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CAPITOLO 1‐INTRODUZIONE

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Academic year: 2021

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(1)

CAPITOLO
1‐INTRODUZIONE


1.1
SCHIZOFRENIA


1.1.1
Profilo
clinico


I
sintomi
clinici
della
schizofrenia
di
solito
iniziano
a
fine
adolescenza
o
all'inizio
 dell'età
 adulta.
 Sono
 generalmente
 raggruppati
 in
 tre
 grandi
 categorie:
 sintomi
 "positivi"
 o
 "negativi"
 basati
 sugli
 effetti
 patologici
 delle
 normali
 funzioni,
 e
 "disturbi
cognitivi".
Nel
corso
del
tempo,
sintomi
positivi
e
negativi
tendono
ad
 essere
episodici
ed
a
variare
di
intensità.


Sintomi
positivi



Questi
includono
i
sintomi
che
sono
considerati
esagerazioni
o
distorsioni
delle
 normali
 funzioni:
 psicosi,
 false
 credenze
 (deliri,
 il
 90%
 di
 incidenza
 in
 tutti
 i
 soggetti),
la
percezione
di
qualcosa,
quando
non
esiste
nulla
di
fatto
nel
campo
 della
percezione
(allucinazioni,
50%
di
incidenza),
e
comportamenti
bizzarri
[1].
 


Sintomi
negativi


I
 sintomi
 negativi
 sono
 deficit
 nei
 quali
 fondamentalmente
 le
 emozioni
 sono
 o
 indebolite
 o
 del
 tutto
 carenti,
 tra
 cui:
 appiattimento
 affettivo,
 anedonia
 (incapacità
di
provare
piacere
da
normali
attività),
apatia
(perdita
di
interesse
e
 di
 motivazione),
 ritiro
 sociale,
 ed
 alogia
 (parlato
 in
 diminuzione).
 Hanno
 una
 precoce
e
piu'
sottile
insorgenza,
e
sono
meno
episodici
dei
sintomi
psicotici.
 


Sintomi
cognitive


La
 schizofrenia
 può
 comprendere
 disturbi
 cognitivi,
 generalmente
 per
 l'attenzione
 e
 la
 concentrazione,
 di
 apprendimento
 e
 di
 memoria,
 di
 velocità
 psicomotoria
(ad
esempio,
la
reazione
prolungata
nel
tempo),
e
di
esecuzione
di
 lavori
 (ad
 esempio,
 formulare
 ed
 avviare
 progetti,
 pensiero
 astratto,
 e
 risoluzione
di
problemi).


(2)

La
 schizofrenia
 è
 un
 disturbo
 psicotico
 devastante
 perché
 distrugge
 il
 funzionamento
 sociale
 e
 l'occupabilità
 dei
 pazienti.
 Sintomi
 negativi
 e
 deficit
 cognitivi
sono
generalmente
i
meccanismi
disabilitativi
della
schizofrenia.


Un
 paziente
 potrebbe
 non
 avere
 più
 la
 capacità
 di
 concentrarsi
 e
 di
 ottenere
 piacere
 dal
 lavoro,
 dallo
 studio
 o
 dalle
 attività
 di
 svago.
 Inoltre,
 la
 schizofrenia
 può
aggravare
ulteriormente
l'isolamento
sociale,
la
depressione
ed
aumentare
il
 rischio
di
suicidi.
 


1.1.2
Eziologia


La
schizofrenia
è
una
patologia
multiforme
e
si
manifesta
con
fattori
sia
genetici
 sia
ambientali.
Molti
studi
sui
gemelli
e
sull'adozione
hanno
suggerito
importanti
 influenze
genetiche
sulla
patogenesi
della
schizofrenia,
tuttavia,
una
concordanza
 MZ
di
circa
il
50%
[2]
ha
anche
indicato
il
coinvolgimento
di
fattori
ambientali.
 Gli
studi
rivelano
che
la
schizofrenia
è
una
malattia
genetica
complessa,
simile
a
 diabete
 e
 cancro,
 attribuendo
 le
 cause
 non
 ad
 un
 solo
 gene,
 in
 altre
 parole,
 si
 tratta
di
una
malattia
poligenica.


Inoltre,
 ci
 sono
 fattori
 ambientali
 che
 contribuiscono
 presumibilmente
 alla
 comparsa
 della
 malattia.
 Le
 vulnerabilità
 possono
 predisporre
 l'individuo
 al
 disturbo,
mentre
i
fattori
di
stress
ambientale
possono
potenzialmente
modulare
 (trigger)
l'espressione
dei
sintomi
in
soggetti
vulnerabili.


Nella
 schizofrenia,
 la
 vulnerabilità
 può
 includere
 la
 predisposizione
 genetica,
 complicazioni
nel
parto,
e
infezioni
virali
del
sistema
nervoso
centrale.


Eventi
 di
 vita
 stressanti
 (per
 esempio,
 essere
 stato
 licenziato
 dal
 lavoro,
 porre
 fine
ad
un
rapporto,
o
esporsi
in
un
nuovo
ambiente)
e
fattori
di
stress
biologico
 (ad
 esempio,
 abuso
 di
 sostanze)
 può
 esacerbare
 la
 malattia
 innescando
 la
 comparsa
o
la
recrudescenza
dei
sintomi.
Tuttavia,
i
meccanismi
di
protezione
di
 coping
 (capacità
 di
 fronteggiare
 problemi)
 possono
 salvaguardare
 le
 persone
 vulnerabili,
indebolendo
o
eliminando
i
sintomi.


(3)

1.1.3
Patogenesi


Nonostante
i
numerosi
studi
di
istologia,
neurochimica,
neuroimaging,
e
gli
studi
 di
 espressione
 dei
 geni
 e
 delle
 proteine,
 la
 comunità
 biomedica
 deve
 ancora
 definire
 il
 profilo
 neuropatologico
 per
 la
 schizofrenia.
 Tuttavia,
 diverse
 importanti
scoperte
sulla
schizofrenia
possono
contribuire
ad
interventi
medici.
 Inizialmente
 sono
 stati
 diretti
 verso
 la
 manipolazione
 farmacologica;
 successivamente
progressi
sono
stati
fatti
con
la
scoperta
genetica
di
marcatori
 biologici
utilizzando
strategie
di
genomica
e
proteomica
che
hanno
portato
alla
 definizione
 della
 schizofrenia
 come
 di
 una
 malattia
 del
 SNC
 e
 non
 di
 origine
 psicosomatica.


Allo
stato
attuale,
la
comunità
medica
ha
familiarità
con
alterazioni
patologiche
 della
 dopamina
 (DA),
 serotonina,
 acetilcolina
 (ACh),
 e
 sistemi
 di
 glutammato.
 Studi
 sull’uso
 di
 sostanze
 che
 inducono
 psicosi
 (ad
 esempio,
 le
 anfetamine)
 hanno
 rivelato
 una
 maggiore
 ricaptazione
 della
 DA
 [3].
 Questi
 risultati
 hanno
 avviato
 l'ipotesi
 di
 iperattività
 negli
 stati
 di
 trasmissione
 della
 DA
 nella
 schizofrenia,
 forse
 in
 risposta
 allo
 stress.
 Il
 cervello
 è
 essenzialmente
 troppo
 sensibile
 (iperattivo)
 agli
 stimoli
 e
 non
 riesce
 a
 regolare
 correttamente
 la
 sua
 risposta
attraverso
i
normali
meccanismi
inibitori.
Per
spiegare
potenzialmente
i
 sintomi
 negativi,
 alcuni
 studi
 di
 imaging
 del
 cervello
 hanno
 rivelato
 nella
 corteccia
 prefrontale
 (PFC)
 [4,5],
 
 un
 deficit
 regionale
 nella
 neurotrasmissione
 della
DA[6].


