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CAPITOLO 7 – MODELLI DI CALCOLO E PROGRAMMI UTILIZZATI

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CAPITOLO 7 – MODELLI DI CALCOLO E PROGRAMMI

UTILIZZATI

Per lo studio del ponte è stata realizzata un’ampia gamma di modelli calibrati per analizzarne il comportamento in diversi ambiti.

Detti modelli sono stati realizzati mediante il programma di analisi strutturale agli elementi finiti (FEM) SAP 2000 v14.0.0 Advanced della “Computers and Structures, Inc.”, Berkeley – California (USA), e possono essere suddivisi principalmente in tre categorie:

- Modelli semplificati;

- Modello globale per lo studio statico, sismico e dell’instabilità; - Modello locale della piastra ortotropa;

- Modello locale del nodo arco – impalcato.

7.1 – Modelli semplificati

In fase di dimensionamento, per la definizione della presollecitazione relativa alla cortina di sospensione, sono stati realizzati due modelli semplificati.

Il primo è rappresentato da una trave continua su di un numero di appoggi pari a quello dei pendini di sospensione, su cui agiscono solamente i carichi permanenti strutturali e portati dell’impalcato. La metà di ciascuna reazione vincolare verticale, vista la presenza di un doppio piano di pendinatura, rappresenta lo sforzo normale presente in ciascun pendino nella condizione di carico sovraesposta; sulla base di tale sollecitazione è possibile definire un valore di primo tentativo del pretiro da attribuire a ciascun elemento del piano di sospensione.

Fig. 7.1 – Modello semplificato dell’impalcato rappresentato come trave continua su di un numero di appoggi pari a quello dei tiranti di sospensione. In figura è visualizzato l’andamento del diagramma del momento flettente.

Il secondo modello semplificato è costituito esclusivamente dai due archi gemelli riuniti in mezzeria e dai pendini ad essi incernierati. I carichi agenti sono il peso proprio dei due archi e della pendinatura più delle forze verticali, uguali e opposte alle reazioni verticali ricavate dal modello precedente, applicate alle estremità inferiore dei pendini e rappresentative dei carichi strutturali e portati dell’impalcato. Sia gli archi che la pendinatura sono modellati con elementi frame.

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I vincoli alle estremità degli archi sono delle cerniere sferiche mentre quelli alla base dei pendini sono dei carrelli unidirezionali che permettono lo spostamento solamente lungo la verticale (asse Z della figura).

Fig. 7.2 – Modello semplificato dei due archi gemelli riuniti in mezzeria più i pendini ad essi incernierati. In figura sono rappresentate le azioni verticali applicate alle estremità inferiore di ciascun pendino.

Dall’analisi di tale modello è possibile ricavare gli spostamenti dei punti di applicazione delle forze verticali, rappresentativi, a meno dell’abbassamento di ciascun punto degli archi, dell’allungamento a cui sono soggetti i pendini nella condizione di carico considerata (comunemente detta ponte scarico). Da tale allungamento è possibile ricavare una variazione termica negativa da dover assegnare a ciascun pendino corrispondente ad una vera e propria pretensione.

7.2 – Modello globale per lo studio statico, sismico e dell’instabilità

Per l’esecuzione delle verifiche di resistenza, di esercizio, di stabilità e per l’analisi sismica, data la complessità della struttura, si è ricorsi ad una modellazione agli elementi finiti adottato elementi frame, shell e link per schematizzare opportunamente le diverse parti del ponte.

La piastra ortotropa, costituita dalla lamiera d’impalcato e dalle canalette, è stata modellata mediante elementi shell in cui le rigidezze estensionale, flessionale e torsionale delle canalette sono state opportunamente “spalmate”, in modo da ridurre il numero complessivo di elementi finiti necessari alla soddisfacente schematizzazione della piastra ortotropa. Successivamente verranno chiariti i metodi con cui è stata definita la piastra ortotropa.

