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La seconda parte, che costituisce il cuore fisico

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Academic year: 2021

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1 PREMESSA

Il presente elaborato vuole approfondire alcuni aspetti dell'ampia problematica della responsabilità della dirigenza pubblica nel quadro normativo attuale italiano, ponendo l'accento sul passaggio da un modello di governance pubblico orientato all'adempimento, a quello di un modello orientato alla performance.

Da un punto di vista metodologico si è ritenuto necessario suddividere l'elaborato in tre macro-parti: la prima parte si concentra sull'analisi dell’evoluzione della figura del dirigente pubblico; la seconda analizza le caratteristiche della responsabilità imputata ai dirigenti; la terza parte descrive il sistema ed i meccanismi di valutazione e le conseguenze a questo legate.

Lo scopo della prima parte è quello di mettere in luce le linee evolutive della figura del dirigente alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, sottolineando le convergenze e le divergenze della disciplina del ramo pubblico con quello privato.

La seconda parte, che costituisce il cuore fisico

dell'elaborato ma soprattutto argomentativo, ha come

finalità quella di individuare le rilevanti caratteristiche della

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2

responsabilità dirigenziale, anche attraverso il confronto con la responsabilità disciplinare.

La terza parte ha invece come scopo quello di mettere in luce il meccanismo e gli Organi incaricati delle valutazione del dirigente pubblico soffermandosi, in particolare, sulle risultanze, sia in termini positivi che negativi, di tale processo.

Attraverso questo mio lavoro ho cercato in sostanza di analizzare le numerose riforme sul tema della dirigenza pubblica evidenziando non solo il diverso ruolo assunto dalle nozioni di performance ed efficienza, ma anche gli aspetti cardine di tutto il D.lgs. 150/ 2009.

Proprio al concetto di performance e della responsabilità che consegue al mancato raggiungimento dei risultati che essa impone, ho cercato di dare il massimo rilievo. A mio avviso infatti, una reale rivoluzione della p.a. che parli di efficienza, efficacia e di un sistema premiante basato su valutazioni largamente condivise è possibile soltanto attraverso un accurato e certosino lavoro di progettazione, gestione e implementazione delle risorse disponibili.

Ho anche cercato di far comprendere come in realtà il

sistema valutativo concepito dal D.lgs. 150/2009 non vada

inteso come un sistema unicamente premiante dei

(3)

3

“migliori”, ma vada necessariamente letto come un processo collettivo per costruire prestazioni future di maggior successo.

Protagonista di tale processo valutativo sarà proprio il

dirigente, soggetto di questa disamina, il cui accresciuto

ambito di responsabilità credo non debba essere

interpretato come una deriva maggiormente autoritaria del

suo ruolo, ma che al contrario detta dilatazione di

responsabilità sia da intendersi come una occasione per

dimostrare quanto uno stile partecipativo della sua

leadership sia lo strumento per accrescere efficacia ed

efficienza, delle risorse umane e non, poste nelle sue mani.

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4

CAPITOLO I

Il percorso evolutivo delle norme sulla dirigenza pubblica.

Sommario: 1. Le caratteristiche del dirigente nell'ambito del pubblico impiego, dalle riforme degli anni '90 del secolo scorso al D.lgs. 150/2009; 2. Il ruolo della dirigenza alla luce del principio di separazione fra politica e amministrazione; 3. La disciplina per il conferimento e la revoca degli incarichi.

1. Le caratteristiche del dirigente nell'ambito del pubblico impiego, dalle riforme degli anni '90 del secolo scorso al D.lgs. 150/2009.

Nel nostro sistema giuridico non è facile individuare in

maniera chiara e univoca la figura del dirigente. L'art. 2095

del c.c. Infatti, sebbene intitolato “Categorie dei prestatori

di lavoro” ed elencando testualmente “dirigenti, quadri,

impiegati ed operai” non li descrive neppure in modo

approssimativo, mentre la nostra Carta fondamentale non

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5 ne fa neppure una fugace menzione.

Certamente, con sicurezza, possiamo affermare che prima comparsa sul panorama legislativo italiano avviene nel 1972 con in d.P.R. n. 748 che la istituisce attraverso una scissione dal preesistente ramo della carriera direttiva

1

. La normativa traccia dunque per la prima volta una bozza delle caratteristiche della responsabilità dirigenziale presupponendo però, e senza poi realizzarli, quegli interventi di ristrutturazione e riorganizzazione della compagine ministeriale, che avrebbero permesso alla nuova figura del dirigente pubblico di svilupparsi a pieno

2

, limitandosi invece ad esporre dei presupposti, rimasti, come vedremo, inattuati.

Una sorta dunque di “normativa manifesto” categoria fin troppo nota al nostro panorama legislativo, che ha però avuto dalla sua il merito di aver gettato le basi per i successivi interventi del legislatore.

L'insuccesso dello specifico intervento legislativo può essere ricondotto essenzialmente a due scelte di fondo:

1 PERSIANI, Il contratto collettivo di diritto comune nel sistema delle fonti del diritto del lavoro, in Diritto del lavoro, 2004.

2 RICCI, L'attuazione della riforma del lavoro pubblico,

1997; RUSSO, Il rapporto di lavoro pubblico, Roma, 2009.

(6)

6

 l'autonomia dirigenziale determinata con riferimento

a parametri monetari rivelatisi irrisori nel decennio subito successivo a causa della pesante inflazione;

la mancata predisposizione di organismi indipendenti o almeno “quasi” indipendenti, scegliendo invece di attribuire al solo ministro il potere di rilevare le inefficienze, con l'unico risultato di aver sostanzialmente vanificato gli sforzi compiuti nel definire compiutamente la responsabilità dirigenziale.

Da questo primo passo definitorio iniziale, possiamo distinguere cinque stagioni di riforme, che comprendono il periodo che va dal 1992 al 2009, che verranno esaminate brevemente, con l'avvertimento che però solo le prime si distinguono come quelle che hanno portato i maggiori cambiamenti mentre le altre hanno apportato modifiche o correzioni di rotta che non hanno intaccato le caratteristiche fondamentali della disciplina.

Prima di intraprendere l'analisi di queste cinque fasi di

riforma, è necessario cercare di capirne però le premesse

logiche. Ovvero individuare quali siano state le esigenze, di

cui già abbiamo accennato, che hanno spinto il legislatore

ad inaugurare una fase di riforme così intensa come quella

(7)

7

appena trascorsa e che forse non possiamo neppure adesso considerare conclusa.

3

Essenzialmente si enucleano tre esigenze, dichiarate apertamente dal legislatore:

 la prima è quella di rimodernare e alleggerire le

regole del funzionamento della pubblica amministrazione. Finalità che il legislatore ha cercato di perseguire privatizzando i rapporti di lavoro

4

e mettendo al centro del nuovo sistema organizzativo il manager. A quest’ultimo è allo stesso tempo garantita indipendenza, almeno sul piano formale, dalle pressioni politiche e sindacali, e demandata una aggiuntiva responsabilità, rispetto a quella classica dei dipendenti pubblici, volta a garantire i risultati manageriali della sua gestione;

3 BALBONI, Le riforme della pubblica amministrazione nel periodo costituente e nella prima legislatura, in DE SIERVO (a cura di), Scelte della Costituente e cultura giuridica, vol. II, Bologna ,1980; CARUSO, La storia interna della riforma del pubblico impiego: dall'illuminismo del progetto alla contaminazione della prassi, LPA, 2001; D'ALESSIO, La riforma della dirigenza amministrativa nella prima elaborazione giurisprudenziale, LPA, 2001.

