I
INDICE
PARTE PRIMA - INTRODUZIONE ALLE REVISIONI ... 1
1.1. LA TIROIDE ... 1
1.1.1. CENNI ANATOMICI ... 1
1.1.2. CENNI DI CITOLOGIA E FISIOLOGIA CELLULARE... 3
1.1.2.1. I TIREOCITI ... 3
1.1.2.2. LE CELLULE C ... 6
1.1.3. EMBRIOGENESI ... 8
1.1.3.1. L’ORIGINE DELLA TIROIDE E DELLE CELLULE FOLLICOLARI E PARAFOLLICOLARI ... 8
1.1.3.2. NUOVI SCENARI SULL’ORIGINE DELLE CELLULE C...10
1.2. I CARCINOMI DELLA TIROIDE ...13
1.2.1 INTRODUZIONE AI TUMORI DELLA TIROIDE ...13
1.2.2. IL PERCORSO DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO ...15
1.2.3. I CARCINOMI DIFFERENZIATI DELLA TIROIDE E IL CARCINOMA MIDOLLARE ...22
1.2.3.1 I TUMORI DIFFERENZIATI DELLA TIROIDE A CELLULE FOLLICOLARI ...23
1.2.3.2. IL CARCINOMA MIDOLLARE ...27
1.3. LA GENETICA DEI TUMORI DELLA TIROIDE ...31
1.3.1. TUMORI TIROIDEI ORIGINATI DA CELLULE FOLLICOLARI ...31
1.3.1.1. NUOVE SCOPERTE ...36
1.3.1.2. MUTAZIONI CANCEROGENE ED EZIOLOGIA...37
1.3.2. I TUMORI ORIGINATI DALLE CELL C ...38
SECONDA PARTE - PRESENZA SIMULTANEA DI CARCINOMA PAPILLARE E MIDOLLARE DELLA TIROIDE NELLO STESSO PAZIENTE: REVISIONE DELLA LETTERATURA ... 43
2.1. INTRODUZIONE ...43
2.2. TERMINOLOGIA ...45
2.3. ANATOMIA ...45
2.4. EZIOLOGIA ...48
2.4.1. IPOTESI DI ESISTENZA DI UN PROGENITORE COMUNE ...49
II
2.4.3. IPOTESI DI ESISTENZA DI MUTAZIONI COMUNI ...52
2.5. GENETICA DEI TUMORI SIMULTANEI PTC e MTC ...52
2.6. EPIDEMIOLOGIA ...56
2.7. ASPETTI CLINICI, DIAGNOSTICI E TERAPEUTICI DI PTC/MTC ...61
PARTE TERZA - REVISIONE DI 5 CASI CLINICI E CONFRONTO CON I DATI IN LETTERATURA ... 66
3.1. REVISIONE DI CASI CLINICI ...66
3.2. ANALISI DEI DATI RACCOLTI ...72
3.3. CONFRONTO DEI NOSTRI DATI CON QUELLI RACCOLTI IN LETTERATURA ...74
CONCLUSIONI ... 77
III
INDICE DI FIGURE E TABELLE
Figura 1 Follicolo Tiroideo ...6
Figura 2 Cellule C ...8
Tabella Riassuntiva numero 1 I Carcinomi a cellule follicolari ... 23
Figura 3 Carcinoma Papillare... 26
Tabella Riassuntiva Numero 2 Il Carcinoma Midollare ... 27
Figura 4 Carcinoma Midollare ... 30
Figure 5 MMFTC ... 46
Figura 6 MMFTC componenete papillare ... 47
Figura 7 MMFTC componente midollare ... 47
Tabella Riassuntiva Numero 3 Mutazioni Oncogeni BRAF, RAS, RET ... 52
Tabella Riassuntiva Numero 4 Casi clinici ... 71
Tabella Riassuntiva Numero 5 Confronto tra i dati in letteratura ... 74
Tabella Riassuntiva Numero 6 Confronto tra i dati in letteratura ... 75
1
PARTE PRIMA
INTRODUZIONE ALLE REVISIONI
1.1. LA TIROIDE
Nei sottoparagrafi 1,2,3 del paragrafo 1.1. vengono trattati argomenti condivisi da tutta la comunità scientifica e riscontrabili sui comuni testi di studio. 1-5
La tiroide è una ghiandola endocrina costituita da due diverse componenti cellulari: - La prima, rappresentata dalle cellule follicolari, è deputata alla produzione degli
ormoni tiroidei.
- La seconda, rappresentata dalle cellule C o parafollicolari, produce calcitonina e altri ormoni tra cui i principali sono: serotonina, somatostatina e GRP (peptide di rilascio per gastrina).
1.1.1. CENNI ANATOMICI
La tiroide è un organo impari e mediano situato nella regione anteriore del collo.
Macroscopicamente appare costituita da due lobi, destro e sinistro, di forma conica a base inferiore e uniti anteriormente da una porzione detta “istmo” che decorre al di sotto della laringe, al davanti dei primi due semianelli tracheali.
La ghiandola si presenta con una superficie di colore rosso brunastro e di consistenza molle.
Età, sesso e fattori ambientali ne influenzano il peso e le dimensioni: nell’adulto il suo peso può variare da 15 a 25 g e i lobi, che si estendono da metà altezza della cartilagine tiroidea sino a circa il 5° anello tracheale, misurano circa 4 cm di lunghezza con uno spessore che varia da 0,5 cm all'apice fino a 2 cm alla base.
Nella metà dei casi, dal margine superiore dell'istmo si diparte un prolungamento ghiandolare, di forma e dimensioni molto variabili, che si dirige in alto raggiungendo l'osso ioide e talvolta superandolo verso la radice della lingua: tale prolungamento prende
2 il nome di lobo piramidale o piramide di Morgagni e, come spiegheremo più avanti, è un residuo del percorso compiuto dalla ghiandola durante la sua organogenesi.
La tiroide è rivestita esternamente da una capsula connettivale fibrosa dalla quale originano sottili setti fibrosi che, addentrandosi nel parenchima, lo suddividono in spazi irregolari detti lobuli.
Istologicamente possiamo notare come ciascun lobulo contenga dei follicoli tiroidei, ciascuno dei quali rappresenta l’unità morfo-funzionale della ghiandola.
I follicoli sono formazioni vescicolari di forma grossolanamente sferica od ovale la cui parete è formata da un unico strato di cellule, dette cellule follicolari, mentre al loro interno è contenuta una sostanza amorfa, detta colloide, di natura glicoproteica e PAS positiva.
I follicoli possono variare per dimensioni, caratteri dell’epitelio e caratteri della colloide presente al loro interno. Tra questa varietà distinguiamo:
- I macrofollicoli, che hanno notevoli dimensioni, epitelio piatto e colloide intensamente cromofila in cui vengono accumulati gli ormoni tiroidei.
- I microfollicoli, che hanno una parete formata da epitelio cubico e contengono quantità variabili di colloide scarsamente cromofila. In questi le cellule follicolari sono attivamente impegnate a riversare in circolo gli ormoni tiroidei.
Le cellule follicolari o tireociti costituiscono l’epitelio del follicolo tiroideo che poggia sulla membrana basale, la quale delimita il follicolo stesso.
All’esterno della membrana basale troviamo lo stroma perifollicolare con i capillari. Le cellule C o parafollicolari, costituenti la seconda componente endocrina della ghiandola tiroidea, si possono ritrovare sia all’interno dei follicoli tiroidei, tra i tireociti della parete follicolare, sia all’interno dell’interstizio perifollicolare disposte a formare piccoli gruppi.
Nella tiroide i vasi decorrono all’interno dei setti fibrosi. La vascolarizzazione arteriosa dipende dalle arterie tiroidee superiori, rami delle carotidi esterne, e dalle tiroidee inferiori, rami del tronco tireocervicale delle succlavie. Il drenaggio venoso avviene, invece, tramite un ricco plesso situato nello spazio peritiroideo che drena, per mezzo delle vene tiroidee superiori e medie, alle vene giugulari interne e, per mezzo delle vene tiroidee inferiori, alle vene anonime.
3 Dallo spazio perifollicolare origina la rete linfatica che drena nei vasi linfatici della capsula, tributari a loro volta dei linfonodi della catena giugulare interna, dei linfonodi paratracheali e di quelli pretracheali.
La tiroide è innervata sia dal sistema nervoso adrenergico che da quello colinergico. Le fibre afferenti giungono a essa per mezzo dei nervi laringeo superiore e inferiore e regolano il sistema vasomotorio, modulando il flusso di sangue che giunge alla tiroide. Anomalie dello sviluppo embrionale sono responsabili di anomalie di forma e localizzazione della ghiandola, come, ad esempio, la presenza del lobo piramidale, di tessuto tiroideo ectopico e/o l’assenza (parziale o completa) di tessuto tiroideo in sede.