Il
 panorama
 attuale
 delle
 ipotesi
 si
 riferisce
 ad
 una
 iperattività
 dopaminergica
 subcorticale
 e
 ad
 una
 ipoattività
 neurotrasmissionale
 corticale
 associate
 rispettivamente
ai
sintomi
positivi
e
negativi.

Tuttavia,
la
teoria
è
contestabile
,
 ad
 esempio,
 l'inibizione
 totale
 di
 DA
 non
 fa
 completamente
 mitigare
 i
 sintomi
 positivi
 della
 schizofrenia
 [7],
 suggerendo
 così
 la
 presenza
 di
 ulteriori
 disturbi
 patologici.


Recenti
 studi
 di
 genomica
 e
 proteomica
 si
 sono
 allontanati
 da
 un
 modello
 puramente
 riferito
 ad
 una
 interruzione
 di
 DA
 dirigendosi
 verso
 quello
 dello
 stress
ossidativo
e
della
patologia
sinaptica,
che
può
causare
una
disregolazione
 di
 diversi
 neurotrasmettitori
 e
 portare
 ad
 una
 apoptosi
 neuronale
 
 [8]
 .
 Sono
 state
identificate
presunte
suscettibilità
nei
geni
e
nei
loro
prodotti:
neuregulina‐

(4)

1
 (NRG1),
 dysbindin
 (DTNBP1),
 regolatore
 della
 proteina
 G
 segnalazione
 4
 (RGS4),
 catecol‐O‐metiltransferasi
 (COMT),
 deidrogenasi
 prolina
 (PRODH)
 e

 (DISC1)
 [9].
 Tuttavia,
 ci
 sono
 problemi
 di
 applicabilità
 clinica
 legati
 alla
 specificità
diagnostica
[10]
ed
alla
dimensione
lieve
dell'
effetto
[11].


1.1.4
Diagnosi


Data
la
mancanza
di
una
diagnosi
oggettiva,
i
medici
indagano
i
comportamenti
 anomali,
accertando
i
fattori
di
rischio
e
registrando
un
profilo
di
personalità.
Il
 clinico
 ascolta
 il
 paziente
 e
 stabilisce
 un
 ambiente
 confortevole
 per
 ottenere
 informazioni
pertinenti.


Manuali
 di
 classificazione
 diagnostica
 come
 America
 Psychiatric
 association's
 Diagnostic
 e
 Statistical
 Manual
 of
 mental
 disorder
 (DSM)
 permettono
 alla
 comunità
internazionale
biomedica
di
utilizzare
criteri
d’inclusione
ed
esclusione
 sulla
base
di
potenziali
deviazioni
dal
normale
funzionamento
psicologico.


In
 realtà,
 essi
 non
 servono
 esplicitamente
 a
 dare
 indicazioni
 circa
 un’eziologia
 particolare
o
una
patologia,
piuttosto,
più
ragionevolmente
servono
a
classificare
 i
 disturbi
 partendo
 da
 vari
 profili.
 I
 manuali
 offrono
 essenzialmente
 alcuni
 standard
per
la
definizione
dei
sintomi
e

per
la
diagnosi
differenziale.
Tuttavia,
 possono
creare
false
percezioni.


1.1.5
Criteri
attuali


Attuali
 criteri
 diagnostici
 del
 DSM
 per
 la
 schizofrenia
 riguardano
 almeno
 un
 mese
 di
 sintomi
 attivi
 (almeno
 uno
 tra
 deliri
 bizzarri
 o
 allucinazioni
 uditive,
 o
 due
o
più
tra
sintomi

positivi
e
/
o
negativi)
e
sei
mesi
di
disfunzione
sociale
/
 professionale
 .
 I
 pazienti
 possono
 avere
 brevi
 reazioni
 psicotiche
 da
 uno
 a
 sei
 mesi
 che
 assomigliano
 alla
 schizofrenia,
 ma
 che
 in
 realtà
 sono
 note
 come
 disordine
 schizofreniforme,
 che
 tende
 a
 non
 ripresentarsi.
 Le
 diagnosi,
 comunque,
possono
infatti
essere
legate
a
disturbi
dell'umore
con
caratteristiche
 psicotiche.


Oltre
 ai
 principi
 di
 inclusione,
 il
 DSM
 prevede
 alcune
 linee
 guida
 di
 esclusione
 per
i
disturbi
dell'umore
primario
con
caratteristiche
psicotiche
(ad
esempio,
la


(5)

depressione
unipolare
o
bipolare)
e
di
psicosi
indotta
dalle
proprietà
fisiologiche
 di
una
condizione
medica
generale
o
derivante
da
sostanze
chimiche.


1.1.6
Classificazione


L'attuale
 sistema
 di
 classificazione
 della
 schizofrenia,
 come
 per
 altri
 disturbi
 psichiatrici,
 deriva
 dall'osservazione
 da
 parte
 del
 medico
 dei
 comportamenti
 gravi.
Di
conseguenza,
è
piuttosto
imprecisa
e
non
è
necessariamente
associata
 con
una
patologia
genetica.


Riconoscendo
il
rapporto
imperfetto
tra
genotipo
e
fenotipo
in
psichiatria,
Gould
 e
 Gottesman
 [12]
 hanno
 previsto
 la
 scoperta
 di
 endofenotipi
 in
 grado
 di
 migliorare
studi
genetici.
 Sono
stati
identificati
Cinque
criteri
per
un
endofenotipo:

 1)
associazione
ad
una
patologia
 2)
ereditarietà
 3)
stato
indipendente
(indipendentemente
dall'attività
della
malattia)
 4)
ereditarietà
con
la
malattia
nelle
famiglie


5)
 endofenotipo
 identificato
 in
 probandi
 si
 trova
 in
 parenti
 non
 affetti
 ,con
 un
 tasso
più
elevato
rispetto
alla
popolazione
generale.


Dato
lo
spettro
dei
circuiti
neuronali
implicati,
una
malattia
complessa
come
la
 schizofrenia
 è
 presumibilmente
 composta
 da
 endofenotipi
 multipli.
 Sono
 stati
 effettuati
studi
che
utilizzano
questo
approccio
per
creare
sottotipi
più
omogenei,
 piuttosto
che
alterare
semplicemente
le
osservazioni
di
definizione.


Per
 esempio,
 la
 working
 memory
 è
 considerata
 un
 endofenotipo
 nella
 schizofrenia
[13].
Sono
stati
trovati
nella
popolazione
pazienti
schizofrenici
che
 avevano
un
significativo
disturbo
nella
working
memory
e
ciò
ha
dimostrato
che
 era
un
deficit
parzialmente
ereditabile.

