• Non ci sono risultati.

Capitolo 1: Riscrivere Shakespeare 1.1- Premessa

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 1: Riscrivere Shakespeare 1.1- Premessa"

Copied!
15
0
0

Testo completo

(1)

1

Capitolo 1: Riscrivere Shakespeare

1.1- Premessa

Sebbene la manipolazione del corpus shakespeariano sia una pratica secolare, a partire dagli anni sessanta del novecento si registra nel teatro inglese un rinnovato e sempre maggiore interesse per Shakespeare e per le sue opere. Le numerose rivisitazioni, tra cui quelle di John Osborne, Tom Stoppard, Howard Brenton, Peter Brook e Charles Marowitz, mostrano che questa rinascita shakespeariana è alimentata anche da una cultura teatrale sperimentale che contribuisce a un vero e proprio “boom” di popolarità di Shakespeare negli ultimi trent’anni.1

Il percorso di ricerca teatrale è lungo e ampio: da Jan Kott, che nel drammaturgo inglese scopre il teatro dell’assurdo e del grottesco che egli considera espressione della storia moderna, a Bertolt Brecht che vi trova la fonte del teatro dialettico, fino a Peter Brook, per il quale Shakespeare collega il teatro del sacro e del profano.2 Negli anni ottanta, poi, la pratica della rivisitazione tende a <<scardinare il processo di monumentalizzazione>>3 del testo shakespeariano, facendo così nascere numerosi “Shakespeare” alternativi, post-strutturalisti, marxisti, femministi e post-coloniali. Questi rappresentano degli “Shakespeare” nuovi e sovversivi, riassumibili nella celebre frase di Terence Hawkes: <<Shakespeare doesn’t mean: we mean by Shakespeare>>.4 Nel corso di questo capitolo cercheremo di capire in maniera generale cosa significhi o abbia significato riscrivere, adattare ed appropriare Shakespeare, e vedremo alcuni modi con i quali chi decide di reinterpretare un’opera di Shakespeare tratta il testo originale.

1 M. Cavecchi, Shakespeare mostro contemporaneo, Unicopli, Milano 1998, pag. 13. 2

Ibidem.

3

M. Cavecchi, op. cit., cit. pag. 14.

(2)

2

1.2- Adaptation

È interessante poter comprendere il motivo per cui il teatro contemporaneo ami così tanto attingere al passato, e abbia sviluppato un tale nostalgia da voler ricercare a tutti i costi un’autenticità che ormai non è più recuperabile. Questa nostalgia deriverebbe apparentemente da un desiderio di recuperare un passato migliore e più ricco di valori, adesso che la vita contemporanea risulta un vacuum culturale ed emotivo.

Guardando al teatro, è possibile affermare che le opere di Shakespeare hanno la capacità di essere sempre contemporaneo: senza dubbio possono essere proposte a qualsiasi tipo di pubblico in qualsiasi luogo. Riguardo alle reinterpretazioni delle opere dell’autore inglese, Alan Sinfield dichiara:

<<Brecht in Coriolanus, Edward Bond in Lear (1971), Arnold Wesker in The

Merchant (1976), Tom Stoppard in Rosencratz and Guildenstern Are Dead

(1966) and Charles Marowitz in a series of adaptations have appropriated aspects of the plays for a different politics (not always a progressive politics). Even here, it is possible that the new play will still, by its self-conscious irreverence, point back towards Shakespeare as the profound and inclusive originator in whose margins we can doodle only parasitic follies>>.5

Secondo il critico, tutte queste reinterpretazioni contemporanee mostrano un’ossessione con il mettere in scena testi del passato allo scopo di esplorare le possibilità della performance nel presente, e per esplorare il presente stesso. Queste performance attraggono in particolar modo un tipo di pubblico che riconosce di essere nostalgico ma allo stesso tempo è attratto dall’innovazione proposta. Nel caso di Shakespeare viene rimarcata la capacità delle sue opere di essere sempre attuali, a prescindere dal momento storico nel quale vengono proposte. Ma non è sufficiente riconoscere che un testo possa essere riscritto, si deve anche tenere in considerazione come tali riscritture funzionino nella cultura nella quale vengono prodotte.

Linda Hutcheon, accademica canadese esperta di teoria letteraria, descrive una “adaptation” come un lavoro che sarà per sempre “perseguitato” dall’opera originale, la quale in un modo o nell’altro getterà sempre un’ombra

5

A. Sinfield, Shakespeare, Authority, Sexuality: unfinished business in cultural materialism, London, New York: Routledge 2006, cit. pag. 15.

