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Academic year: 2021

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Il tempo pieno nella scuola primaria italiana

Abstract

In the Italian context “full time” is the most common model of school chosen by families, al-though there are strong territorial differences. The paper aims to illustrate the increasing diffusion of this type of school, which corresponds to a progressive weakness of the original pedagogical aspects. It is necessary to refocus on these aspects, improving the studies on the connections bet-ween school-time and learning outcomes.

Keywords:

“full time”, primary school, teaching

Il tempo pieno, pur con forti differenze territoriali, risulta il modello organizzativo di scuola primaria più scelto dalle famiglie italiane. L’articolo intende mostrare come ad un ampliamento di questo tempo scuola sembra però corrispondere un indebolimento delle ragioni pedagogiche originarie. Occorre riporle al centro innalzando anche gli studi sul rapporto tra tempo scuola e risultati dell’apprendimento.

Parole chiave:

tempo pieno, scuola primaria, insegnamento di Pierpaolo Triani

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Il tempo pieno nella scuola primaria italiana

L’attuale normativa italiana, secondo quando definito dall’art 4, comma 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2009, prevede che la Scuola primaria (6-11 anni) possa essere organizzata secondo diversi modelli (Fa-langa, 2013):

a) il modello dell’insegnante unico, con 24 ore settimanali di attività didat-tica;

b) il modello del tempo prolungato che prevede 27 ore settimanali elevabili sino a 30 ore;

c) il modello del cosiddetto “tempo pieno”, caratterizzato da 40 ore setti-manali di attività scolastiche, comprensive delle ore di mensa. L’insegna-mento, in questo caso, è svolto principalmente da due docenti, che si alternano nella presenza in classe, ma alcune attività, come l’insegnamento della lingua inglese e della religione cattolica, possono essere svolte da in-segnanti con specifica qualifica.

L’attivazione di questo terzo modello, precisa la norma, è strettamente connesso alle richieste delle famiglie; per questo motivo è importante innan-zitutto osservare l’attuale consistenza di questa domanda.

1. La diffusione del modello

La scuola italiana è caratterizzata da una struttura capillare sul territorio e coinvolge un numero molte elevato di persone e di famiglie. I dati forniti dal Servizio Statistico del Ministero (riferiti agli anni scolastici 2016-17, per quanto riguarda le scuole statali e, 2015-2016, per le “paritarie”1) sono

indi-cativi: gli alunni complessivamente coinvolti sono oltre 8.750.000; le istitu-zioni scolastiche statali sono 8281 e si articolano in 41163 sedi, con più di 800.000 insegnanti impegnati; le scuole paritarie sono invece 13267 (MIUR

– Ufficio Statistica e Studi, 2016b).

Per quanto riguarda il livello primario, che è l’ambito che ci interessa al-l’interno di questo articolo, all’inizio dell’anno scolastico 2016-17 nelle scuole statali risultavano iscritti 2.572.969 alunni, distribuiti in 131.372 classi.

All’interno di questo quadro vediamo, brevemente, come è presente il modello del tempo pieno.

1 Per scuole paritarie si intendono le scuole non statali, gestite dagli enti locali o da realtà private, che però hanno ottenuto un formale riconoscimento pubblico da parte dello Stato.

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Secondo quanto riportato dalla rivista on line Tecnica della scuola, specia-lizzata nel settore delle politiche scolastiche, il resoconto storico presentato dal Ministero dell’Istruzione nel dicembre 2015 indicava una presenza del tempo pieno in crescita per quanto riguarda i numeri assoluti, ma con molte differenze territoriali. Infatti, rispetto al 2001, nel 2015 il numero di alunni a tempo pieno risultava aumentato del 55%: 888.000 studenti di scuola pri-maria su un totale di 2.583.000. Le classi organizzate secondo questo mo-dello, sempre nel 2015, risultavano essere il 32,2% del totale.

Se guardiamo i diversi territori, però, le cose cambiano: mentre nella città di Milano il tempo pieno, nel 2015, riguardava il 90,4% degli alunni, a Pa-lermo gli iscritti al tempo pieno erano soltanto il 4,5%. Forti differenze si notano anche a livello regionale: le regioni con più alunni coinvolti nel tempo pieno risultavano il Lazio (52,8%) e la Lombardia (50,3%), mentre le regioni del sud Italia presentavano percentuali molto più basse (la Sicilia contava il 7,2% di alunni della primaria iscritti al tempo pieno e la Puglia il 15,8%) (Almirante, 2015).