1.1.2. CENNI DI CITOLOGIA E FISIOLOGIA CELLULARE
1.1.2.1. I TIREOCITI
I tireociti o cellule follicolari sono le cellule responsabili della produzione e del rilascio in circolo degli ormoni tiroidei.
Tali cellule formano, come indicato in precedenza, un epitelio monostratificato polarizzato. La base cellulare poggia su una membrana basale oltre la quale si trova lo stroma perifollicolare contenente la rete linfatica e i capillari nei quali vengono riversati gli ormoni prodotti.
Il margine libero dei tireociti è dotato di microvilli e si affaccia nella cavità follicolare ripiena di colloide in cui vengono accumulati gli ormoni prodotti.
La morfologia del tireocita varia a seconda del suo stato funzionale: in condizioni fisiologiche la sua forma è cubica o colonnare, il nucleo è in posizione centrale o eccentrica, nel citoplasma si possono osservare numerosi mitocondri e lisosomi, l’ apparato del Golgi è ben sviluppato, ed è possibile osservare frequente presenza di granuli contenenti colloide, reattivi alle colorazioni specifiche.
In condizioni di ridotta funzione, le cellule possono assumere un aspetto piatto-squamoso e il numero di organelli citoplasmatici può diminuire.
L’attività della ghiandola tiroidea è regolata da numerosi feedback, positivi e negativi. Il feedback positivo è rappresentato dall’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide: l’ipotalamo rilascia dai nuclei sopraottico e paraventricolare il TRH, o fattore di rilascio della
4 tireotropina, che stimola la produzione di TSH (ormone tiroide stimolante o tireotropina) a livello dell’adenoipofisi. Il TSH ha un’azione trofica sul parenchima tiroideo e su questo agisce stimolando sia la produzione che la liberazione nel circolo sanguigno degli ormoni tiroidei.
Il recettore per il TSH è un recettore transmembranale associato a proteina Gs.
Il legame del recettore con TSH determina l’attivazione della proteina Gs e, quindi, il segnale di trasduzione intracellulare è mantenuto dall’aumento dei livelli del secondo messaggero rappresentato da cAMP (adenosina monofosfato ciclico).
Gli ormoni tiroidei invece hanno un’azione a feedback negativo sia sull’ipotalamo che sull’ipofisi.
Il processo di sintesi degli ormoni tiroidei ha inizio con la captazione dello iodio circolante tramite il funzionamento di una pompa ionica di cotrasporto sodio/iodio presente sulla membrana basale del tireocita. La pompa, sfruttando il gradiente elettrochimico favorevole del sodio, permette al tireocita d’internalizzare lo iodio raggiungendo concentrazioni intracellulari decine di volte superiori a quelle ematiche. Gli ioni ioduro vengono trasportati nel lume follicolare, all’interno della collide, grazie ad una pompa ionica presente sulla membrana apicale del tireocita, detta pendrina.
Successivamente la tireoperossidasi (TPO), proteina di membrana che si affaccia nel lume follicolare, catalizza alcune reazioni tra cui quella di organificazione dello iodio e incorporazione di quest’ultimo nella tireoglobulina.
La tireoglobulina è una glicoproteina ad alto peso molecolare che, sintetizzata nel tireocita, viene raccolta in vescicole e riversata nel lume follicolare tramite un meccanismo di esocitosi. Lo iodio viene legato ai gruppi laterali dei suoi residui tirosinici: dapprima un atomo di iodio si unisce all'anello benzenico del gruppo laterale della tirosina in posizione 3', formando la 3-monoiodotirosina, successivamente può unirsene un secondo in posizione 5', formando la 3,5-diiodotirosina.
I gruppi laterali iodati vengono poi riassemblati, attraverso un meccanismo di condensazione ossidativa, formando i due ormoni tiroidei: la triiodotironina (T3) e la tiroxina (T4), ancora legate alla struttura glicoproteica della tireoglobulina.
5 Tramite un meccanismo di pinocitosi queste molecole vengono internalizzate nuovamente dalla cellula follicolare, all’internalizzazione segue la fusione delle vescicole con i lisosomi cellulari con formazione di fagolisosomi.
All’interno di questi ultimi gli enzimi lisosomiali separano per proteolisi gli ormoni tiroidei dalla tireoglobulina, rendendoli disponibili per la successiva liberazione nel circolo sanguigno, mentre le altre parti della tireoglobulina e lo iodio in eccesso vengono recuperati per un nuovo processo di sintesi.
Gli ormoni tiroidei T3 eT4 vengono rilasciati in circolo in rapporto di 1:10.
La maggior parte di questi si lega a proteine circolanti, come la TBG (globulina legante tiroxina) o la transtiretina, con un legame reversibile che serve per mantenere entro range limitati le concentrazioni di ormone libero.
Entrambi gli ormoni sono in grado di legarsi al recettore intracellulare per gli ormoni tiroidei, ma la T3 vi si lega con un’affinità dieci volte superiore rispetto alla T4 e per tanto ha un’attività maggiore.
A livello periferico la T4 viene trasformata in T3 dall’enzima deiodasi; attraverso questo meccanismo viene prodotta l’80% della T3 circolante.
Dopo l’interazione legando-recettore, il complesso ormone-recettore si trasferisce nel nucleo in cui si lega ai TRE (thyroid response elements), presenti sui geni bersaglio, determinandone la trascrizione.
Gli ormoni tiroidei sono responsabili di aumentato metabolismo cellulare e basale con un aumentato consumo di ossigeno e un innalzamento della temperatura corporea; della stimolazione del catabolismo dei carboidrati e dei lipidi e della promozione della sintesi proteica.
Durante lo sviluppo fetale e nei primi anni di vita sono responsabili della formazione del SNC (sistema nervoso centrale). Nell’età evolutiva partecipano al processo di crescita statuaria e nell’adulto le loro concentrazioni sono proporzionali alla densità sinaptica.
6
Figura 1: Reperto istologico di tiroide mostrante follicoli tiroidei attivi.
Fonte: UCLA Histology Collection. Creatore: Gorski Roger A., PhD, Professor of Neurobiology, Director Laboratory of Neuroendocrinology, Brain Research Institute, UCLA.
1.1.2.2. LE CELLULE C
Le cellule parafollicolari o cellule C rappresentano la seconda componente endocrina della ghiandola tiroidea, queste cellule producono sia calcitonina, sia una serie di ormoni tra cui serotonina, somatostatina e GRP.
Nei mammiferi queste cellule si localizzano all’interno della tiroide mentre nei vertebrati inferiori si assemblano a formare ghiandole autonome.
Le cellule C sono comunemente riconosciute come cellule neuroendocrine specializzate, originate dal neuroectoderma delle creste neurali.
Le cellule neuroendocrine sono cellule caratterizzate da un doppio fenotipo: endocrino e nervoso.
In seguito all’elaborazione di stimoli esterni, queste cellule sono capaci di sintetizzare e rilasciare sia uno o più ormoni, come le cellule endocrine, sia sostanze ritenute neurotrasmettitori, proprio come le cellule nervose (anche se, nel caso delle cellule C, il ruolo di queste sostanze neurotrasmettitrici sembra essere di tipo endocrino-paracrino).
7 Il doppio fenotipo è riconosciuto con tecniche immunoistochimiche: le cellule neuroendocrine risultano essere, infatti, positive sia all’ormone specifico da esse prodotto (calcitonina per le cellule C), sia ai marker specifici riconducibili all’origine neuroectodermica di queste cellule, come la neurofisina, la sinaptofisina A, la cromogranina e l’enolasi neurone specifica.
Per la loro capacità di captare e decarbossilare i precursori delle amine biogene, le cellule neuroendocrine costituiscono il sistema chiamato APUD (Amine Precursor Uptake and Decarboxylation).
Morfologicamente si presentano come cellule di forma rotondeggiante e possiedono un numero di granuli secretori citoplasmatici dipendente dal grado di attività delle cellule. Questi granuli sono visibili al microscopio elettronico in cui appaiono con la zona centrale elettrondensa e quella periferica più chiara.
Per essere riconosciute, le cellule C, richiedono l'uso di tecniche di rilevazione specifiche tra queste la più utilizzata è quella immunoistochimica in cui le cellule C si caratterizzano per la positività, già ricordata, alla neurofisina, sinaptofisina A, cromogranina, enolasi neurone specifica e calcitonina.
Fisiologicamente le cellule parafollicolari hanno una duplice funzione: producono ormoni peptidici che sono in grado di influire sulla fisiologia dei vicini tireociti e, tramite la produzione dell'ormone calcitonina, sono coinvolte nei meccanismi di regolazione della calcemia.
L’effetto principale della calcitonina è di ridurre la concentrazione di calcio nel sangue, per cui la sua azione risulta essere antagonista a quella del paratormone secreto dalle ghiandole paratiroidi.
Il principale organo bersaglio della calcitonina è il tessuto osseo, a questo livello, tramite l’inibizione dell’attività osteoclastica, è ridotto il riassorbimento osseo e di conseguenza il rilascio in circolo degli ioni calcio e fosfato.