(3)

3

sull’adattamento. È ciò che Gerard Genette chiamerebbe un testo di “secondo grado”, creato e successivamente ricevuto in relazione a un testo precedente. Nonostante il fatto che quando chiamiamo un’opera una adaptation ne annunciamo apertamente il legame con un altro o più testi,6 questo non significa che l’adattamento non abbia anche un valore autonomo, una sua personalità ed esistenza a sé: <<This is one reason why an adaptation has its own aura, its own presence in time and space, its unique existence at the place where it happens to be>>.7 Ecco quindi il motivo per cui, rimarca la Hutcheon, una adaptation non deve essere valutata in base al livello di somiglianza con il testo originale; non si può giudicare secondo un metro di fedeltà, ma bisogna piuttosto tenere conto che <<Adaptation is repetition, but repetition without replication>>.8 Lo scopo di chi vuole creare un adattamento non è semplicemente quello di riprodurre il testo adattato, bensì ci possono essere molteplici motivi dietro a tale decisione, come la volontà di mettere in discussione il testo originale oppure di rendergli omaggio.9

La Hutcheon riconosce più prospettive attraverso le quali poter definire una adaptation. Prima di tutto, questa, come prodotto, consiste in <<an extensive transposition of a particular work or works>>10; inoltre, come processo creativo, l’atto di adattare implica sempre sia una reinterpretazione che una ricreazione. Infine, dalla prospettiva del suo processo di ricezione, l’adattamento rappresenta una forma di intertestualità: la memoria dei testi originali echeggia mediante la ripetizione, che però presenta delle variazioni.11

In breve, la Hutcheon descrive un adattamento come una trasposizione di un lavoro già esistente e come un atto creativo e interpretativo di appropriazione che avrà sempre una relazione con la propria fonte. Dunque: <<An adaptation is a derivation that is not derivative – a work that is second without being secondary>>.12

Per quanto riguarda il contesto, possiamo osservare come basti veramente poco affinché il contesto cambi il modo in cui una storia viene

6

L. Hutcheon, A Theory of Adaptation, Routledge New York, 2013, pag. 6.

7

Idem, cit. pag. 6.

8

Idem, cit. pag. 7.

9 Idem, pag. 7. 10

Idem, cit. pag. 7.

11

Idem, pag. 8.

(4)

4

accolta dal pubblico; non soltanto può cambiare ciò che viene messo in evidenza, ma anche come la storia stessa venga interpretata. Ciò perché una

adaptation, proprio come il testo dal quale parte, rientra sempre in un contesto

di tempo e di spazio, di società e cultura.

1.3- Appropriation

Dell’ “appropriare” Shakespeare parla, tra gli altri, Ivo Kamps nel saggio “Alas, poor Shakespeare! I knew him well”. L’autore si sofferma sul dibattito contemporaneo riguardante le appropriazioni critiche di Shakespeare, soprattutto relativamente alla paura che si crea intorno alla mutilazione e alla distruzione del corpo letterario dell’autore inglese.13

Kamps menziona Alvin Kernan, un accademico che nel 1990 annunciò la “morte della letteratura”; secondo lui infatti la letteratura, un tempo fiero recipiente di molto di ciò che era considerato sacro e di valore, oggi ha perso la propria rilevanza nella società moderna. Per Kernan sarebbe impossibile:

<<to envision how literature, when “stripped of any positive value” and viewed as “the instrument of oppression, furthering imperialism and colonialism, establishing male hegemony, suppressing any movement toward freedom from authority”, can “be considered worth reading and interpreting”.14 Literature is

dead, and all that is left are the type of “relic mongers” who sold Milton’s hair, bones, and teeth for profit, or, in the uplifting words of Kernan, a bunch of Marxists, feminists, and other radicals who “fight” over “the right to identify the smells arising from the literary corpse>>.

Tuttavia, Kamps sostiene che mentre Kernan e altri della sua stessa opinione pongono il problema della morte della letteratura, molti altri insistono sul fatto che la colpa sia dei critici letterari, i quali, una volta finito di “assassinare” un testo lo riportano in vita, ma non gli donano di nuovo quella vita originale che l’autore aveva infuso dentro di esso, bensì una vita falsa e ideologica.15

13 I. Kamps, Alas, poor Shakespeare! I knew him well, in C. Desmet, R. Sawyer (ed.), Shakespeare and

appropriation, London and New York: Routledge, 1999, pag. 16.