Questo andamento di crescita della richiesta seppure con una forte diso-mogeneità è confermato dal quadro degli alunni iscritti al primo anno del primo ciclo di istruzione (e quindi al primo anno della scuola primaria) nel 2016-2017. Come si può notare dalla tabella 1, ripresa dai dati forniti dal Ministero, all’inizio dell’anno 2016-2017 è risultato iscritto al modello del tempo pieno il 39,3% degli studenti delle scuole primarie statali; inoltre i dati delle singole regioni, se confrontati con quelli degli anni precedenti, ri-sultano tutti in crescita.

Tab. 1: Iscritti al primo anno del primo ciclo di istruzione per scelte di tempo scuola e regione – A.S. 2016/17

(Fonte: adattamento da MIUR – Ufficio Statistica e Studi, 2016a, p. 9)

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2. Le origini del modello e la sua evoluzione

Il modello del tempo pieno nella scuola primaria (chiamata anche elemen-tare) prende il suo avvio ufficiale nella scuola italiana agli inizi degli anni Set-tanta, dopo che negli anni precedenti un ricco dibattito culturale e la nascita di diverse esperienze locali gli avevano preparato il terreno.

È infatti negli anni Sessanta che si fa più forte, anche in Italia, la spinta verso un rinnovamento teso a rendere la scuola fattore centrale di giustizia sociale e di promozione dello sviluppo di ogni cittadino. Così descrive Cerini la vitalità di quel periodo:

È l’idea del riscatto degli umili attraverso la scuola, con approcci e iti-nerari assai diversi, ora più rigorosi, ora più giocati sul versante del-l’animazione, dei linguaggi alternativi, degli stili di conduzione molto libertari; anni forse un po’ disordinati, ma ricchi di fermenti per il fu-turo. La scuola sembra in grado di intercettare i grandi cambiamenti sociali e culturali di un’Italia che si affaccia sulle soglie del benessere, anche grazie all’istruzione di massa (Cerini, 2004, p. 62).

Vengono messe in discussione le forme di scuola che replicano semplice-mente le differenze sociali di partenza attraverso un confronto che assume spesso toni molto accessi. A questo riguardo risultano emblematici, nel con-testo italiano, l’esperienza della Scuola di Barbiana, piccolo paese delle mon-tagne fiorentine, guidata da don Milani, e l’eco che ebbe nel Paese il libro da lui scritto assieme ai suoi studenti, dal titolo Lettera a una professoressa (1967). Il testo scritto intenzionalmente per denunciare le ingiustizie della scuola, attraverso uno stile argomentativo molto diretto e in diversi passaggi duro, concorre a mettere in risalto la questione dell’incoerenza tra quanto dichia-rato nelle intenzioni e quanto invece le forme organizzative e didattiche delle scuole realmente realizzano.

Sarebbe però limitativo fermare l’attenzione sull’esperienza di Barbiana; la spinta al cambiamento infatti è ben più vasta e si declina nel molteplice impegno di studiosi, insegnanti, associazioni, movimenti culturali, famiglie (Agazzi et alii 1970; De Bartolomeis, 1972; Frabboni, 1982; Catarsi, 2004a; Damiano 2003a).

In questo contesto di tensione ideale verso l’innovazione scolastica, il 14 ottobre 1971 entra in vigore la Legge n. 820 del 24 settembre 1971, con titolo “Norme sull’ordinamento della scuola elementare e sull’immissione in ruolo degli insegnanti della scuola elementare e della scuola materna statale”. È nelle prime righe dell’art. 1 di tale documento che è unanimemente rico-nosciuta la nascita, a livello normativo, del modello del tempo pieno nella scuola italiana. Così si apre infatti il testo legislativo in questione:

Le attività integrative della scuola elementare, nonché gli insegnamenti speciali, con lo scopo di contribuire all’arricchimento della forma-zione dell’alunno e all’avvio della realizzaforma-zione della scuola a tempo pieno, saranno svolti in ore aggiuntive a quelle costituenti il normale

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orario scolastico, con specifico compito, da insegnanti elementari di ruolo.

