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Academic year: 2021

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CAPITOLO 3

3.1 Spoiler

All‟interno della presente sezione verranno delineati tutti quegli attori esterni al conflitto e alla cerchia di quelli principali, che ne diventano importanti alla luce di possibili azioni di risoluzione e di riconciliazione fra le parti stesse. Questa situazione si realizza in quanto il ruolo e la predominanza assunta da tali attori – che nel gergo vengono definiti spoiler - è tale da ostacolare tali processi.

Nel caso riportato all‟interno di questo elaborato, si è individuato lo Stato Islamico come attore assumente tali caratteristiche e quindi come colui che merita attenzione all‟interno del medesimo capitolo.

Lo Stato Islamico1 è un‟organizzazione armata di matrice estremista islamica che

poggia le sue radici ideologiche nel fenomeno jihadista2. In origine presente all‟interno

del territorio iracheno e affiliato ad al- Qaeda ma che successivamente, a partire dal

luglio 2014 divenne preminente in Siria3.

1

Per indicare la stessa organizzazione islamica vengono utilizzati numerosi acronimi basati alle volte anche sull‟evoluzione del gruppo stesso. IS, Islamic State, è la versione inglese di come il gruppo chiama se stesso sostenendo di riconoscersi come un verso e proprio stato; ISIS, Islamic State of Iraq and

Syria, a seguito dell‟occupazione siriana nel 2013; ISIL, Islamic State of Iraq and the Levant: quello di

Levante è un termine geografico che si riferisce alla riva orientale del Mediterraneo, quindi Siria, Libano, Palestina, Israele e Giordania, impiegato dal governo statunitense; ed infine, Daesh – dall‟ acronimo di

al-Dawla al-Islāmiyya fi al- Irāq wa I-Shām, un termine utilizzato soprattutto dal governo francese a seguito

degli attentati del 2015 ma rifiutato dal gruppo stesso.

Ogni nuova denominazione corrisponde a sviluppi e mutamenti importanti nella vita dell‟organizzazione (L. Napoleoni, ISIS. Lo Stato del terrore: Chi sono e cosa vogliono le milizie islamiche che minacciano il mondo,2014).

2 L. Declich, Da al-Qaeda in Iraq a Daesh. Storia, realtà e propaganda, Foundation Assistance

Internationale, Lugano (Svizzera) in collaborazione con Un ponte per… .

3

E‟ bene tenere a mente la distinzione netta fra i due gruppi jihadisti. Seppur derivanti dalla stessa base di al- Qaeda e dalla stessa volontà di creare uno stato islamico sul modello di quello creato dal profeta Maometto e dai suoi successori, la scissione nell‟estate del 2014 è stata inevitabile a partire dalle rivalità fra i leader per quanto riguardava i metodi e le strategie da adottare per raggiungere tali obiettivi. Per il primo, fondato negli anni Novanta da Osama bin Laden e successivamente da Ayman al- Zawahiri,

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Il capo del nuovo gruppo è Abu Bakr al Baghdadi, nato nel 1971 a Samarra4, che dal 2012 opera nel territorio siriano contro il governo del Presidente, e dal 2013 ha scelto come propria roccaforte Raqqa, in una posizione strategica vicino al confine con la Turchia e in prossimità dei territori iraniani.

All‟interno dell‟area siriana, i vertici dell‟IS hanno creato una struttura gerarchica basata sulla disciplina e sulla lealtà ai leader. Essa dispone di un vertice composito da una ventina di comandanti che guidano l‟ala militare e civile del gruppo. Alcuni leader sono responsabili delle forze militari e di sicurezza, mentre i ministeri civili sono sostenuti da ministri nominati ad hoc. A livello provinciale vi è posto un leader locale dal quale dipendono gli apparati militari e amministrativi. La struttura piramidale ha il suo vertice nel califfo, al Baghdadi, che esercita pieni poteri politici e religiosi sulle comunità e gode dei benefici derivanti dal giuramento di fedeltà prestato dai membri dell‟organizzazione. Al di sotto, vi si trovano diversi ministeri che rispecchiano sostanzialmente il Consiglio dei ministri (Consiglio della šūrā, Mağlis al- Šūrā); il comitato consultivo; quello della šarī’a per gli aspetti legislativi, il comitato mediatico per diffondere l‟ideologia salafita- jihadista e i comunicati ufficiali; un ministero delle Finanze; il Consiglio di Sicurezza, quello militare con compiti equiparabili al ministero

della Difesa ed infine il Dipartimento per la Divisione amministrativa5.

la creazione del califfato è un obiettivo di lungo termine che si raggiunge utilizzando la strategia

terroristica classica: colpire i nemici in modo da causare reazioni violente che spingono la popolazione ad allearsi col gruppo. In Siria tale gruppo è rappresentato dal Fronte al- Nusra.

(http://www.ilpost.it/2015/11/21/al-qaida-isis/).

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S. d‟Auria, Il Terrorismo Islamista: Dalle Origini Allo Stato Islamico. Strategie e normative di

contrasto, rassegna penitenziaria e criminologica, No. 2 del 2015. P. 105.

