1 PREMESSA
Il presente elaborato vuole approfondire alcuni aspetti dell'ampia problematica della responsabilità della dirigenza pubblica nel quadro normativo attuale italiano, ponendo l'accento sul passaggio da un modello di governance pubblico orientato all'adempimento, a quello di un modello orientato alla performance.
Da un punto di vista metodologico si è ritenuto necessario suddividere l'elaborato in tre macro-parti: la prima parte si concentra sull'analisi dell’evoluzione della figura del dirigente pubblico; la seconda analizza le caratteristiche della responsabilità imputata ai dirigenti; la terza parte descrive il sistema ed i meccanismi di valutazione e le conseguenze a questo legate.
Lo scopo della prima parte è quello di mettere in luce le linee evolutive della figura del dirigente alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, sottolineando le convergenze e le divergenze della disciplina del ramo pubblico con quello privato.
La seconda parte, che costituisce il cuore fisico
dell'elaborato ma soprattutto argomentativo, ha come
finalità quella di individuare le rilevanti caratteristiche della
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responsabilità dirigenziale, anche attraverso il confronto con la responsabilità disciplinare.
La terza parte ha invece come scopo quello di mettere in luce il meccanismo e gli Organi incaricati delle valutazione del dirigente pubblico soffermandosi, in particolare, sulle risultanze, sia in termini positivi che negativi, di tale processo.
Attraverso questo mio lavoro ho cercato in sostanza di analizzare le numerose riforme sul tema della dirigenza pubblica evidenziando non solo il diverso ruolo assunto dalle nozioni di performance ed efficienza, ma anche gli aspetti cardine di tutto il D.lgs. 150/ 2009.
Proprio al concetto di performance e della responsabilità che consegue al mancato raggiungimento dei risultati che essa impone, ho cercato di dare il massimo rilievo. A mio avviso infatti, una reale rivoluzione della p.a. che parli di efficienza, efficacia e di un sistema premiante basato su valutazioni largamente condivise è possibile soltanto attraverso un accurato e certosino lavoro di progettazione, gestione e implementazione delle risorse disponibili.
Ho anche cercato di far comprendere come in realtà il
sistema valutativo concepito dal D.lgs. 150/2009 non vada
inteso come un sistema unicamente premiante dei
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“migliori”, ma vada necessariamente letto come un processo collettivo per costruire prestazioni future di maggior successo.
Protagonista di tale processo valutativo sarà proprio il
dirigente, soggetto di questa disamina, il cui accresciuto
ambito di responsabilità credo non debba essere
interpretato come una deriva maggiormente autoritaria del
suo ruolo, ma che al contrario detta dilatazione di
responsabilità sia da intendersi come una occasione per
dimostrare quanto uno stile partecipativo della sua
leadership sia lo strumento per accrescere efficacia ed
efficienza, delle risorse umane e non, poste nelle sue mani.
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CAPITOLO I
Il percorso evolutivo delle norme sulla dirigenza pubblica.
Sommario: 1. Le caratteristiche del dirigente nell'ambito del pubblico impiego, dalle riforme degli anni '90 del secolo scorso al D.lgs. 150/2009; 2. Il ruolo della dirigenza alla luce del principio di separazione fra politica e amministrazione; 3. La disciplina per il conferimento e la revoca degli incarichi.
1. Le caratteristiche del dirigente nell'ambito del pubblico impiego, dalle riforme degli anni '90 del secolo scorso al D.lgs. 150/2009.
Nel nostro sistema giuridico non è facile individuare in
maniera chiara e univoca la figura del dirigente. L'art. 2095
del c.c. Infatti, sebbene intitolato “Categorie dei prestatori
di lavoro” ed elencando testualmente “dirigenti, quadri,
impiegati ed operai” non li descrive neppure in modo
approssimativo, mentre la nostra Carta fondamentale non
5 ne fa neppure una fugace menzione.