14

A. Kernan, The Death of Literature, Yale University Press, 1990, cit. pag. 213.

(5)

5

Nel contesto dell’appropriazione critica quindi, il “cadavere” di Shakespeare è oggetto di dibattito riguardo a chi veramente “possieda”, o addirittura stia “assassinando” l’autore inglese. Shakespeare è tuttora una figura centrale nelle università, sia per la sua rilevanza nella cultura, sia perché è ancora considerato un’icona di buon gusto, finezza culturale e abilità intellettuale. Afferma Kamps:

<<Clearly, the name Shakespeare has such resonance and potency, such power to enhance whatever agenda or product we are pushing [...], that it cannot be left unexploited, unappropriated [...]. every reading of a Shakespearian play, we need to keep reminding ourselves, is already an appropriation, an interpretation that is limited only by the constraints that our academic institutions, journals, and university presses place on it>>.16

Ciò che secondo Kamps è chiaro, è che il corpus di Shakespeare, e il significato che questo può avere o non avere, non è particolarmente importante; è più importante che qualcuno scriva di Shakespeare più di cosa si scrive su di lui.17 Molti critici, inoltre, osservano che la scarsità di informazioni riguardo a Shakespeare dal punto di vista storico, così come anche la sua “assenza” dall’universo morale delle sue opere, rendano Shakespeare adatto alle più varie interpretazioni e appropriazioni.18

In Shakespeare and the Ethics of Appropriation, Alexa Huang e Elizabeth Rivlin raccolgono una serie di saggi volti ad analizzare la relazione che esiste tra Shakespeare, l’appropriazione dei suoi lavori, e l’etica. Le due esplorano la possibilità che, nel momento di una appropriation, Shakespeare possa essere il “self” oppure “the other”, non dando per scontato che il secondo ruolo debba per forza appartenere alla riscrittura:

<<While many recent critics have understood appropriation to be an act of seizure, and Shakespeare that which is seized, Levina’s vision of ethics makes it possible to see appropriating texts as hostages instead of, or in addition to, as hostage-takers. In other words, both Shakespeare and its appropriations can be

16

I. Kamps, op. cit., cit. pag. 23.

17

Idem, pag. 24.

(6)

6

the actors and the acted upon, the self and the other, sometimes in the space of a single creative act>>.19

Ciò in quanto, nel momento in cui si “invita” Shakespeare a partecipare al processo creativo, si compie un atto che da una parte forma l’ “appropriating

actor”, e dall’altra trasforma anche Shakespeare in un nuovo attore.20

Il volume si sofferma anche sulla questione della fedeltà delle

adaptations e delle appropriations alle opere dell’autore inglese. Spesso la

critica ribadisce quanto sia necessario mantenere l’essenza delle opere di Shakespeare, ma al tempo stesso risulta pressoché impossibile essere d’accordo su cosa precisamente costituisca questa essenza: essa risiede nella lingua, nella trama, nei personaggi o nelle tematiche? Il problema fondamentale è che, quando si discute dell’autenticità di Shakespeare, non si può ignorare il fatto che egli per primo abbia attinto ad altre fonti e ad altri testi: <<Since Shakespeare was from the beginning a mutable and mutating signifier, it is difficult to know to whom or what we ought to be faithful>>.21 Nel suo saggio all’interno di questo volume, infatti, Douglas Lanier spiega che per la maggior parte del ventesimo secolo, la principale preoccupazione degli accademici riguardo a Shakespeare, è stata quella di stabilire e preservare l’autenticità dei suoi testi. Ciò implica un imperativo di fedeltà, il dovere di rimanere rigorosamente fedeli ai testi originali, anche se, come già detto, è difficile stabilire cosa sia “originale” quando si parla di Shakespeare.22

Guardando al principio degli studi sulle adaptations shakespeariane, vediamo che questi prendono spunto da come il postmodernismo vede la relazione tra l’originale e le riproduzioni. Afferma l’autore del saggio: <<Foregrounding the trope of adaptation, I argue, offers a useful forward, a means for reconceptualizing Shakespeare as a disciplinary field, but only if we revisit the role of the Shakespeare text and the authority it seems to provide in relation to adaptation>>.23 Troppo spesso, secondo Lanier, gli studi sugli adattamenti shakespeariani partono dal principio che questi dovrebbero essere

19

A. Huang, E. Rivlin (ed.), Shakespeare and the Ethics of Appropriation, New York: Palgrave Macmillan, 2014, cit. pag. 4.

20

Idem, pag. 6.