Il conseguimento dello scopo di cui sopra dovrà scaturire dalla colla-borazione, anche mediante riunioni periodiche, degli insegnanti delle singole classi e di quelli delle attività integrative e degli insegnamenti speciali (Legge n. 820 del 1971).

Come hanno fatto notare diversi studiosi, tra cui Catarsi, la formulazione della legge risulta poco lineare, ambigua e “tale suo carattere sarà appunto alla base delle molte contraddizioni in cui il tempo pieno dovrà svilupparsi, condizionato com’è da una impostazione che avvalla la distinzione in attività del mattino e del pomeriggio e che lo condanna pertanto in moltissime re-altà, a non discostarsi di molto, dalle esperienze del più tradizionale dopo-scuola” (Catarsi, 2004b, p. 16).

Il tono complessivo dell’art. 1, però, fa capire chiaramente che la scuola italiana intende avviare formalmente una fase sperimentale in cui attivare un nuova modalità di fare scuola caratterizzata da tempi più ampi, una proposta didattica più articolata, una collaborazione tra i docenti più stretta.

Non si tratta, ha osservato Todeschini, di una semplice proposta di ritocco, ma di “una vera e propria strategia di riforma della scuola di base, tra utopi-stica generosità e inconsapevole profezia” (Todeschini, 2003, p. 62).

La Legge n. 820 del 1971 attesta e incentiva una fase di sperimentazione del modello del tempo pieno nella scuola italiana durante la quale, accanto a esperienze di eccellenza, che sono state oggetto di approfondimento e di stu-dio come quelle di Adro, Rho, Spilamberto (Damiano 1975; Federici 1977; Draghicchio 2003), ci sono anche, come ricorda Cerini, “situazioni fragili, con una persistente separatezza tra insegnanti curricolari ed extracurricolari, tra attività del mattino obbligatorie ed attività del pomeriggio facoltative, tra discipline fondamentali e ‘nicchie’ di specialismo disciplinare” (Cerini, 2004, p. 64).

Agli inizi degli anni Ottanta (Todeschini, 2003; Cerini, 2004) si passa ad una nuova fase, che viene definita dagli studiosi di consolidamento, in quanto si vanno precisando meglio le caratteristiche non solo pedagogiche ma anche organizzative del modello; le esperienze vanno aumentando di numero e as-sumono stabilità.

Nonostante questo processo di stabilizzazione, però, il modello del tempo pieno continua a convivere all’interno della scuola primaria italiana con altre forme organizzative e questa situazione “plurale” viene confermata con la Legge di riforma dell’ordinamento della scuola elementare n. 148 del 5 giu-gno 1990. Questo testo normativo, pur facendo propri i principi pedagogici ispiratori del tempo pieno, conferma più soluzioni organizzative. In particolar modo introduce, accanto al tempo pieno, il modello del “modulo”, che pre-vede un’attività di 24 ore, con la presenza di più insegnanti (tre ogni due classi).

L’introduzione di un nuovo modello sollecita i sostenitori del tempo pieno a un nuovo sforzo di riflessione e di rilancio: “Negli anni ’90 si assiste ad una reazione del tempo pieno: viene presentato come un ambiente più

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accogliente, più compatto e disteso; gli stessi insegnanti lo percepiscono come luogo professionale più semplice e sereno, al riparo dai ritmi frenetici che può assumere una mal interpretata organizzazione modulare” (Cerini, 2004, pp. 64-65).

In realtà questa ripresa di interesse non raggiunge gli stessi livelli di vitalità della fase della sperimentazione; si assiste a una fase di progressiva normaliz-zazione, durante la quale il tempo pieno permane, ma sembrano indebolirsi le cariche ideali che l’avevano fatto sorgere. Un ritorno di attenzione e dei valori fondanti del modello si ha ancora una volta in corrispondenza di una nuova Legge di riforma, la n. 53 del 28 marzo del 2003.

Di fronte al rischio che l’organizzazione delle classi a tempo pieno sia meno sostenuta economicamente rispetto al modello delle 24 ore settimanali con maestro prevalente, crescono le prese di posizioni che rilanciano il suo valore sociale e pedagogico. Il fattore, però, che risulta decisivo per il man-tenimento di questo modello è la richiesta di molte famiglie, che trovano nel tempo pieno una soluzione organizzativa idonea alle loro esigenze lavorative. Non è infatti l’adesione ideale a un modo di fare scuola, ma la risposta a que-stioni pratiche che spinge un crescente numero di genitori a iscrivere i figli al tempo pieno.