4 RUSCIANO, La dirigenza amministrativa tra “pubblico” e

“privato” in D'ALBERTI (a cura di), La dirigenza pubblica, Bologna,

1990; D'ORTA, La nuova disciplina della dirigenza pubblica alla

prova dei fatti; una attuazione strabica, LPA, 2001; RINALDI,

Autonomia, poteri e responsabilità del dirigente pubblico: un

confronto col manager privato, Torino, 2002.

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8

 La seconda,

5

volta a razionalizzare il costo del lavoro pubblico, attraverso la riforma del sistema di contrattazione collettiva, facendola divenire l'unico strumento cui competono le definizioni delle retribuzioni dei dipendenti pubblici, con l’intenzione di scongiurare l'intromissione di interventi normativi che attribuiscano condizioni retributive sempre più vantaggiose ai dipendenti pubblici, per finalità politico-clientelari;

6

5 CARINCI, La nuova disciplina della dirigenza pubblica e il rinnovo del CCNL dell'area dirigenziale delle autonomie, in AranNewsletter, 2002; Il nuovo sistema delle fonti: legge e contratto collettivo, Stato e autonomie territoriali, GDA, 5 e La privatizzazione della dirigenza pubblica, fra decisioni delle corti e ripensamenti del legislatore, in FI, 2002, I; D'ORTA, Il potere organizzativo delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato , in Carinci F. - Zoppoli L. (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Torino; LISO, La più recente giurisprudenza sul lavoro pubblico. Spunti critici, ADL, 1998;

MARAZZA, Il contratto collettivo di lavoro all'indomani della privatizzazione del pubblico impiego, in Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia , XXXVIII, Padova; PERSIANI, Il contratto collettivo di diritto comune nel sistema delle fonti del diritto del lavoro, Diritto del lavoro, Padova.

6 Uno strumento, quello della contrattazione collettiva più volte invocato e confermato come assolutamente necessario:

Corte Cost. n. 189/2007, che afferma l'esistenza di un “generale principio secondo il quale il trattamento economico dei dipendenti pubblici il cui rapporto è stato privatizzato deve essere disciplinato dalla contrattazione collettiva” e Corte Cost. n.

308/2006 secondo la quale “dalla l. 421 del 1992 (…) può trarsi il

principio della regolazione mediante contratti collettivi del

trattamento economico dei dipendenti pubblici e, non a caso,

anche il legislatore delegato ha ribadito che il trattamento

economico è materia di contrattazione collettiva”.

(9)

9

La terza, volta alla realizzazione e delle pari opportunità di crescita professionale tra lavoratrici e lavoratori, e della maggiore possibilità di approfondimento della formazione professionale in ogni settore della P.A.

La prima stagione dell'intenso percorso riformatore di cui si accennava poco sopra si apre con la L. n. 421/1992, attuata successivamente con il D.lgsl. n. 29/2003. Anche se indubbiamente l'esigenza che sta alla base di questo intervento normativo è stata quella di rimodernare, soprattutto culturalmente, l'intero sistema amministrativo italiano per renderlo più efficace ed efficiente, sicuramente, è impossibile non attribuire un certo peso anche ad altre due rilevanti concause.

La prima, identificabile con la crisi della prima Repubblica, aveva reso noti gli inquietanti effetti dell'incursione massiva della politica nella p.a. e la seconda racchiusa nella necessità di ridurre drasticamente i costi della spesa pubblica, divenuti ormai insostenibili, anche al fine di rientrare nei parametri di Maastricht e non perdere così l'occasione di introdurre la moneta unica europea.

Gli aspetti centrali della riforma, che a dire il vero non ha

(10)

10

riscosso in quel particolare momento storico unanimi consensi

7

, possiamo individuarli in tre macro interventi così costituiti:

 privatizzazione dell'intero lavoro pubblico, con esclusione delle categorie dei dirigenti di prima fascia, per separare potere politico e dirigenziale, ovvero la funzione di indirizzo politico da quella amministrativa-gestionale;

 introduzione di un sistema di verifica dei risultati

dell'attività gestionale dirigenziale da parte di nuclei autonomi di valutazione;

 previsione di una corrispettiva responsabilità dirigenziale e attribuzione alla magistratura ordinaria del lavoro dell'intero ambito delle controversie in materia di rapporti contrattuali.

La seconda fase della riforma scaturisce da una ulteriore

7 Il Consiglio di Stato, con la Sent. n. 142/1992 aveva per

esempio espresso forti dubbi di costituzionalità circa il conciliare le

finalità pubblicistiche della p.a. con le regole di mercato della

disciplina privatistica dei contratti di lavoro. Alla querelle ha posto

fine la Corte costituzionale che con una serie di sentenze, ha

escluso che l'art. 97 della Costituzione raccomandi la necessità di

un regime assolutamente pubblicistico dei rapporti di lavoro,

essendo invece del tutto ammissibile la loro inclusione “nell'orbita

della disciplina privatistica per tutti quei profili che non sono

connessi al momento esclusivamente pubblico dell'azione

amministrativa”. Si veda C. Cost. n. 309/1997 e NICOSIA, Le

opinioni della Corte Costituzionale su spoils system, fiducia e

imparzialità negli incarichi di funzione dirigenziale: il caso speciale

è davvero speciale?.

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11

legge delega conferita dall'art. 11, della L. 59 del 2007, la quale interviene a modificare e integrare il D.lgs. n. 29 del 1993. Quest’ultimo aveva tentato una vera e propria rivoluzione copernicana della materia concentrandosi su tre inamovibili principi ispiratori quali la distinzione tra politica e amministrazione, l'istituzione di una diretta responsabilità dei dirigenti per la gestione amministrativa e soprattutto l'attribuzione in capo al dirigente di autonomi poteri di gestione non più riferiti a “limiti di valore”, rivelatisi come abbiamo visto inadeguati. Un radicale tentativo di cambiamento, reso necessario da una serie di fattori convergenti di tipo politico, economico e sociale, che suggerivano come ormai impellente la necessità di un arretramento della politica ed il potenziamento del ruolo della dirigenza nella prospettiva dell'efficacia e dell'economicità dell'attività amministrativa.

Sebbene infatti fosse stata in precedenza correttamente

prevista, ad esempio, la costituzione di nuclei di valutazione

o di servizi di controllo interni, con il compito di verificare la

coincidenza tra obiettivi posti con le direttive impartite e

l'effettivo conseguimento dei risultati, detta creazione di

apparati di controllo era arrivata ormai troppo tardi,

caratterizzata da una forte autoreferenzialità e gestita da

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12

esperti in materie giuridiche generalmente incompetenti per la valutazione dei rendimenti dell'azione amministrativa e della gestione.

Infine la stessa autonomia gestionale, generosamente riconosciuta ai dirigenti dal D.lgs. n. 29 del 1993

8

, era rimasta invece disattesa a causa dell'assenza di quelle riforme contestuali e parallele dell'organizzazione amministrativa, della struttura dei bilanci, delle procedure, dei controlli che al contrario sarebbero servite a renderla concretamente operativa.