5 L. Declich, Stato Islamico. L’architettura del terrore, articolo in Limes. Rivista italiana di

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Ciò che caratterizza e spiega l‟enorme successo tale gruppo da qualsiasi altra organizzazione creata in tempi passati, sono la sua modernità e il suo pragmatismo. Infatti, gli abitanti delle zone controllate dal Califfato sostengono che tale arrivo coincise anche con un miglioramento della gestione quotidiana delle città. Egli ha risistemato le strade, organizzato mense per coloro che avevano perso la propria dimora e garantito elettricità per tutto il giorno: lo Stato Islamico mostra di capire che oggi non si possono edificare nuove nazioni solo con l‟impiego di violenza e terrore e che per raggiungere tale obiettivo serve prima di tutto il consenso della popolazione. Lo stesso al Baghdadi nel suo primo discorso in veste di califfo affermava la volontà di restituire ai musulmani la dignità, la potenza, i diritti e l‟autorità del comando che possedevano nel passato con l‟obiettivo di riunire a sé giudici ed esperti di giurisprudenza islamica, medici e tecnici. Tale messaggio venne diffuso e tradotto in numerose lingue in tempo reale sui siti jihadisti ed in internet grazie a social media quali Twitter e Facebook6. All‟interno del video postato dal neo- Califfo vi è inoltre mostrata la dichiarazione degli obiettivi del leader e dei suoi seguaci e le azioni che si prefissero di attuare

successivamente: mosse e strategie operative7. L‟obiettivo di tale video era la

dichiarazione della proclamazione del califfato dello Stato Islamico e la sua volontà ad essere Stato, e ad identificarsi come un‟entità territoriale ben delineata. La costruzione quindi di non semplicemente un‟organizzazione terroristica o un movimento di guerriglia, ma di uno Stato a tutti gli effetti con un‟organizzazione, delle istituzioni, un‟autorità definita e con forti mire espansionistiche sia a livello territoriale sia in termini di popolazione8.

Per quanto riguarda l‟aspetto economico, il Califfato ha potuto godere oltre all‟elemosina rituale spettante ad ogni fedele musulmano (zakāt), ai riscatti, ai servizi pubblici e privati forniti, alle tasse e alle imposte dei lavoratori e dei non musulmani9 anche di ingenti donazioni provenienti da fondazioni religiose, da privati e da governi

6 L. Napoleoni, ISIS. Lo Stato del terrore: Chi sono e cosa vogliono le milizie islamiche che minacciano il mondo. Trad. di B. Amato, Feltrinelli Editore Milano, Serie Bianca, 2014.

7 M. Maggioni, Lo stato Islamico: una sorpresa solo per chi lo racconta, in M. Maggioni e P.

Magri, Twitter e Jihad. La comunicazione dell‟Isis, Edizioni Epokè, Novi Ligure. Pubblicato da ISPI, Milano, 2015. p. 56.

8 Ivi, p. 58.

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del Golfo Persico. Inoltre esso beneficia anche della vendita dei prodotti petroliferi e dei reperti archeologi trafugati all‟interno dell‟area e che vengono acquistati da collezionisti senza scrupoli10.

La leadership dell‟ISIS ha studiato, inoltre, le tattiche e la struttura di altri gruppi armati e le ha applicate all‟interno di un nuovo contesto. Molta importanza infatti, riveste la propaganda della paura attuata attraverso l‟impiego di agenzie di comunicazione moderne con lo scopo di diffondere immagini professionali delle sue azioni barbare. Lo Stato Islamico sa bene che la violenza estrema è un elemento che fa vendere bene la notizia: in un contesto internazionale sovraccarico di informazioni, il ciclo mediatico ricerca immagini sempre più crude che possono essere guardate facilmente su apparecchi di telefonia mobile. Ma in questo contesto, anche il mistero svolge un ruolo principale nel stimolare l‟immaginario collettivo e lo Stato Islamico lo sfrutta per edificare e consolidare il mito del nuovo califfato11.

La maggior parte dei combattenti impegnati nella guerra civile siriana sotto la guida dello Stato Islamico sono volontari stranieri, denominati per l‟appunto foreign fighters,

che provengono dai Paesi arabi e caucasici e da quelli occidentali12.

La metodologia di reclutamento utilizzata dall‟IS è basata sulle pulsioni motivazionali ed ideologiche. Esso mescola il ruolo dei social media, delle tecniche di persuasione in rete e della propaganda on line con lo scopo di far leva sull‟aspetto psicologico che può rappresentare uno strumento in grado di distruggere la volontà di resistenza dell‟uomo e quindi di dimostrarsi altrettanto letale quanto un‟arma. Tutto questo, ricorrendo all‟impiego di applicazioni fruibili nel cyberspazio, come account Twitter, Facebook, YouTube e Instagram creati per la diffusione di messaggi e video ad altissima qualità tecnica nei quali l‟accento viene posto sul tema della giustizia e della legittimità dello Stato Islamico. All‟interno di questi filmati anche il sottofondo musicale selezionato è

10

A. Leto, DAESH, IS, ISIS o ISIL molti nomi di versi per un solo pericolo: una lettura Geopolitica

dell’autoproclamato Califfato, Roma, Dipartimento di Management e Diritto dell‟Università Tor Vergata;

Sezione Lazio. P. 6.

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L. Napoleoni, cit., 2014.

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S. d‟Auria, Il Terrorismo Islamista: Dalle Origini Allo Stato Islamico. Strategie e normative di

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in sintonia con la cultura giovanile occidentale, in maniera tale da veicolare ogni aspirante combattente al gruppo più idoneo.

Molte ricerche condotte in tale ambito da parte dell’International Centre for the Study of Radicalisation and Political Violence (Icsr), dimostrano che negli ultimi anni vi è stata una mobilitazione senza precedenti per quanto riguarda giovani ragazzi appartenenti ai paesi Europei.

Ciò che spinge questi nuovi combattenti sono perlopiù la credenza nel sogno di un Califfato universale, la possibilità di essere protagonisti di un progetto in grado di valorizzarli o per l‟aspirazione ad una vita migliore, ma molti anche mossi dalla noia,

dalle tensioni generazionali, dal denaro, dalla vendetta o dal desiderio di avventura13.