Dopo la ripresa del dibattito tra il 2003 e il 2005, le discussioni attorno al modello di scuola a tempo pieno si sono andate sempre più attenuando. At-tualmente, come si è visto, risulta essere il modello più richiesto, ma, dal mo-mento che tale domanda non è tanto di una scuola diversa, quanto piuttosto che sia garantita la presenza dei figli a scuola fino a metà pomeriggio, si sta verificando un processo di cambiamento del modello stesso.

In questa nuova fase (che ha tratti di burocratizzazione) il tempo pieno in diversi casi rischia di non essere un insieme articolato di proposte didattiche e di metodi, quanto piuttosto un orario più lungo per svolgere i contenuti delle diverse discipline. Rischia, in altre parole, di svuotarsi della sua idealità originaria, per diventare soltanto un modalità organizzativa che garantisce più ore di scolarizzazione.

3. Le ragioni e le resistenze

Anche in considerazione del fatto che l’idealità iniziale del modello della scuola a tempo pieno sembra indebolirsi, è opportuno a questo punto ri-chiamare brevemente il complesso di ragioni che ne permisero l’avvio. Per descriverle Catarsi richiama il pensiero di uno dei pedagogisti italiani di ri-ferimento per l’innovazione scolastica degli anni Sessanta e Settanta: Bruno Ciari.

Già nella seconda metà degli anni Sessanta Bruno Ciari indica con chiarezza che le motivazioni alla base del tempo pieno sono di ordine sociale, politico e pedagogico-culturale. Egli infatti – riassumendo il senso delle posizioni della pedagogia democratica e cooperativistica – sostiene che la disgregazione della famiglia patriarcale, a seguito dei

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fenomeni dell’urbanesimo e del l’industria liz zazione, fa sì che essa non possa più essere identificata come il centro formativo per eccellenza e pone pertanto nuovi obblighi alla scuola. […] Allo stesso modo la scuola a tempo pieno punta a sviluppare complessivamente la perso-nalità dei bambini, non limitando la sua proposta formativa alle sole esperienze disciplinari tradizionalmente intese. Ciari evidenzia, infatti, come la scuola tradizionale trascuri dimensioni fondamentali della personalità infantile e come, al contrario, una corretta e produttiva educazione democratica richieda ed imponga uno sviluppo completo e multilaterale del bambino, che deve potersi giovare di una molte-plicità di attività – da quelle costruttive a quelle pittoriche o musicali – il cui svolgimento non sarebbe ovviamente agevolmente consentito nella scuola a tempo normale (Catarsi, 2004b, pp. 17-18).

Come si può cogliere bene dalla lunga citazione riportata, il modello del tempo pieno nasce, dunque, non solo come risposta a un mutato contesto sociale, ma da una precisa spinta culturale a innovare e cambiare la scuola primaria italiana secondo almeno cinque direzioni:

– quella di una scuola più giusta, capace attraverso un estensione del tempo di rispondere ai differenti bisogni educativi degli alunni;

– quella di una scuola più ricca nella sua proposta didattica, capace, insieme agli insegnamenti tradizionalmente disciplinari, di proporre attività maggior-mente laboratoriali nel campo dell’educazione linguistica, musicale, tea-trale, pittorica, scientifica;

– quella di una scuola più partecipativa, basata sull’idea della comunità edu-cante e sull’attenzione alla collaborazione tra i docenti e tra gli alunni; – quella di una scuola più aperta al territorio, capace di valorizzare nel

con-testo scolastico e nel curriculum formativo le risorse culturali presenti nel contesto territoriale;

– quella di una scuola più attenta ai bisogni delle famiglie e alla loro partecipa-zione, tesa ad andare incontro ai mutati tempi di lavoro dei genitori, ma anche a renderli maggiormente partecipi della vita scolastica.

La spinta innovativa del modello del tempo pieno registra però, fin dal-l’inizio, diverse resistenze. Per alcuni docenti l’ostacolo maggiore è di carattere psicologico, in quanto vivono la fatica dell’adattamento a un nuovo modello, molto diverso rispetto a quello nel quale avevano lavorato per lungo tempo.

