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di quelle provinciali, regionali, nazionali e universali svoltesi nella seconda metà del XIX secolo – i

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Academic year: 2021

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i INTRODUZIONE

L’articolo di Paolo Di Stefano, I giovani e l’Unità d’Italia dimenticata, apparso sul «Corriere della Sera» del 10 novembre 2009 riguardante un sondaggio effettuato sui ragazzi dai 18 ai 24 anni su quanto sentissero l’anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia e su come avrebbero voluto che le istituzioni pubbliche affrontassero tale ricorrenza, mi ha dato lo spunto per approfondire il ruolo giocato dall’arte toscana nella formazione della coscienza e della cultura nazionale nel corso della seconda metà del XIX secolo. In particolare mi sono soffermata ad analizzare lo stato delle arti applicate, soprattutto della ceramica, dell’oreficeria e della lavorazione del legno, prendendo come punto di riferimento quelle esposizioni nazionali che, più o meno esplicitamente, erano state organizzate per celebrare la formazione dello Stato unitario, vale a dire la prima esposizione nazionale svoltasi a Firenze nel 1861, a cui parteciparono soprattutto gli artisti e gli artigiani toscani e meridionali; l’esposizione generale italiana di Torino del 1884 la cui sezione della mostra del Risorgimento è stata considerata l’origine di molte raccolte civiche museali odierne; infine quella di Torino del 1898 volta a celebrare il cinquantesimo anniversario della promulgazione dello Statuto Albertino e della prima guerra d’indipendenza.

La scelta di introdurre ogni capitolo con una breve descrizione della situazione delle cosiddette arti maggiori in Toscana, necessariamente molto più corposa per il 1861, è stata fatta per meglio inquadrare lo sfondo artistico e culturale all’interno del quale si muovevano le arti applicate che sono state analizzate dal punto di vista stilistico, produttivo e ricettivo da parte della critica e del pubblico.

La documentazione ufficiale prodotta in occasione delle tre esposizioni sopra accennate, così come

di quelle provinciali, regionali, nazionali e universali svoltesi nella seconda metà del XIX secolo – i

giornali illustrati, i cataloghi e i rapporti delle commissioni giudicanti –, i principali quotidiani delle

due città che ospitarono le esposizioni del 1861, 1884 e 1898 – «La Nazione» e «La Stampa» – e

alcune riviste artistiche dell’epoca sono stati gli imprescindibili punti di partenza per avere un

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ii quadro generale degli espositori e dei loro prodotti, successivamente arricchito grazie ai vari contributi bibliografici che si sono susseguiti nel corso degli anni, non ultimi quelli del 2010-11 legati alla celebrazione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia.

Diversi sono stati i libri di riferimento relativi alle varie arti, tra i quali si possono ricordare, per la lavorazione del legno, i due volumi di Simone Chiarugi pubblicati nel 1994 e dedicati allo sviluppo stilistico della mobilia toscana e alle botteghe dei mobilieri, più o meno conosciuti

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; quello di Enrico Colle del 2007 volto ad analizzare la storia del mobile italiano nell’Ottocento

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e, non ultimo, Il bello ritrovato, prodotto della collaborazione di più studiosi, pubblicato nel 1996 e rivolto a

delineare la situazione mobiliare e dell’arredamento europeo nel corso del XIX secolo

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.

Per l’arte ceramica sono state importanti le informazioni che Giuseppe Corona fece pubblicare nel 1885 in seguito all’esposizione torinese dell’anno precedente, soprattutto per quelle manifatture locali meno note, ancora prive di una ricca bibliografia, così come le pubblicazioni più recenti, quelle di Cesare Baccetti (1991) e quelle curate da Fausto Berti relativi alla ceramica di Montelupo (2003, 2004)

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; gli articoli pubblicati sulle riviste di settore dedicati alle manifatture di San Giovanni alla Vena (2004) e a quelle di Anghiari di Valentino Minocchi (2004, 2005)

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; non ultimo il contributo di Paolo Di Sacco del 2005 che, seppur privo di carattere scientifico, offre una panoramica sull’attività ceramica in San Michele degli Scalzi a Pisa fino alla seconda metà del XX secolo quando la Richard-Ginori cessò la sua secolare attività

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. Numerosi sono stati gli apporti bibliografici relativi alle manifatture Ginori e Cantagalli, per le quali si può citare il catalogo della

1S. Chiarugi, Botteghe di mobilieri in Toscana, 1780-1900, Firenze, 1994.