Un altro aspetto del modus operandi attuato dallo Stato Islamico e dalla sua strategia comunicativa e propagandistica è il mostrare in tutto il mondo attraverso via web le immagini delle esecuzioni pubbliche degli ostaggi con l‟obiettivo di generare negli

avversarsi un grande terrore14. Questa operazione ha impegnato gli Stati a misurarsi con

una nuova forma di criminalità che fin da subito si è distinta per essere subdola e sfuggente. Gli Stati Uniti ad esempio, per far fronte a questa nuova minaccia alle già consolidate misure antiterroristiche ne hanno aggiunte ulteriori più restrittive e dure ma che non hanno sortito l‟effettivo desiderato. I Paesi Europei invece hanno adottato una metodologia di ostruzione al terrorismo islamico non radicale, riconducendolo nell‟ambito della criminalità e sottoponendolo perciò alle regole del diritto e del processo penale15.

Alla base della struttura comunicativa impiegata dall‟IS vi è tuttavia un‟ideologia

formata dalla rielaborazione di idee e concetti già presenti nel mondo jihadista16.

Nell‟ideologia del califfato il nemico non è visto come l‟ostacolo che si frappone alla realizzazione di un dato progetto politico e non è nemmeno la condensazione di tutto ciò

13 Le tecniche di reclutamento dei Foreign Fighters, Analisi difesa. Marzo 2016. Consultato on line

presso http://www.analisidifesa.it/2016/03/le-tecniche-di-reclutamento-dei-foreign-fighters/ l‟8 Luglio 2016. Articolo presente anche in Gnosis, rivista italiana di intelligence, A. Testi, Isis foreign fighters recruitment 3.0, Giugno 2016.

14

S. d‟Auria, cit, 2015. P. 107.

15 Ivi, pp. 109- 125.

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verso cui combattere, esso diviene contemporaneamente oggetto e soggetto della dottrina del gruppo, tanto da finire col rappresentare una parte costituente della stessa. La peculiare interpretazione del rapporto tra messaggio religioso ed obiettivo politico favorisce la realizzazione della violenza. Tale risultato viene raggiunto attraverso due operazioni: da un lato, la violenza viene mediatizzata attraverso la trasmissione d‟immagini e testi che poggiano all‟interno di formule istituzionalizzate del monopolio della forza; dall‟altro lato, la continua esposizione della violenza produce un effetto banalizzante17.

Il processo di creazione del nemico, etichettato come ṣaḥwa18, diviene per lo Stato Islamico un elemento cardine dell‟elaborazione dottrinale e dell‟attività propagandistica. All‟interno di tale categoria rientrano sostanzialmente tutti coloro che non aderiscono al disegno del Dawla, il movimento ad hoc che ha dedicato parte della sua azione a delineare secondo quali caratteristiche e sulla base di quali argomentazioni poteva essere lecito considerare qualcuno come un nemico.

Tale processo individua, oltre modo, un nemico interno ed uno esterno: al primo gruppo ritroviamo coloro che sostanzialmente non appartengono alla comunità islamica e non riconoscono l‟autorità del Califfo, al Baghdadi. Mentre del secondo gruppo, che riprende la prospettiva tradizionale jihadista, fanno parte in linea generale l‟Occidente ed i suoi alleati di religione non musulmana19.

L‟aspetto narrativo dello Stato Islamico non si ferma alle immagini e ai video che fornisce al mondo, esso utilizza anche una rivista in grado di veicolare il proprio messaggio e di inserirlo in un quadro analitico più complesso. In contrapposizione e diversificato dalla rivista di al-Qaeda, Inspire, esso ha istituito il magazine Dābiq20: moderno, ricco di fotografie, patinato, sofisticato e pubblicato in diverse lingue a partire dall‟inglese che si auto definisce come un magazine focalizzato sulle questioni del

17 A. Plebani e P. Maggiolini, La centralità del nemico nel califfato di al- Baghdadi, in M. Maggioni

e P. Magri, Twitter e Jihad. La comunicazione dell‟Isis, Edizioni Epokè, Novi Ligure. Pubblicato da ISPI, Milano, 2015. P. 31

18 L. Declich, Dove sventola la bandiera nera, articolo in Limes. Rivista italiana di geopolitica, Le

maschere del califfo, Gruppo editoriale L‟Espresso SpA, Roma, 9/2014. P. 53.

19

A. Plebani e P. Maggiolini, 2015. Pp. 33- 38.

20 Il nome deriva dalla piccola cittadina a nord della Siria al confine con la Turchia, scenario della

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tawhid (l‟unità), del manhaj (la ricerca della verità), del hijra (le migrazioni), della jihad (la “guerra santa”) e della jama„a (la comunità). All‟interno dei numeri pubblicati vi è il racconto di fatti avvenuti solamente pochi giorni prima della stampa con l‟utilizzo di titoli di carattere evocativo, con lo scopo di diffondere un messaggio ben preciso in grado di incuriosire, coinvolgere ed allargare l‟area di potenziali lettori, interessati ai

temi della politica dell‟islam ma non necessariamente jihadisti convinti21

.

Esso non è solamente espressione di un salto di qualità grafico rispetto alla precedente rivista di al- Qaeda, ma è anche un golpe all‟interno dello jihadismo compiuto da un fronte interventista. Se la prima si delinea come una rivista militante destinata a promuovere attività clandestine, l‟obiettivo di Dābiq è invece quello di edificare le fondamenta politiche, militari e religiose in grado di legittimare lo Stato Islamico e il suo operato, ripudiando la leadership di al- Qaeda ed accentuando la profondità del

conflitto politico- ideologico rivendicando una storia disseminata di successi militari22.

21 M. Maggioni, cit., pp. 78- 80.

22 A. Glioti, La sfida delle riviste patinate tra Al- Qā’ida e Stato Islamico, articolo in Limes. Rivista

italiana di geopolitica, Chi ha paura del Califfo, Gruppo editoriale L‟Espresso SpA, Roma. 3/2015. Pp. 135- 136.

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Figura – Sintesi delle strategie comunicative utilizzate dallo Stato Islamico23.