 Alcuni
dati
(
Bowden
et
al.
[14])
hanno
inoltre
indicato
la
possibilità
che
ci
sia
un
 sottogruppo
di
schizofrenia
basato
sull'età,
utilizzando
dati
di
espressione
genica
 da
linfociti
del
sangue
periferico.
Applicando
questa
modalità
per
morte,
durata
 della
malattia,

farmaci,
uso
di
droghe,
abuso
di
alcool
,fumo,
e
rischio
genetico
 relativo,
sono
state
ottenute
informazioni
preziose.
 


(6)

1.1.7
Diagnosi
differenziale


Lo
 sviluppo
 di
 biomarcatori
 in
 grado
 di
 differenziare
 la
 diagnosi
 sarebbe
 un
 risultato
 fondamentale
 in
 medicina.
 Nella
 pratica
 clinica,
 è
 essenziale
 per
 scoprire
 le
 basi
 della
 psicosi,
 scoprire
 l'eziologia
 e
 la
 patologia,
 e
 quindi
 progettare
e
implementare
l'approccio
di
gestione
clinica.


Nei
 pazienti
 che
 presentano
 disturbi
 comportamentali
 e
 /
 o
 attuazione
 di
 essi,
 può
 essere
 frettolosamente
 ed
 erroneamente
 considerata
 una
 patologia
 psichiatrica,
 quando
 in
 realtà
 i
 sintomi
 psicotici
 derivano
 da
 una
 condizione
 medica
 generale
 o
 da
 un
 abuso
 di
 sostanze.
 Inoltre,
 i
 disturbi
 dell'umore
 sono
 difficili
 da
 differenziare
 dalla
 schizofrenia.
 L’abuso
 cronico
 di
 sostanze
 psicoattive,
 come
 le
 anfetamine
 e
 la
 cocaina,
 possono
 stimolare
 la
 neurotrasmissione
della
dopamina
e
dare
allucinazioni
e
deliri.
Nei
consumatori
 di
 fenciclidina
 (PCP)
 si
 possono
 verificare
 stati
 di
 psicosi,
 agitazione,
 e
 comportamenti
violenti
[15].


Quando
 gli
 studi
 di
 proteomica
 implicano
 due
 gruppi
 di
 tests
 (schizofrenia
 e
 controllo)
 i
 loro
 risultati
 di
 pattern
 di
 espressione
 dei
 biomarcatori
 possono
 presentare
 alterazioni
 simili
 nei
 disturbi
 correlati.
 Ciò
 è
 particolarmente
 pertinente
 per
 i
 disturbi
 con
 sintomi
 derivanti
 da
 un’eziologia
 comune.
 Per
 esempio,
gli
studi
sul
siero
nella
schizophrenia
che
isolano
marker
infiammatori
 possono
 avere
 risultati
 simili
 a
 disordini
 associate
 ad
 infiammazione
 (per
 esempio,
in
riferimento
alla
diagnosi
differenziale,
disturbo
bipolare,
Il
morbo
di
 Alzheimer,
morbo
di
Parkinson,
trauma
cranico,
e
tumori
cerebrali).
Esaminando
 campioni
di
pazienti
con
disturbi
comuni
ed
endofenotipi
esclusivi
si
ottiene
una
 migliore
 visione
 di
 ogni
 componente
 del
 disordine,
 
 e
 del
 fattore
 che
 il
 clinico
 tratterà.


Campioni
biologici
provenienti
da
individui
con
schizofrenia,
disturbo
bipolare,
 disturbo
depressivo
maggiore,
e
controlli
normali
vengono
esaminati
da
profili
 proteici.
 In
 ogni
 gruppo
 di
 malati,
 vengono
 definite
 delle
 sub‐popolazioni
 sulla
 base
di
valutazioni
individuali
di
ogni
endofenotipo.
La
previsione
della
classe
di
 appartenenza
può
identificare
picchi
di
proteine
che
discriminano
i
vari
gruppi
 in
 base
 alla
 classificazione
 della
 malattia.
 Tuttavia,
 l'analisi
 con
 l'
 endofenotipo
 può
 rivelare
 marcatori
 che
 meglio
 relazionano
 la
 disfunzione
 endofenotipica
 e


(7)

quindi
il
trattamento
finale.


La
 schizofrenia
 è
 una
 patologia
 debilitante
 che
 merita
 un’indagine
 proteomica.
 Una
ricerca
mostra
che
su
PubMed,
dei
7.987
articoli
sul
tema
della
proteomica,
 solo
 19
 corrispondono
 alla
 schizofrenia.
 
 Per
 quanto
 riguarda
 i
 risultati
 limitati
 già
 ottenuti,
 e
 in
 previsione
 di
 ulteriori
 studi
 che
 utilizzano
 un
 campione
 più
 grande,
 con
 strumentazione
 selettiva,
 e
 controlli
 di
 qualità,
 il
 problema
 sta
 nel
 tradurre
 i
 dati
 in
 strumenti
 clinicamente
 utili.
 La
 ricerca
 traslazionale
 fonde
 scienza
 di
 base
 e
 ricerca
 clinica
 per
 ottenere
 un
 ottimale
 beneficio
 terapeutico.

 Nel
 processo
 clinico
 della
 schizofrenia
 le
 strategie
 della
 proteomica
 si
 sposano
 con
le
discipline
della
medicina,
con
esse
dobbiamo
comprendere
il
profilo
della
 malattia,
 eziologia,
 patogenesi,
 le
 strategie
 cliniche
 diagnostiche,
 ed
 infine
 la
 gestione.
In
ogni
campo
medico,
la
proteomica
ha
un
unico
e
rivoluzionario
ruolo.
 


1.2
PROTEOMICA
E
SCHIZOFRENIA:
STATO
DELL’ARTE


Nonostante
 i
 notevoli
 sforzi,
 c'è
 ancora
 una
 mancanza
 di
 modelli
 animali
 per
 disturbi
 psichiatrici.
 Per
 SCZ,
 per
 esempio,
 è
 difficile
 che
 un
 modello
 animale
 rifletta
 la
 condizione
 umana.
 Questo
 è
 una
 delle
 ragioni
 principali
 che
 guida
 i
 ricercatori
 all'analisi
 post‐mortem
 dei
 tessuti
 del
 cervello
 umano
 e
 di
 fluidi
 di
 pazienti
SCZ
e
BPD.
Il
principale
obiettivo
di
questi
studi
umani
è
una
migliore
 comprensione
della
la
fisiopatologia
di
tali
disturbi,
nonché
l'identificazione
dei
 candidati
 biomarcatori
 e
 nuovi
 potenziali
 target.
 Infatti,
 l’analisi
 proteomica
 ha
 identificato
 con
 successo
 componenti
 di
 percorsi
 molecolari
 coinvolti
 nei
 disturbi
psichiatrici,
dimostrando
così
le
potenzialità
di
questi
metodi
in
questo
 campo
di
ricerca.
In
particolare
per
la
schizofrenia
la
patogenesi
e
l’eziologia
non
 sono
 ancora
 chiarite.
 Il
 cambiamento
 dell’espressione
 di
 alcune
 proteine
 potrebbe
essere
associato
alla
presenza
della
malattia
o
ad
alcuni
elementi
clinici
 che
 corrispondono
 alla
 fase
 acuta
 di
 malattia,
 a
 sostegno
 di
 questa
 ipotesi
 esistono
scarsi
dati
di
letteratura.
Huang
et
al.
(16),
hanno
analizzato
il
liquido
 cerebrospinale
e
il
profilo
proteomico
in
Patients
Prodromal
for
Psychosis
(PPP),
 mostrando
 che
 dal
 36%
 al
 29%
 di
 pazienti
 con
 PPP
 mostrano
 uno
 specifico
 profilo
 metabolico/proteomico.
 Comunque,
 la
 disregolazione
 biochimica


