recuperabile; definito, quest’ultimo, come il

maggiore tra il presumibile valore realizzabile tramite l’alienazione e il suo

valore in uso.

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Il valore realizzabile tramite alienazione consiste nel prezzo ricavabile da una vendita svolta in condizioni normali di mercato, tra parti indipendenti, bene informate e interessate, al netto degli oneri diretti di cessione.

Il valore recuperabile tramite l’uso, invece, corrisponde al valore funzionale all’economia dell’azienda nella prospettiva di continuazione dell’attività.

La determinazione del valore d’uso comporta la stima dei flussi di cassa in entrata e in uscita originati dall’utilizzo dell’immobilizzazione, al netto di un’eventuale valore di cessione, e attualizzati mediante l’applicazione di un appropriato tasso.

219

Il documento dell’OIC ha introdotto il concetto di valore recuperabile, direttamente attraverso la vendita, o indirettamente tramite l’uso; uniformandosi allo standard IASB n.36 dedicato all’ Impairment of assets. Infatti, nel documento 24 vengono ripresi concetti di valore simili a quelli utilizzati per la verifica del valore recuperabile utilizzati nello IAS (carryng amount, recorvable amount, fair value less cost, value in use); ma le similarità si limitano giusto ai concetti, il principio italiano non ha colto in pieno l’la portata innovativa del concetto di recuperabilità introdotto dallo IASB.

Inoltre al di là delle affermazioni di principio, il documento n. 24.non approfondisce e lascia indeterminati, diversamente dallo IAS n.36, gli aspetti tecnici sulla determinazione dei valori di riferimento, in particolare, non tratta esaurientemente la procedura di stima del flusso di cassa atteso dall’uso interno della risorsa,

Tale osservazione, congiunta col nuovo orientamento della Commissione dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri, ad ammettere la possibile applicazione,

219

Cfr. “In realtà risulta ben difficile stabilire un flusso finanziario per uscita e soprattutto per

entrata connessa all’operatività di una singola attività, in quanto cIAScun elemento patrimoniale

è solitamente inserito in un più ampio processo produttivo”, MEINI, op.cit., 2006.

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in linea generale, dei disposti previsti nello IAS 36, anche alle imprese che adottano i principi contabili nazionali; invita ad utilizzare proprio le procedure internazionali per la determinazione del valore in uso.

Nel corso del periodo della durata utile di un’immobilizzazione possono verificarsi fatti o circostanze che compromettono la residua possibilità di utilizzazione di una risorsa e la sua capacità di partecipare alla produzione futura.

Per queste ragioni dal momento dell’iscrizione e per tutta la permanenza in bilancio, l’intangibile patrimoniale deve essere assoggettato a un riesame e ad una conferma, costante nel tempo, del valore.

220

Qualora il valore iscritto in contabilità risultasse superiore al valore recuperabile, definito dai due parametri sopra descritti, l’azienda è tenuta a procedere alla svalutazione con relativo addebito al Conto Economico dell’esercizio; secondo del postulato di prudenza e dei principi di fedele e continuità dell’azienda.

Le condizioni per la rilevazione di una perdita di valore, e per la conseguente riduzione del valore di bilancio di un’immobilizzazione sono :

a) la determinazione di un “valore recuperabile” inferiore al valore conabile iscritto;

b) la qualificazione della perdita come “perdita durevole”, ossia non transitoria e non facilmente reversibile, come detta la disposizione normativa civile all’art.

2426 cc., punto 3.

220

In particolare ogni volta in cui l’azienda si trova in situazioni in cui “l’operatività stessa della

società possa subire mutamenti di rilievo. Particolare attenzione va posta nel caso in cui

l’impresa versi in una situazione di perdita e nel contempo esponga in bilancio

immobilizzazioni immateriali, quali oneri pluriennali. In tal casi è necessaria la dimostrazione

della recuperabilità dei costi iscritti all’attivo.”. Documento n. 24 dell’OIC.

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L’eventuale svalutazione è un fatto logicamente distinto dal processo di ammortamento, poiché come precisa il dettato del documento 24, essa deve avere origine da una perdita permanente di valore, e che sia di carattere straordinario e grave, non riconducibile quindi alle perdite di valore ordinarie , proprie della normale ripartizione dell’utilità del bene nei singoli esercizi (ammortamento).

Inoltre come prevede la disposizione civilistica deve essere verificata la permanenza della perdita, per tale motivo è necessario valutare con molta accuratezza le cause che l’hanno originata.

Quanto appena detto, acquisisce maggiore senso, se teniamo conto della norma di legge, che prevede un necessario ripristino di valore nel caso vengano meno, in tutto o in parte, le condizioni che hanno determinato la svalutazione.

Sebbene prevista, tale possibilità nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe accadere molto raramente, in vista dell’alta attenzione che dovrebbe essere posta nella valutazione della permanenza della perdita. Se così non fosse la norma di legge sulle svalutazioni si trasformerebbe in un comodo strumento per discrezionali politiche di bilancio.

Il ripristino di valore non è previsto per i costi pluriennali e per l’ammortamento.

La rivalutazione di ripristino è l’unica prevista esplicitamente dal codice civile, essa serve a riportare il valore dell’immobilizzazione fino al massimo del valore originario al netto degli ammortamenti non calcolati per via della svalutazione.

Essa deve essere collocata in Conto Economico alla voce A.5. “Altri ricavi e

proventi”, mentre la contropartita va direttamente a ripristinare il valore iscritto

dell’immobilizzazione.

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Per quanto riguarda la svalutazione, essa confluisce in Conto Economico alla voce B.10.c. “Altre svalutazioni delle immobilizzazioni”, mentre il fondo di svalutazione è collocato in Stato Patrimoniale a diretta della voce cui si riferisce.

Il documento 24 non esclude rivalutazioni di valore, al di fuori di quelle di

ripristino, ma solo se consentite da leggi speciali e nei limiti e nei modi da

queste indicati. Tali rivalutazioni non passano dal Conto Economico, ma vanno

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