Altri organi bersaglio sono i reni e l’apparato gastro-intestinale. A livello renale la calcitonina stimola l'eliminazione tubulare di calcio, inibisce il riassorbimento tubulare dei fosfati e inibisce l’enzima alfa1-idrossilasi impedendo così l’attivazione della vitamina D. Quest’azione a livello intestinale limita indirettamente l’assorbimento di calcio che fisiologicamente è mediato dalla vitamina D.
8 La regolazione della concentrazione della calcitonina nel sangue è definita con feed-back negativo dai livelli di calcio plasmatico che, se bassi, inibiscono la secrezione dell'ormone, mentre, se alti, ne aumentano la secrezione. La secrezione di calcitonina è anche stimolata dall’azione della gastrina e della pentagastrina.
Figura 2: Referto istologico mostrante, in nero, le cellule parafollicolari secernenti calcitonina. Fonte: UCLA Histology Collection. Creatore: Gorski Roger A., PhD, Professor of Neurobiology,
Director Laboratory of Neuroendocrinology, Brain Research Institute, UCLA.
1.1.3. EMBRIOGENESI
1.1.3.1. L’ORIGINE DELLA TIROIDE E DELLE CELLULE FOLLICOLARI E PARAFOLLICOLARI
La tiroide origina dall’entoderma dell’intestino primitivo, precisamente dall’intestino faringeo, situato nell’embrione internamente rispetto agli archi branchiali.
Da questo entoderma durante la terza settimana di vita embrionale si forma alla base della lingua un abbozzo di tiroide. Questo sporge dalla parete anteriore dell’intestino primitivo, si allunga verso il basso e si canalizza fino a formare un diverticolo detto dotto tireoglosso.
9 Il dotto discende lungo la linea mediana del collo, anteriormente, attraversando la regione dell’osso ioide non ancora formato, fino ad arrivare a quella che sarà la sua sede finale. Completato il processo, il dotto tireoglosso è completamente riassorbito già nella quarta settimana di sviluppo embrionale mentre l’abbozzo tiroideo, arrivato nella sede finale, si fonde con l’entoderma degli ultimi archi branchiali e da origine ai due lobi tiroidei. Nel punto in cui il dotto si è originato, all’apice della V del corpo linguale, tra la radice e il corpo della lingua, rimane un forame a fondo cieco detto appunto “forame cieco”. Porzioni non riassorbite del dotto tireoglosso possono dar luogo al lobo piramidale, oppure, a seconda della differenziazione cellulare, a porzioni di tiroide ectopica o a cisti del dotto tireoglosso.6
Il lobo piramidale o piramide di Morgagni è presente in circa il 50% della popolazione, origina dal margine superiore dell'istmo come un prolungamento ghiandolare di forma e dimensioni molto variabili, si dirige verso l’alto lungo il percorso segnato dal dotto tireoglosso, può raggiungere l'osso ioide e talvolta superarlo fino a raggiungere la radice della lingua.
La non corretta discesa dell’abbozzo tiroideo è associata alla mancanza di tiroide in sede e alla presenza di tiroidi ectopiche che possono essere sublinguali o cervicali, se la discesa non si è completata, o retrosternali o intratimiche, se la discesa è stata eccessiva. Secondo la comunità scientifica le cellule follicolari originano dall’entoderma del dotto tireoglosso mentre le cellule parafollicolari originano dal neuroectoderma della cresta neurale.
I precursori delle cellule C scendono in senso antero-mediale dalla regione cervicale fino al corpo ultimo branchiale (quarto e quinto arco branchiale) e successivamente, con la fusione del corpo ultimo branchiale con la tiroide in formazione, entrano a far parte della ghiandola.
Le cellule parafollicolari C migrano nei due terzi superiori e laterali dei lobi tiroidei, nell’adulto rimangono limitate alle aree postero-superiori-mediane della ghiandola.
10
1.1.3.2. NUOVI SCENARI SULL’ORIGINE DELLE CELLULE C
Nel 2016 Nilsson M e Williams D.7 nel loro lavoro sostengono che le cellule C non originino dalla cresta neurale ma, alla luce di studi genetici di lineage tracing 8 sui topi, sostengono che i veri progenitori delle cellule C sorgerebbero dallo strato entodermico dell’ultimo arco branchiale.
Se questa teoria fosse confermata, si aprirebbero nuove interpretazioni sull’istogenesi della ghiandola tiroidea e anche su quella dei suoi tumori.
Nell’articolo gli autori illustrano come il concetto generale per cui le cellule C originino dalla cresta neurale fu ipotizzato per primo da Pearse in una serie di studi9-11 sulla base di alcune osservazioni tra cui:
- l’esistenza di una condivisione di biomarkers tra le cellule della cresta neurale e le cellule del corpo ultimobranchiale
- la necessaria fusione tra il corpo ultimobranchiale e la tiroide per la localizzazione tiroidea delle cellule C
- la presenza di caratteristiche comuni tra le cellule C e le cellule nervose originate dalla cresta neurale.
Queste osservazioni trovano conferma nello studio di Le Dourain N. et al.12,13, che indagano il destino delle cellule della cresta neurale tramite lo sviluppo di un modello chimerico aviario. In questo studio, dopo il trapianto di cellule della cresta neurale di quaglia in un embrione di pollo, gli autori hanno riscontrato la presenza nell’embrione di pollo a livello dell’ultimo corpo branchiale di cellule positive alla calcitonina e con il nucleo di cellula di quaglia.
Attualmente le cellule C vengono considerate neuro-endocrine perché condividono con le altre cellule originate dalla cresta neurale caratteristiche morfologiche, fisiologiche e patologiche tipiche, infatti, anche le forme tumorali derivanti da cellule neuroendocrine presentano un comportamento biologico simile.
Secondo Nilsson M e Williams D.7 le osservazioni di Pearse sarebbero circostanziali, le conclusioni dell’esperimento di Le Dourain errate e la somiglianza fisiologica e patologica tra le cellule C e le altre cellule originate dalla cresta neurale avrebbero un’altra spiegazione rispetto a quella della medesima origine embrionale.
11 Gli autori dell’articolo riportano dapprima osservazioni filogenetiche a supporto di una non necessaria presenza della cresta neurale per lo sviluppo e la differenziazione delle cellule C, in seguito indicazioni sull’origine dei precursori delle cellule C dall’entoderma del corpo ultimobranchiale e, infine, osservazioni che spingono a pensare che una quota di cellule C origini direttamente dal dotto tireoglosso.
Per il primo punto si osserva che per il controllo della calcemia nelle specie acquatiche, le cellule C sarebbero comparse precedentemente, nel corso dell’evoluzione, rispetto alle paratiroidi, suggerendo così una loro organogenesi indipendente rispetto alle altre strutture dell’intestino faringeo che richiedono, invece, il contributo della cresta neurale per il loro sviluppo.14
Gli autori fanno notare come cellule producenti calcitonina sarebbero state individuate anche nei non-vertebrati, nei quali non è stata ancora riconosciuta la presenza, durante lo sviluppo embrionale, di una struttura riconducibile alla cresta neurale. 15
Per il secondo punto sono riportati studi di lineage tracing 8 sui topi in cui sono state marcate le cellule premigratorie della cresta neurale Wnt1 positive.
Con questa tecnica è stato possibile tracciare il percorso di tali cellule che hanno avuto differenti destinazioni tra cui anche ghiandole endocrine originate dall’intestino faringeo, tra cui la tiroide stessa.
Le cellule C tiroidee, tuttavia, non appartengono alla linea cellulare delle creste neurali Wnt1 positiva e in ogni caso, secondo gli autori, le cellule della cresta neurale arrivate all’interno di tiroide, timo e paratiroidi del topo, hanno partecipato alla formazione dello stroma e non del parenchima.
Gli autori riportano l’individuazione di cellule C positive a Sox17, un fattore di trascrizione membro della SRY-related HGM box family espresso nell’entoderma indifferenziato.