Certamente, con sicurezza, possiamo affermare che prima comparsa sul panorama legislativo italiano avviene nel 1972 con in d.P.R. n. 748 che la istituisce attraverso una scissione dal preesistente ramo della carriera direttiva
1. La normativa traccia dunque per la prima volta una bozza delle caratteristiche della responsabilità dirigenziale presupponendo però, e senza poi realizzarli, quegli interventi di ristrutturazione e riorganizzazione della compagine ministeriale, che avrebbero permesso alla nuova figura del dirigente pubblico di svilupparsi a pieno
2, limitandosi invece ad esporre dei presupposti, rimasti, come vedremo, inattuati.
Una sorta dunque di “normativa manifesto” categoria fin troppo nota al nostro panorama legislativo, che ha però avuto dalla sua il merito di aver gettato le basi per i successivi interventi del legislatore.
L'insuccesso dello specifico intervento legislativo può essere ricondotto essenzialmente a due scelte di fondo:
1 PERSIANI, Il contratto collettivo di diritto comune nel sistema delle fonti del diritto del lavoro, in Diritto del lavoro, 2004.
2 RICCI, L'attuazione della riforma del lavoro pubblico,
1997; RUSSO, Il rapporto di lavoro pubblico, Roma, 2009.
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l'autonomia dirigenziale determinata con riferimento
a parametri monetari rivelatisi irrisori nel decennio subito successivo a causa della pesante inflazione;
la mancata predisposizione di organismi indipendenti o almeno “quasi” indipendenti, scegliendo invece di attribuire al solo ministro il potere di rilevare le inefficienze, con l'unico risultato di aver sostanzialmente vanificato gli sforzi compiuti nel definire compiutamente la responsabilità dirigenziale.
Da questo primo passo definitorio iniziale, possiamo distinguere cinque stagioni di riforme, che comprendono il periodo che va dal 1992 al 2009, che verranno esaminate brevemente, con l'avvertimento che però solo le prime si distinguono come quelle che hanno portato i maggiori cambiamenti mentre le altre hanno apportato modifiche o correzioni di rotta che non hanno intaccato le caratteristiche fondamentali della disciplina.
Prima di intraprendere l'analisi di queste cinque fasi di
riforma, è necessario cercare di capirne però le premesse
logiche. Ovvero individuare quali siano state le esigenze, di
cui già abbiamo accennato, che hanno spinto il legislatore
ad inaugurare una fase di riforme così intensa come quella
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appena trascorsa e che forse non possiamo neppure adesso considerare conclusa.
3Essenzialmente si enucleano tre esigenze, dichiarate apertamente dal legislatore:
la prima è quella di rimodernare e alleggerire le
regole del funzionamento della pubblica amministrazione. Finalità che il legislatore ha cercato di perseguire privatizzando i rapporti di lavoro
4e mettendo al centro del nuovo sistema organizzativo il manager. A quest’ultimo è allo stesso tempo garantita indipendenza, almeno sul piano formale, dalle pressioni politiche e sindacali, e demandata una aggiuntiva responsabilità, rispetto a quella classica dei dipendenti pubblici, volta a garantire i risultati manageriali della sua gestione;
3 BALBONI, Le riforme della pubblica amministrazione nel periodo costituente e nella prima legislatura, in DE SIERVO (a cura di), Scelte della Costituente e cultura giuridica, vol. II, Bologna ,1980; CARUSO, La storia interna della riforma del pubblico impiego: dall'illuminismo del progetto alla contaminazione della prassi, LPA, 2001; D'ALESSIO, La riforma della dirigenza amministrativa nella prima elaborazione giurisprudenziale, LPA, 2001.
4 RUSCIANO, La dirigenza amministrativa tra “pubblico” e
“privato” in D'ALBERTI (a cura di), La dirigenza pubblica, Bologna,
1990; D'ORTA, La nuova disciplina della dirigenza pubblica alla
prova dei fatti; una attuazione strabica, LPA, 2001; RINALDI,
Autonomia, poteri e responsabilità del dirigente pubblico: un
confronto col manager privato, Torino, 2002.