Questa seconda fase, trova dunque la sua ragione d'essere nei precedenti fallimenti strutturali di cui sopra e nell'esigenza di adattare la materia del pubblico impiego con la riforma del nuovo decentramento amministrativo,

8 Peraltro, in un primo momento, anche questo intervento

del legislatore era stato accusato di non essere conforme al testo

costituzionale, e a dissipare ogni dubbio era intervenuta la Corte

costituzionale, con la sentenza n. 313/1996 affermando che: “una

diversificazione del regime del rapporto, con duplicazione della

relativa fonte, non rappresenta di per sé un pregiudizio per

l'imparzialità del dipendente pubblico, posto che per questi

(dirigente o no) non vi è, come accade per i magistrati, una

garanzia costituzionale di autonomia da attuarsi necessariamente

con legge attraverso uno stato giuridico particolare che assicuri,

ad esempio, stabilità ed inamovibilità”. Lo scegliere “tra l'uno e

l'altro regime resta affidato alla discrezionalità del legislatore”,

con la necessità di garantire il “corretto bilanciamento” tra

imparzialità e buon andamento, lasciando alla legge la decisione

di “una serie di profili ordinamentali”. In definitiva, la Corte

chiarisce come l'imparzialità "non debba essere garantita

necessariamente nelle forme dello statuto pubblicistico del

pubblico dipendente, ben potendo viceversa trovare

regolazione... in un equilibrato dosaggio di fonti regolatrici”.

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13

con il quale funzioni e compiti tradizionalmente attribuiti allo Stato erano stati rimessi a Comuni, Provincie e Regioni.

Tratto saliente di questo ulteriore intervento legislativo è sicuramente il ricorso allo strumento della privatizzazione sia sul fronte degli atti della micro-organizzazione, ovvero delle “linee fondamentali di organizzazione degli uffici”, sia sul fronte dei rapporti di lavoro dei dirigenti di prima fascia, con l'introduzione di un ruolo unico della dirigenza.

Questo intervento, al contrario del precedente, ha ricevuto da subito il plauso della dottrina maggioritaria. Solo per fare un esempio un illustre autore quale Andrea Orsi Battaglini in un suo saggio

9

, ormai divenuto un classico del diritto amministrativo sulla materia, ha supportatole costruzioni teoriche della riforma contribuendo a dissipare ogni dubbio sulla compatibilità degli interventi di privatizzazione con l'art. 97 Cost., argomentando la non fondatezza della preoccupazione che una strumentazione privatistica sia

“pregiudizialmente meno idonea di una strumentazione pubblicistica per garantire la finalità dell'attività amministrativa”.

Come già detto poco prima tale orientamento è stato

9 ANDREA ORSI BATTAGLINI, Fonti normative e regime

giuridico del rapporto di impiego con enti pubblici, in

Giorn.Dir.Lav.Rel. ind, 1993, p. 461.

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14

ampiamente supportato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale che con molteplici sentenze, tra cui una su tutte la n. 309/1997 ha confermato la legittimità di una norma ordinaria che, da una parte, riservasse alla legge la determinazione di un “nucleo essenziale dell'organizzazione”

e riservasse invece dall'altra “ad un equilibrato dosaggio delle fonti regolatrici” la determinazione dei restanti comparti dell'organizzazione strutturale amministrativa e dei rapporti di lavoro.

Non solo. La Corte sempre riferendosi allo strumento della privatizzazione con una sentenza di poco successiva, la sentenza n. 11 del 2002, ha espresso parere favorevole anche circa la privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, chiarendo una volta per tutte che “la privatizzazione del pubblico impiego non rappresenta di per sé un pregiudizio per l'imparzialità del dipendente pubblico”.

La terza fase ha come punto centrale l'emanazione della L.

145/2002. Il provvedimento, percepito da buona parte della

dottrina come un vero e proprio revirement ideologico-

culturale è consistito in un tentativo, tale rimasto, da parte

dell'allora compagine politica di riacquisire il controllo sulla

categoria dirigenziale affidando l'attribuzione dell'incarico ad

un provvedimento unilaterale e introducendo una forma di

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15

responsabilità dirigenziale per inosservanza delle direttive politiche.

Due in particolare le misure più esposte a critiche severe:

gli incarichi di capo dipartimento assoggettati a spoils system puro e che cessano dunque in modo automatico trascorsi 90 giorni dal voto di fiducia al Governo, e l'eliminazione del termine minimo di durata degli incarichi (per i dirigenti apicali anche di quello massimo), in modo che lo stesso abbia durata inferiore alla legislatura.

Due misure molto discusse e successivamente ripensate che gettavano forti dubbi sull'autonomia effettiva della funzione dirigenziale, esposta, a queste condizioni, alla drammatica incertezza della riconferma da parte dell'organo politico di maggioranza, poteva sostanziarsi in concreto in una sorta di gradimento politico.

La quarta fase che percorre tutta la prima metà del 2008 e

che si conclude con la caduta del Governo Prodi è

caratterizzata da una innumerevole serie di provvedimenti

legislativi in rapida successione, tutti finalizzati a ritoccare il

D.lgs. n. 165/2001, anche in modo considerevole. Due

essenzialmente gli interventi: il primo volto a ripristinare un

termine minimo per gli incarichi dirigenziali, il secondo,

attuato a conseguenza della presa di coscienza da parte del

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16

legislatore dell'eccessivo ricorso ai contratti a termine e ai contratti di lavoro autonomo di natura coordinata e continuativa, volto a introdurre vincoli più rigorosi e specifici per l'utilizzazione di tali forme contrattuali stabilendo una fortissima restrizione fino ad ammetterle solo “per esigenze stagionali o non superiori a tre mesi”

10

.

Una forte presa di consapevolezza insomma da parte del legislatore circa il troppo e a tratti perfino alluvionale ricorso ai rapporti di lavoro a carattere temporaneo, tendenza non scevra ne dei rischi circa l'efficienza della p.a. ne riguardo i costi effettivamente sostenuti riguardo a simili operazioni.

La quinta ed ultima fase è essenzialmente costituita dal dalla legge n. 15/2009. L’obiettivo riformatore ci appare già evidente dall'intestazione che così recita: “Delega al governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e all'efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”. Gli specifici obiettivi che la riforma vuole conseguire sono subito illustrati nell'art. 2 al comma 1:

10 Il fenomeno del ricorso a contratti a termine in così larga

misura è strettamente collegato alla scelta del legislatore di

bloccare il turn-over, al fine di contenere la spesa pubblica,

ostacolando le amministrazioni nel bandire i concorsi necessari

per coprire i posti di ruolo che si rendevano mano a mano

disponibili nel tempo. Per fronteggiare questo blocco, le Pubbliche

Amministrazioni hanno fatto sempre più ricorso ai contratti di

lavoro a termine, specie di natura coordinata e continuativa,

scoprendone la relativa facilità e convenienza economica.