Sox17 sarebbe espresso anche nell’ultimo corpo branchiale e nella tiroide ma non nella cresta neurale.16
Gli autori, infine, riportano a livello molecolare l’espressione uniforme e ubiquitaria nelle cellule del corpo ultimo branchiale, al momento della fusione con la tiroide, di Nkx2 (il gene che regola nelle cellule C la produzione di calcitonina) e di Foxa1 Foxa2 (espressi normalmente nell’endoderma in sviluppo).16
12 Questo porta gli autori a sostenere la medesima origine delle cellule C e delle cellule follicolari e spiega il perché della presenza di cellule C e parafollicolari nelle cisti del corpo ultimo branchiale nei pazienti con tiroide ectopica sublinguale.17
Nelle specie anfibie la plasticità del corpo ultimo branchiale è evidente, le cellule possiedono una pluripotenza che consente di differenziarsi sia in cellule C che in cellule follicolari.18
Per il terzo punto gli autori presentano alcune situazioni che permetto di ipotizzare che una piccola porzione delle cellule C possa derivare dall’entoderma del dotto tireoglosso, come la presenza di cellule C in una tiroide sublinguale o, in pazienti con anomalia di sviluppo degli archi branchiali, la presenza, anche se ridotta, di una quota di cellule C nella tiroide.19,20
Gli autori spiegano come non debba sorprendere la somiglianza delle cellule C con le cellule nervose, perché la loro capacità, condivisa con le cellule nervose, di captare e decarbossilare i precursori delle amine biogene, rappresenterebbe non la prova dell’origine comune quanto la capacità del nostro organismo di utilizzare lo stesso meccanismo molecolare per differenti funzioni (quella endocrina e quella nervosa). Nelle cellule endocrine la presenza di questo meccanismo sarebbe indispensabile per evitare il clivaggio prematuro dei preormoni e le sostanze finali prodotte avrebbero azione paracrina e non di neurotrasmettitori.21,22
Sempre secondo gli autori la somiglianza e l’associazione del carcinoma midollare della tiroide con, ad esempio, il feocromocitoma (l’altro grande protagonista delle sindromi da neoplasie endocrine multiple - MEN2) derivato dalla midollare del surrene non è prova della comune origine ma ad accomunarle sarebbe l’espressione del gene RET.
Il gene RET è espresso dalle cellule della cresta neurale23,24 e le cellule della midollare del surrene, che lo esprimono, originano indubbiamente dalle creste neurali.24
L’espressione di RET è presente anche in altri tessuti non collegati alla cresta neurale, a esempio nella gemma uretrale dove RET è importante nell’organogenesi renale (questo spiega la seppur rara presenza di agenesie unilaterali renali nella MEN2).25,26
In questi tessuti positivi per l’espressione del gene RET nell’embrione di topo è compreso anche l’entoderma faringeo.23
13 Per questi motivi nell’articolo si conclude che le anomalie dovute a mutazioni germinali di RET non sono specifiche dei tessuti originati dalla cresta neurale.
1.2. I CARCINOMI DELLA TIROIDE
1.2.1 INTRODUZIONE AI TUMORI DELLA TIROIDE
Il tumore della tiroide è un tumore raro, rappresenta da solo 1-2% di tutte le neoplasie, è però la prima neoplasia endocrina.
Negli ultimi 30 anni si è assistito ad un incremento della sua incidenza che è quasi triplicata negli Stati Uniti e negli altri paesi industrializzati con un valore passato da 3,6/100000 nel 1973 a 8,7/100000 nel 2002.27 La mortalità invece è diminuita.
L’aumento di questa incidenza riguarda esclusivamente il carcinoma papillare ed è da imputare per la maggior parte all’aumento di diagnosi dei micro carcinomi papillari della tiroide (mPTC), ovvero tumori dal diametro <1cm, sebbene i PTC di dimensioni maggiori siano in aumento.
Le cause di questa aumentata incidenza sono solo in parte spiegabili, sicuramente hanno influito:
- il più facile accesso alle tecniche di imaging ultrasonografiche e il loro miglioramento;
- l’aumento del ricorso alla biopsia citologica tramite ago aspirato (FNA= fine needle aspiration)
- la revisione dei criteri istologici per la diagnosi durante gli ultimi 15 anni che hanno reso i criteri sempre meno stretti.
Questi fattori da soli, tuttavia, non riescono a spiegare l’aumento dell’incidenza osservato e molti altri fattori restano ancora sconosciuti.
Un’ulteriore ipotesi, che in ogni caso non spiegherebbe ancora l’incremento dell’incidenza del PTC, potrebbe essere l’aumento del ricorso alle radiazioni ionizzanti in ambito diagnostico e terapeutico.28
14 I tumori primitivi della tiroide possono originare da diverse cellule 28,29, distinguiamo quelli a insorgenza dalle cellule epiteliali del parenchima tiroideo e quelli a insorgenza dalle cellule non epiteliali della tiroide.
Tra i tumori che originano da cellule non epiteliali i più frequenti sono rappresentati dal linfoma maligno che ha una prevalenza del 1-2% su tutti i tumori tiroidei e del 3% su tutti i linfomi non Hodgkin.
Altri rari tumori mesenchimali si distinguono in forme benigne, come leiomioma, angiomiolipoma e linfangioma, e forme maligne, come angiosarcoma, leiomiosarcoma, liposarcoma e osteosarcoma.
Tra i tumori originati dalle cellule epiteliali del parenchima tiroideo distinguiamo due grandi classi:
- i tumori tiroidei originati dalle cellule C o parafollicolari; - i tumori originati dalle cellule follicolari o tireociti.
Insieme questi tumori costituiscono il gruppo dei CARCINOMI TIROIDEI.
Dalle cellule C o parafollicolari origina il Carcinoma Midollare (MTC) che costituisce il 3-5% di tutti i carcinomi tiroidei, secerne calcitonina (l’ormone gioca un ruolo importante nella diagnosi e nel follow-up del paziente trattato), non presenta controparti benigne ed è considerato un tumore neuroendocrino.
L’MTC può essere sporadico oppure ereditario, in quest’ultimo caso può essere presente in una forma familiare (FMTC) o all’interno di sindromi da neoplasie multiple endocrine di tipo 2 (MEN2).
Il secondo gruppo di carcinomi, originati dalle cellule follicolari o tireociti, è rappresentato da tumori benigni e maligni.
I tumori benigni possono essere, o non essere, secernenti e sono detti adenomi tiroidei. I tumori maligni sono distinti sulla base del grado di differenziazione cellulare in:
- tumori tiroidei ben differenziati (DTC) che da soli rappresentano il 90-95% di tutti i carcinomi tiroidei.
15 Sono rappresentati dal PTC presente nel 80-85% dei casi e dal carcinoma follicolare (FTC) presente in un 10-15% dei casi; entrambi presentano varianti che descriveremo in seguito.
- tumori tiroidei scarsamente differenziati, che rappresentano meno del 2% dei casi - tumori indifferenziati o anaplastici, che rappresentano circa l’1-2% dei casi28
Nella progressione da carcinomi differenziati a scarsamente indifferenziati fino agli anaplastici osserviamo progressivamente:
- aumento dell’età media di diagnosi;
- la prevalenza femminile rimane ma si riduce; - peggioramento della prognosi;
- accumulo di mutazioni genetiche.
I tumori scarsamente differenziati o anaplastici possono originare ex-novo o svilupparsi a partire da tumori ben differenziati.28
1.2.2. IL PERCORSO DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO
Anamnesi 27,30,31
Durante l’anamnesi aumentano il sospetto di patologia maligna in pazienti con noduli tiroidei i seguenti elementi:
- anamnesi familiare positiva per carcinoma tiroideo; - anamnesi familiare positiva per FMTC;
- anamnesi familiare positiva per MEN2;
- età giovane o over 70 (il nodulo da maggior sospetto se compare nei bambini, negli adolescenti o negli anziani);
- sesso maschile (i noduli sono più frequenti nel sesso femminile); - rapida crescita del nodulo;
16 - comparsa di sintomi quali: disfonia, dispnea e disfagia riconducibili all’invasione
tumorale dei tessuti circostanti. Esame Obiettivo27
Osservazione e palpazione della ghiandola tiroidea e dei linfonodi cervicali. Misurazione dei livelli plasmatici di tireoglobulina e calcitonina
I test di funzionalità tiroidea e la misurazione di tireoglobulina sono di poco aiuto nella diagnosi di carcinoma tiroideo mentre trovano utilità nel follow-up post tiroidectomia. 31-33
La misurazione della calcitonina risulta, invece, essere utile nel processo diagnostico con una sensibilità paragonabile all’esame citologico, per questo motivo dovrebbe essere integrata nel processo diagnostico (livello di evidenza II, livello di raccomandazione B secondo l’American Society of Clinical Oncolgy).27
La sensibilità di questa tecnica è elevata e paragonabile a quella dell’esame citologico dopo agoaspirato (FNAC) e, in alcuni studi, addirittura risulta essere superiore.34-38 Questa superiorità è dovuta al fatto che nei casi FNAC negativi, l’MTC o non si trovava nel nodulo analizzato o avrebbe necessitato di tecniche immunoistochimiche per essere diagnosticato oppure era un mMTC non identificabile come nodulo all’esame ecografico.34,37
Pazienti con elevati valori di calcitonina basale senza una chiara diagnosi citologica dovrebbero sottoporsi alla misurazione di calcitonina sotto stimolo prima dell’intervento chirurgico.
Il test da stimolazione permette di capire se la calcitonina prodotta in eccesso derivi da un MTC o da altre fonti39-41, in quanto, l’assenza di un’ulteriore aumento dei livelli di calcitonina sotto stimolo, suggerisce l’assenza di MTC.
I test per stimolare la secrezione di calcitonina sono due: test alla pentagastrina e il test al calcio.
Il test alla pentagastrina consiste nell’infusione rapida di pentagastrina, con misurazione di calcitoninemia basale (al tempo 0), e poi a 1, 2, 5, 7 minuti.