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La seconda,
5volta a razionalizzare il costo del lavoro pubblico, attraverso la riforma del sistema di contrattazione collettiva, facendola divenire l'unico strumento cui competono le definizioni delle retribuzioni dei dipendenti pubblici, con l’intenzione di scongiurare l'intromissione di interventi normativi che attribuiscano condizioni retributive sempre più vantaggiose ai dipendenti pubblici, per finalità politico-clientelari;
65 CARINCI, La nuova disciplina della dirigenza pubblica e il rinnovo del CCNL dell'area dirigenziale delle autonomie, in AranNewsletter, 2002; Il nuovo sistema delle fonti: legge e contratto collettivo, Stato e autonomie territoriali, GDA, 5 e La privatizzazione della dirigenza pubblica, fra decisioni delle corti e ripensamenti del legislatore, in FI, 2002, I; D'ORTA, Il potere organizzativo delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato , in Carinci F. - Zoppoli L. (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Torino; LISO, La più recente giurisprudenza sul lavoro pubblico. Spunti critici, ADL, 1998;
MARAZZA, Il contratto collettivo di lavoro all'indomani della privatizzazione del pubblico impiego, in Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia , XXXVIII, Padova; PERSIANI, Il contratto collettivo di diritto comune nel sistema delle fonti del diritto del lavoro, Diritto del lavoro, Padova.
6 Uno strumento, quello della contrattazione collettiva più volte invocato e confermato come assolutamente necessario:
Corte Cost. n. 189/2007, che afferma l'esistenza di un “generale principio secondo il quale il trattamento economico dei dipendenti pubblici il cui rapporto è stato privatizzato deve essere disciplinato dalla contrattazione collettiva” e Corte Cost. n.
308/2006 secondo la quale “dalla l. 421 del 1992 (…) può trarsi il
principio della regolazione mediante contratti collettivi del
trattamento economico dei dipendenti pubblici e, non a caso,
anche il legislatore delegato ha ribadito che il trattamento
economico è materia di contrattazione collettiva”.
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La terza, volta alla realizzazione e delle pari opportunità di crescita professionale tra lavoratrici e lavoratori, e della maggiore possibilità di approfondimento della formazione professionale in ogni settore della P.A.
La prima stagione dell'intenso percorso riformatore di cui si accennava poco sopra si apre con la L. n. 421/1992, attuata successivamente con il D.lgsl. n. 29/2003. Anche se indubbiamente l'esigenza che sta alla base di questo intervento normativo è stata quella di rimodernare, soprattutto culturalmente, l'intero sistema amministrativo italiano per renderlo più efficace ed efficiente, sicuramente, è impossibile non attribuire un certo peso anche ad altre due rilevanti concause.
La prima, identificabile con la crisi della prima Repubblica, aveva reso noti gli inquietanti effetti dell'incursione massiva della politica nella p.a. e la seconda racchiusa nella necessità di ridurre drasticamente i costi della spesa pubblica, divenuti ormai insostenibili, anche al fine di rientrare nei parametri di Maastricht e non perdere così l'occasione di introdurre la moneta unica europea.
Gli aspetti centrali della riforma, che a dire il vero non ha
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riscosso in quel particolare momento storico unanimi consensi
7, possiamo individuarli in tre macro interventi così costituiti:
privatizzazione dell'intero lavoro pubblico, con esclusione delle categorie dei dirigenti di prima fascia, per separare potere politico e dirigenziale, ovvero la funzione di indirizzo politico da quella amministrativa-gestionale;
introduzione di un sistema di verifica dei risultati
dell'attività gestionale dirigenziale da parte di nuclei autonomi di valutazione;
previsione di una corrispettiva responsabilità dirigenziale e attribuzione alla magistratura ordinaria del lavoro dell'intero ambito delle controversie in materia di rapporti contrattuali.