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I traversi, i cassoni – catena laterali e le travi di testata sono stati modellati con elementi frame. Gli archi sono stati schematizzati mediante elementi frame di diversa lunghezza e connessi in mezzeria con elementi link per una estensione complessiva di circa 20 metri.

I pendini sono stati modellati come elementi frame incernierati ad entrambe le estremità.

Inoltre, i vincoli sono stati posti più in basso rispetto al piano che contiene lo shell della piastra ortotropa, e collegati con elementi link verticali ai punti di intersezione tra arco e cassoni laterali, per considerare l’effettiva posizione di tali dispositivi, ai fini della determinazione degli effettivi spostamenti laterali, dovuti anche alla rotazione di tali nodi.

Fig. 7.3 – Modello globale per lo studio statico, sismico e dell’instabilità.

Come già indicato in precedenza, questo modello si presta bene sia alle analisi finalizzate alle verifiche di resistenza e deformabilità sia a quelle finalizzate a valutare il fattore di buckling, ovvero a determinare il carico critico per l’instabilità fuori piano degli archi, e a eseguire le relative verifiche non lineari che conducono alla determinazione di una grafico Forza – Spostamento relativo al comportamento del ponte.

7.2.1 – Dispositivi di vincolo e loro disposizione

Lo scopo principale nella disposizione dei vincoli è quello di fa passare il flusso delle azioni dalla sovrastruttura alla sottostruttura secondo lo schema statico adottato nel calcolo del ponte.

Nella scelta della disposizione dei vincoli occorre far sì che il ponte abbia la capacità di manifestare le proprie deformazioni “naturali”, ovvero quelle legate al ritiro, alla variazioni termiche e alla viscosità, evitando schemi iperstatici, a meno che il loro effetto non sia trascurabile.

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Nel nostro caso l’impalcato è vincolato alle spalle mediante un Layout di tipo classico modificato. Sulla spalla sinistra sono previsti un dispositivo fisso e uno multidirezionale; mentre sulla spalla destra sono previsti un dispositivo unidirezionale con asse di scorrimento parallelo all’asse del ponte e uno multidirezionale.

In questa maniera otteniamo un layout isostatico nel piano orizzontale.

Le forze orizzontali longitudinali vengono perlopiù a gravare sul solo dispositivo di vincolo fisso. Se per le azioni del vento e della frenatura ciò è tollerabile, altrettanto non è per le azioni sismiche trasversali che determinerebbero forze eccessive su tale dispositivo. È stato previsto allora l’utilizzo di tre dispositivi addizionali fluidodinamici, o shock trasmitters; due in corrispondenza dei vincoli multidirezionali e uno in corrispondenza di quello monodirezionale, tutti in direzione parallela all’asse del ponte, per l’assorbimento delle azioni orizzontali impulsive (sisma). Questi speciali dispositivi consentono quelle che abbiamo chiamato deformazioni “naturali”, mentre impediscono le deformazioni veloci, derivanti da azioni impulsive, opponendosi alle forze che le generano. In questa maniera, in caso di sisma, i dispositivi fluidodinamici si bloccano e l’azione è ripartita vantaggiosamente su più vincoli e divisa equamente sulle due spalle.

Fig. 7.4 – Disposizione dei vincoli e dispositivi utilizzati.

7.2.2 – La piastra ortotropa

La discretizzazione completa della piastra ortotropa d’impalcato, costituita dalla lamiera e dalle canalette, richiede l’impiego di un numero elevato di elementi shell. Se da un lato questo consente di avere una descrizione minuziosa dello stato tensionale presente nella piastra ortotropa, dall’altro richiede tempi di elaborazioni elevati per la ricerca della soluzione con un normale calcolatore. Si sostituisce allora alla piastra ortotropa effettiva una piastra ortotropa equivalente.

Si consideri una porzione di p.o. effettiva di larghezza pari a 0,6 metri e lunghezza di 1 metro al cui interno sia contenuta una canaletta.

Analogamente si consideri una lamiera avente medesima larghezza e lunghezza dell’elemento di p.o. elementare e di spessore pari a “t”, valore che andremo a determinare sulla base di una equivalenza flessionale tra le due piastre.