17 Il test è considerato positivo se i valori di calcitonina superano di 3 volte il loro valore iniziale.34
L’aumento della calcitonina può essere dovuto a più cause tra cui:
- MTC;
- iperplasia delle cellule C;
- utilizzo di farmaci inibitori della pompa protonica; - ipergastrinemia: gastrinoma, gastrite cronica atrofica; - insufficienza renale;
- ipercalcemia: su questo principio si basa il test al calcio (infusione rapida per via endovenosa di calcio 2 mg/kg, con dosaggio della calcitonina 5 minuti prima dell’infusione, al minuto 0 cioè al momento stesso dell’infusione di calcio, e poi a 2, 5 e 10 minuti);
- tumori neuroendocrini; - età, attività fisica, gravidanza;
- farmaci: glucocorticoidi, glucagone, beta-bloccanti, pancreozimine, liraglutide.
I primi a documentare il ruolo della misurazione della calcitonina nello screening diagnostico dei noduli tiroidei per MTC furono Pacini F, et al. in “Routine measurement of serum calcitonin in nodular thyroid diseases allows the preoperative diagnosis of unsuspected sporadic medullary thyroid carcinoma” nel 1991.
In uno studio sempre pisano del 2008 condotto dal Elisei R. “Routine serum calcitonin measurement in the evaluation of thyroid nodules” si conclude che la misurazione della calcitonina ha due grandi vantaggi correlati al fatto che permette di fare diagnosi di MTC anche in alcuni casi FNAC- negativi per MTC:
- prognosi migliore perché spesso identifica lesioni poco avanzate;
- maggior successo della chirurgia perché il chirurgo, sapendo trattarsi di MTC, potrà optare per la tiroidectomia totale con dissezione dei linfonodi del compartimento cervicale centrale.
18 Ecografia 42
L’ecografia permette di valutare il nodulo e di stratificare il suo rischio di malignità. Se il nodulo è < 1cm e non ha caratteri di malignità il paziente viene rinviato al follow-up.
Se il nodulo è > 1cm o sono presenti segni di malignità il paziente viene indirizzato all’esame citologico.
L’esame ecografico prende in considerazione per la ghiandola tiroidea i seguenti parametri: le dimensioni della ghiandola tiroidea e il parenchima tiroideo che normalmente è omogeneo; per gli eventuali noduli presenti considera il numero, la localizzazione, le dimensioni, l’ecogenicità, la presenza di eventuali calcificazioni, i margini, la vascolarizzazione e la composizione (cistico, solido, misto); per i linfonodi le dimensioni, la sede, l’ecogenicità e la composizione.31,32,43-45
Segni di malignità per un nodulo sono: nodulo ipoecogeno, presenza di microcalcificazioni, aumento della vascolarizzazione centrale, margini irregolari o infiltrativi.43,46,47
I noduli cistici non danno sospetto di malignità.
Segni di malignità per i linfonodi sono: micro-calcificazioni, iperecogenicità, forma rotondeggiante.32,48
L’ecografia è sufficiente nella grande maggioranza dei casi a indicare il sospetto di malignità, motivo per cui il ricorso alla TC è raro.
Agoaspirato FNA ed esame citologico 42
L’esame citologico su prelievo ottenuto con FNA è un metodo molto accurato per lo studio dei noduli tiroidei.
L’FNA viene condotto su tutti i noduli di dimensioni >1cm o sui noduli <1cm ma con elementi di sospetta malignità clinici o ultrasonografici.
Il reperto bioptico ottenuto tramite agoaspirazione del materiale cellulare del nodulo sospetto è analizzato dall’anatomo patologo, il quale, sulla base di criteri morfologici e immunoistochimici di malignità, classifica il reperto.
I sistemi di classificazione internazionale sono diversi, quello più comunemente usato è il Bethesda System for Reporting Thyroid Cytopathology (BSRTC) 49:
19 TIR1 = preparato inadeguato o non diagnostico, rischio di malignità 1-4%
TIR2 = nodulo non neoplastico francamente benigno, rischio di malignità 0-3% TIR3 = atipia di significato indeterminato, rischio di malignità 15-30%
TIR4 = forte sospetto di malignità, rischio di malignità 60-75% TIR5 = positività per cellule maligne, rischio di malignità 97-99%
Possono essere sottoposti a biopsia anche i linfonodi con caratteristiche di sospetta malignità e dimensioni maggiori di 0,8-1cm nel diametro minore.31,32,50
Se l’esame citologico risulta non diagnostico nel sospetto di MTC è possibile dosare la calcitonina nel liquido di lavaggio dell’FNA.51
Scintigrafia
La scintigrafia può essere utilizzata in fase diagnostica, in fase di stadiazione e in fase di follow-up sia per DTC che per MTC.
Per i DTC la scintigrafia viene condotta utilizzando o Iodio 131 o pertecnato di sodio, per evidenziare i tessuti captanti iodio.
Questa è utile nella diagnosi perchè i noduli tiroidei possono essere così distinti in freddi e caldi: i noduli caldi ipercaptanti, sono generalmente benigni, i noduli freddi ipocaptanti possono essere maligni.
E’ utilizzata anche durante la stadiazione e nel follow-up dei DTC, per ricercare tessuti captanti iodio (metastasi).
Nella terapia dei DTC metastatici lo Iodio 131 è strumento anche terapeutico: infatti utilizzando lo Iodio 131 possiamo andare a distruggere il tessuto (tiroideo o metastatico) captante lo iodio.
L’MTC non capta iodio, né pertecnato di sodio pertanto, ai fini della diagnosi, può essere condotta PET con 18FDG, Octreoscan o PET con FDOPA.
Terapia chirurgica 27
La terapia è chirurgica. L’intervento di tiroidectomia può essere parziale (lobectomia, emitiroidectomia con istmectomia, tiroidectomia sub-totale) o completa.
Tecnica mini invasiva oggi disponibile è la Chirurgia Videoassistita della Tiroide MIVAT.
20 Può essere richiesta l’escissione di alcuni compartimenti dei linfonodi cervicali (centrale e/o laterocervicale).
Il beneficio della dissezione profilattica dei linfonodi del comparto centrale è controverso, a oggi non abbiamo evidenza che riduca il tasso di recidive e di mortalità però sicuramente permette una più accurata stadiazione della patologia.
La dissezione linfonodale dovrebbe essere eseguita in corso di sospetto (pre-operatorio o intraoperatorio) di metastasi linfonodale.
Con una buona esperienza dell’equipe chirurgica le complicazioni dell’intervento sono molto rare (<1-2%) e riguardano lesioni, e conseguente, paralisi del nervo laringeo o ipoparatiroidismo iatrogeno.
Di norma dopo l’intervento il paziente viene sottoposto alla somministrazione di Iodio 131 per completare l’ablazione del tessuto tiroideo.
Se il sospetto è di MTC l’intervento chirurgico prevede tiroidectomia totale e dissezione dei linfonodi del comparto centrale cervicale.52
Valutazione post-operatoria del rischio 27
I pazienti sono classificati sulla base del referto istopatologico combinato con le informazioni derivanti dall’ablazione post chirurgica e dall’ecografia.
Sono diversi i sistemi di stadiazione formulati, per i DTC prendiamo in considerazione l’European Consensus Report che definisce tre categorie di rischio:
- Molto basso: istologia a basso rischio (PTC variante classica o follicolare o FTC minimamente invasivo) con neoplasia unifocale <1cm N0 e M0 senza estensione extracapsulare.
- Basso: T1 >1cm o T2 con N0 e M0 senza istologia aggressiva e infiltrazione vascolare.
- Alto: T3 e T4 oppure qualsiasi T con N1 o M1.
L’ablazione con radioiodio è raccomandata in pazienti con rischio alto (e basso), non è raccomandata in pazienti con rischio molto basso.
21 Nei pazienti affetti da MTC il rischio è proporzionale allo stadio di presentazione di MTC.
Follow-up
Lo scopo del follow-up è di scoprire e trattare precocemente la malattia persistente o ricorrente sia a livello locoregionale che a distanza.
Nei DTC la maggior parte delle ricorrenze di malattia insorgono entro i primi 3 anni dalla diagnosi ma raramente possono insorgere anche 20 anni dopo.27
Il follow-up è condotto tramite anamnesi, esame obiettivo, esame ultrasonografico e indagini di laboratorio.
Per i carcinomi ben differenziati a cellule follicolari durante le indagini di laboratorio vengono dosati i livelli di tireoglobulina nel sangue basale o eventualmente sottostimolo previa somministrazione di TSH ricombinante umano (rhTSH). Qualora si mostrassero improvvisi aumenti si approfondisce il quadro clinico del paziente con la scintigrafia total body con radioiodio per localizzare la sede di malattia. (Livello di evidenza I, livello di raccomandazione A secondo l’American Society of Clinical Oncolgy).