Ancora più forti, però, sia in diversi docenti sia in molte famiglie e stu-diosi, sono le obiezioni di carattere culturale: si ritiene che il tempo pieno dia troppa rilevanza all’istituzione scolastica, a scapito della centralità del-l’educazione familiare e informale; si teme così un monopolio educativo da parte del sistema scolastico.

Nella declinazione pratica, inoltre, il modello del tempo pieno incontra sovente degli ostacoli, sia di carattere organizzativo, in quanto mancano gli spazi e le risorse adeguate, sia di carattere pedagogico-didattico, in quanto le maestre e i maestri nell’azione didattica non di rado faticano a fare proprie le finalità del modello e ad arricchire la loro metodologia.

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Il modello del tempo pieno, nel suo primo periodo, fa fronte alle resi-stenze innanzitutto facendosi portatore di una visione, di un’idea di scuola: – “totale”, in quanto “la scuola si dispone, rispetto ad altre istituzioni

edu-cative, come termine di riferimento focale” (Damiano, 2003b, p. 244); – compensativa, in quanto caratterizzata “dai valori della solidarietà, della

giustizia e della uguaglianza educative” (Damiano, 2003b, p. 244); – forte, in quanto il sistema scolastico è ritenuto in “grado di fare la

diffe-renza rispetto all’ascrizione sociale, quali siano le matrici dello svantaggio di ceto e di classe, oppure di immigrazione forzata, interna di ieri, extra-comunitaria di oggi” (Damiano, 2003b, p. 253).

Con il tempo però questa visione di scuola va modificandosi. Si indebo-lisce la visione “scuolacentrica”; permane invece l’ideale di una scuola più giusta e di una didattica più ricca di stimoli, ma questo ideale si trova sempre a fare i conti con rigidità di carattere organizzativo.

La tensione ideale che sta alla base del tempo pieno in Italia è andata così, in parte, come già ricordato, indebolendosi e, in parte, modificandosi, sebbene la richiesta sociale sia andata crescendo. In questo modo però il modello del tempo pieno, più che configurarsi come un modo diverso di fare scuola, ri-schia di assumere la conformazione di un contesto didattico dove l’avere più tempo a disposizione porta solo a un aumento delle attività disciplinari che vengono proposte, perdendo di vista l’esigenza originaria di rendere più ricca e articolata l’azione didattica in classe.

4. Una valutazione complessiva

Abbiamo visto fino ad ora due fenomeni. Da un lato il modello del tempo pieno si è andato diffondendo sempre di più; dall’altro lato è andato indebo-lendosi la spinta ideale, con il rischio che resti in piedi soprattutto l’aspetto organizzativo.

Ma quali sono gli effetti del tempo pieno sulla vita scolastica, sulla for-mazione dei docenti, e soprattutto sugli apprendimenti degli allievi? Può sembrare strano ma per quanto riguarda l’Italia è molto difficile rispondere, attualmente, a questa domanda.

Durante la fase di avvio del modello a tempo pieno, vennero svolti diversi studi centrati sul principio metodologico dello “studio di caso”. Si presero in considerazione singole esperienze (Damiano, 1975; Federici, 1977; Dra-ghicchio, 2003), oppure il quadro di esperienze di uno specifico territorio (Guasti, 1982), al fine di descrivere in modo analitico il funzionamento con-creto della scuola a tempo pieno. L’attenzione in questi studi era perciò rivolta al rinnovamento dell’impianto curricolare e didattico, ossia delle strutture, dei metodi e dei contenuti.

La riflessione sul tempo pieno è andata poi proseguendo nel tempo tanto che secondo uno studio pubblicato nel 2004 (Chinotti, Zanardini, 2003) si contavano sul tema, tra il 1968 e il 2002, 294 articoli di riviste, 135

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mono-grafie e 20 atti di convegno. Nonostante questa mole di studi, l’esplorazione degli effetti del tempo pieno sugli apprendimenti degli alunni non è stata af-frontata in modo diffuso e secondo Cerini (2004) solo una ricerca del CEN-SIS del 1984 (CENCEN-SIS, 1984) ha cercato dei riscontri, presentando gli esiti di alcune indagini qualitative sui risultati degli allievi frequentanti classi a tempo pieno.