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Fig. 7.5 – Dimensioni dell’elemento della p.o. effettiva e di quella equivalente espresse in mm.

Una volta ricavato lo spessore “t” dovremo procedere alla modifica di ulteriori parametri di rigidezza, massa e peso per completare l’equivalenza tra la p.o. effettiva e quella utilizzata nel modello. Infatti, il codice di calcolo SAP2000 permette la modifica dei seguenti parametri meccanici dell’elemento shell di base:

- Mod. membrana f11: consente di modificare la rigidezza estensionale dell’elemento shell

lungo la direzione locale 1;

- Mod. membrana f22: consente di modificare la rigidezza estensionale dell’elemento shell

lungo la direzione locale 2;

- Mod. membrana f12: consente di modificare la rigidezza estensionale dell’elemento shell

lungo la direzione locale 1-2;

- Mod. flessione m11: consente di modificare la rigidezza flessionale dell’elemento shell per

la flessione attorno all’asse locale 2;

- Mod. flessione m22: consente di modificare la rigidezza flessionale dell’elemento shell per

la flessione attorno all’asse locale 1;

- Mod. flessione m12: consente di modificare la rigidezza torsionale dell’elemento shell;

- Mod. taglio v12: consente di modificare la rigidezza a taglio nel piano 1-2 dell’elemento

shell;

- Mod. taglio v23: consente di modificare la rigidezza a taglio nel piano 2-3 dell’elemento

shell;

- Mod. massa: consente di modificare la massa per unità di superficie dell’elemento; - Mod. peso: consente di modificare la peso per unità di superficie dell’elemento.

Nel caso in questione i parametri rilevanti che richiedono essere modificati sono le rigidezze estensionali f11, f22 e f12, la rigidezza flessionale m22, il modificatore di massa e quello di peso. La

rigidezza flessionale m11 non viene modificata perché lo spessore equivalente “t” è calcolato

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Fig. 7.6 – Sistema di riferimento locale della piastra ortotropa.

Determinazione dello spessore equivalente “t”

Prima di tutto è necessario calcolare le principali grandezze meccaniche della piastra ortotropa effettiva e di quella equivalente.

. . = 125,93

= 60 ∙

Per quanto riguarda il momento d’inerzia si considera quello rispetto all’asse passante per il piano medio della piastra superiore e parallelo all’asse 2.

. . = 10340,51

=12 1 −∙ Con:

- b = 60cm → larghezza dell’elemento di riferimento; - ν = 0,3 → coefficiente di Poisson per l’acciaio.

Uguagliando i due momenti d’inerzia si ottiene lo spessore della piastra equivalente che ha la stessa rigidezza flessionale attorno all’asse 2 della p.o. effettiva.

= 12 1 − . .= 12,55

Determinazione del modificatore di rigidezza estensionale f11

Tale parametro è pari al rapporto tra l’area della p.o. effettiva e quella della p.o. equivalente, entrambe estese per un tratto di lunghezza pari a “b”.

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Determinazione dei modificatori di rigidezza estensionale f22 e f12

Tali parametri sono forniti dal rapporto tra l’area della lamiera superiore e quella della p.o. equivalente, entrambe estese per un tratto di lunghezza pari a “b”.

! = !" = $% = ∙∙ = 0,112$

Con “ts” spessore della piastra superiore pari a 1,4 cm.

Determinazione del modificatore di rigidezza flessionale m22

Questo parametro è fornito dal rapporto tra il momento d’inerzia attorno all’asse 1 della sola lamiera superiore e quello della p.o. equivalente, entrambe impedite di contrarsi lateralmente ed estese ad un tratto di lunghezza “b”.

""= $% 1 −1 − = $ = 0,00139

Determinazione dei modificatori di massa e di peso

Questi modificatori sono pari al rapporto tra le masse e i pesi della p.o. effettiva e di quella equivalente, ovvero al rapporto tra l’area della p.o. effettiva e di quella equivalente. Di fatto tali modificatori coincidono con il modificatore della rigidezza estensionale f11 e quindi sono pari a

0,170.