I pazienti con MTC sono valutati dopo 6 mesi dall’intervento, la loro valutazione prevede la visita medica e la misurazione di calcitonina nel sangue.
Se i valori di calcitonina risultano indosabili significa che non vi è presenza di cellule C nel paziente, mentre, se i livelli di calcitonina appaiono anche solo nel range di normalità significa che o vi è presenza di residui di cellule C tiroidee o vi sono metastasi, linfonodali o a distanza, oppure il paziente ha una neoplasia non tiroidea secernente calcitonina.53
CEA è un indicatore di aggressività di MTC.54 Trattamento della malattia recidivante o persistente27
Per i DTC il trattamento della malattia locoregionale è basata sulla combinazione di chirurgia e radioiodio. (Livello di evidenza III, livello di raccomandazione B secondo l’American Society of Clinical Oncolgy).
22 - Resezione chirurgia e radioiodioterapia (soluzione con migliore prognosi);
- Terapia con radioiodio (le metastasi devono essere in grado di captare lo iodio). Le metastasi polmonari possono trarre beneficio da questa terapia ma il tasso di guarigione è basso, le metastasi ossee hanno la prognosi peggiore e possono essere trattate con una combinazione di radioiodio e radioterapia, le metastasi cerebrali sono rare e la prognosi è scarsa.
- Chemioterapia (riservata a pazienti che non sono in grado di sottoporsi alle altre terapie, sulla sua efficacia ancora si discute).
Attualmente sono in fase di studio metodi di target therapy. Questa nuova generazione di farmaci antitumorali potrebbe diventare una valida alternativa per il trattamento dei carcinomi ricorrenti o persistenti, il target è rappresentato dal gene RET mutato (mutato nel 30-40% di PTC e in molti MTC), oppure da altri pathways molecolari alterati nel tumore.
Per i pazienti con MTC non esiste l’equivalente della terapia col radioiodio, l’arma terapeutica in grado di curare i pazienti è attualmente rappresentata dalla chirurgia.
Pazienti con MTC metastatico possono essere trattati con la chemioterapia standard, sebbene questa abbia mostrato un basso tasso di risposta.
La FDA ha approvato l’utilizzo di farmaci di nuova generazione a target therapy inibitori non selettivi delle kinasi (vandetanib, cabozantinib) per prolungare la sopravvivenza libera da malattia di questi pazienti con MTC.55,56
Molto interesse è riposto nello sviluppo di farmaci inibitori selettivi per la kinasi RET.57
1.2.3. I CARCINOMI DIFFERENZIATI DELLA TIROIDE E IL
CARCINOMA MIDOLLARE
Trattando questa tesi di associazione nello stesso paziente di tumori papillari e midollari ci concentriamo su una descrizione delle forme tumorali d’interesse quando esse compaiono isolate.
23
1.2.3.1 I TUMORI DIFFERENZIATI DELLA TIROIDE A CELLULE FOLLICOLARI
I tumori differenziati della tiroide sono il PTC e l’FTC, le loro caratteristiche principali sono riassunte nella tabella riassuntiva numero 1.
PTC FTC
EPIDEMIOLOGIA
Prevalenza (%) 80-85% 10-15%
Prevalenza di sesso Donne Donne
Età d’insorgenza . A tutte le età . Picco 10-30 aa
. Raro nell’infanzia . Picco 20-40 aa
FATTORI DI RISCHIO . Tiroidite di Hashimoto . Radiazioni Ionizzanti
. Carenza di iodio
VARIANTI . Classica papillare
. Follicolare . A cellule alte . Sclerosante diffusa -Istologia: . classica . a cellule di Hurtle -Invasività: . minimamente invasivo . Estesamente invasivo
DIFFUSIONE Via Linfatica Via Ematica
METASTASI Linfonodi Ossa
Polmone TERAPIA Chirurgia Radioiodio Chirurgia Radioiodio SOPRAVVIVENZA A 10 AA 95-98% 90-95%
FOLLOW UP . Ecografia del collo . Dosaggio Tireoglobulina . Se elevata scintigrafia total body
. Ecografia del collo . Dosaggio Tireoglobulina . Se elevata scintigrafia total body
24 Le caratteristiche anatomo patologiche di PTC e FTC sono quelle riscontrabili anche in alcuni casi di carcinomi simultanei presentati nella seconda parte di questa tesi.
- Carcinoma Papillare2
Il tumore papillare della tiroide può essere singolo o multiplo, in questo secondo caso può essere sia multicentrico che multifocale.
Si presenta di solito con linfoadenite laterocervicale.
Appare duro, grigio e granuloso al tatto, può essere capsulato, al taglio può presentare aree di calcificazioni e fibrosi, spesso è cistico.
Istologicamente si caratterizza per la presenza di papille ramificate e di corpi psammomatosi: le papille sono strutture costituite da un asse fibro-vascolare rivestito da uno o più strati epiteliali, di solito le cellule di rivestimento sono ben differenziate.
Le papille del carcinoma sono differenti dalle papille osservabili nelle aree di iperplasia, per via della loro maggiore complessità architetturale e perché possiedono il suddetto asse fibro-vascolare organizzato.
I corpi psammomatosi derivano invece calcificazioni concentriche di residui di corpi cellulari apoptotici.
Le cellule presentano due importanti caratteristiche nucleari:
- il nucleo appare con la forma definita a “chicco di caffè” o a “occhi dell’orfanella Annie” per la formazione di solchi internucleari di citoplasma delle cellule impilate.
- il nucleo alla colorazione con ematossilina/eosina assume un aspetto otticamente chiaro o vuoto, detto a “vetro smerigliato”, perché a causa della cromatina finemente dispersa non si colora del caratteristico blu ma rimane più bianco. Esistono quattro varianti del carcinoma papillare:
1) Variante Capsulata
Rappresenta il 10% di tutti i carcinomi papillari, è ben capsulata, è rara l’infiltrazione vascolare o linfatica. La sua prognosi è eccellente.
25 2) Variante Follicolare
Presenta i nuclei tipici del carcinoma papillare ma l’architettura è quasi completamente follicolare. Biologicamente si comporta come i tumori follicolari. 3) Variante a Cellule Alte
Le cellule che rivestono le papille sono caratteristicamente colonnari e molto alte con citoplasma intensamente eosinofilo. Normalmente l’altezza di queste cellule è di almeno due volte la loro larghezza. Questi tumori tendono a presentarsi nei soggetti anziani e sono di solito di grandi dimensioni con evidenza di infiltrazione vascolare, invasione extra-tiroidea e metastasi cervicali e a distanza prevalentemente ossee. Hanno un comportamento più aggressivo e la loro prognosi è peggiore rispetto a quella del carcinoma papillare classico.
4) Variante Sclerosante Diffusa
Compare per lo più nei giovani, anche bambini. Più che presentarsi come una massa singola tende a presentarsi come un gozzo bilaterale.
Questi carcinomi sono caratterizzati da un’estesa fibrosi diffusa a tutta la ghiandola con importante infiltrato linfocitario.
L’istologia presenta papille con aree di cellule squamose dette morule squamose e la citologia è quella tipica del carcinoma papillare. Si osserva l’invasione precoce dei linfatici e le metastasi linfonodali sono quasi sempre presenti.
- Carcinoma Follicolare2
Macroscopicamente si presenta come un nodulo singolo ad istologia follicolare che, quando ben circoscritto e ben differenziato, rende la diagnosi differenziale con l’adenoma follicolare difficoltosa.
Tale diagnosi differenziale necessità sempre di un esame istologico e non solamente citologico.
Il carcinoma appare di colore grigio o rosa e a seconda di quanta colloide contiene può assumere un aspetto traslucido.
26 Istologicamente è formato da tanti piccoli follicoli contenenti colloide.
Per quanto concerne alla citologia, le cellule sono ben differenziate.
In alcune varianti la quota di cellule ossifile o cellule di Hurtle può essere superiore al 70% e in questo caso il tumore appare più giallo.
Presenta due varianti:
1) Minimamente invasivo.
Variante nella quale la capsula sembra integra e le cellule appaiono ben differenziate motivo per cui la diagnosi differenziale con l’adenoma risulta più difficoltosa. I criteri diagnostici per definire il carcinoma sono due: o si riscontra anche solo una minima soluzione di continuo a tutto spessore della capsula, oppure si riscontra un embolo neoplastico linfatico.
2) Estesamente invasivo
Questa variante è senza capsula, chiaramente invasiva e spesso le sue cellule hanno più chiari segni di malignità.
Figura 3: Referto istologico di carcinoma papillare della tiroide.
(A) Carcinoma papillare tiroideo. (B) Visione ad alta risoluzione delle strutture papillari del carcinoma.
Fonte: Articolo “Papillary thyroid cancer associated with syndrome of inappropriate antidiuresis: a case
report.” di Beier F, Moleda L, Guralnik V, Hahn P, Schardt K, Andreesen R, Schölmerich J, Schäffler A - J Med Case Rep (2010)
27
1.2.3.2. IL CARCINOMA MIDOLLARE
Come si evince dalla tabella riassuntiva numero 2, le caratteristiche epidemiologiche, cliniche e prognostiche di MTC sono differenti da quelle dei DTC.