(8)

mostrata
nei
pazienti
PPP
e`
al
momento
in
grado
di
discriminare
quali
di
questi
 pazienti
 andranno
 incontro
 ad
 una
 psicosi
 cronica.
 Livelli
 sierici
 dei
 marcatori
 infiammatori
 sTNRF1
 e
 sTNRF2
 sono
 stati
 riscontrati
 piu`
 elevati
 in
 pazienti
 schizofrenici
 cronici
 ricoverati
 rispetto
 ai
 controlli,
 anche
 se
 non
 e`
 stata
 riscontrata
 una
 correlazione
 con
 la
 gravità
 della
 sintomatologia
 (17).
 Dietrich‐ Muszalska
 and
 Olas
 (18)
 hanno
 dimostrato
 che
 la
 proteina
 collagen‐stimulated
 platelet
 aggregation
 era
 significativamente
 più
 bassa
 nei
 pazienti
 schizofrenici
 rispetto
ai
controlli
sani.
In
un
altro
studio
(19),
l’attività
dell’enzima
piastrinico
 antiossidativo
 superossido
 dismutasi
 (SOD)
 e
 il
 livello
 del
 thiobarbituric
 acid
 reactive
species
(TBARS)
e`
stato
misurato
come
indicatore
di
stress
ossidativo.
I
 risultati
suggeriscono
una
rafforzata
generazione
di
reactive
oxygen
species
e
un’
 attivita`
 significativamente
 più
 bassa
 dell’enzima
 SOD
 in
 pazienti
 schizofrenici
 confrontati
con
controlli
sani.
La
lunghezza
del
telomero
nei
linfociti
del
sangue
 periferico
 (PBL)
 di
 individui
 con
 schizofrenia,
 è
 stato
 osservato
 essere
 significativamente
ridotto.
In
uno
studio
di
follow‐up,
Porton
et
al
(20)
quantificò
 l’attività
 dell’enzima
 telomerasi
 in
 PBL
 riscontrandone
 una
 significativa
 diminuzione
 nei
 pazienti
 schizofrenici
 rispetto
 ai
 controlli
 sani.
 In
 uno
 studio
 recente,
una
proteina
corrispondente
al
gruppo
delle
alpha‐defensine
fu
capace
 di
discriminare
pazienti
schizofrenici
con
minimo
trattamento
farmacologico
da
 controlli
 sani,
 all’interno
 di
 T‐cells
 lisate
 (21).
 Inoltre,
 il
 sangue
 di
 21
 gemelli
 monozigoti
discordanti
per
schizofrenia
e
8
paia
di
gemelli
sani
venne
analizzato
 tramite
 l’ELISA
 riguardo
 all’espressione
 di
 alpha‐defensine.
 Sia
 gli
 affetti
 che
 i
 soggetti
sani
risultarono
avere
una
significativa
elevazione
dei
livelli
dell’alpha‐ defensina
quando
confrontati
con
la
coppia
dei
gemelli
sani.
In
conclusione,
i
dati
 appaiono
intriganti
ma
non
conclusivi.
Oltre
alla
necessita`
di
replicare
i
risultati
 su
campioni
numerosi,
a
nostra
opinione,
la
disponibilità
di
controlli
psichiatrici
 con
altre
diagnosi
cosi`
come
la
disponibilità
di
due
diversi
campioni
di
pazienti
 con
 disturbi
 dello
 spettro
 psicotico
 in
 diverse
 fasi
 della
 malattia,
 potrebbe
 aiutare
a
discriminare
aspetti
specifici
della
patologia.



1.3
SCHIZOFRENIA
E
METABOLOMICA


(9)

all'individuazione
di
percorsi
biochimici
e
di
conseguenza
hanno
fornito
qualche
 indicazione
sui
metaboliti
associati.
La
quantificazione
di
metaboliti
con
approcci
 diversi
 in
 grado
 di
 fornire
 un
 quadro
 più
 completo
 di
 attività
 cerebrale
 puo’
 essere
utile
per
la
comprensione
dei
processi
biochimici,
nonché
un
mezzo
per
 fornire
 una
 fonte
 di
 biomarcatori
 non
 su
 base
 proteica.
 L'analisi
 mirata
 dei
 metaboliti
 è
 stata
 utilizzata
 funzionalmente
 per
 convalidare
 le
 modifiche
 dell’espressione
 proteica.
 Da
 quando
 sono
 stati
 trovati
 gli
 enzimi
 chiave
 della
 glicolisi
 espressi
 in
 maniera
 differenziale
 nel
 talamo
 SCZ,
 sono
 stati
 misurati
 i
 livelli
 di
 piruvato
 e
 NADPH
 usando
 un
 semplice
 test
 enzimatico
 che
 ha
 confermato
 di
 ciò
 [22].
 L'avvento
 di
 high‐resolution
 proton
 nuclear
 magnetic
 resonance
spectroscopy
(1H‐NMR)
ha
fornito
un
mezzo
di
analisi
multiplexing
di
 metaboliti
 fornendo
 una
 maggiore
 precisione
 e
 un’
 efficienza
 più
 elevata.
 1H‐ NMR
è
stato
utilizzato
per
osservare
gli
effetti
di
una
serie
di
farmaci
psicotropi
 sui
metaboliti
cerebrali
di
ratto
e
sono
state
rilevate
differenze
significative
per
 quanto
riguarda
i
livelli
di
N‐acetilaspartato
(NAA)
[23].
Inoltre,
è
stata
utilizzata
 (HPLC)
per
quantificare
le
differenze
significative
nelle
poliammine
putrescina
e
 spermidina
 nell’
 ansia
 elevata(HAB)
 e
 bassa
 (LAB)
 negli
 estratti
 di
 tessuto
 cerebrale
[24].
Dal
momento
che
tutti
i
metodi
di
profiling
molecolare
descritti
 qui
 hanno
 i
 loro
 punti
 di
 forza
 e
 di
 debolezza,
 l'uso
 combinato
 di
 due
 o
 più
 di
 questi
 sarebbe
 meglio
 per
 massimizzare
 la
 copertura
 delle
 vie
 molecolari
 rilevanti
 quali
 quelle
 descritte
 da
 Salim
 et
 al.
 [25]
 nella
 caratterizzazione
 delle
 differenze
 del
 proteoma
 che
 si
 verificano
 durante
 la
 differenziazione
 di
 cellule
 precursori
 neurali
 o
 applicato
 nel
 l’
 analisi
 del
 proteoma
 del
 talamo
 dei
 SCZ
 rispetto
ai
controlli
sani
Martins
de
Souza
et
al.
[22].