Relazione per la determinazione delle tensioni nella p.o. effettiva

Il codice di calcolo SAP2000 fornisce come risultato dell’analisi le sollecitazioni per unità di lunghezza presenti in ciascun elemento shell. Note quelle relative alla piastra ortotropa equivalente e possibile ricavare le tensioni nella piastra ortotropa effettiva. Nel caso in esame le sollecitazioni che interessano sono: la forza assiale F11, la forza assiale F22, il momento flettente M11 e il

momento flettente M12, le restanti sollecitazioni per unità di lunghezza sono trascurabili.

La tensione normale uniforme di trazione nelle canalette e nella lamiera della p.o. effettiva dovuta alla trazione F11 in direzione delle canalette è pari a:

&''=(""∙ . .

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La tensione normale uniforme di trazione nella lamiera superiore della p.o. effettiva dovuta alla trazione F22 in direzione ortogonale alle canalette è pari a:

&)) =( ∙ $%

La tensione normale di compressione all’estremità superiore della lamiera della p.o. effettiva dovuta alla flessione attorno all’asse locale 2 (M11) è pari a:

&'',$% =*""∙ ∙ + − , -. -.∙ 1 −

Con:

- H = 264 mm → altezza complessiva della p.o. effettiva;

- yg = 202,06 mm → distanza del baricentro della p.o. effettiva dall’estremità inferiore della

canaletta.

La tensione normale di trazione all’estremità inferiore della canaletta della p.o. effettiva dovuta alla flessione attorno all’asse locale 2 (M11) è pari a:

&'',./0= *""∙ ∙ , -. -.∙ 1 −

Con:

- H = 264 mm → altezza complessiva della p.o. effettiva;

- yg = 202,06 mm → distanza del baricentro della p.o. effettiva dall’estremità inferiore della

canaletta.

La tensione normale di trazione - compressione alle estremità della lamiera della p.o. effettiva dovuta alla flessione attorno all’asse locale 1 (M22) è pari a:

&)),$% =* ∙ ∙ $/2 $% ∙ 1 −

Quindi la tensione ideale nel generico punto della lamiera superiore è data da:

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Mentre la tensione ideale nel generico punto delle piattabande inferiori delle canalette è data dall’espressione:

&23,./0 = 456&''+ &'',./07 9

Con tali tensioni, combinate con quelle derivanti da un’analisi locale della piastra ortotropa mostrata in seguito, è possibile eseguire la verifica di resistenza della suddetta piastra.

7.3 – Modello locale della piastra ortotropa

La necessità di questo modello locale particolareggiato deriva dal fatto che il programma di calcolo SAP2000 consente di operare con carichi viaggianti uniformi e concentrati puntuali, mentre non permette di diffondere i carichi concentrati su specifiche impronte; ne deriva che se si osservano le tensioni sulla p.o. equivalente nel modello globale per lo studio statico, si otterranno picchi di tensione non veritieri, dovuti all’applicazione dei carichi concentrati su punti e non sulle effettive impronte. Si analizza allora la piastra ortotropa effettiva mediante un modello locale, costituito esclusivamente da elementi shell di mesh molto fitta, applicando i carichi concentrati degli Schemi di Carico 1 e 2 definiti dalle NTC08 al par. 5.1.3.3.3 sulle effettive impronte, che tengono conto della ripartizione secondo un angolo di 45° attraverso la pavimentazione stradale fino al piano medio della lamiera superiore d’impalcato.

Fig. 7.7 – Diffusione dei carichi concentrati negli impalcati a piastra ortotropa.

Le parti della p.o. che si andranno a verificare mediante questa modellazione locale sono la lamiera superiore d’impalcato e le canalette mentre i traversi possono essere verificati utilizzando direttamente le sollecitazioni derivanti dal modello globale per lo studio statico, in quanto essi non risentono significativamente degli effetti locali dovuti all’applicazione dei carichi asse. Il modello locale in esame è costituito da cinque campi di canalette e da quattro traversi.