MTC EPIDEMIOLOGIA
Prevalenza (%) 3-5% dei Ca. tiroidei
Età di picco . 40-50 AA sporadico e FMTC . 0-15 MEN2 Forma Sporadica 75% Forma ereditaria 25% Prevalenza di Genere no
EZIOLOGIA Mutazione germinale
puntiforme di Ret nelle forme ereditarie
DIFFUSIONE Via Linfatica ed Ematogena
METASTASI Linfonodi cervicale e a distanza
TERAPIA Chirurgia
PROGNOSI Sopravvivenza a 10 aa
60-80%
FOLLOW UP Dosaggio calcitonina Ecografia del collo
Tabella Riassuntiva Numero 2: Il carcinoma midollare.
Il Carcinoma midollare è un tumore neuroendocrino, originato dalle cellule C o parafollicolari della tiroide.
28 Si può presentare in forma sporadica o in alcune forme ereditarie.
- forma sporadica 75% dei casi:
- forme ereditarie 25% dei casi:
MTC ereditario si presenta nel 60% dei casi come MEN 2A, 5% MEN 2B e nel 35% dei casi come FMTC.58,59
I casi sporadici molto frequentemente arrivano all’osservazione del medico o per la presenza di una massa nella regione tiroidea, o per sintomi quali disfagia e disfonia, oppure per la comparsa di segni e sintomi riconducibili ad una sindrome paraneoplastica. Questo perché il tumore neuroendocrino è un tumore secernente: gli alti livelli di calcitonina non sono responsabili di ipocalcemia, mentre l’aumentata produzione di
Associato a MEN2: bilaterali multifocali insorgono in giovane età picco 0-5 anni Men2a picco 5-15 anni Men2b
Presente iperplasia delle cellule C Molto aggressivi
Forma familiare FMTC:
Picco d’insorgenza tra 40-50 anni Nodulo singolo
associato a iperplasia delle cellule C picco d’insorgenza tra i 40-50 anni, prevalenza femminile,
nodulo singolo,
non sempre preceduto da iperplasia delle cellule C
29 serotonina, somatostatina e peptide vasoattivo intestinale è responsabile della sindrome paraneoplastica che si può manifestare con flushing, diarrea e rush cutanei.
Le analisi di laboratorio sono fondamentali per la diagnosi e per il follow-up, i marker a nostra disposizione sono due: CEA e calcitonina.
Il CEA, prodotto dal carcinoma, è meno sensibile rispetto alla calcitonina ma è utile perché è in relazione con la massa tumorale.
La calcitonina, prodotta dalle cellule C sia sane che tumorali, può essere dosata tramite misurazioni basali oppure misurazioni sotto stimolo con il test alla pentagastrina o al calcio.
Il carcinoma midollare risulta positivo all’immunoistochimica per i markers neuroendocrini (Cromogranina, Sinaptofisina A, Enolasi neurone specifica), calcitonina e CEA.
Il 95% dei MTC può essere sospettato grazie all’aumento dei valori di calcitonina, tutti gli MTC esprimono CEA.
Il 75% dei pazienti hanno metastasi linfonodali al momento della diagnosi, di questi il 15% ha anche metastasi a distanza, per quest’ultimi la prognosi è difficile con mortalità al 90% entro 5 anni.
Il fattore prognostico principale è rappresentato dallo stadio in quanto l’arma terapeutica più efficace a nostra disposizione è rappresentata dalla chirurgia.5
L’anatomia patologica di MTC 2 è caratteristica.
Macroscpicamente i carcinomi midollari si presentano come noduli singoli nelle forme sporadiche e familiari, bilaterali e multifocali nelle Men 2.
Il tessuto tumorale è di consistenza duro, grigio pallido o scuro e può essere infiltrante. Al taglio può presentare aree di necrosi ed emorragia.
Istologicamente le cellule possono formare nidi, trabecole e anche follicoli.
Spesso sono presenti all’interno dello stroma lasso del tumore caratteristici depositi di amiloide.
Mentre lo stroma si colora con eosina, acquisendo il caratteristico colore rosso, per evidenziare i depositi di amiloide utilizziamo il colorante rosso congo che conferisce ai depositi la classica birifrangenza verde alla luce polarizzata.60,61
30 Alla citologia le cellule appaiono poligonali, fusiformi e, solo alcune, piccole e maggiormente indifferenziate.
I nuclei risultano ipercromatici a causa dell’addensamento della cromatina.
Nei casi di incertezza dovrebbe essere condotta l’analisi immunoistochimica per ricerca di calcitonina e cromogranina.62,63
L’iperplasia delle cellule C associata al tumore è in genere assente nei tumori sporadici.
Figura 4: Pannello mostrante le positività immunoistochimiche delle cellule del campione di carcinoma
midollare della tiroide (A) Cromogranina A, (B) Enolasi neuroni specifica (NSE), (C) Vimantina e (D) Calcitonina.
Fonte: Articolo “Histopathological and immunohistochemical findings of primary and metastatic medullary thyroid carcinoma in a young dog” di Piñeyro P, Vieson MD, Ramos-Vara JA, Moon-Larson M, Saunders
31
1.2. LA GENETICA DEI TUMORI DELLA TIROIDE
Migliorare le conoscenze sulla genetica di un tumore porta al miglioramento della diagnosi e della prognosi per quel tumore: infatti una più approfondita conoscenza delle cause genetiche alla base della trasformazione maligna delle cellule, permette di usufruire di più markers, sia diagnostici che prognostici, e di personalizzare il percorso terapeutico. Nell’affrontare questo argomento sono stati presi come riferimento questi recenti studi:
- "Molecular genetics and diagnosis of thyroid cancer” Di Nikiforov YE, Nikiforova MNdel. 2011 28
- “Thyroid cancer in 2015: Molecular landscape of thyroid cancer continues to be deciphered.” Di Nikiforov YE. 2016 64
- “ENDOCRINE TUMOURS: Advances in the molecular pathogenesis of thyroid cancer: lessons from the cancer genome.” Di Riesco-Eizaguirre G, Santisteban P. 2016 65
- “A Brief Review on The Molecular Basis of Medullary Thyroid Carcinoma.” Di Masoumeh Mohammadi, Ph.D., Mehdi Hedayati, Ph.D. 2017 66
1.3.1. TUMORI TIROIDEI ORIGINATI DA CELLULE
FOLLICOLARI
Per una presentazione della genetica dei tumori tiroidei, originati da cellule follicolari, facciamo riferimento alla review di Nikiforov del 2011 "Molecular genetics and diagnosis of thyroid cancer”28, in cui l’autore fornisce una chiara panoramica delle mutazioni di più frequente riscontro.
L’autore all’inizio della trattazione sottolinea che anche nei tumori della tiroide assistiamo ad un accumulo progressivo di alterazioni genetiche ed epigenetiche durante le fasi d’iniziazione e progressione di cancerogenesi.
Queste alterazioni includono: attivazione o inattivazione somatica di geni, alterazione dell’espressione genica, disregolazione dei miRNA e metilazioni aberranti.
I geni mutati nei tumori tiroidei derivanti da cellule follicolari sono più frequentemente mutati in due modi: mutazioni puntiformi e traslocazioni.
32 Oggi sempre più studi evidenziano che questi due meccanismi hanno eziologie differenti, come vedremo di seguito le traslocazioni sono associate per lo più ad esposizione a radiazioni ionizzanti, stress ossidativo, caffè e alcol mentre le mutazioni puntiformi si associano maggiormente ad insulti chimici (si ipotizza un ruolo della carenza iodica e dell’esposizioni a particolari minerali nelle aree vulcaniche nell’insorgenza di mutazioni BRAF).
Un punto cruciale nella genetica dei tumori tiroidei a cellule follicolari è che le vie di segnale intracellulari coinvolte nel processo di cancerogenesi sono due, ciascuna tipica per una tipologia di neoplasia: la via delle MAPKINASI è alterata nel carcinoma papillare mentre la via PI3K-AKT è alterata nel carcinoma follicolare, entrambe mediano segnali di proliferazione e crescita cellulare.
Fisiologicamente queste due vie sono attivate solo temporaneamente a seguito del legame recettore-ligando ma, a causa delle mutazioni, una delle due vie o entrambe vengono ad essere costitutivamente attivate.
Il recettore di membrana da cui originano entrambe le vie è un recettore transmembranale ad attività tirosina chinasica che, dopo l’interazione con il suo ligando, procede con l’autofosforilazione dei propri domini citoplasmatici.
Da questa prima reazione originano a cascata le altre reazioni che portano all’attivazione delle due vie MAPKINASI e PI3K-AKT e, infine, alla modulazione della trascrizione del DNA in senso proliferativo.