1.4
LA
PROTEOMICA


Il
 termine
 proteoma
 indica
 tutte
 le
 proteine
 espresse
 da
 un
 genoma:
 da
 qui
 la
 proteomica
puo`
essere
definita
come
lo
studio
di
tutte
le
proteine
espresse
in
un
 dato
organismo,
tessuto
o
cellula
(26).


La
proteomica
originariamente
si
era
focalizzata
sull’identificazione
di
proteine
e
 sulle
differenze
tra
coppie
di
campioni
derivati
da
diversi
tessuti
o
condizioni,
ma


(10)

si
e`
poi
estesa
a
definire
gli
aspetti
strutturali
e
funzionali
delle
proteine
su
larga
 scala.


L’analisi
 diretta
 delle
 proteine
 presenti
 in
 una
 cellula
 offre
 vantaggi
 che
 vanno
 oltre
quelli
ottenuti
dall’approccio
genomico,
in
quanto
gli
studi
sul
genoma
non
 danno
informazioni
precise
sui
livelli
delle
proteine
nella
cellula
e
non
possono
 rilevare
le
possibili
modificazioni
post‐traduzionali
che
determinano
la
funzione
 delle
proteine
e
che
risultano
particolarmente
importanti
nella
trasduzione
del
 segnale
 (spesso
 i
 segnali
 sono
 trasmessi
 proprio
 da
 modificazioni
 post‐ traduzionali
delle
proteine
come
la
fosforilazione)
(27,28).


Il
proteoma
e`
infatti
un’entita`
dinamica
poiche
le
cellule
di
uno
stesso
organo
 esprimono
 proteine
 differenti
 ed
 anche
 lo
 stesso
 tipo
 di
 cellule
 in
 condizioni
 diverse
(eta`,
malattia,
ambiente)
esprime
proteine
diverse
(26).


Esistono
2
aree
principali
in
questo
campo:
 


•
 la
 proteomica
 funzionale:
 permette
 la
 caratterizzazione
 dell’attivita`,
 delle
 interazioni
e
della
presenza
di
modificazioni
post‐traduzionali
delle
proteine,
per
 la
descrizione
a
livello
molecolare
dei
meccanismi
cellulari;



•
 la
 proteomica
 profiling:
 fornisce
 la
 descrizione
 dell’intero
 proteoma
 di
 una
 cellula,
organismo
o
tessuto.


A
 causa
 della
 diversita`
 delle
 proteine,
 e`
 emerso
 un
 range
 vario
 di
 tecnologie
 proteomiche
 che
 integrano
 metodi
 biologici,
 chimici
 ed
 analitici:
 la
 principale
 tecnologia
utilizzata
e`
la
spettrometria
di
massa
(MS),
accoppiata
con
metodi
di
 separazione
delle
proteine
(29).


La
MS
e`
una
tecnica
altamente
sensibile
e
versatile
per
lo
studio
delle
proteine:
 e`
utilizzata
per
quantificare
le
proteine
e
per
determinarne
sequenza,
massa
e
 informazioni
 strutturali
 (in
 particolare
 modificazioni
 post‐traduzionali,
 come
 glicosilazioni
o
fosforilazioni)
(30).


Il
 successo
 nell’identificazione
 della
 proteina,
 comunque,
 dipende
 dalla
 preparazione
del
campione
e
dal
tipo
di
spettrometro
di
massa
utilizzato.


La
 combinazione
 della
 MS,
 per
 l’identificazione
 proteica,
 con
 l’elettroforesi
 bidimensionale
 (2‐DE),
 come
 tecnica
 separativa
 ad
 alto
 potere
 risolutivo,
 e`
 il
 metodo
classico
e
piu`
utilizzato
(31).


(11)

Negli
ultimi
anni
la
proteomica,
grazie
anche
allo
sviluppo
di
nuove
tecniche
di
 spettrometria
di
massa
e
alla
disponibilita`
di
sequenze
genomiche,
e`
progredita
 con
 crescente
 interesse
 nel
 mondo
 scientifico:
 al
 momento
 e`
 usata
 come
 un
 moderno
strumento
nella
scoperta
di
farmaci,
per
la
determinazione
di
processi
 biochimici
 implicati
 nelle
 malattie,
 per
 monitorare
 processi
 cellulari,
 per
 caratterizzare
sia
i
livelli
di
espressione
che
le
modifiche
post‐trasduzionali
delle
 proteine,
 per
 ricercare
 differenze
 tra
 fluidi
 biologici
 o
 cellule
 di
 soggetti
 sani
 e
 malati
 e
 per
 identificare
 markers
 di
 una
 malattia
 e
 possibili
 candidati
 per
 l’intervento
terapeutico.
 


1.4.1
Proteomica
funzionale



 La
proteomica
funzionale
e`
un
metodo
per
identificare
specifiche
protein
in
una
 cellula,
organismo
o
tessuto
che
subiscono
cambiamenti
nei
livelli
di
espressione,
 nella
localizzazione
o
modificazioni
in
risposta
a
specifiche
condizioni
biologiche.
 Lo
scopo
non
e`
quello
di
identificare
ogni
proteina
nel
campione,
ma
piuttosto
di
 caratterizzare
un
piccolo
numero
di
proteine
che
sono
implicate
nella
questione
 biologica
studiata.


Le
 metodiche
 di
 proteomica
 funzionale
 risultano
 adatte
 allo
 studio
 ed
 al
 monitoraggio
 delle
 vie
 di
 trasduzione
 del
 segnale:
 la
 strategia
 e`
 basata
 sulla
 selettiva
attivazione
di
una
specifica
risposta
cellulare
attraverso
la
stimolazione
 dei
 recettori
 di
 membrana
 di
 interesse
 e
 sull’osservazione
 dello
 specifico
 network
di
proteine
intracellulare
attivato
(27,28).


Inoltre
 le
 metodiche
 di
 proteomica
 funzionale
 risultano
 particolarmente
 adatte
 allo
studio
ed
allo
sviluppo
di
nuovi
farmaci,
rendendo
possibile
il
monitoraggio
 di
 eventuali
 cambiamenti
 nel
 pattern
 proteico
 di
 cellule,
 tessuti
 o
 organismi
 in
 seguito
 a
 trattamenti
 con
 farmaci
 e
 la
 scoperta
 di
 nuove
 proteine
 chiave
 in
 determinate
 patologie,
 come
 target
 per
 nuovi
 farmaci
 o
 biomarkers
 per
 la
 diagnosi
di
malattie.


Si
 sta
 sviluppando
 poi
 la
 strategia
 del
 proteome
 mining,
 processo
 basato
 sullo
 screening
 di
 vasti
 gruppi
 di
 composti
 chimici
 contro
 un
 proteoma
 per
 identificare
 interazioni
 farmaco‐proteina
 altamente
 selettive;
 questo
 metodo


(12)

rende
 possibile
 lo
 screening
 di
 librerie
 di
 composti
 per
 protein
 target
 e
 da`
 informazioni
sulla
specificita`
dei
composti
(32).


Cambiamenti
 nel
 profilo
 delle
 proteine
 durante
 gli
 eventi
 di
 segnale
 o
 dopo
 esposizione
 a
 farmaci
 possono
 essere
 monitorati
 con
 l’elettroforesi
 bidimensionale
 (33),
 rivelando
 alterazioni
 nei
 livelli
 di
 espressione,
 nella
 fosforilazione,
 nelle
 modificazioni
 post‐traduzionali
 e
 nei
 processi
 proteolitici
 delle
proteine
(34).