(17)

17

 convergenza degli assetti regolativi del lavoro

pubblico con quelli del lavoro privato, con particolare riferimento al sistema delle relazioni sindacali;

 miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia delle

procedure della contrattazione collettiva;

 introduzione di sistemi interni di valutazione del

personale e delle strutture, finalizzati ad assicurare l'offerta di servizi conformi agli standard internazionali di qualità e a consentire agli organi di vertice politici delle pubbliche amministrazioni l'accesso diretto alle informazioni relative alla valutazione del personale dipendente;

 garanzia della trasparenza dell'organizzazione del

lavoro nelle pubbliche amministrazioni e dei relativi sistemi retributivi;

 valorizzazione del merito e conseguente riconoscimento di meccanismi premiali per i singoli dipendenti sulla base dei risultati conseguiti dalle relative strutture amministrative;

definizione di un più rigoroso sistema di responsabilità dei dipendenti pubblici.

Ai fini di questa analisi grande interesse è suscitato dalle

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18

disposizioni che disciplinano il nuovo sistema di valutazione.

Un sistema di valutazione pensato dal legislatore come strumento obbligatorio generale di misurazione del funzionamento delle pubbliche amministrazioni e del personale, rivolto non solo alle performance dei dirigenti, ma anche degli altri dipendenti pubblici, oltre che delle strutture amministrative. Tratto essenziale, su cui ci soffermeremo più a lungo nel prosieguo di queste pagine, è costituito dal piano della performance, un documento di programmazione triennale che deve essere stilato, dall'organo politico-amministrativo, entro il 31 gennaio di ogni anno che “individua gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e definisce, con riferimento agli obiettivi finali ed intermedi e alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell'amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori”.

La scelta di questa strategia legislativa è inoltre

strettamente connessa all'adozione del principio

meritocratico come guida di tutto l'ambiente gestionale

della p.a., avendo scelto il legislatore di collegare, ai

risultati di detta valutazione, la corresponsione ai singoli

dipendenti compresi i dirigenti di quote di retribuzione

(19)

19

incentivante e di premi, vincolando così i dirigenti a far rispettare gli “standard quantitativi e qualitativi fissati dall'amministrazione” nonché a “prevenire o contrastare le condotte assenteistiche”.

Una lotta all'assenteismo che si esplica anche attraverso una serie di più accorti controlli sulle assenze per malattia, basati su più rigorose certificazioni mediche e più dilatate fasce di reperibilità.

2. Il ruolo della dirigenza alla luce del principio di separazione fra politica e amministrazione.

Al fine di definire il ruolo della dirigenza è indispensabile affrontare prima il tema della separazione tra politica e amministrazione, per riuscire a ben delineare poteri direttivi e responsabilità da attribuire a ciascuna

11

.

Le relative riserve di competenza sono regolate dall'art. 3 del D.lgs.. n. 29/1993, ora art. 4 D.lgs. 165/01 e successive modificazioni, secondo il quale agli organi di Governo sono

11 NICOSIA, Le opinioni della Corte costituzionale su spoils

system, fiducia e imparzialità negli incarichi di funzione

dirigenziale: il caso speciale è davvero speciale? (nota a Corte

costituzionale, sentenza 23 Marzo 2007, n. 103 e Corte

costituzionale 23 Marzo 2007 n.104), Milano, 2006; PATRONI

GRIFFI, La dimensione costituzionale del rapporto tra politica e

amministrazione nel dettato della Costituzione e nelle più recenti

pronunce del giudice delle leggi, LPA, 273 ss.

(20)

20

attribuite le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di controllo, mentre alla dirigenza sono attribuite l'amministrazione e la concreta gestione, in una posizione di sicura autonomia rispetto all'ingerenza dell'organo politico.

All'organo di vertice competerà dunque il disegno di programmi e la fissazione di obiettivi strategici, la cui realizzazione può essere affidata solo in via residuale ai Dirigenti, secondo quanto disposto dall'art. 4, co. 2, del D.lgs. n. 165, ovvero tramite “l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”. Da quanto detto traspare chiaramente la necessità e il desiderio del Legislatore di rafforzare la centralità del principio di separazione tra potere politico e amministrativo, necessità che trova conferma nella previsione che “tali attribuzioni possono essere derogate solo da specifiche disposizioni di legge”.

12

12 Art. 4, co.3, D.lgs. 165/2001; ZOLI, La dirigenza pubblica

tra autonomia e responsabilità: l'attribuzione degli incarichi,

2005, in LPA.

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21

A conferma di quanto sopra detto si colloca la previsione contenuta all'art. 70, co. 6 del D.lgs. 165/2001 con la quale si dispone che tutte le norme anteriormente vigenti, le quali attribuivano agli organi di governo l'adozione di atti di gestione e atti amministrativi di cui al citato art. 4, co. 2, debbono intendersi nel senso che la relativa competenza sia invece affidata ai dirigenti

13

.

Con la novella legislativa di cui al Decreto n. 165/2001 e la L. n. 145 del 17 Luglio 2002 il Legislatore, nonostante i propositi espressi ha però scelto tutt'altra direzione. Con l'introduzione infatti dello spoils system si è venuto ad accrescere il potere discrezionale degli organi politici in materia di nomina e revoca degli incarichi dirigenziali, con una contestuale rivoluzione anche nella disciplina previgente delle forme di responsabilità dirigenziale.

Cerchiamo dunque di capire in cosa esattamente consiste questo meccanismo.

Meccanismi normativi che consentono alla classe politica eletta di scegliere dirigenti della p.a. di propria fiducia, che esistono ormai da tempo in Europa, costantemente attirano l'attenzione e, come vedremo, la severa critica della Corte

13 PIOGGIA, La competenza amministrativa.L'organizzazione

fra specialità pubblicistica e diritto privato, 2001.

(22)

22

costituzionale italiana

14

. Particolarmente interessanti al fine della nostra indagine risultano tre sentenze:

 la prima, la n. 124, dell'11 aprile 2011, ha ripercorso

la intera questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, co. 8, del d.lgl. 165/2001 in raffronto con l'articolo 97 Cost., nella versione precedente a quella del D.lgs. 150/2009. La Corte partendo dal testo normativo che dispone che “gli incarichi di funzione dirigenziale di cui al co. 5 bis, limitatamente al personale non appartenente ai ruoli d cui all'art. 23 del d.lgs. n. 165/2001, cessano decorsi novanta giorni dal voto di fiducia del Governo” ha fissato la non corrispondenza di un simile meccanismo al principio costituzionale posto salvaguardia dell'imparzialità e del buon andamento della p.a..

Queste le parole della Corte: “...questa Corte ha già avuto modo di dichiarare l’illegittimità costituzionale

14 Sent. n. C.Cost. 233/2006, n. 104/2007, n. 161/2008, n.

351/2008, n. 390/2008, n. 34/2010, n. 81/2010, 224/ 2010, n.

304/2010. Si vedano: AMOROSO, Dirigenza pubblica e “spoils

system” nella giurisprudenza costituzionale, in Foro it., 2009, I,

1332, ss; SILVESTRO, SILERI, Dirigenti esterni e spoils system, in

Giorn.dir.amm., 2009, 24 ss; DI CASSOLA, Le dirigenze pubbliche

nei recenti interventi normativi: funzioni e rapporti con la politica,

in Le ist.del fed., 2009, 1046 ss; BATTINI, CIMINO, La dirigenza

pubblica italiana fra privatizzazione e politicizzazione, in

Riv.trim.dir.pubbl., 2007, 1014.