2 E. Colle, Il mobile dell’Ottocento in Italia. Arredi e decorazioni d’interni, 1815-1900, Milano, 2007

3 C. Paolini, A. Ponte, O. Selvafolta, Il bello ritrovato. Gusto, ambienti, mobili dell’Ottocento, Novara, 1990.

4 C. Baccetti, Le terre di Montelupo. Società ed economia in una comunità toscana dell’Ottocento, editoriale Tosca, Montelupo Fiorentino, 1991; Montelupo Fiorentino. Ottocento anni di storia, a cura di F. Berti, M. Mantovani, 2003; Sette secoli di ceramica a Montelupo. Cultura, design e industria in un territorio fiorentino, a cura di F. Berti, M. Vignozzi Paszkowski, Montelupo Fiorentino, 2004.

5 M. Milanese, L. Tampone, I. Trombetta, San Giovanni alla Vena (Vicopisano). Ricerche sulla produzione ceramica postmedievale di un centro manifatturiero nel Basso Valdarno in <<Archeologia postmedievale>>, n. 8, 2004 (2005), pp. 43-83; V. Minocchi (a), Fornaciai ad Anghiari, in «Pagine Altotiberine», n. 23, 2004, pp. 119-126; V. Minocchi (b), I cocci di Anghiari: mostra della ceramica.

Vasai e ceramisti anghiaresi tra Otto e Novecento, Anghiari, Palazzo del Marzocco, 28 maggio- 25 settembre 2005, Museo della Battaglia di Anghiari, Anghiari, 2005, pp. 15-18, 31-36; V. Minocchi (c), Alla riscoperta di una produzione poco conosciuta in

«CeramicAntica», n. 162, 2005, pp.52-55.

6 P. Di Sacco, La fabbrica della ceramica. La Richard-Ginori in San Michele degli Scalzi, Pisa, 2005.

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iii mostra svoltasi a Firenze al Museo Stibbert tra l’autunno del 2011 e la primavera del 2012

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, e a quella di Galileo Chini più volte oggetto di studio da parte di Gilda Cefariello Grosso e, recentemente, protagonista della mostra viareggina del 2010 dedicata alla poliedrica attività di Chini e al suo rapporto con la tradizione Toscana

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.

Per l’attività orafa si possono citare i contributi di Maria Elena Bastianelli del 1993 e la monografia su Camillo Bertuzzi, primo esempio di designer di gioielli attivo tra l’Inghilterra e l’Italia, rispettivamente relativi alla situazione orafa di Firenze nel XIX secolo e a quella della gioielleria fiorentina tra gli anni Sessanta e Ottanta del XIX secolo

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. Importanti sono stati anche alcuni interventi tenuti al convegno di studi sui gioielli italiani svoltosi a Valenza nel 1996 concernenti alcune problematiche stilistiche e produttive del gioiello in Italia e il Dizionario del gioiello italiano pubblicato nel 2005 che fornisce preziose notizie biografiche sui gioiellieri d’Italia dell’Otto e del Novecento

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.

In generale si può affermare che anche in Toscana le arti applicate parteciparono della tendenza eclettica tipica dell’Italia della seconda metà del XIX secolo, caratterizzata dalla riproposizione di forme e decorazioni degli stili storici, combinate o meno tra loro. Soprattutto nell’alta e media borghesia, ma anche tra le famiglie nobili, prevalsero, a seconda dei luoghi di produzione, i modelli del XIV, XV e XVI secolo, mentre le forme più elaborate tipiche del barocco trovarono la loro collocazione nella residenza reale fiorentina di Palazzo Pitti, anche se controbilanciate dal rigore formale neoclassico.

7Il Risorgimento della maiolica italiana: Ginori e Cantagalli,a cura di L. Frescobaldi Malenchini, O. Rucellai, Firenze, Museo Stibbert, 30 settembre 2011-15 aprile 2012, Firenze, 2011.

8 Galileo Chini e la Toscana, a cura di A. Belluomini Pucci, G. Borella, Viareggio, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Lorenzo Viani, Palazzo delle Muse, 10 luglio-5 dicembre 2010, Milano, 2010.

9 M. E. Bastianelli, Il ponte degli orafi e le vicende ottocentesche in Un Ponte dalle botteghe d’oro, a cura di D. Liscia Bemporad, Firenze, 1993; M. E. Bastianelli, Argenti fra sacro e profano in Argenti fiorentini, Firenze, 1993, vol. 1; L. Lenti, Camillo Bertuzzi, designer di gioielli 1819-1894. Parigi, Firenze, Londra, Firenze, 1998.