Negli
ultimi
anni
molti
studi
sono
stati
condotti
su
fibroblasti,
adipociti,
linfociti,
 astrociti
ed
altri
tipi
cellulari,
attivando
o
inibendo
specifiche
vie
di
trasduzione
 del
 segnale:
 la
 metodica
 piu`
 diffusa
 prevede,
 dopo
 la
 stimolazione
 con
 un
 ligando
specifico,
l’uso
della
2‐DE
e
del
Western
Blot
per
la
visualizzazione
(35).
 Ulteriori
informazioni
sulle
proteine
di
interesse,
appartenenti
alla
via
di
segnale
 in
esame,
si
ottengono
poi
tramite
l’identificazione
degli
spot
con
le
metodiche
di
 MS
(36).
 


1.4.2
Elettroforesi
bidimensionale


L'elettroforesi
 bidimensionale
 (2‐DE)
 e`
 il
 metodo
 “classico”
 e
 maggiormente
 usato
per
separare,
visualizzare,
quantificare
ed
identificare
centinaia
di
proteine
 a
 seconda
 del
 loro
 punto
 isoelettrico
 e
 peso
 molecolare,
 in
 un
 singolo
 gel,
 partendo
da
campioni
di
complesse
miscele
proteiche
estratte
da
cellule,
tessuti
 o
altri
campioni
biologici.

 In
proteomica
sono
stati
messi
a
punto
protocolli
per
l’identificazione
degli
 spot
su
2‐DE
gel
con
la
matrix‐assisted
laser
desorption/ionization
time
of
flight
 mass
spectrometry
MALDI
come
metodi
di
routine
(37).
 Questa
tecnica,
introdotta
nel
1975
da
O’Farrel
e
Klose,
separa
le
protein
in
due
 step
distinti
(Fig.2):
 
 1)
la
prima
dimensione,
Iso‐Elettro
Focusing
(IEF),
separa
le
proteine
secondo
il
 loro
 punto
 isoelettrico
 (pI);
 per
 questo
 passaggio
 e`
 stata
 importante
 l’introduzione,
 alla
 fine
 degli
 anni
 ’80,
 delle
 strip
 di
 gel
 a
 gradiente
 di
 pH
 immobilizzato
(IPG
strip),
che
hanno
aumentato
notevolmente
la
risoluzione
e
la


(13)

riproducibilita`
degli
esperimenti;
 


2)
la
seconda
dimensione,
l’elettroforesi
su
gel
di
poliacrilammide
(SDS‐PAGE),
 separa
le
proteine
secondo
il
peso
molecolare
(PM).


Con
 questa
 tecnica
 si
 possono
 separare
 migliaia
 di
 proteine,
 anche
 quelle
 che
 differiscono
per
un
solo
amminoacido
o
per
piccole
differenze
di
pI
e/o
PM,
ed
 ogni
 spot
 ottenuto
 corrisponde
 ad
 una
 singola
 specie
 proteica.
 Per
 una
 buona
 elettroforesi
 bidimensionale
 e`
 essenziale
 un’appropriata
 preparazione
 dei
 campioni:
 il
 processo
 dovra`
 risultare
 in
 una
 complete
 solubilizzazione,
 disaggregazione,
denaturazione
e
riduzione
delle
protein
del
campione.


Per
la
strategia
di
preparazione
dei
campioni
e`
importante
considerare
lo
scopo
 dello
studio,
infatti
step
addizionali
possono
aumentare
la
qualita`
del
risultato
 finale,
ma
portano
anche
alla
perdita
di
proteine
(38).


(14)


 


1.4.3
Prima
dimensione



 L’IEF
e`
un
metodo
elettroforetico
che
separa
le
proteine
secondo
il
loro
punto
 isoelettrico
(pI);
si
utilizzano
come
supporti
delle
strip
di
gel
di
poliacrilammide.
 Le
proteine
sono
molecole
anfotere:
presentano
carica
netta
positiva,
negativa
o
 nulla
 a
 seconda
 del
 pH
 dell’ambiente
 in
 cui
 si
 trovano.
 La
 carica
 netta
 di
 una
 proteina
e`
data
dalla
somma
di
tutte
le
cariche
positive
e
negative
delle
catene
 laterali
 e
 dei
 terminali
 amminico
 e
 carbossilico
 degli
 amminoacidi
 che
 la
 costituiscono.


(15)

Il
 punto
 isoelettrico
 e`
 il
 valore
 di
 pH
 al
 quale
 la
 carica
 netta
 della
 proteina
 e`
 zero.
 Le
 proteine
 sono
 cariche
 positivamente
 a
 pH
 minori
 del
 loro
 pI
 e
 negativamente
a
pH
maggiori.


In
 un
 gradiente
 di
 pH,
 sotto
 l’influenza
 di
 un
 campo
 elettrico,
 le
 proteine
 si
 muovono
fino
alla
posizione
nel
gradiente
alla
quale
la
loro
carica
netta
e`
nulla;
 ad
esempio
una
proteina
con
carica
positiva
migrera`
verso
il
catodo,
riducendo
 progressivamente
la
sua
carica
positiva,
mentre
si
muove
attraverso
il
gradiente,
 finche`
non
raggiunge
il
suo
pI.


Questo
 e`
 l’effetto
 focusing
 dell’IEF,
 che
 concentra
 le
 proteine
 ai
 loro
 pI
 e
 permette
di
separarle
sulla
base
di
piccole
differenze
di
carica.


La
risoluzione
del
campione
e`
determinata
dall’ampiezza
del
gradiente
di
pH
e
 dalla
 forza
 del
 campo
 elettrico.
 Si
 utilizzano
 comunemente
 voltaggi
 alti
 (oltre
 1000
V):
quando
le
proteine
hanno
raggiunto
la
posizione
finale
nel
gradiente
di
 pH,
 nel
 sistema
 c’e`
 un
 piccolo
 movimento
 ionico
 che
 risulta
 in
 una
 corrente
 finale
molto
bassa
(sotto
1
mA).
 L’IEF
effettuato
in
condizioni
denaturanti
da`
la
piu`
alta
risoluzione
ed
i
risultati
 migliori.
 


1.4.4
Strip



 Originariamente
il
metodo
prevedeva
l’utilizzo
di
tubi
di
gel
di
poliacrilammide
 con
gradienti
generati
da
miscele
di
anfoliti,
piccolo
polimeri
anfoteri
che,
sotto
 l’influenza
di
un
campo
elettrico,
migrano
e
si
allineano
secondo
i
pI,
dando
un
 gradiente
 continuo
 (39).
 A
 causa
 delle
 limitazioni
 e
 dei
 problemi
 di
 questi
 supporti,
sono
stati
sviluppati
dei
gel
a
gradiente
di
pH
immobilizzato
(IPG)
(40):
 sono
 creati
 incorporando
 covalentemente
 un
 gradiente
 di
 gruppi
 acidi
 e
 basici
 nel
gel
di
poliacrilammide.