23

M. Lombardi, IS 2.0 e molto altro: il progetto di comunicazione del califfato, in M. Maggioni e P. Magri, Twitter e Jihad. La comunicazione dell‟Isis, Edizioni Epokè, Novi Ligure. Pubblicato da ISPI, Milano, 2015. P. 126.

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Lo Stato Islamico inoltre, viene rappresentato dai media mondiali come la più spietata,

rigida e violenta espressione del terrorismo jihadista24. E difatti già dai primi anni della

guerra civile siriana, venne mostrata tale faccia: appena giunto in Siria lo Stato Islamico attaccò l‟Esercito libero siriano e il Fronte al- Nusra, massacrandone i miliziani che rifiutavano di giurare fedeltà al califfo e occupandone le posizioni grazie all‟impiego di pretesti religiosi. Nel frattempo, a seguito di diverse rappresaglie da parte del governo,

l‟IS proseguì il suo jihad gore a nord del paese scontrandosi con le milizie curde25

. A partire dal giugno 2014 quando venne proclamato la restaurazione del califfato islamico e l‟effettiva scissione dal gruppo jihadista iracheno, massacri, scontri con i principali Paesi mondiali, esecuzioni di massa, rapimenti ed attentati terroristici si sono susseguiti uno dopo l‟altro.

A tal proposito potrebbe essere utile la seguente cartina che mostra una panoramica degli attori nemici dello Stato Islamico e di coloro che al contrario ne forniscono aiuti di ogni genere.

24 L. Declich, Dove sventola la bandiera nera, articolo in Limes. Rivista italiana di geopolitica, Le

maschere del califfo, Gruppo editoriale L‟Espresso SpA, Roma, 9/2014. P. 54.

25

X. Raufer, Lo Stato Islamico è una banda di mercenari, articolo in Limes. Rivista italiana di geopolitica, La strategia della paura, Gruppo editoriale L‟Espresso SpA, Roma, 11/2015.

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Figura – Rappresentazione degli attori a sostegno e contro lo Stato Islamico

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Un‟attenta osservazione, seppur limitata, è bene farlo in merito alla parola terrorismo per delineare una delle caratteristiche attribuite allo Stato Islamico.

Tale lemma comparve per la prima volta nel 1798 nel Dictionanarie de l‟Académie Française, che connotava una tipologia di «sistema, di regime del terrore». Per il terrorista non ha rilievo la nazionalità, l‟identità, la storia di vita, le idee, i sogni o la religione della vittima e l‟unica cosa che importa è che essa rimanga ferita o intimidita: la sofferenza inflitta deve andare a soddisfare la finalità del terrore, il più delle volte politica anche se mascherata dalla religione o dall‟ideologia. Inoltre, la vittima perde la propria umanità, viene cioè depersonalizzata, degradata da persona a numero, da

individuo a cosa e da mezzo per un fine ben specifico26.

In conclusione, possiamo notare che tutti questi fattori citati sopra rendono lo Stato Islamico un attore problematico sia in relazione all‟obiettivo ultimo che tale organizzazione si è prefissato in termini di terrorismo, sia rispetto ai fini prefissati dagli studiosi per l‟applicazione di possibili risoluzioni del conflitto siriano.

In quest‟ultimo caso per cercare di contrastare l‟imponenza di tale gruppo e la sua minaccia terroristica potrebbe essere opportuno agire sui punti di debolezza che possiamo rintracciare all‟interno di esso, attraverso un processo caratterizzato da orizzonti temporali lunghi piuttosto che strategie di breve periodo. I punti di vulnerabilità dello Stato Islamico sui quali si potrebbe intervenire paradossalmente sono gli stessi che contribuiscono al successo dell‟universo jihadista: il più importante è il messaggio ed i possibili errori o violazioni della legge sciaradistica commessi, come ad esempio l‟uccisione di innocenti, la semplificazione del messaggio profetico, il ricorso alla tortura e le conversioni forzate. In questo senso il successo dei movimenti dell‟islam politico rappresenterebbe anche una minaccia per la galassia jihadista poiché

attaccherebbe i fondamenti del suo messaggio27.

Nella lotta contro l‟IS vi è inoltre un elemento a favore delle potenze occidentali: la dimensione spaziale. Va considerato che i nemici non sono soggetti sconosciuti e invisibili che abitano solamente la realtà virtuale del web, ma fanno riferimento ad

26 R. Aitala, Il terrorismo non si vince (solo) con le bombe, articolo in Limes. Rivista italiana di

geopolitica, La strategia della paura, Gruppo editoriale L‟Espresso SpA, Roma, 11/2015.

27 A. Plebani, Jihadismo globale: Strategie del terrore tra Oriente e Occidente, Store Giunti Editore,

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un‟entità dotata di territorio con una precisa organizzazione gerarchica, un esercito distinguibile ed un sistema di welfare a supporto delle popolazioni a lui soggette. Colpire la loro struttura territoriale ed eliminare il vertice politico- militare non porterà alla distruzione totale dell‟organizzazione, ma sicuramente si otterrà un indebolimento delle capacità operative e delle forze di attrazione del messaggio politico28.

28 F. Vitali, Comunicazione e controllo ai tempi del terrore, articolo in Limes. Rivista italiana di

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3.2 Conflitti intrattabili

Non sempre però la causa di una difficile gestione del conflitto è attribuibile alla presenza e all‟azione ostacolante degli spoiler, spesso la difficoltà per gli studiosi risiede principalmente nel conflitto stesso e nelle sue caratteristiche di base.

Il conflitto scelto all‟interno di tale progetto oltre ad assumere le già note ed esplicitate caratteristiche tipiche di un conflitto asimmetrico principalmente per quanto riguarda gli attori, si caratterizza anche della sua intrattabilità rientrando all‟interno di quella piccola

percentuale (5%) delle guerre presenti oggi29.