(23)

23

di meccanismi di cessazione automatica disposti in via transitoria dal legislatore (sentenza n. 103 del 2007)...questa Corte, come già ricordato, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 161, del decreto-legge n. 262 del 2006, nella parte in cui esso si applicava agli incarichi a dirigenti pubblici non appartenenti ai ruoli di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 165 del 2001 (sentenza n. 161 del 2008).

Con tale pronuncia, pertanto, è stato dichiarato

illegittimo un meccanismo di spoils system transitorio

(una tantum) del tutto analogo, sotto il profilo

soggettivo, a quello previsto, a regime, dalla

disposizione attualmente censurata. In tale

occasione, questa Corte ha osservato che «la natura

esterna dell’incarico non costituisce un elemento in

grado di diversificare in senso fiduciario il rapporto di

lavoro dirigenziale, che deve rimanere caratterizzato,

sul piano funzionale, da una netta e chiara

separazione tra attività di indirizzo politico-

amministrativo e funzioni gestorie». Da ciò consegue

che «anche per i dirigenti esterni il rapporto di lavoro

instaurato con l’amministrazione che attribuisce

l’incarico deve essere, come questa Corte ha già

(24)

24

avuto modo di affermare con la citata sentenza n.

103 del 2007, connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare la tendenziale continuità dell’azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione» (sentenza n. 161 del 2008;

successivamente, sentenza n. 81 del 2010)”.

 La n.161/2008 con la quale la Corte ha dichiarato la

conflittualità con il testo costituzionale dell'art.2, co.

161 del d.L. 262/2006 nella disposizione in cui

prevede che per i ruoli non appartenenti alla

categoria di cui all'art. 23 D.lgs. 165/2001 “conferiti

prima del 17 maggio 2006, cessano ove non

confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata

in vigore del presente decreto”. La Corte si è

dimostrata qui convinta che il testo dell'articolo in

questione attuando un meccanismo di spoils system

automatico ed una tantum violi, data l'assenza di

alcuna garanzia procedimentale, i principi

costituzionali che salvaguardano l'imparzialità, il buon

andamento e soprattutto la continuità dell'azione

amministrativa: ”La previsione di una anticipata

(25)

25

cessazione ex lege del rapporto in corso, in assenza di una accertata responsabilità dirigenziale, impedisce che l'attività del dirigente possa espletarsi in conformità ad un nuovo modello di azione della pubblica amministrazione … È necessario, pertanto, garantire «la presenza di un momento procedimentale di confronto dialettico tra le parti, nell'ambito del quale, da un lato, l'amministrazione esterni le ragioni per le quali ritenga di non consentirne la prosecuzione sino alla scadenza contrattualmente prevista; dall'altro, al dirigente sia assicurata la possibilità di far valere il diritto di difesa, prospettando i risultati delle proprie prestazioni e delle competenze organizzative esercitate per il raggiungimento degli obiettivi posti dall'organo politico e individuati, appunto, nel contratto a suo tempo stipulato» (sentenza n. 103 del 2007)”;

La terza sentenza, che sembra utile citare è la n.

81/2010, e che si colloca in perfetto accordo con la

precedente è foriera di una importante novità. Per la

prima volta ribadisce infatti che il regime prima

esposto è applicabile anche agli incarichi dirigenziale

(26)

26

di livello non generale non attribuiti a soggetti esterni

all'amministrazione nel contesto della nuova

disciplina del pubblico impiego disegnata dalla

riforma Brunetta “questa Corte ha già avuto modo di

affermare, con la sentenza n. 103 del 2007, che la

previsione di una cessazione automatica, ex lege e

generalizzata, degli incarichi dirigenziali «interni» di

livello generale viola, in carenza di idonee garanzie

procedimentali, i principi costituzionali di buon

andamento e imparzialità e, in particolare, «il

principio di continuità dell’azione amministrativa che

è strettamente correlato a quello di buon andamento

dell’azione stessa». Con la sentenza n. 161 del 2008,

inoltre, si è precisato che questi principi valgono

anche in presenza di incarichi dirigenziali conferiti «al

personale non appartenente ai ruoli di cui all’art. 23

del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165» ... In

altri termini, questa Corte ha rilevato la ininfluenza,

sul piano funzionale, del fatto che l’atto di

attribuzione di una determinata funzione dirigenziale

ad un dirigente esterno, dipendente di altra

amministrazione, e il correlato contratto individuale

non si innestino su un rapporto di lavoro dirigenziale

(27)

27

già esistente con la stessa amministrazione … Deve, pertanto, ritenersi, in continuità logica con quanto affermato dalle due suindicate pronunce, che anche la norma denunciata, prevedendo la immediata cessazione del rapporto dirigenziale alla scadenza del sessantesimo giorno dall’entrata in vigore del decreto-legge n. 262 del 2006, in mancanza di riconferma, violi, in carenza di idonee garanzie procedimentali, i principi costituzionali di buon andamento e imparzialità e, in particolare, «il principio di continuità dell’azione amministrativa che è strettamente correlato a quello di buon andamento dell’azione stessa»”.

Al fine di svelare la non rispondenza di queste norme al dettato costituzionale la Corte ha scelto quindi di guardare al meccanismo concentrandosi più che sulla salvaguardia della posizione di garanzia della dirigenza, sulla tutela dei destinatari dell'azione amministrativa.

Questo, ad avviso della Corte, e condiviso da chi scrive, è il nodo centrale.

Se infatti concentrarsi sulla tutela della posizione

dirigenziale potrebbe costituire un incentivo alla maggiore

(28)

28

coesione tra politici e dirigenti, in previsione di una sinergia dei risultati, la questione affrontata invece sotto la lente della tutela dei destinatari dell'azione amministrativa, fa emergere invece il timore che violi “il principio di continuità dell'azione amministrativa che è correlato al buon andamento dell'azione della stessa”

15

. Il filo logico della Corte ripercorre essenzialmente due enunciati espressi dall'art. 97 Cost.: la certezza che non valorizzando il principio di continuità dell'azione amministrativa e dunque la tutela dei destinatari della stessa si creino le basi per una insidiosa incostituzionalità di fondo dell'intero sistema; la non rispondenza, in quest'ottica, della imparzialità della p.a.

con l'idea di una classe dirigenziale scelta su base fiduciaria della maggioranza politica

16

.

Molte perplessità sono scaturite dalla previsione che al conferimento del incarico dirigenziale, ossia l'atto con il quale il dipendente è preposto ad un determinato ufficio, sia attribuita forma diversa da quella del provvedimento amministrativo.

15 Sent. n. 103/ 2007 punto 9,2.

16 SPUNTARELLI, Struttura e ratio delle disposizioni dello spoils system, in giur.cost,2008, 3975; NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della p.a., Milano, 1966; MERLONI, Organizzazione amministrativa e garanzie di imparzialità, in Dir.

Pubbl., 2009.

(29)

29

Il conferimento dell'incarico amministrativo è, infatti, un atto essenziale e fondante con cui si instaura la connessione funzionale tra dipendente ed ufficio a cui esso viene preposto, assumendo dunque le medesime caratteristiche del potere di organizzazione. A rigore di logica dunque, così come il potere organizzativo ha natura pubblicistica nel momento in cui attiene alla macro-organizzazione, ovvero quando riguarda l'articolazione della amministrazione in uffici dirigenziali, allo stesso modo dovrebbe avere natura pubblicistica il potere di conferimento di incarichi dirigenziali.