La seconda fase della riforma scaturisce da una ulteriore
7 Il Consiglio di Stato, con la Sent. n. 142/1992 aveva per
esempio espresso forti dubbi di costituzionalità circa il conciliare le
finalità pubblicistiche della p.a. con le regole di mercato della
disciplina privatistica dei contratti di lavoro. Alla querelle ha posto
fine la Corte costituzionale che con una serie di sentenze, ha
escluso che l'art. 97 della Costituzione raccomandi la necessità di
un regime assolutamente pubblicistico dei rapporti di lavoro,
essendo invece del tutto ammissibile la loro inclusione “nell'orbita
della disciplina privatistica per tutti quei profili che non sono
connessi al momento esclusivamente pubblico dell'azione
amministrativa”. Si veda C. Cost. n. 309/1997 e NICOSIA, Le
opinioni della Corte Costituzionale su spoils system, fiducia e
imparzialità negli incarichi di funzione dirigenziale: il caso speciale
è davvero speciale?.
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legge delega conferita dall'art. 11, della L. 59 del 2007, la quale interviene a modificare e integrare il D.lgs. n. 29 del 1993. Quest’ultimo aveva tentato una vera e propria rivoluzione copernicana della materia concentrandosi su tre inamovibili principi ispiratori quali la distinzione tra politica e amministrazione, l'istituzione di una diretta responsabilità dei dirigenti per la gestione amministrativa e soprattutto l'attribuzione in capo al dirigente di autonomi poteri di gestione non più riferiti a “limiti di valore”, rivelatisi come abbiamo visto inadeguati. Un radicale tentativo di cambiamento, reso necessario da una serie di fattori convergenti di tipo politico, economico e sociale, che suggerivano come ormai impellente la necessità di un arretramento della politica ed il potenziamento del ruolo della dirigenza nella prospettiva dell'efficacia e dell'economicità dell'attività amministrativa.
Sebbene infatti fosse stata in precedenza correttamente
prevista, ad esempio, la costituzione di nuclei di valutazione
o di servizi di controllo interni, con il compito di verificare la
coincidenza tra obiettivi posti con le direttive impartite e
l'effettivo conseguimento dei risultati, detta creazione di
apparati di controllo era arrivata ormai troppo tardi,
caratterizzata da una forte autoreferenzialità e gestita da
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esperti in materie giuridiche generalmente incompetenti per la valutazione dei rendimenti dell'azione amministrativa e della gestione.
Infine la stessa autonomia gestionale, generosamente riconosciuta ai dirigenti dal D.lgs. n. 29 del 1993
8, era rimasta invece disattesa a causa dell'assenza di quelle riforme contestuali e parallele dell'organizzazione amministrativa, della struttura dei bilanci, delle procedure, dei controlli che al contrario sarebbero servite a renderla concretamente operativa.
Questa seconda fase, trova dunque la sua ragione d'essere nei precedenti fallimenti strutturali di cui sopra e nell'esigenza di adattare la materia del pubblico impiego con la riforma del nuovo decentramento amministrativo,
8 Peraltro, in un primo momento, anche questo intervento
del legislatore era stato accusato di non essere conforme al testo
costituzionale, e a dissipare ogni dubbio era intervenuta la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 313/1996 affermando che: “una
diversificazione del regime del rapporto, con duplicazione della
relativa fonte, non rappresenta di per sé un pregiudizio per
l'imparzialità del dipendente pubblico, posto che per questi
(dirigente o no) non vi è, come accade per i magistrati, una
garanzia costituzionale di autonomia da attuarsi necessariamente
con legge attraverso uno stato giuridico particolare che assicuri,
ad esempio, stabilità ed inamovibilità”. Lo scegliere “tra l'uno e
l'altro regime resta affidato alla discrezionalità del legislatore”,
con la necessità di garantire il “corretto bilanciamento” tra
imparzialità e buon andamento, lasciando alla legge la decisione
di “una serie di profili ordinamentali”. In definitiva, la Corte
chiarisce come l'imparzialità "non debba essere garantita
necessariamente nelle forme dello statuto pubblicistico del
pubblico dipendente, ben potendo viceversa trovare
regolazione... in un equilibrato dosaggio di fonti regolatrici”.