La definizione di conflitto intrattabile riguarda sostanzialmente la radicalizzazione dei contrasti fra le parti. Si tratta di quelle situazioni nelle quali gli attori coinvolti si scambiano continuamente i ruoli di vittima e persecutore all‟interno di un contesto di escalation prolungato nel tempo che alimenta anche i programmi di vendetta. All‟interno di tale situazione non vi è apparentemente una via d‟uscita in quanto la realtà quotidiana è caratterizzata anche da una reciproca propaganda tesa alla disumanizzazione dell‟altro.

Riconoscere inoltre un conflitto intrattabile significa presupporre che le comunità in esame siano impregnate di credenze condivise che si ispirano a loro volta ad alcuni principi: cura della sicurezza, dell‟incolumità personale e dell‟interesse per la sopravvivenza collettiva; autogiustificazione, dove la propria linea interpretativa delle ragioni del conflitto tende a rendere automatica la validità degli scopi perseguiti in esso; valutazione positiva del Sé, che porta a valorizzare ogni tratto identitario del gruppo di

appartenenza; autovittimizzazione dei danni subiti dall‟avversario;

eterodelegittimizzazione, che mira alla svalutazione dell‟altro ed infine il patriottismo inteso come orizzonte interpretativo, capace di amalgamare richiami emozionali e impulsi motivazionali che giungono sino alla disponibilità di sacrificio.

Inoltre, alcune caratteristiche dei conflitti intrattabili rendono particolarmente difficoltoso il processo di riconciliazione, soprattutto quando non vi è una chiara

29 Coleman, cit. in Intractable conflicts, July/August 2012, Vol 43, No. 7. Consultato in

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distinzione fra vittima e carnefice che rende arduo il processo di presa in carico delle proprie responsabilità30.

Queste sono alcune delle particolarità che possiamo ritrovare all‟interno di un conflitto di tal portata. Ma non sono le uniche in quanto i conflitti difficili da risolvere coinvolgono solitamente più attori, poggiano su numerose istanze, ed hanno alle spalle una lunga storia di dispute e problemi. Una soluzione a questa situazione potrebbe essere l‟identificazione e le ramificazione del conflitto in sottoinsiemi da studiare ed analizzare uno alla volta tenendo sempre conto degli stadi che lo contraddistinguono. Una delle maggiori barriere all‟effettiva risoluzione di un conflitto intrattabile é la difficoltà per le parti in causa di non possedere una visione realistica della situazione una volta risolto il conflitto, e di come andrebbe strutturata e nutrita l‟eventuale pace raggiunta.

Accanto a tale difficoltà per le parti si inseriscono anche la difficoltà di comprendere i pericoli posti dall‟intensificazione del conflitto e dell‟uso della violenza impedendo così la formazione delle fondamenta per eventuali tecniche di dialogo, negoziazione e mediazione31.

Possiamo anche affermare che una definizione di conflitto intrattabile riguarda la sua impossibilità di risoluzione o meglio ancora la sua persistenza nonostante i continui tentativi32.

Il concetto viene tranquillamente comparato dagli studiosi agli aggettivi prolungato, distruttivo, profondamente radicato, intransigente, complesso, difficile… e vengono intesi come intrattabili anche tutti quei conflitti che sembrano ostinatamente eludere la risoluzione anche quando vengono applicate le migliori tecniche disponibili.

Il concetto di intrattabilità che viene ricollegato al conflitto preso in esame, lo denota nella sua dinamicità in quanto nessun contrasto all‟inizio si palesa come intrattabile ma, al contrario, vi ci diviene per le ragione delineate sopra e a seconda di come esso viene

30 G. Mininni, La pace ha tutti i costi, in Mondo di guerra, Athanor. Semioteca, Filosofia, Arte,

Letteratura, Anno XVI, No. 9, 2005. Pp. 111-113.

31

M. G. di Rienzo, Gestire i conflitti, 2004. Tratto da La nonviolenza in cammino No. 523, Marzo 2003. http://www.ildialogo.org/pace/gestireconflitti24032004.htm

32 J. S. Goldman and Peter T. Coleman, A Theoretical Understanding of How Emotions Fuel Intractable Conflict: The Case of Humiliation, Columbia University, New York, Novembre 2005.

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gestito dagli attori e dagli studiosi. Un esempio, possono essere quei conflitti privi di zone di possibili accordi per le parti che sono caratterizzati da una relazione win- lose che si trasformano la maggior parte delle volte in conflitti intrattabili dove qualsiasi soluzione prodotta richiederebbe la rinunzia a valori ritenuti di elevata importanza per le parti stesse.

Le conseguenze di un conflitto intrattabile sono enormi e la maggior parte di esse sono

di carattere negativo in quanto tendono a perseguire una via dannosa e distruttiva33.

Possiamo quindi, riassumere – tenendo ben presente che non vi sono specifiche fisse - le peculiarità di base dei conflitti intrattabili in tre massime: la prima che riguarda il suo essere protratto e la sua persistenza e per un lungo periodo di tempo34, in altre parole sono caratterizzati da una lunga durata che si manifesta in modelli ciclici, con frequenti esplosioni di violenza giustapposti a periodi di relativa tranquillità35; la seconda che sono combattuti dalle parti in maniera distruttiva ed infine la difficoltà che analisti e

studiosi hanno nella risoluzione o trasformazione del conflitto36.

In generale, non è possibile per gli studiosi del campo ipotizzare preliminarmente l‟andamento e le caratteristiche di un conflitto sulla base della loro natura. Ma per quelli che vertono su questioni, come identità e bisogni umani, che tendono a generare conflitti caratterizzati da azioni di violenza prolungate nel tempo37. Tali problemi,

33

O. Barbanti, Development and Conflict Theory. Beyond Intractability. Ed. Guy Burgess and Heidi Burgess, What Are Intractable Conflicts?, Conflict Research Consortium, University of Colorado, Boulder, Colorado, USA. 1 Jun 2005. Consultato on line,

http://www.beyondintractability.org/essay/development-conflict-theory il 4 Luglio 2016.