Le diverse mutazioni, che riporteremo di seguito, sono alla base dell’attivazione costitutiva di queste due vie, a seguito di ciò lo stimolo proliferativo diviene così costante e disregolato e ciò è alla base del processo di cancerogenesi.
Nel carcinoma papillare si assiste all’attivazione della via delle MAPKinasi, tramite mutazioni coinvolgenti o i recettori di membrana ad attività tirosina chinasica RET e NTRK1, o i trasduttori di segnale intracellulari BRAF e RAS.
Queste mutazioni si riscontrano nel 70% dei pazienti e si associano a particolari eziologie, caratteri clinici e istopatologici.
BRAF è coivolto nel 40-45% dei casi
33 Si associa ad una maggiore aggressività: estensione extra-tiroidea, alto stadio alla diagnosi, alto tasso di recidiva, propensione alla sdifferenziazione.
Traslocazione RET/PTC è coinvolto nel 10-20% dei casi
Si osserva nella variante classica. Eziologicamente è connesso all’esposizione a radiazioni ionizzanti.
Alla diagnosi sono tipici: la giovane età del paziente, basso stadio, presenza di metastasi linfonodali.
RAS è coinvolto nel 10% dei casi
Si osserva nella variante follicolare, qui il carcinoma spesso è capsulato, la mutazione si associa ad una minor incidenza di metastasi linfonodali ed a una maggior incidenza di metastasi a distanza.
Nel carcinoma follicolare l’attivazione della via PI3K-AKT è dovuta a numerose mutazioni di cui, ad oggi, conosciamo le mutazioni RAS (40-50% dei casi) e traslocazioni PAX8/PPARgamma (30-35% dei casi).
L’articolo di Nikiforov procede con un’analisi più dettagliata delle mutazioni elencate. Traslocazione RET/PTC
Il gene RET è un proto-oncogene localizzato nel braccio lungo del cromosoma 10 che codifica per un recettore transmembranale ad attivià tirosina chinasica composto da tre domini: il dominio extracellulare N-terminale con quattro regioni CAL caderine-like, il dominio transmembranale ricco di cisteine e il dominio intracellulare ad attività tirosina chinasica.
Il gene RET è normalmente espresso nelle cellule follicolari, il legame con il suo ligando GDNF (fattore neurotrofico di derivazione dalle cellule gliali) ne determina l’attivazione: il recettore dimerizza, attiva la sua attività tirosina chinasica, si autofosforila i domini citoplasmatici e trasduce il segnale alla via della MAPKinasi per arrivare ad alterare la trascrizione genica.
34 Come già descritto, i segnali mediati da questa via di segnale stimolano la proliferazione, differenziazione e sopravvivenza cellulare.
Il gene RET può subire una traslocazione a seguito dell’esposizione a fattori mutanti. (vedi dopo).
A seguito della traslocazione viene fuso con molti possibili geni partners, indicati col termine PTC, tutti molto espressi nelle cellule follicolari.
I geni di fusione, o geni chimerici, contengono intatta la porzione di RET che codifica per il dominio tirosina chinasico.
Con questa fusione l’espressione di RET passa però sotto il controllo dei promotori di geni con cui si è fuso (geni molto espressi nelle cellule follicolari) e diviene iperespresso. Si conoscono almeno 15 tipi di geni chimerici RET/PTC differenti, ognuno porta all’attivazione costitutiva di RET perché RET iperespresso dimerizza senza il bisogno di legarsi al proprio ligando.
L’attivazione costitutiva di RET porta ad attivazione costitutiva della via delle MAPK.67,68
I più comuni riarrangiamenti sono:
RET/PTC1 e RET/PTC3 = sono riarrangiamenti intracromosomici, paracentrici69,70 RET/PTC2 e altri più recentemente scoperti sono riarrangiamenti con geni localizzati su altri cromosomi.71,72
La prevalenza del riarrangiamento RET/PTC varia molto nei diversi studi.73,74
Secondo Nikiforov questo potrebbe essere almeno in parte dovuto al fatto che esiste una vera variabilità di prevalenza secondo le età e la diversa esposizione alle radiazioni ionizzanti dei pazienti.
Ma molto è dovuto anche all’eterogenea distribuzione del riarrangiamento all’interno del tumore e delle diverse sensibilità dei metodi utilizzati per trovarlo.
RET/PTC può essere presente in una grande proporzione delle cellule tumorali (detto clonal RET/PTC) o può essere presente in una quota minoritaria di cellule, piccole frazioni \o singole cellule (detto non-clonal RET/PTC); mentre nel primo caso possiamo utilizzare molte tecniche per rilevare il riarrangiamento, nel secondo caso serviranno tecniche ultrasensibili.75,76
35 Utilizzando tecniche ultrasensibili RET/PTC non-clonal è stato riscontrato sia all’interno di lesioni tumorali maligne che nel 10-45% di adenomi tiroidei e in altre lesioni benigne non neoplastiche della tiroide.78,79
I riarrangiamenti coinvolgenti geni codificanti recettori di membrana ad attività tirosina chinasica possono riguardare anche un altro gene: NTRK1, la sua prevalenza nei carcinomi papillari è comunque inferiore a quella di RET/PTC (probabilmente <5%).
RAS
Ras è una proteina G monomerica situata sul versante intracellulare della membrana. Ras è dotata di due regioni che cambiano la loro conformazione a seconda che siano legate a GDP o GTP, si alterna perciò tra uno stato "acceso" in cui è legata al GTP, e uno "spento" in cui è legata a GDP.
Quando il recettore di membrana è attivato fosforila GDP, che diventa GTP, attivando così anche la proteina RAS che trasmette il segnale lungo le vie MAPK e PI3K-AKT. La via iniziata dai recettori tirosin-chinasici si continua così con una cascata di protein chinasi, e termina con la modificazione dell’espressione genica che stimola la cellula a proliferare e differenziarsi.
Nell’uomo abbiamo tre geni che codificano per le proteine RAS: HRAS, NRAS, KRAS, sono tutti considerati proto-oncogeni.
Le mutazioni attivanti RAS sono tutte puntiformi, quelle più comuni nei carcinomi tiroidei riguardano il codone 61 di NRAS e il codone 61 di HRAS, tutte predispongono alla crescita in follicoli della neoplasia.80,81
Si riscontrano nel 10-20% dei carcinomi papillari come varianti follicolari, nel 40-50% dei carcinomi follicolari, nel 20-40% dei carcinomi scarsamente differenziati e anaplastici della tiroide, nel 20-40% adenomi (suggerendo una possibile evoluzione di questi adenomi a carcinomi).82,83
BRAF
BRAF è un gene che codifica per una serina-treonina chinasi che trasloca dalla membrana cellulare dopo essere stata attivata da RAS, determinando la fosforilazione e attivazione della cascata delle MAPK.
36 Nei tumori della tiroide BRAF in teoria può essere attivato da molteplici tipologie di mutazioni: mutazione puntiforme, delezione, inserzione, riarrangiamenti cromosomici. Il 98-99% delle mutazioni di BRAF riscontrate nei tumori della tiroide sono mutazioni puntiformi attivanti che vedono la sostituzione di timina con adenina in posizione 1799, che determina il cambiamento di amminoacidi da Valina a glutammato: Val600Glu.84,85 Si riscontra nel 40-45% dei carcinomi papillari86, nel 20-40% dei carcinomi poco differenziati e nel 30-40% dei carcinomi anaplastici87,88 e, come già illustrato, si associa ad una maggior aggressività.
Altre mutazioni riscontrate sono state: Lys601Glu (spesso associata alla variante follicolare del carcinoma papillare)89,90 e il riarrangiamento AKAP9/BRAF (inversione paracentrica).91
Ciascuna di queste mutazioni attiva in modo costitutivo BRAF determinando attivazione della via delle MAPK.
PAX8/PPARgamma
Questo riarrangiamento porta ad una iperespressione del gene chimerico e quindi anche di PAX8, codificante per un fattore di trascrizione.
Si riscontra in un 30-35% dei carcinomi follicolari, 1-5% delle varianti follicolari dei carcinomi papillari, 2-13% adenomi tiroidei.92
Le mutazioni di PAX8 e RAS sembrano essere esclusive.
Per concludere questo paragrafo facciamo un breve riferimento ad un recente articolo che getta luce sulle nuove mutazioni scoperte nei PTC e sul nuovo approccio ai PTC derivante da una migliore conoscenza della loro genetica.
1.3.1.1. NUOVE SCOPERTE
Nell’articolo “Advances in the molecular pathogenesis of thyroid cancer: lessons from the cancer genome”65 pubblicato nel 2016, gli autori Garcilaso Riesco-Eizaguirre e Pilar Santisteban fanno riferimento a “long tail” intendendo così la collezione di mutazioni poco frequenti riscontrate nei loro studi sulla genetica dei tumori tiroidei.
Nel carcinoma papillare 80% degli eventi scatenanti la cancerogenesi dipende da 4 geni noti.