21 Idem, cit. pag. 8. 22

D. Lanier, Shakespearean Rhizomatics: Adaptation, Ethics, Value, in A. Chung, E. Rivlin, op. cit., pag. 22.

(7)

7

letti in contrasto con l’originale, che dipendono a tutti gli effetti dal “vero” Shakespeare, e che lo scopo della critica è quello di porre tali adattamenti in contrapposizione con la loro fonte.24 L’autore crede che uno dei motivi di questa direzione sia il lavoro svolto nelle classi scolastiche e universitarie: la maggior parte dei professori che parlano di adaptations nei loro corsi, tendono a utilizzarle come veicolo per suscitare un maggiore interesse nei confronti del testo shakespeariano. Nonostante questo approccio possa essere valido, la pratica di paragonare le opere originali ai loro adattamenti crea l’illusione che gli autori che scelgono di riprodurre Shakespeare abbiano principalmente a che fare con la fonte dalla quale attingono, piuttosto che con una rete molto più complessa di testi e adattamenti.25 Occorre inoltre ricordare che le opere di Shakespeare sono esse stesse di natura “adaptational”: <<Shakespeare’s scripts themselves adapt prior narratives, typically from one medium and/or genre to another; those scripts are inevitably changed in ways large and small, witting and unwitting, in the process of being realized in performance; the publication process – the movement from manuscript to print to latter-day editorial (re) construction to digital formatting – is itself a mode of adaptation>>.26

Per quanto riguarda invece le appropriazioni, l’autore le definisce azioni che non soltanto operano sul testo shakespeariano, ma anche sull’autorità culturale a esso legata. Quando citiamo la celebre espressione di Terence Hawkes: <<Shakespeare doesn’t mean, we mean by Shakespeare>>27

, occorre comprendere che il significato di Shakespeare è ancora usufruibile nel presente solo attraverso il processo di appropriazione che crea i valori che attribuiamo al testo shakespeariano.28 Lanier spiega così il suo punto di vista al riguardo:

<<The appropriating model often depends upon positing, reifying, and at times even amplifying Shakespeare’s cultural authority in order to observe it being exchanged, and also observing that final authority often remains vested in the Shakespearian text which, it turns out, once “properly” contextualized, does indeed mean, and with a vengeance>>.29

24

D. Lanier, op cit., pag. 23.

25

Idem, pag. 23.

26 Idem, cit. pag. 24. 27

T. Hawkes, op. cit., cit. pag. 3.

28

D. Lanier, op. cit., pag. 25.

(8)

8

Lanier propone un cambiamento di approccio nello studio delle

adaptations shakespeariane, che avrebbe come focus non Shakespeare il

testo, ma “Shakespeare” l’adattamento. Lanier propone anche un modello per concettualizzare il campo di studi relativo alle adaptations, ovvero il “rizoma” così come viene esposto da Gilles Deleuze e Félix Guattari. Il “rizoma”, spiega Lanier, rappresenta sia un modo di mettere in relazione un oggetto con un altro, sia una forma di struttura concettuale: una relazione rizomatica consiste nell’evoluzione non parallela di due oggetti che non hanno assolutamente nulla in comune.

Un approccio rizomatico a Shakespeare pone la sua autorità culturale non nel testo shakespeariano, ma nel potere che risiede nei suoi adattamenti:

<<To think rhizomatically about the Shakespearian text is to foreground its fundamentally adaptational nature – as a version of prior narratives, as a script necessarily imbricated in performance processes, as a text ever in transit between manuscript, theatrical and print cultures, as a work dependent upon its latter-day producers for its continued life. That is, Shakespearian rhizomatics includes Shakespeare the text but is in no way reducible to it; it also necessarily includes faithful and unfaithful adaptations, and adaptations of them, and adaptations of them>>.30

Per spiegare questo tipo di studio, Lanier propone l’esempio della classe scolastica: invece di cominciare con il testo shakespeariano per poi passare alle

adaptations, una scelta che rafforza soltanto la supremazia dell’originale

rispetto agli adattamenti, si potrebbe invece cominciare con lo studio dell’adattamento per poi procedere indietro fino al testo shakespeariano prima di passare ad altre adaptations, in modo da situare l’originale in una catena di adattamenti.31