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con il quale funzioni e compiti tradizionalmente attribuiti allo Stato erano stati rimessi a Comuni, Provincie e Regioni.
Tratto saliente di questo ulteriore intervento legislativo è sicuramente il ricorso allo strumento della privatizzazione sia sul fronte degli atti della micro-organizzazione, ovvero delle “linee fondamentali di organizzazione degli uffici”, sia sul fronte dei rapporti di lavoro dei dirigenti di prima fascia, con l'introduzione di un ruolo unico della dirigenza.
Questo intervento, al contrario del precedente, ha ricevuto da subito il plauso della dottrina maggioritaria. Solo per fare un esempio un illustre autore quale Andrea Orsi Battaglini in un suo saggio
9, ormai divenuto un classico del diritto amministrativo sulla materia, ha supportatole costruzioni teoriche della riforma contribuendo a dissipare ogni dubbio sulla compatibilità degli interventi di privatizzazione con l'art. 97 Cost., argomentando la non fondatezza della preoccupazione che una strumentazione privatistica sia
“pregiudizialmente meno idonea di una strumentazione pubblicistica per garantire la finalità dell'attività amministrativa”.
Come già detto poco prima tale orientamento è stato
9 ANDREA ORSI BATTAGLINI, Fonti normative e regime
giuridico del rapporto di impiego con enti pubblici, in
Giorn.Dir.Lav.Rel. ind, 1993, p. 461.
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ampiamente supportato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale che con molteplici sentenze, tra cui una su tutte la n. 309/1997 ha confermato la legittimità di una norma ordinaria che, da una parte, riservasse alla legge la determinazione di un “nucleo essenziale dell'organizzazione”
e riservasse invece dall'altra “ad un equilibrato dosaggio delle fonti regolatrici” la determinazione dei restanti comparti dell'organizzazione strutturale amministrativa e dei rapporti di lavoro.
Non solo. La Corte sempre riferendosi allo strumento della privatizzazione con una sentenza di poco successiva, la sentenza n. 11 del 2002, ha espresso parere favorevole anche circa la privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, chiarendo una volta per tutte che “la privatizzazione del pubblico impiego non rappresenta di per sé un pregiudizio per l'imparzialità del dipendente pubblico”.
La terza fase ha come punto centrale l'emanazione della L.
145/2002. Il provvedimento, percepito da buona parte della
dottrina come un vero e proprio revirement ideologico-
culturale è consistito in un tentativo, tale rimasto, da parte
dell'allora compagine politica di riacquisire il controllo sulla
categoria dirigenziale affidando l'attribuzione dell'incarico ad
un provvedimento unilaterale e introducendo una forma di
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responsabilità dirigenziale per inosservanza delle direttive politiche.
Due in particolare le misure più esposte a critiche severe:
gli incarichi di capo dipartimento assoggettati a spoils system puro e che cessano dunque in modo automatico trascorsi 90 giorni dal voto di fiducia al Governo, e l'eliminazione del termine minimo di durata degli incarichi (per i dirigenti apicali anche di quello massimo), in modo che lo stesso abbia durata inferiore alla legislatura.
Due misure molto discusse e successivamente ripensate che gettavano forti dubbi sull'autonomia effettiva della funzione dirigenziale, esposta, a queste condizioni, alla drammatica incertezza della riconferma da parte dell'organo politico di maggioranza, poteva sostanziarsi in concreto in una sorta di gradimento politico.
La quarta fase che percorre tutta la prima metà del 2008 e
che si conclude con la caduta del Governo Prodi è
caratterizzata da una innumerevole serie di provvedimenti
legislativi in rapida successione, tutti finalizzati a ritoccare il
D.lgs. n. 165/2001, anche in modo considerevole. Due
essenzialmente gli interventi: il primo volto a ripristinare un
termine minimo per gli incarichi dirigenziali, il secondo,
attuato a conseguenza della presa di coscienza da parte del
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legislatore dell'eccessivo ricorso ai contratti a termine e ai contratti di lavoro autonomo di natura coordinata e continuativa, volto a introdurre vincoli più rigorosi e specifici per l'utilizzazione di tali forme contrattuali stabilendo una fortissima restrizione fino ad ammetterle solo “per esigenze stagionali o non superiori a tre mesi”
10.