A partire dagli anni Duemila gli studi sul modello del tempo pieno in Italia sono andati via via diminuendo e non si riscontrano negli ultimi anni pubblicazioni di rilievo. Si sono fatte sempre più rare le analisi di carattere qualitativo e a questo processo non ha corrisposto una crescita delle indagini di carattere quantitativo.

Un chiaro esempio di questo silenzio delle riflessioni sul valore educativo del tempo pieno è dato dai report che ogni anno l’Istituto Nazionale per la valutazione scolastica (INVALSI) dedica ai risultati delle prove standardizzate in Italiano e Matematica alle quali sono sottoposti gli studenti italiani. Nel-l’esaminare i dati non si prende mai in considerazione come fattore di analisi il tempo scuola frequentato dagli alunni.

Incuriosito da questa assenza, proprio in vista della stesura di questo arti-colo, ho chiesto a Paolo Barabanti, giovane studioso dell’Università Cattolica della Sede di Brescia, esperto nell’analisi dei risultati delle prove INVALSI, di estrapolare i dati degli studenti della scuola primaria in rapporto al tempo scuola.

Considerando che nelle prove somministrate dall’INVALSI il punteggio medio è di 200, nella tabella 2 si può notare che i risultati raggiunti dagli studenti frequentanti il tempo pieno sono sempre, eccetto che in un caso, sopra la media; tuttavia, comparata con i risultati delle altre modalità tempo-rali, la modalità del tempo pieno non risulta mai essere al primo posto.

Questa prima estrapolazione ci dice quanto sia necessario proseguire nella strada dell’analisi. Occorre infatti chiedersi: da che cosa dipendono questi ri-sultati? Dalla forma organizzativa, oppure dalla tipologia di studenti che la frequentano? Come si giustificano poi le differenze territoriali?

Sono domande che richiedono l’incrocio di dati quantitativi, ma anche approfondimenti qualitativi, nella consapevolezza che come notava già nel 2004 Cerini, l’attuazione del modello del tempo pieno continua a essere, nella declinazione concreta, molto diversificato: accanto a situazioni di ec-cellenza vi sono esperienze fragili, nelle quali al cambiamento organizzativo non corrisponde una reale innovazione didattica.

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Tab. 2: Risultati Prove INVALSI anno scolastico 2015-2016 in base ai tempi scuola (Fonte: Dati INVALSI 2016, elaborati da Paolo Barabanti,

dell’Università Cattolica del Sacro Cuore della Sede di Brescia)

Nota bibliografica

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alla storia del riformismo scolastico in Italia (pp. 61-79). Roma: Armando.

Documentazione istituzionale/normativa

D.P.R. 20 marzo 2009, n. 89 – Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e

di-dattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

Legge 24 settembre 1971, n. 820 – Norme sull’ordinamento della scuola elementare e sulla

immissione in ruolo degli insegnanti della scuola elementare e della scuola materna statale.

Legge 28 marzo 2003, n. 53 – Delega al Governo per la definizione delle norme generali

sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.

Legge 5 giugno 1990, n.148 – Riforma dell’ordinamento della scuola elementare. Miur – Ufficio Statistica e Studi (2016a), Focus “Le iscrizioni al primo anno delle scuole

primarie, secondarie di primo e secondo grado del sistema educativo di istruzione e forma-zione”, Anno scolastico 2016-17, Maggio 2016. In

<http://www.istruzione.it/alle-gati/2016/FOCUS_iscrizioni_2016-2017.pdf> (ultima consultazione: 5/4/ 2017). Miur – Ufficio Statistica e Studi (2016b), Focus “Anticipazione sui principali dati della

scuola statale”, Anno scolastico 2016-2017, Settembre 2016. In

<http://www.istru-zione.it/allegati/2016/REPORT_Dati_Avvio_anno_scolastico_2016-2017.pdf> (ulti-ma consultazione: 5/4/2017).

(12)

Figura

Tab. 1: Iscritti al primo anno del primo ciclo di istruzione per scelte di tempo scuola e regione – A.S
Tab. 2: Risultati Prove INVALSI anno scolastico 2015-2016 in base ai tempi scuola (Fonte: Dati INVALSI 2016, elaborati da Paolo Barabanti,

Riferimenti