Il necessario connotato pubblicistico deriva non solo dalla logica appena esposta, ma anche e soprattutto dai principi di legalità e garanzia espressi dall'art. 97, co. 1 della Costituzione

17

e del principio di competenza, i quali impongono di riservare alla legge la delineazione delle funzioni pubbliche idonee ad influire sulle sfere dei singoli, sia la spartizione di queste funzioni tra i diversi rami

17 Per un commento approfondito all'art. 97 Cost., co 1, si vedano: BERTI, Interpretazione costituzionale, Padova, 1987;

BIANCHI-D'ESPINOSA, La Costituzione italiana. Commento

analitico, 1990 ; CARIOLA , La nozione costituzionale di pubblico

impiego, Milano, 1991; CARLASSARE, Amministrazione e potere

politico, Padova, 1974; DELL'ARIGA, SALVEMINI (cur.) Pubblico

impiego. Le ragioni di una riforma, Roma, 1991; FERRARI, Il

procedimento costitutivo del rapporto di pubblico impiego, Torino,

1962.

(30)

30 dell'organizzazione.

La Corte Costituzionale, abbracciando in pieno simili preoccupazioni, con la sentenza n. 5659/2004 ha optato per la configurazione privatistica dell'atto di conferimento dell'incarico dirigenziale. Tale atto infatti, ex art. 19 del d.lgs. 163/2001, secondo la Corte, anche in osservanza dell'art. 3 del d.lgs. 145/2002, ha natura privata e si presenta come un “atto a necessaria struttura unilaterale e non recettizio” che consolida “la posizione di preminenza del datore di lavoro pubblico sul piano dell'organizzazione”. Ai sensi dunque dell'art. 5, co 2 del d.lgs. 165/2001 l'atto in questione viene assunto “con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro”.

3. La disciplina per il conferimento e la revoca degli incarichi.

Dalla complessità dell'analisi sia delle tormentate vicende

riformatrici che abbiamo appena analizzato, sia delle

diverse fasi di contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei

dirigenti pubblici, avvenute in due momenti separati, prima

per i dirigenti di seconda fascia e successivamente a

completare, per i dirigenti di prima fascia, si comprende

bene come, data la complessità della materia, non sia stato

(31)

31

possibile tentare una riforma radicale della dirigenza pubblica italiana da attuarsi in un unico momento, necessitando invece per una effettiva rivoluzione di un mutamento graduale e progressivo, in primis di tipo culturale.

La dirigenza pubblica italiana, dopo molti ripensamenti strutturali si articola ora su due fasce

18

. L'accesso alla qualifica di dirigente di seconda fascia si ha con il superamento di un concorso per esami indetto dalle rispettive amministrazioni ovvero un corso-concorso selettivo indetto dalla SSPA.

I requisiti per accedere al concorso sono i seguenti:

 essere dipendenti di ruolo della p.a., possedere un

diploma di laurea e aver maturato almeno 5 anni di esperienza o, alternativamente, se in possesso di dottorato di ricerca o diploma di specializzazione, aver maturato almeno 3 anni di servizio svolto in posizioni per l'accesso alle quali sia necessario il requisito del diploma di laurea;

 soggetti i quali si trovino in possesso della qualifica di

dirigente e del diploma di laurea i quali abbiano svolto per almeno due anni funzioni dirigenziali;

18 BOSCATI, Il dirigente dello Stato, Milano, 2006.

(32)

32

 coloro i quali, in possesso di idoneo diploma di

laurea, hanno ricoperto incarichi dirigenziali o assimilabili in amministrazioni pubbliche per un periodo di almeno cinque anni;

 cittadini italiani in possesso di diploma di laurea che

abbiano svolto servizio continuativo per almeno quattro anni servizio continuativo presso enti internazionali rivestendo ruoli apicali per i quali è richiesto il titolo di laurea.

Al corso-concorso della SSPA possono invece partecipare:

 coloro che sono in possesso della laurea specialistica,

del diploma di specializzazione, del dottorato di ricerca o di altro titolo post-universitario riconosciuto da istituiti universitari italiano o stranieri;

 dipendenti di ruolo della Pubblica Amministrazione

muniti di laurea con almeno cinque anni di servizio svolti in funzioni per le quali è richiesto il diploma di laurea e i dipendenti anche di strutture private ai quali sono richiesti i medesimi requisiti in termini di posizioni ricoperte e titolo di studio.

Nello specifico il contratto di lavoro, stipulato al termine

della procedura selettiva di cui abbiamo visto sopra, è

(33)

33

costituito nell'affidamento al dirigente di una serie di incarichi a tempo determinato,

19

che si inseriscono all'interno del rapporto a tempo indeterminato mediante i quali al dirigente è via via prospettato in concreto il contenuto.

Ai fini del conferimento per ciascun incarico di funzione dirigenziale si terrà conto e della natura e delle caratteristiche peculiari degli obiettivi fissati precedentemente ed alla complessità della struttura, delle capacità professionali di ogni dirigente, dei successi ottenuti dall'amministrazione di provenienza e della relativa valutazione.

L'incarico è conferito mediante un provvedimento unilaterale della p.a. nel quale sono descritti e l'oggetto e gli obiettivi da raggiungere tenendo conto della priorità e dei piani programmatici fissati dall'organo di vertice negli atti di indirizzo, e la durata dell' incarico che non può

19 Art. 9 d.lgs. 165/ 2001; BELLOCCHI, Il contratto individuale di lavoro, in Carinci – Zoppoli (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2004; FILI', Gli adempimenti connessi all'instaurazione, trasformazione, e cessazione dei rapporti di lavoro, in Miscione – Garofalo (a cura di), 2007;

FIORILLO, Il reclutamento del personale nelle pubbliche

amministrazioni, in Santoro Passarelli (a cura di), Diritto e

processo del lavoro e della previdenza sociale. Il lavoro privato e

pubblico, 2009.

(34)

34

essere inferiore a tre anni ne eccedere il limite di cinque.

20

Proprio l'unilateralità del conferimento dell'incarico dirigenziale, introdotta a partire dal 2002, in contrasto con la previgente disciplina che assegnava al contratto individuale la definizione della maggior parte delle condizioni dell'incarico, ha sollevato molte perplessità circa la natura giuridica di tale atto. Vale a dire se esso possa configurarsi come provvedimento amministrativo o come atto di natura prettamente privatistica.

Secondo un primo orientamento, sostenuto dalla maggioranza della dottrina, il provvedimento di conferimento degli incarichi dirigenziali ha natura pubblicistica. Avrebbe infatti natura di un provvedimento amministrativo adottato dalla Pubblica Amministrazione a seguito dell'esercizio di un suo proprio potere di tipo autoritativo con il quale la p.a. assicura la gestione e l'organizzazione dei suoi uffici. Tale ricostruzione ha come conseguenza che l’eventuale modifica o revoca del provvedimento medesimo, da parte della p.a. potrebbe essere fatta da parte solo rispettando le disposizioni relative al procedimento amministrativo, contenute nella legge n.