Una forte presa di consapevolezza insomma da parte del legislatore circa il troppo e a tratti perfino alluvionale ricorso ai rapporti di lavoro a carattere temporaneo, tendenza non scevra ne dei rischi circa l'efficienza della p.a. ne riguardo i costi effettivamente sostenuti riguardo a simili operazioni.
La quinta ed ultima fase è essenzialmente costituita dal dalla legge n. 15/2009. L’obiettivo riformatore ci appare già evidente dall'intestazione che così recita: “Delega al governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e all'efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”. Gli specifici obiettivi che la riforma vuole conseguire sono subito illustrati nell'art. 2 al comma 1:
10 Il fenomeno del ricorso a contratti a termine in così larga
misura è strettamente collegato alla scelta del legislatore di
bloccare il turn-over, al fine di contenere la spesa pubblica,
ostacolando le amministrazioni nel bandire i concorsi necessari
per coprire i posti di ruolo che si rendevano mano a mano
disponibili nel tempo. Per fronteggiare questo blocco, le Pubbliche
Amministrazioni hanno fatto sempre più ricorso ai contratti di
lavoro a termine, specie di natura coordinata e continuativa,
scoprendone la relativa facilità e convenienza economica.
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convergenza degli assetti regolativi del lavoro
pubblico con quelli del lavoro privato, con particolare riferimento al sistema delle relazioni sindacali;
miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia delle
procedure della contrattazione collettiva;
introduzione di sistemi interni di valutazione del
personale e delle strutture, finalizzati ad assicurare l'offerta di servizi conformi agli standard internazionali di qualità e a consentire agli organi di vertice politici delle pubbliche amministrazioni l'accesso diretto alle informazioni relative alla valutazione del personale dipendente;
garanzia della trasparenza dell'organizzazione del
lavoro nelle pubbliche amministrazioni e dei relativi sistemi retributivi;
valorizzazione del merito e conseguente riconoscimento di meccanismi premiali per i singoli dipendenti sulla base dei risultati conseguiti dalle relative strutture amministrative;
definizione di un più rigoroso sistema di responsabilità dei dipendenti pubblici.
Ai fini di questa analisi grande interesse è suscitato dalle
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disposizioni che disciplinano il nuovo sistema di valutazione.
Un sistema di valutazione pensato dal legislatore come strumento obbligatorio generale di misurazione del funzionamento delle pubbliche amministrazioni e del personale, rivolto non solo alle performance dei dirigenti, ma anche degli altri dipendenti pubblici, oltre che delle strutture amministrative. Tratto essenziale, su cui ci soffermeremo più a lungo nel prosieguo di queste pagine, è costituito dal piano della performance, un documento di programmazione triennale che deve essere stilato, dall'organo politico-amministrativo, entro il 31 gennaio di ogni anno che “individua gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e definisce, con riferimento agli obiettivi finali ed intermedi e alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell'amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori”.
La scelta di questa strategia legislativa è inoltre
strettamente connessa all'adozione del principio
meritocratico come guida di tutto l'ambiente gestionale
della p.a., avendo scelto il legislatore di collegare, ai
risultati di detta valutazione, la corresponsione ai singoli
dipendenti compresi i dirigenti di quote di retribuzione
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incentivante e di premi, vincolando così i dirigenti a far rispettare gli “standard quantitativi e qualitativi fissati dall'amministrazione” nonché a “prevenire o contrastare le condotte assenteistiche”.
Una lotta all'assenteismo che si esplica anche attraverso una serie di più accorti controlli sulle assenze per malattia, basati su più rigorose certificazioni mediche e più dilatate fasce di reperibilità.