34

L. Kriesberg, Intractable Conflicts, in The Oxford international Encyclopedia of Peace, N. J. Young, Editor in Chief, Vol. 2 Early Christianity and Antimilitarism-Mass Violence and Trends, Oxford University Press 2010. Pp. 486- 490.

35

J. S. Goldman and Peter T. Coleman, 2005.

36 L. Kriesberg, Intractable Conflicts, in The Oxford international Encyclopedia of Peace, N. J.

Young, Editor in Chief, Vol. 2 Early Christianity and Antimilitarism-Mass Violence and Trends, Oxford University Press 2010. Pp. 486- 490.

37

J. Bercovitch, Characteristics Of Intractable Conflicts. In Beyond Intractability. Eds. Guy Burgess and Heidi Burgess. Conflict Information Consortium, University of Colorado, Boulder. Posted: October 2003 http://www.beyondintractability.org/essay/characteristics-ic consultato il 13 Luglio 2016.

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infatti, sono profondamente radicati nel passato producendo una complessa rete di

problematiche a incastro difficoltosa da analizzare38.

Tra questi troviamo infatti il c.d conflitti intrattabili, che delineano quelle realtà non semplicemente caratterizzate da lunghezza nella durata ma anche composite di interazioni violente che autoalimentano l‟interesse per le parti nella continuazione di esso. Sentimenti di paura e ostilità, connessi a comportamenti distruttivi rendono tali conflitti difficoltosi da gestire e risolvere.

Un conflitto intrattabile è dunque un processo di relazioni competitive, contraddistinto da elevati costi economici che si estende per un lungo periodo di tempo e implica percezioni ostili e azioni militari occasionali. A partire da tale definizione, molti studiosi ipotizzano la possibilità di risoluzione dei conflitti intrattabili impiegando gli strumenti della mediazione di parti terze39.

Ad esempio, alcune analisi condotte da Peter T. Coleman mostrano otto linee guida che possono essere seguite al fine di intervenire all‟interno dei suddetti conflitti. In primo luogo, iniziare con un‟analisi approfondita del conflitto esplorandone la storia, il contesto, le cause e le dinamiche coinvolte. In secondo luogo, integrare anche un‟analisi di esso a livello multidisciplinare per comprendere meglio la complessità del conflitto. La terza fase riguarda le parti e la percezione di esse nei confronti del conflitto: far pensare ad essi che il conflitto è giunto ad un livello ottimale per la sua risoluzione, in maniera tale da eliminare quei sentimenti di ostilità che bloccano la volontà di porre fine ad esso. In quarto luogo, reindirizzare l‟attenzione delle parti al risultato finale e verso una risoluzione costruttiva e di mutuo beneficio. La quinta linea guida, riguarda strettamente gli attori e la percezione che essi hanno del conflitto e soprattutto di come potrebbero risolverlo, in maniera tale da non imporre precisi modelli culturali alle parti stesse. La sesta riguarda gli interventi di breve termine che devono essere sviluppati in funzione degli obietti di lungo periodo. La penultima linea guida individuata tiene conto della rilevanza assunta dagli attori di medio livello (leader dei gruppi), che possono esercitare influenze di vario tipo ai livelli superiori o inferiori, ed infine, l‟ultima fase

38

Peter T., Coleman, Intractable Conflict. Morton Deutsch and Peter T. Coleman, eds., The

Handbook of Conflict Resolution: Theory and Practice San Francisco: Jossey-Bass Publishers, 2000,

pp.428-450. Consultato in http://www.colorado.edu/conflict/peace/example/coleman.htm il 13 Luglio 2016.

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riguarda le strategie di intervento che devono affrontare le cause del conflitto radicate nel passato e che influenza presente e futuro40.

L‟autore individua anche per ogni stadio del conflitto preso in analisi alcune tecniche: la gestione delle crisi, l‟analisi sistemica dei conflitti e di confronto costruttivo che si concentrano sulla promozione di un processo costruttivo piuttosto che ad un raggiungimento di risoluzione sono quelle che possiamo impiegare nella gestione del passato; mentre, il dialogo, la riflessione del ruolo delle parti all‟interno, processi di riconciliazione e la cultura locale rappresentano la risorsa per la gestione del passato. Infine quelle mirate al futuro riguardano la creazione di un immaginario sociale e di processi di riconciliazione sostenibili tesi alla ricostruzione delle relazioni e alla gestione dell‟ingiustizia strutturale. Ma ad ogni modo, la migliore soluzione per questa

tipologia di conflitto secondo Coleman è la prevenzione41.

Per concludere, possiamo delineare le principali caratteristiche che distinguono i conflitti intrattabili da qualsiasi altra tipologia di conflitto: in termini di attori, in quanto essi coinvolgono stati o altri soggetti con un forte risentimento ed un forte desiderio di vendetta; in termini di durata, poiché sono caratterizzati da azioni svolte in un arco temporale più lungo; in termini di questioni, per il fatto che essi coinvolgono percezioni polarizzate di ostilità ed inimicizie caratterizzati da comportamenti violenti e distruttivi; in termini di geopolitica, in quanto essi si svolgono all‟interno di aree formate dalla presenza di Stati cuscinetto fra i principali blocchi di potere; in termine di gestione, poiché i conflitti intrattabili sono caratterizzati dalla resistenza e dal fallimenti degli sforzi compiti per la loro gestione o risoluzione.

In qualunque modo vengano osservati i conflitti intrattabili pongono il pericolo più importante a livello internazionale, in quanto gran parte della violenza all‟interno di tali relazioni possono derivare dal comportamenti di alcuni Stati bloccati all‟interno di conflitti intrattabili. Di conseguenza, trovare una modalità per la loro gestione o

trasformazione costruttiva diviene di grande importanza42.