Per
 le
 strip
 sono
 utilizzate
 molecole
 ben
 caratterizzate,
 monomeri
 di
 acrilammide
legati
ognuno
ad
un
singolo
gruppo
basico
o
acido.
Le
strip
IPG
sono
 prodotte
su
supporti
in
plastica
usando
due
soluzioni:
una
miscela
acida
ed
una
 basica
di
monomeri
di
acrilammide
(entrambe
contenenti
inoltre
bisacrilammide
 e
catalizzatori).
Le
concentrazioni
dei
gruppi
nelle
due
soluzioni
determinano
il


(16)

range
di
pH
del
gradient
prodotto
(Fig.
3).


I
gel
sono
poi
lavati,
disidratati
e
tagliati
a
strisce.


In
 commercio
 si
 trovano
 strip
 (Amersham
 Biosciences,
 Sigma,
 etc.)
 di
 varie
 lunghezze
(7‐11‐13‐18‐24
cm)
e
con
vari
intervalli
di
pH
(3‐10;
4‐7;
6‐11;
 6‐9;
3,5‐4,5;
etc),
lineari
(L)
e
non
lineari
(NL).
L’uso
delle
strip
IPG
aumenta
la
 riproducibilita`
e
la
qualita`
dei
risultati
(41).
 
 


1.4.5
Seconda
dimensione


Dopo
 l’IEF
 si
 passa
 all’SDS‐PAGE,
 una
 tecnica
 elettroforetica
 che
 separa
 I
 polipeptidi
secondo
la
massa
molecolare,
utilizzando
gel
di
poliacrilammide.
 Il
sodio
dodecil
solfato
(SDS)
e`
un
detergente
anionico
che
in
soluzione
acquosa
 stabilizza
le
molecole
proteiche
denaturate
formando
attorno
ad
esse
un
guscio
 di
 solvatazione
 (1,4
 g
 SDS/g
 proteine)
 che
 genera
 micelle
 dotate
 della
 stessa
 carica
 elettrica.
 In
 questo
 modo
 la
 specifica
 carica
 elettrica
 di
 una
 catena
 polipeptidica
 viene
 mascherata
 dalle
 cariche
 negative
 presenti
 sulle
 micelle
 formate
 dalle
 molecole
 di
 SDS
 ed
 ogni
 aggregato
 solubilizzato,
 proteina‐SDS,
 viene
 a
 presentare
 identica
 carica
 negativa
 per
 unita`
 di
 massa.
 Le
 particelle


(17)

anioniche
si
spostano
nel
gel
di
acrilammide,
che
agisce
da
setaccio
molecolare,
 separandosi
 in
 base
 al
 loro
 peso
 molecolare
 mentre
 migrano
 in
 direzione
 dell’anodo.
 
 L’SDS‐PAGE
consiste
in
quattro
step:
 
 1)
preparazione
del
gel
di
seconda
dimensione;
 2)
equilibratura
delle
IPG
strip;
 3)
posizionamento
delle
strip
sul
SDS‐gel;
 4)
elettroforesi.
 


1.4.6
Visualizzazione
dei
risultati


Molti
 metodi
 possono
 essere
 utilizzati
 e
 le
 caratteristiche
 richieste
 sono:
 alta
 sensibilita`,
 ampio
 range
 di
 quantificazione,
 compatibilita`
 con
 la
 spettrometria
 di
massa,
bassa
tossicita`.


I
metodi
piu`
comunemente
utilizzati
sono:


SILVER
STAINING:
molto
sensibile
(1
ng);
e`
un
processo
multi‐step
che
utilizza


vari
 reagenti.
 Si
 trova
 in
 commercio
 in
 kit.
 Con
 protocolli
 modificati,
 che
 omettono
 glutaraldeide
 e
 formaldeide
 dalla
 soluzione
 di
 nitrato
 d’argento,
 il
 metodo
diventa
compatibile
con
la
spettrometria
di
massa;


COOMASSIE
 STAINING:
 e`
 circa
 50‐100
 volte
 meno
 sensibile
 (30‐50
 ng)
 della


colorazione
 all’argento.
 Si
 puo`
 utilizzare
 il
 Coomassie
 blue
 R‐250,
 che
 e`
 un
 metodo
semplice
basato
su
due
sole
soluzioni,
una
colorante
ed
una
decolorante,
 o
il
Coomassie
colloidale
G‐250
che
mostra
una
maggiore
sensibilita`
(42).


FLUORESCENCE
 STAINING
 :
 utilizza
 molecule
 (dyes)
 in
 grado
 di
 complessarsi


alle
protein
ed
emettere
ad
una
lunghezza
d’onda
di
610
nm.


Le
 immagini
 dei
 gel
 vengono
 poi
 acquisite
 tramite
 scanner
 ed
 analizzate
 al
 computer
 con
 software
 appositi
 per
 analizzare
 complessi
 campioni
 proteici
 separati
con
l’elettroforesi
bidimensionale:
un
esempio
e`
il
software
Amersham
 Biosciences
 ImageMasterTM
 2D
 Elite.
 E’
 cosi`
 possibile
 individuare
 proteine
 mancanti
 o
 modificate,
 quantificare
 gli
 spot
 proteici
 ed
 i
 cambiamenti


(18)

nell’espressione
proteica
in
diversi
campioni
(come
controlli
vs
patologici)
(43).
 Gli
spots
possono
essere
identificati
tramite
Spettrometria
di
Massa.
 


1.5
SPETTROMETRIA
DI
MASSA



 Gli
approcci
principali
sono
la
peptide‐mass
fingerprinting
utilizzando
la
matrix‐ assisted
 laser
 desorption/ionisation
 (MALDI)
 e
 l’electrospray
 ionisation
 (ESI)
 con
la
tandem
mass
spectrometry.


1.5.1
MALDI


Durante
 gli
 anni
 passati
 la
 matrix‐assisted
 laser
 desorption/ionization
 time
 of
 flight
 mass
 spectrometry
 (MALDI‐TOF‐MS
 o
 in
 breve
 MALDI)
 e`
 diventato
 un
 potente
e
diffuso
strumento
analitico
utilizzato
in
molti
campi
scientifici.


E’
 una
 tecnica
 basata
 sul
 trasferimento
 delle
 molecole
 in
 fase
 gassosa,
 attribuendo
 loro
 una
 carica:
 essenziale
 e`
 “incastrare”
 queste
 molecole
 in
 una
 struttura
di
acidi
organici
deboli,
di
struttura
cristallina,
detta
matrice.


Dopo
 l’esposizione
 ad
 un
 raggio
 laser
 (λ
 337
 nm),
 le
 molecole
 di
 analita
 incastrate
sono
trasformate
in
fase
gassosa
(desorption)
e
ionizzate
dalla
matrice
 che
 agisce
 da
 donatore
 di
 protoni.
 La
 matrice
 e`
 quindi
 responsabile
 della
 ionizzazione,
facilita
la
desorption
e
previene
la
decomposizione
degli
analiti.
 La
 matrice
 e`
 scelta
 in
 modo
 che
 assorba
 fortemente
 l’energia
 del
 raggio
 laser
 alla
 lunghezza
 d’onda
 alla
 quale
 gli
 analiti
 presentano
 solo
 un
 debole
 assorbimento.
 Dopo
 la
 ionizzazione
 e
 la
 desorption,
 le
 molecole
 cariche
 sono
 accelerate
all’interno
di
un
campo
elettrico,
acquistando
un’energia
cinetica
fissa.
 Il
rapporto
massa/carica
(m/z)
e`
misurato
dal
“tempo
di
volo”
(time
of
flight),
in
 quanto
gli
ioni
arrivano
al
detector
secondo
il
rapport
m/z
(Fig.4‐5).