2. Il ruolo della dirigenza alla luce del principio di separazione fra politica e amministrazione.
Al fine di definire il ruolo della dirigenza è indispensabile affrontare prima il tema della separazione tra politica e amministrazione, per riuscire a ben delineare poteri direttivi e responsabilità da attribuire a ciascuna
11.
Le relative riserve di competenza sono regolate dall'art. 3 del D.lgs.. n. 29/1993, ora art. 4 D.lgs. 165/01 e successive modificazioni, secondo il quale agli organi di Governo sono
11 NICOSIA, Le opinioni della Corte costituzionale su spoils
system, fiducia e imparzialità negli incarichi di funzione
dirigenziale: il caso speciale è davvero speciale? (nota a Corte
costituzionale, sentenza 23 Marzo 2007, n. 103 e Corte
costituzionale 23 Marzo 2007 n.104), Milano, 2006; PATRONI
GRIFFI, La dimensione costituzionale del rapporto tra politica e
amministrazione nel dettato della Costituzione e nelle più recenti
pronunce del giudice delle leggi, LPA, 273 ss.
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attribuite le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di controllo, mentre alla dirigenza sono attribuite l'amministrazione e la concreta gestione, in una posizione di sicura autonomia rispetto all'ingerenza dell'organo politico.
All'organo di vertice competerà dunque il disegno di programmi e la fissazione di obiettivi strategici, la cui realizzazione può essere affidata solo in via residuale ai Dirigenti, secondo quanto disposto dall'art. 4, co. 2, del D.lgs. n. 165, ovvero tramite “l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”. Da quanto detto traspare chiaramente la necessità e il desiderio del Legislatore di rafforzare la centralità del principio di separazione tra potere politico e amministrativo, necessità che trova conferma nella previsione che “tali attribuzioni possono essere derogate solo da specifiche disposizioni di legge”.
1212 Art. 4, co.3, D.lgs. 165/2001; ZOLI, La dirigenza pubblica
tra autonomia e responsabilità: l'attribuzione degli incarichi,
2005, in LPA.
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A conferma di quanto sopra detto si colloca la previsione contenuta all'art. 70, co. 6 del D.lgs. 165/2001 con la quale si dispone che tutte le norme anteriormente vigenti, le quali attribuivano agli organi di governo l'adozione di atti di gestione e atti amministrativi di cui al citato art. 4, co. 2, debbono intendersi nel senso che la relativa competenza sia invece affidata ai dirigenti
13.
Con la novella legislativa di cui al Decreto n. 165/2001 e la L. n. 145 del 17 Luglio 2002 il Legislatore, nonostante i propositi espressi ha però scelto tutt'altra direzione. Con l'introduzione infatti dello spoils system si è venuto ad accrescere il potere discrezionale degli organi politici in materia di nomina e revoca degli incarichi dirigenziali, con una contestuale rivoluzione anche nella disciplina previgente delle forme di responsabilità dirigenziale.
Cerchiamo dunque di capire in cosa esattamente consiste questo meccanismo.
Meccanismi normativi che consentono alla classe politica eletta di scegliere dirigenti della p.a. di propria fiducia, che esistono ormai da tempo in Europa, costantemente attirano l'attenzione e, come vedremo, la severa critica della Corte
13 PIOGGIA, La competenza amministrativa.L'organizzazione
fra specialità pubblicistica e diritto privato, 2001.
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costituzionale italiana
14. Particolarmente interessanti al fine della nostra indagine risultano tre sentenze:
la prima, la n. 124, dell'11 aprile 2011, ha ripercorso
la intera questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, co. 8, del d.lgl. 165/2001 in raffronto con l'articolo 97 Cost., nella versione precedente a quella del D.lgs. 150/2009. La Corte partendo dal testo normativo che dispone che “gli incarichi di funzione dirigenziale di cui al co. 5 bis, limitatamente al personale non appartenente ai ruoli d cui all'art. 23 del d.lgs. n. 165/2001, cessano decorsi novanta giorni dal voto di fiducia del Governo” ha fissato la non corrispondenza di un simile meccanismo al principio costituzionale posto salvaguardia dell'imparzialità e del buon andamento della p.a..