40 Coleman, 2000. 41 Ivi. 42 J. Bercovitch, 2003.

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3.3 Scenari futuri e possibili risoluzioni

In questa ultima sezione conclusiva dell‟intero elaborato – che rispecchia parallelamente anche l‟ultima fase del processo di conflict mapping impiegato dagli studiosi del campo - l‟obiettivo è quello di ricercare i possibili scenari futuri e le possibili azioni da applicare all‟interno del contesto preso in esame con il fine di portarlo a risoluzione o di produrre una riconciliazione delle parti del conflitto.

Prima di passare alla trattazione delle possibili ipotesi che diversi autori hanno delineato nell‟arco di questi anni di conflitto è importante presentare il contesto generale in cui esso si inserisce. A partire dal Settembre 2011, il mondo ha sperimentato un cambiamento nella politica di sicurezza nazionale e in questa trasformazione la globalizzazione da una parte ha migliorato lo sviluppo economico e relazionale fra i paesi, ma dall‟altra ha reso più difficoltosa la previsione del futuro delle guerre e dei conflitti successivamente svoltosi e in generale ha cambiato i connotati delle guerre: da guerre interstatali a guerre intra statali fino a giungere alla comparsa di guerre caratterizzate da terrorismo transazionale43.

Tale affermazione è facilmente osservabile anche nel contesto preso in esame, all‟interno del quale, come anche affermato anche dallo stesso V. Putin, il comportamento dei Paesi Occidentali e del Golfo è incoerente: è impossibile combattere sul medesimo campo di battaglia jihadisti e la Repubblica siriana e senza una presa di posizione chiara, la guerra continua44.

Pur restando nel campo della probabilità, dell‟incertezza e della difficoltà dovuta dalla complessità della situazione sembra opportuno concludere questa analisi delineando e lasciando aperte alcune possibili evoluzioni ed ipotesi dello scenario appena descritto.

Scenario 1: Vittoria dei ribelli.

Una vittoria dei ribelli, vista positivamente dai Paesi occidentali alleati, porterebbe sicuramente alla distruzione del precedente regime ma lascerebbe un immenso numero

43 J. Sokolosky, El futuro de la guerra, Cómo la globalización está cambiando el paradigma de seguridad, in Military Review, Marzo- Aprile 2016.

44 T. Meyssan, Siria: la guerra può essere limitata, Sotto i nostri occhi, Cronaca di politica

internazionale No 184. http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=125852&typeb=0&siria-la-guerra-puo-essere-limitata, Maggio 2016.

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di incognite sul futuro assetto della Siria, nonché molteplici rischi di una deriva islamista. Entrambe le ipotesi non porterebbero sicuramente al fiorire di una nuova democrazia mediorientale, né tantomeno alla tanto auspicata fine delle ostilità religiose45. Difatti, potrebbe realizzarsi una lunga e difficile fase di transizione senza escludere un periodo di violenze verso le componenti rimaste fedeli al governo o riconosciute tali dagli stessi lealisti. L‟incognita maggiore derivate da tale ipotesi è infatti che all‟interno di una fase di grande instabilità politica, sociale ed economica il paese debba fare i conti con alcune formazioni politico- religiose di stampo estremista. In caso di vittoria anche la politica estera regionale del territorio siriano potrebbe subire dei cambiamenti, specialmente nel medio periodo dopo che un eventuale nuovo governo si sia occupato dei problemi interni post- conflitto. Uno slancio alla politica estera siriana, alla sorte del paese e ad un modello per la transizione del regime da una dittatura laica e militare ad uno Stato non autocratico, conservatore nei valori e parzialmente liberale nel settore economico potrebbero provenire dalla Turchia, un

paese di base islamica e con una preminenza nelle relazioni con l‟Occidente46.

Scenario 2: Vittoria di al-Assad.

Lo scenario riproposto qui in seguito si basa invece sull‟ipotesi facilmente osservabile in altri conflitti simili, combattuti fra forze governative – più organizzate e potenti, provviste di maggiori e migliori dotazioni economico- finanziarie e militari – e gruppi di ribelli, superiori in quanto a uomini e mezzi di provenienza estera, per il controllo del potere centrale. Ordinariamente i primi hanno la meglio sui secondi.

Dal punto di vista politico, la vittoria del governo non garantirebbe in Siria né pace e stabilità interna, né tanto meno una reale transizione verso un modello meno autocratico di quello attuale. Quel che è certo, è che il regime una volta riconfermatosi al potere, avrà dure conseguenze dal punto di vista dei gravi danni umani ed economici subiti nel conflitto47.

45

G. Lettieri, Evoluzione e scenari della guerra civile siriana, in Rivista di affari europei del 11 Giugno 2013. Consultato on line http://www.rivistaeuropae.eu/esteri/sicurezza-2/evoluzioni-e-scenari-della-guerra-civile-siriana/ il 14 Luglio 2016.

46 S. Pasquazzi, Scenari siriani, in Osservatorio sugli affari strategici ed internazionali, Istituto

Italiano di studi strategici “Niccolò Macchiavelli”, Roma, 2013. Pp. XXVI- XXXIX.

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22

Una vittoria totale di Assad potrebbe portare alla stabilizzazione del Paese ma non senza

l‟epurazione delle fazioni ostili, un inasprimento delle misure di sicurezza48

, e contestualmente, un isolamento sempre maggiore da parte della comunità

internazionale49, lasciando aperta la possibilità di una nuova guerra civile e rafforzando

l‟influenza dell‟Iran nella fascia di territorio che attraversa Libano, Siria e Iraq. Difatti tale prospettiva comporterebbe anche ad una vittoria per l‟Iran ed Hezbollah che si presenterebbero come gli attori che han permesso al regime di sopravvivere e mantenere la propria influenza sul territorio occidentale della Siria, ma dall‟altra parte tale vittoria comporterebbe alla sconfitta dei paesi del Golfo che sotto la guida degli Stati Uniti aiutavano la fazione ribelle e al conseguente declino delle loro relazioni50. Mentre a livello internazionale una relazione con il regime vincitore potrebbe aiutare l‟Occidente a ridurre la minaccia di attacchi salafiti- jihadisti in Europa e negli Stati Uniti51.