20 La durata può essere inferiore a tre anni se per il dirigente

coincide con il limite massimo di età per il collocamento a riposo.

(35)

35

241 del 1990 e succ. mod. (ad es. quelle inerenti l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento; di motivazione etc.) e al ricorrere di un pubblico interesse e al fine di garantire il buon andamento e l’imparzialità della p.a.

La corte di Cassazione, con la sentenza n.5659 del 2004

21

ha però dissolto ogni dubbio scegliendo di sposare la seconda ipotesi ovvero di configurare detta attribuzione di incarico come un atto di natura privatistica: “In tema di incarichi dirigenziali nelle amministrazioni statali, secondo la disciplina contenuta nell'art. 19, d.lgs. 165/2001, sia con riguardo al testo originario, sia a quello modificato dall'art.

3 l. 145/2002, l'atto di conferimento, a necessaria struttura unilaterale e non recettizio, ha natura di determinazione assunta dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, a norma dell'art. 5, comma 2, dell'indicato decreto, la cui formale adozione rileva esclusivamente sul piano dell'organizzazione e ai fini dei controlli interni di cui al comma 3 dello stesso articolo 5”

22

.

21 Conformi a tale orientamento cfr. ex multis Cass. civ., sez. un., 9 febbraio 2009, n. 3054, in Giust. civ. Mass., 2009, 199; id. 7 novembre 2008, n. 26799, in Giust. civ. Mass., 2008, 11, 1589; id. 9 dicembre 2004, n. 22990, in Giust. civ. Mass., 2004, 12; Cass. civ., sez. lav., 20 marzo 2005, n. 5639; Cons.

Stato, sez. IV, n. 1230/2005.

22 Fra i tanti contributi, cfr. CAVALLARO, Sulla natura

giuridica dell’atto di conferimento dell’incarico dirigenziale, in Dir.

(36)

36

La revoca di tali incarichi dirigenziali invece, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio,

23

può essere disposta prima della naturale scadenza solamente “in relazione alla gravità dei casi”, ovvero in presenza di macroscopica responsabilità per il mancato raggiungimento dei risultati e degli obiettivi prospettati

24

. Unica eccezione alla regola che abbiamo appena descritto è rappresentata dai meccanismi di spoils system, ovvero dalla cessazione automatica dell'incarico al verificarsi del cambio di legislatura o di Governo, applicabili solo però agli incarichi apicali della dirigenza. La Corte costituzionale ha infatti limitato simili meccanismi che incidano sulla durata degli incarichi e deroghino al principio di separazione tra politica e amministrazione, ai soli ruoli affidati intuitu personae, con il fine di garantire i principi di ragionevolezza e imparzialità

amm., 2006, 3, 685 ss.; CAROLA, Il giudice ordinario e il potere di annullamento del conferimento di incarichi dirigenziali, in Giust.

civ., 2005, 9, 1952 ss.; OLIVERI, La natura giuridica del provvedimento di conferimento degli incarichi dirigenziali, ai sensi dell’articolo 19 del d.lgs 165/2001, in www.lexitalia.it nr. 4/2003.

23 Art. 19,co. 1 ter, D.Lgs. 165/2001.

24 La Corte costituzionale ha inoltre chiarito, non in modo isolato, ma con ben sei pronunce, la n. 233/2006, la n. 103/2007, la n. 104/ 2007, la n. 161/2008, la n. 351/ 2008, la n. 390/2008, che la revoca dell'incarico deve necessariamente essere accompagnata da una motivazione e una seria procedimentalizzazione che garantisca al dirigente le regole del

“giusto procedimento”.

(37)

37

e buon andamento della p.a. sanciti dagli artt. 3 e 97 Cost..

Ecco un estratto delle parole della Corte nella sentenza n.

34/2010: “le disposizioni legislative che ricollegano al rinnovo dell’organo politico l’automatica decadenza di titolari di uffici amministrativi (c.d. spoils system) sono compatibili con l’art. 97 Cost. qualora si riferiscano a soggetti che: a) siano titolari di «organi di vertice»

dell’amministrazione e b) debbano essere nominati intuitu

personae, cioè sulla base di «valutazioni personali coerenti

all’indirizzo politico regionale». In secondo luogo, tale

principio è stato applicato, con riferimento a molte e diverse

categorie di soggetti, comprese nell’ampia elencazione

contenuta nella disposizione regionale censurata,

considerate nel loro insieme e senza una valutazione

specificamente riferita a ciascuna figura. La successiva

giurisprudenza costituzionale, nel confermare il principio

sviluppato nella sentenza n. 233 del 2006, ne ha precisato

la portata. In termini generali, questa Corte ha innanzitutto

chiarito che i predetti meccanismi di c.d. spoils system, ove

riferiti a figure dirigenziali non apicali, ovvero a titolari di

uffici amministrativi per la cui scelta l’ordinamento non

attribuisce, in ragione delle loro funzioni, rilievo esclusivo o

prevalente al criterio della personale adesione del nominato

(38)

38

agli orientamenti politici del titolare dell’organo che nomina, si pongono in contrasto con l’art. 97 Cost., in quanto pregiudicano la continuità dell’azione amministrativa, introducono in quest’ultima un elemento di parzialità, sottraggono al soggetto dichiarato decaduto dall’incarico le garanzie del giusto procedimento e svincolano la rimozione del dirigente dall’accertamento oggettivo dei risultati conseguiti (sentenze n. 390, n. 351 e n. 161 del 2008;

sentenze n. 104 e n. 103 del 2007)”.

(39)

39

CAPITOLO II

La responsabilità connessa all'esercizio delle funzioni dirigenziali.

Sommario: 1. Le peculiari caratteristiche della responsabilità dirigenziale; 2. Le nuove forme di responsabilità dirigenziale introdotte dal D.lgs. 150/2009;

3. Le sanzioni disciplinari e le garanzie procedimentali al licenziamento del dirigente.

1. Le peculiari caratteristiche della responsabilità dirigenziale.

Il continuo susseguirsi di provvedimenti legislativi sulla materia disciplinare ha notevolmente influito, in modo negativo, sul corretto funzionamento del delicato sistema disciplinare della p.a., tanto da attirare l'attenzione perfino della Corte dei conti.

25

La Corte ha pesantemente criticato

25 Corte conti: sez.contr. n.7 del 2006; n. 25/01/6,20 giugno

2001; sez.contr.st. 25 giugno 1999, n.60 in giorn.dir.amm., 1999,

1214; sez.contr.st. 26 marzo1998, n.23, in Riv.C.conti, 1998, n.3,

I, 14; 4 aprile 1997, n. 70, in riv.C.conti, 1997, n.3, I, 26.

(40)

40

lo status caratterizzato da un generalizzato atteggiamento lassista della dirigenza e dal mal funzionamento dei collegi arbitrali disciplinari, i c.d. CAD, caratterizzati da un perdonismo del tutto non giustificato accompagnato da vere e proprie derubricazioni di illeciti, anche gravi, basate esclusivamente su motivazioni spesso bizzarre.