Queste le parole della Corte: “...questa Corte ha già avuto modo di dichiarare l’illegittimità costituzionale
14 Sent. n. C.Cost. 233/2006, n. 104/2007, n. 161/2008, n.
351/2008, n. 390/2008, n. 34/2010, n. 81/2010, 224/ 2010, n.
304/2010. Si vedano: AMOROSO, Dirigenza pubblica e “spoils
system” nella giurisprudenza costituzionale, in Foro it., 2009, I,
1332, ss; SILVESTRO, SILERI, Dirigenti esterni e spoils system, in
Giorn.dir.amm., 2009, 24 ss; DI CASSOLA, Le dirigenze pubbliche
nei recenti interventi normativi: funzioni e rapporti con la politica,
in Le ist.del fed., 2009, 1046 ss; BATTINI, CIMINO, La dirigenza
pubblica italiana fra privatizzazione e politicizzazione, in
Riv.trim.dir.pubbl., 2007, 1014.
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di meccanismi di cessazione automatica disposti in via transitoria dal legislatore (sentenza n. 103 del 2007)...questa Corte, come già ricordato, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 161, del decreto-legge n. 262 del 2006, nella parte in cui esso si applicava agli incarichi a dirigenti pubblici non appartenenti ai ruoli di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 165 del 2001 (sentenza n. 161 del 2008).
Con tale pronuncia, pertanto, è stato dichiarato
illegittimo un meccanismo di spoils system transitorio
(una tantum) del tutto analogo, sotto il profilo
soggettivo, a quello previsto, a regime, dalla
disposizione attualmente censurata. In tale
occasione, questa Corte ha osservato che «la natura
esterna dell’incarico non costituisce un elemento in
grado di diversificare in senso fiduciario il rapporto di
lavoro dirigenziale, che deve rimanere caratterizzato,
sul piano funzionale, da una netta e chiara
separazione tra attività di indirizzo politico-
amministrativo e funzioni gestorie». Da ciò consegue
che «anche per i dirigenti esterni il rapporto di lavoro
instaurato con l’amministrazione che attribuisce
l’incarico deve essere, come questa Corte ha già
24
avuto modo di affermare con la citata sentenza n.
103 del 2007, connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare la tendenziale continuità dell’azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione» (sentenza n. 161 del 2008;
successivamente, sentenza n. 81 del 2010)”.
La n.161/2008 con la quale la Corte ha dichiarato la
conflittualità con il testo costituzionale dell'art.2, co.
161 del d.L. 262/2006 nella disposizione in cui
prevede che per i ruoli non appartenenti alla
categoria di cui all'art. 23 D.lgs. 165/2001 “conferiti
prima del 17 maggio 2006, cessano ove non
confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata
in vigore del presente decreto”. La Corte si è
dimostrata qui convinta che il testo dell'articolo in
questione attuando un meccanismo di spoils system
automatico ed una tantum violi, data l'assenza di
alcuna garanzia procedimentale, i principi
costituzionali che salvaguardano l'imparzialità, il buon
andamento e soprattutto la continuità dell'azione
amministrativa: ”La previsione di una anticipata
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cessazione ex lege del rapporto in corso, in assenza di una accertata responsabilità dirigenziale, impedisce che l'attività del dirigente possa espletarsi in conformità ad un nuovo modello di azione della pubblica amministrazione … È necessario, pertanto, garantire «la presenza di un momento procedimentale di confronto dialettico tra le parti, nell'ambito del quale, da un lato, l'amministrazione esterni le ragioni per le quali ritenga di non consentirne la prosecuzione sino alla scadenza contrattualmente prevista; dall'altro, al dirigente sia assicurata la possibilità di far valere il diritto di difesa, prospettando i risultati delle proprie prestazioni e delle competenze organizzative esercitate per il raggiungimento degli obiettivi posti dall'organo politico e individuati, appunto, nel contratto a suo tempo stipulato» (sentenza n. 103 del 2007)”;