Scenario 3: Negoziato.

Una situazione di compromesso tra le parti potrebbe portare, secondo alcuni analisti, alla divisione della Siria in due Stati derivante anche dall‟impossibilità di riconquistare

interamente il paese da parte di essi52. Una conseguenza del raggiungimento e

dell‟efficacia di tali accordi comporterebbe la marginalizzazione dei gruppi salafiti- jihadista e della famiglia di al- Assad. Per un periodo limitato il controllo ed il governo del paese spetterebbe ad un consiglio multi- confessionale fino a che non verranno indette nuove elezioni per istituire un governo democratico.

All‟interno di tale scenario, un ruolo predominante spetterebbe anche ai paesi occidentali - soprattutto Stati Uniti e Iran – al fine di contribuire a sostegno della transazione governativa. Essi, oltre ad aiutare il governo siriano nell‟istituzione di un

48 G. Lettieri, Evoluzione e scenari della guerra civile siriana, in Rivista di affari europei del 11

Giugno 2013. Consultato on line http://www.rivistaeuropae.eu/esteri/sicurezza-2/evoluzioni-e-scenari-della-guerra-civile-siriana/ il 14 Luglio 2016.

49

Scenari - Siria: nessuna soluzione nel breve termine, pubblicato su ISPI nel Marzo 2014. Consultato on line http://www.ispionline.it/it/articles/article/scenari-siria-nessuna-soluzione-nel-breve-termine-10099 il 15 Luglio 2016.

50

Andrew M. Liepman, Brian Nichiporuk, Jason Killmeyer, Alternative Futures for Syria Regional

Implications and Challenges for the United States, www.rand.org, 2013.

51 Ivi.

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nuovo esercito di influenza sunnita e in grado di contrastare le azioni di al- Qaeda o dello Stato Islamico, si dovrebbero occupare anche della distribuzione dei proventi derivanti dal commercio del petrolio tra i vari gruppi ed occuparsi del rimpatrio dei rifugiati di questi cinque anni53.

Scenario 4: Collasso del regime.

Un‟altra ipotesi derivante da diversi studi condotti a tal proposito, è quella che prevede il collasso del regime proponendo non tanto l‟instaurazione di un governo nazionale guidato dai ribella ma altresì, l‟emergere di un mosaico caotico di feudi in tutta la Siria54.

Scenario 5: Sconfitta dello Stato Islamico.

Una quinta ipotesi che possiamo delineare è l‟eventuale sconfitta militare dell'IS che potrebbe portare dal punto di vista militare a una redistribuzione dei combattenti in altre organizzazioni, di stampo non solo jihadista, più radicate sul territorio e priverebbe all'organizzazione di un presidio strategico fondamentale per le sue attività criminali di contrabbando e di reclutamento.

Nel contesto siriano è dunque fondamentale costruire attorno alle organizzazioni della società civile una rete di protezione e di supporto in vista di un futuro senza lo Stato Islamico, in maniera tale da prevenire il rischio di un possibile ritorno dell'IS55.

Scenario 6: Guerra continua.

Non da sottovalutare è anche la possibilità di una continua guerra di logoramento provocata dalla difficoltà degli attori di sopraffare definitivamente la parte avversaria creando in altre parole, una situazione di stallo che rischia di provocare una polarizzazione insanabile da rendere fattibile l‟ipotesi di uno scenario di gioco a somma

53

Andrew M. Liepman, Brian Nichiporuk, Jason Killmeyer, cit., 2013.

54 Ivi.

55

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zero56. Tale scenario prevede inoltre alti livelli di violenza da parte di tutti gli attori presenti nel territorio57.

All‟interno di tale scenario particolare importanza viene data alla possibilità di internazionalizzazione della guerra civile e alla possibilità di un intervento militare multinazionale che comporterebbe alti costi in termini di ritorsioni militari con i Paesi confinanti e per quanto riguarda una futura transizione di regime pacifica e consona agli interessi occidentali58.

Per concludere possiamo affermare che il caso siriano fin dall‟inizio della sua crisi ha mostrato il consolidamento di un ordine multipolare costituito dagli Stati mondiali, il quale, riprendendo la tesi e la teoria di A. M. Ferré, mostra che sono gli Stati Industriali Continentali stessi a regolare gli equilibri del mondo confermando giorno dopo giorno

l‟importanza della geopolitica come substrato delle relazioni internazionali59

.

Inoltre possiamo assentire anche che in base alle affermazioni riportate all‟interno dell‟intero elaborato una effettiva e chiara conclusione degli sviluppi futuri e delle possibili risoluzioni da applicare riguardanti la crisi siriana sono pressoché impossibili da avere in quanto, come più volte affermato, la stessa caratteristica di intrattabile e di continuo svolgimento rendono difficoltoso tale procedimento.

56 ISPI, cit., 2014.

57 Andrew M. Liepman, Brian Nichiporuk, Jason Killmeyer, cit., 2013. 58

S. Pasquazzi, Scenari siriani, in Osservatorio sugli affari strategici ed internazionali, Istituto Italiano di studi strategici “Niccolò Macchiavelli”, Roma, 2013. Pp. LV- LVII.

59 M. A. Barrios, Il mondo nella terza fase del sistema globale: il multipolarismo, in Geopolitica. Il

sito di notizie e analisi dell‟Isag. Del 24 Settembre 2013, consultato on line http://www.geopolitica-online.com/23561/il-mondo-nella-terza-fase-del-sistema-globale-il-multipolarismo il 14 Luglio 2016.

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