(19)


 Fig.
4
Maldi‐Tof



 Fig.
5
Maldi‐Tof


Il
 detector
 converte
 l’energia
 cinetica
 delle
 particelle
 in
 arrivo
 in
 segnale
 elettrico.
 Sia
 ioni
 che
 particelle
 neutre
 dotate
 di
 energia
 cinetica
 passano
 attraverso
 la
 zona
 di
 volo
 alla
 cui
 fine
 e`
 posto
 un
 dinodo.
 Quest’
 ultimo
 rappresenta
una
speciale
superficie
capace
di
emettere
una
corrente
di
elettroni
 in
risposta
all’urto
con
una
particella
dotata
di
energia
cinetica.
A
causa
di
una
 differenza
 di
 potenziale
 positiva,
 la
 corrente
 elettrica
 giunge
 ad
 un
 secondo
 dinodo
e
causa
un
rilascio
di
corrente
amplificata.
Si
ottiene
uno
spettro
di
massa
 che
 rappresenta
 una
 mappa
 dell’abbondanza
 relative
 degli
 ioni
 prodotti
 in
 funzione
del
rapporto
m/z.


Le
 informazioni
 di
 peso
 molecolare
 e
 di
 sequenza
 ottenute
 dall’analisi
 dello
 spettro
 di
 massa
 possono
 essere
 inserite
 in
 un
 database
 per
 identificare
 le
 proteine.


La
quantita`
minima
di
campione
necessaria
per
l’analisi
dipende
dalla
purezza
 del
campione
e
di
solito
e`
nell’ordine
di
poche
picomoli.


(20)

rendono
il
MALDI
un
metodo
d’elezione
per
l’analisi
di
tutti
I
tipi
di
biomolecole
 (proteine,
acidi
nucleici,
carboidrati)
(44).


In
combinazione
con
l’elettroforesi
bidimensionale
(e
con
i
database
di
proteine)
 il
MALDI
e`
particolarmente
utilizzato
per
l’identificazione
di
spot
proteici
(45)
 attraverso
 2
 approcci
 principali:
 la
 peptide‐mass
 fingerprinting
 (analisi
 della
 massa
dei
digeriti
proteolitici)
o
la
peptide
sequencing.


I
campioni,
di
solito,
sono
separati
su
un
gel
e
gli
spot
proteici
di
interesse
sono
 tagliati
e
trattati
con
tripsina,
un
enzima
in
grado
di
rompere
i
legami
peptidici
in
 cui
e`
coinvolto
un
residuo
di
arginina
o
lisina;
la
miscela
di
frammenti
proteici
 (peptidi)
 ottenuta
 dopo
 digestione
 enzimatica
 e`
 purificata
 e
 sottoposta
 ad
 analisi
di
massa.


La
 massa
 dei
 peptidi
 puo`
 essere
 misurata
 con
 maggior
 precisione
 rispetto
 a
 quella
 delle
 proteine
 intatte:
 i
 peptidi
 danno
 origine
 ad
 una
 library
 di
 masse
 molecolari
derivate
direttamente
dalle
proteine,
che
possono
essere
identificate
 con
tecniche
computazionali
e
tramite
l’utilizzo
di
database
(46).
Se
la
proteina
 non
 risulta
 presente
 nei
 database,
 e`
 possibile
 ottenere
 informazioni
 sulla
 sequenza
 dal
 MALDI,
 con
 un
 protocollo
 di
 degradazione
 di
 Edman
 modificato:
 questo
 e`
 un
 metodo
 comune
 per
 l’analisi
 della
 sequenza
 delle
 proteine,
 che
 utilizza
ripetuti
cicli
di
rottura
dei
singoli
amminoacidi
dal
terminale
amminico
 (tramite
 peptidasi)
 e
 successive
 identificazione
 degli
 amminoacidi
 staccati
 con
 cromatografia
 liquida
 ad
 alta
 pressione
 (HPLC).
 La
 miscela
 di
 peptidi
 e`
 analizzata
 e
 la
 sequenza
 codificata
 tramite
 differenze
 di
 massa
 (peptide
 ladder
 sequencing)
(Fig.
6).


(21)


 Maggiori
 e
 piu`
 precise
 informazioni
 sulla
 proteina
 e
 sulla
 sua
 sequenza
 si
 ottengono
pero`
con
la
spettrometria
di
massa
tandem
(MS‐MS)
o
massamassa,
 una
tecnica
che
utilizza
2
analisi
spettrometriche
di
massa
accoppiate:
i
peptidi
 carichi
 possono
 decomporsi
 spontaneamente
 dopo
 la
 ionizzazione
 (postsource
 decay)
o
possono
essere
sottoposti
ad
una
attivazione
per
collisione
(collision‐ induced
decay)
per
generare
frammenti
carichi
(44).


Con
i
dati
ottenuti
si
fanno
ricerche
su
banche
dati.


Il
 piu`
 grande
 vantaggio
 del
 MALDI
 e`
 la
 velocita`
 nonche’
 
 la
 possibilita`
 di
 automatizzare
 l’analisi;
 per
 altre
 applicazioni
 il
 MALDI
 non
 e`
 la
 miglior
 scelta,
 perche’
 i
 dati
 ottenuti
 non
 sono
 abbastanza
 specifici
 per
 l’identificazione
 delle
 proteine.


In
 generale
 l’analisi
 fingerprinting
 non
 e`
 specifica
 per
 l’identificazione
 delle
 proteine
come
invece
la
sequenza
amminoacidica
ottenuta
con
la
MS‐MS.


Per
 queste
 ragioni
 sta
 emergendo
 (oltre
 al
 peptide
 mass
 fingerprinting)
 una
 nuova
classe
di
spettrometri
MALDI,
come
il
MALDI‐TOF‐TOF
e
il
MALDI‐Q‐TOF
 (35).


(22)

1.5.2
Ionizzazione
electrospray
(ESI)



 Con
la
tecnica
ESI,
la
sostanza
e`
introdotta
in
soluzione
in
un
ago
capillare
e
ne
 fuoriesce
sotto
forma
di
aerosol
(goccioline
di
diametro
di
1‐2mm).
Tra
l’ago
e
il
 mantello
della
camera
(elettrodo
cilindrico)
e`
creata
una
differenza
di
 potenziale
che
induce
sulle
goccioline
un
eccesso
di
carica
positiva.
A
causa
delle
 loro
ridotte
dimensioni,
il
solvente
evapora
rapidamente
da
ogni
gocciolina
che
 diventa
sempre
piu`
piccola;
la
densita`
di
carica
aumenta
finche`
diventa
cosi`
 alta
da
determinare
l’espulsione
di
ioni
di
soluto
dalla
gocciolina.
Gli
ioni
cosi`
 prodotti
sono
poi
spinti
attraverso
un
sistema
di
fenditure
nello
spettrometro
di
 massa.
E’
il
metodo
piu`
specifico
per
l’identificazione
proteica,
ed
ha
un’altissima
 sensibilita`
(47)._


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