L'importanza di un approccio più severo e intransigente al procedimento disciplinare è stato rimarcato anche da autorevole dottrina che così si è aspramente espressa:

“dove vi è un forte interesse del datore ad ottenere alti livelli di produttività è molto più frequente anche la vigilanza su comportamenti illeciti rilevanti dal punto di vista disciplinare, mentre, dove il datore non è interessato a conseguire un'alta produttività anche la attenzione verso il fatto disciplinare è scadente”. A maggior ragione questo vale per le pp.aa. che in quanto svolgono quelle attività che sono loro riservate per legge, non sono in competizione con nessuno: l'interesse a perseguire la devianza disciplinare è dunque interesse massimo.

26

La nuova disciplina introdotta dal d.lgs. 150/2009, come abbiamo avuto modo già di accennare nel precedente

26 LIGNANI, La responsabilità disciplinare dei dipendenti

dell'amministrazione statale, in AA.VV., a cura di SORACE, Le

responsabilità pubbliche, Padova, 1998.

(41)

41

capitolo di questo elaborato, ha voluto attribuire un ruolo preminente al sistema di valutazione della dirigenza, fondandolo sui criteri del merito e della qualità delle prestazioni.

Tale orientamento era a dire il vero già presente nella seconda fase della riforma della p.a. degli anni '90, momento in cui il legislatore aveva attribuito alla valutazione della prestazione dirigenziale un ruolo centrale nel disegno legislativo, ma non certo con tale veemenza.

Il nuovo decreto legislativo infatti conferma l'importanza della procedura di valutazione sotto due innovativi profili:

uno in previsione della erogazione della retribuzione connessa al risultato e l'altro, proprio in relazione al tema della nostra analisi, di rilevazione della responsabilità dirigenziale.

Ci apprestiamo quindi ad analizzare i caratteri della ottimale prestazione dirigenziale e delle forme di responsabilità che conseguono dall'allontanamento da tale modello paradigmatico, rimandando l'analisi del complessivo sistema della valutazione della performance della p.a. al prossimo capitolo dell'elaborato.

Il contenuto della responsabilità dirigenziale è identificabile

in una serie graduata di obiettivi che possono dar luogo “al

(42)

42

mancato raggiungimento degli obiettivi, accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione … ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente (art.21 decreto 165)” e sia il primo che la seconda comportano così come recita la normativa “l'impossibilità di riconferma dello stesso incarico“ e “in relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli di cui all'art.23, ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo”.

Essa ha come scopo principale quello di dare vita, nel complesso ambito della p.a., ad una responsabilità non tanto legata al generico rispetto di regole di tipo meramente formale, ma piuttosto al raggiungimento dell'obiettivo che i risultati dell'azione dell'ufficio siano rispondenti ai risultati attesi sotto il punto di vista sia quantitativo che qualitativo.

Nello svolgere la propria attività lavorativa il dirigente può

quindi incorrere in diverse infrazioni che coinvolgono

svariate forme di responsabilità: quella amministrativa,

quella amministrativa/contabile, quella penale, quella

disciplinare e infine quella dirigenziale. Quest'ultima, è bene

precisarlo, assume a tutti gli effetti le caratteristiche di una

(43)

43

responsabilità aggiuntiva rispetto alle altre, venendo a sanzionare l' incapacità manageriale del dirigente pubblico, così come espresso dall'art. 21, co.1, D.lgs. n. 165/2001, che può consistere o nel “mancato raggiungimento degli obiettivi“ ovvero in una “inosservanza delle direttive imputabile al dirigente”. Al dirigente, dunque, ferma restando la responsabilità disciplinare potrà essere contestata una responsabilità dirigenziale, che si colloca non come alternativa ma come forma diversa e complementare di responsabilità volta proprio a sanzionare, come dicevamo l'incapacità dimostrata dal dirigente ovvero la sua assoluta inidoneità a realizzare gli obiettivi.

Proprio riguardo a questa peculiare caratteristica la responsabilità dirigenziale si differenzia da quella disciplinare che è invece connessa con l'inadempimento degli obblighi nascenti dal contratto di lavoro.

Vediamo dunque in che cosa consiste la responsabilità disciplinare al fine di meglio definire i contorni anche di quella dirigenziale.

La responsabilità disciplinare

27

è quella forma di

27 Tra i più significativi contributi sulla materia della

responsabilità disciplinare “privatizzata“ cfr. TENORE, Gli illeciti

disciplinari dei pubblici dipendenti (nella giurisprudenza del g.o. e

Corte dei conti), Roma, 2007; NOVIELLO, TENORE, La

responsabilità e il procedimento disciplinare del pubblico impiego

(44)

44

responsabilità in cui può incorrere il lavoratore che non ottempera agli obblighi contrattuali assunti, e che può sfociare nella applicazione da parte del datore di lavoro di diverse sanzioni di tipo conservativo o espulsivo a carico del lavoratore inadempiente.

La natura giuridica del procedimento sanzionatorio applicata dal datore sul lavoratore all'interno della p.a. è ormai del tutto fuori dalla logica “pubblicistica”, ovvero di “un procedimento amministrativo che rappresenta una speciale forma di controllo della P.A. nei confronti dei suoi dipendenti”, e si configura ormai pacificamente come atto di natura privatistica. Sia la giurisprudenza di merito

28

che la dottrina

29

hanno infatti entrambe sostenuto l'orientamento secondo il quale gli atti di gestione del personale non vadano intesi come atti assimilabili ai provvedimenti amministrativi ma come atti di natura privatistica. Tale

privatizzato, Milano, 2002; DI PAOLA, Il potere disciplinare del lavoro privato e nel pubblico impiego privatizzato, Milano, 2006.

28 Cfr. Pret. Bari, ord. Dic. 1998, in lav.nella P.A., 1999, 375 nota di RICARDI; Pret. Venezi, ord. 21 Aprile 1999, 837 nota di VIANELLO; Trib. Pistoia, ord. 24 Gennaio 2001, in Lav. Giur., 2002, 290.

29 LISO, La più recente giurisprudenza sul lavoro pubblico.

Spunti critici, in Arg.dir.lav., 1998, 204; D'ANTONA, Contratto collettivo, sindacati e processo del lavoro dopo la seconda privatizzazione del pubblico impiego (osservazioni sul d.lgs. n.

396 del 1997, n. 80 del 1998 e 387 del 1998), in foro it., 1999, I,

621.

(45)

45

orientamento ha, come è facile immaginare, delle conseguenze non irrilevanti: fa risultare non necessaria l'applicazione a questo tipo di procedure disciplinare delle norme sul procedimento amministrativo di cui alla L. n. 241 del 1990; ad esso si applica il principio di autotutela; in capo ai dipendenti pubblici sono configurabili diritti soggettivi e non interessi pubblici.

Tale ricostruzione è inoltre pienamente accolta anche dalle Sezioni Unite della Cassazione, che con numerose pronunce, devolve tutte le relative controversie al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro.

Sei sono i principi su cui si basa il procedimento disciplinare:

 l'obbligatorietà dell'azione. Al contrario di quanto

strettamente previsto nell'impiego privato dove la

decisione se sanzionare o meno il lavoratore è

affidata al datore, in quanto espressione di

prerogative manageriali, nell'ambito del rapporto di

lavoro presso una p.a. la mancata attuazione

tempestiva di procedimenti disciplinari, per

qualsivoglia motivo, è causa di responsabilità

disciplinare amministrativo/contabile, e perfino

penale in capo all'inerte;

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