10 Gioielli in Italia. Temi e problemi del gioiello italiano tra XIX e XX secolo, a cura di L. Lenti, D. Liscia Bemporad, Venezia, 1996; L.

Lenti, Gioielli in Italia. Donne e ori. Storia, arte, passioni, Venezia, 2003; Gioielli in Italia. Il gioiello e l’artefice. Materiali, opere, committenze, a cura di L. Lenti, Venezia, 2005; L. Lenti, M.C. Bergesio, Dizionario del gioiello italiano del XIX e XX secolo, Torino, 2005.

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iv Il revival storicista si legava all’elevata abilità artigianale dimostrata in più occasioni dalle botteghe toscane, la maggior parte delle quali era lontana dal processo di industrializzazione che lentamente stava investendo il nord Italia; tuttavia non mancarono alcuni esempi di adeguamento alla modernizzazione produttiva, rivolta soprattutto ad un mercato medio-basso, che però non trovava spazio nelle manifestazioni espositive nazionali e universali dove si prediligeva inviare la produzione artistica e quella di lusso.

Così come accadde per lo sviluppo industriale, non tutte le arti registrarono lo stesso ritmo di adeguamento alle nuove mode europee diffuse dalle riviste artistiche culturali del tempo.

Sicuramente la produzione ceramica mostra più puntualmente il percorso evolutivo che dal neorinascimento conduce ai primi esempi di Art Nouveau passando per il naturalismo, superando l’arte del mobile dove il rispetto per lo stile e per le forme architettoniche rinascimentali predominarono fino alla fine dell’Ottocento. Tutto questo però è valido soprattutto per quelle manifatture che si rivolgevano ad un mercato medio-alto, come Ginori e Cantagalli, le botteghe dei Barbetti, di Frullini e dei Berardi. Quando si osservano i prodotti delle manifatture il cui mercato spesso non superava i confini locali, per esempio le fornaci anghiaresi, montelupine e di San Giovanni alla Vena, o i laboratori di Tommaso Guidi di Barga e di Egidio Montanelli di Borgo a Buggiano, si può notare come le forme e la decorazione, se presente, bicroma o caratterizzata da semplici motivi geometrici e figurativi, riproducessero modelli rinascimentali.

La lavorazione delle pietre dure, non più di pertinenza esclusiva dell’opificio fiorentino, quella

dell’alabastro a Pisa – la società Enrico Van Lint e Huguet, la ditta Barsanti - e a Volterra – le

fabbriche dei Viti e dei Tangassi - , del corallo a Livorno – la fabbrica dei Santoponte - e il settore

dell’oreficeria risentirono invece maggiormente del retaggio storico. Dell’attività orafa i fiorentini si

rivelarono i più assidui frequentatori delle esposizioni anche se, soprattutto in quella del 1861, non

mancarono gli orefici lucchesi e pisani, come Gaspare Mariotti di Pontedera, fratello minore del più

famoso Silvestro. Insieme alla produzione di gioielli e a quella dell’argenteria sacra e profana,

molto presente era anche la riproduzione in oro e argento delle opere d’arte dell’antichità, oggetti

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v molto ambiti dai viaggiatori stranieri di passaggio in Italia anche nella versione in marmo, terracotta o alabastro – ditta Pietro Bazzanti e figlio, manifattura di Signa.

Anche dal punto di vista dell’industrializzazione e della sperimentazione di nuove tecniche e

lavorazioni ci furono alcuni esempi emblematici, come i fiorentini fratelli Falcini, la fabbrica Ginori

di Doccia, la bottega Barbetti, ed altri meno noti, come il pistoiese Benedetto Romagnani, la

fabbrica volterrana della famiglia Viti, che tuttavia non poterono gareggiare con gli esempi europei

perché una delle cause della mancata industrializzazione fu riconosciuta nell’assenza di risorse

finanziarie e di società di lavoratori appartenenti alla stessa categoria che fossero in grado di unire i

propri capitali per incentivare l’ammodernamento degli impianti con la conseguenza di una

proliferazione di piccoli proprietari di botteghe e laboratori, come il senese Tito Corsini e il

fiorentino Andrea Baccetti, che spesso per sopravvivere proseguivano nel solco della produzione in

stile rivolta ai viaggiatori o ai collezionisti americani e inglesi, rinunciando così a realizzare dei

prodotti in linea col gusto moderno.

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