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I lati corti della p.o. sono stai vincolati mediante incastri mentre i lati lunghi sono stati considerati liberi, trascurando a favore di sicurezza il contributo delle parti adiacenti la p.o. nella ripartizione dei carichi. I traversi sono stati vincolati alle estremità laterali delle piattabande inferiori mediante delle cerniere cilindriche che consentono la rotazione attorno ad un asse perpendicolare a quello delle canalette.

Fig. 7.8 – Modello locale della piastra ortotropa.

Per quanto riguarda le condizioni di carico, sono stati realizzati due modelli di carico:

- MODELLO 1: carichi permanenti strutturali G1, carichi permanenti portati G2 e carichi

variabili da traffico relativi allo Schema di Carico 1.

- MODELLO 2: carichi permanenti strutturali G1, carichi permanenti portati G2 e carichi

variabili da traffico relativi allo Schema di Carico 2.

MODELLO 1

È stato applicato un carico uniformemente distribuito pari a 9 KN/m2 e degli assi tandem da 300 KN disposti come da schema.

La larghezza degli assi tandem è pari a 2 metri mentre la semi-larghezza del campo di p.o. modellato è di 1,5 metri; applicando allora 2 delle 4 impronte sulla canaletta centrale, ne deriva che le altre 2 sono esterne al campo modellato e non vengono pertanto considerate. Inoltre, per massimizzare le tensioni derivanti dalla flessione, si fa agire una delle due impronte in corrispondenza della mezzeria della canaletta centrale.

Ciascun asse tandem del peso complessivo di 300 KN scarica su due impronte quadrate, di lato 400 mm, un carico concentrato di 150 KN. Se si considera uno spessore medio della pavimentazione

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stradale pari a 126 mm e una diffusione del carico come espresso in precedenza, si ottiene per ciascun carico concentrato un’impronta di base quadrata di lato 666 mm. Allora la pressione esercitata sull’impronta considerata sarà:

: =0,666 ∙ 0,666 = 338,2 ;</150;<

Fig. 7.9 – Disposizione del carico asse secondo lo Schema di Carico 1.

MODELLO 2

È stato applicato un carico asse di 400 KN disposto in manovra, cioè con asse in direzione perpendicolare a quello delle canalette e con una delle due impronte posta in corrispondenza della mezzeria della canaletta centrale, in modo da massimizzare la flessione nelle canalette. Come nel modello 1, il carico concentrato è stato diffuso a 45° attraverso la pavimentazione stradale ottenendo un’impronta di base rettangolare di lati 616 mm e 866 mm; pertanto la pressione esercitata sull’impronta considerata sarà:

: =0,866 ∙ 0,616 = 374,9 ;</200;<

Fig. 7.10 – Disposizione del carico asse secondo lo Schema di Carico 2.

7.4 – Modello locale del nodo arco – impalcato

Cosi come per la piastra ortotropa, anche per la zona di intersezione di ciascun ramo dei due archi con l’impalcato, il modello globale non fornisce le informazioni necessarie per eseguire le opportune verifiche di resistenza. È stato quindi deciso di realizzare un modello locale di questa zona, utilizzando esclusivamente elementi shell, che fornisse le informazioni necessarie per sua particolare progettazione.

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Esso è costituito dai tratti iniziali di un cassone – catena laterale di lunghezza pari a 4,52 metri, di una trave di testata di lunghezza pari a 2,58 metri e di un ramo degli archi lungo 1,81 metri circa. All’interno di tali elementi sono stati inseriti tutti gli opportuni irrigidimenti e sono stati considerati anche i fori per i passi d’uomo, necessari per l’ispezionabilità di questa fondamentale zona del ponte. All’estremità libera di ciascuna membratura principale sono state riportate le sollecitazioni derivanti dal modello globale per le condizioni di carico ritenute più gravose.

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