Quando Christy Desmet, nello stesso volume, parla di fedeltà ai testi shakespeariani, si sofferma in particolar modo sul concetto di appropriation come l’atto di riconoscere Shakespeare in un altro scrittore o testo: <<a dialogic concept of appropriation that is based on the act of recognizing Shakespeare in another writer or text; recognition, in turn, is an ethical gesture rooted in both

30

D. Lanier, op. cit., cit. pp. 29-30.

(9)

9

technical fidelity and fealty, or responsibility to and for another, either text or person>>.32

Desmet spiega che attualmente negli studi letterari, il termine “appropriation” è definito come il guadagno di un testo a scapito di un altro, una transazione a senso unico con chiari vincitori e perdenti.33 Così definisce il concetto Jean J. Marsden:

<<Associated with abduction, adoption, and theft, appropriation’s central tenet is the desire for possession. It comprehends both the commandeering of the desire object and the process of making this object one’s own, controlling it by possessing it. Appropriation is neither dispassionate nor disinterested; it has connotations of usurpation, of seizure for one’s own uses>>.34

Secondo Marsden, quindi, quando si parla di appropriazione si parla automaticamente di furto e rapimento: gli appropriatori di Shakespeare violano sia le leggi che i principi del mercato.35 Questa opinione è condivisa anche da Thomas Cartelli, il quale distingue tra adaptation e appropriation: <<Although the acts of appropriation and adaptation are equally opportunistic, the former tend to serve social or political as opposed to primarily literary or commercial agendas>>36.

Nonostante queste decise opinioni riguardo alla natura delle

appropriations, Desmet afferma che sia possibile vederle sotto una luce

differente. Storicamente, il termine in sé significa allo stesso tempo furto e dono, dare e prendere. Dunque l’appropriazione può essere vista come un fenomeno dialogico, ma anche come <<an exchange that involves both sharing and contested ownership>>.37 Per spiegare la sua posizione, Desmet utilizza l’esempio della lingua: il semplice atto di parlare, di usare un linguaggio, costituirebbe già un’appropriazione, non soltanto un furto, ma un continuo processo di prendere e dare.38 Da questo punto di vista allora, possiamo osservare che <<rewritings with artistic and political motivations are no longer

32

C. Desmet, Recognizing Shakespeare, Rethinking Fidelity: A Rethoric and Ethics of Appropriation, in A. Chung, E. Rivlin, op. cit., cit. pag. 41.

33

Idem, pag. 42.

34

Idem, cit. pag. 42.

35 Idem, pag. 42. 36

Ibidem.

37

C. Desmet, op. cit., cit. pag. 42.

(10)

10

opposed to one another, but exist along a continuum governed by the contingencies of their reception. Fidelity and infidelity, whether on the level of form or intention, exist only in dialogic relation to each other, creating multiple permutations of faithfulness and unfaithfulness within appropriations>>39.

Desmet insiste che, se guardiamo all’appropriazione come a una transazione dialogica piuttosto che un furto a scapito di qualcun altro, assumiamo una posizione migliore per poter interpretare una appropriazione in termini di <<artistic reception as well as production>>.40

Quando si parla di appropriation, quale metodo migliore per essere fedeli se non la semplice citazione? Quale forma di riconoscimento è più diretta di una

quotation? Ma persino la semplice citazione può far sorgere dei problemi,

poiché spesso il confine tra imitazione e furto è molto sottile. Anche la citazione come pratica retorica presenta i suoi pericoli: <<A quotation, as a verbal reproduction of a predecessor’s words and sentences, is a kind of cultural ventriloquism, a throwing of the voice that is also an appropriation of authority>>.41 In generale, Desmet non sembra prediligere questa forma di appropriazione: <<citation as appropriation frustrates the act of recognition it promises through the elegance of its formal fidelity>>.42

1.4- Charles Marowitz

Un altro tipo di appropriazione risiede nella pratica di “riciclaggio” di Shakespeare attuata da Charles Marowitz negli anni settanta. Marowitz proclama la propria volontà di voler “liberare Shakespeare” dalla prigione della critica accademica, e di voler “riciclare” i suoi testi in maniera radicale e provocatoria. Il lavoro di Marowitz non consiste soltanto nel tagliare porzioni delle opere di Shakespeare, ma anche nel disporle in un ordine diverso dall’originale, spesso assegnando versi a personaggi ai quali non appartenevano in principio e unendo frammenti di varie scene per crearne di

39 C. Desmet, op. cit., cit. pag. 43. 40

Idem,. pag. 43.

41

Idem, cit. pag. 45.

(11)

11

nuove.43 Per esempio, come vedremo nello specifico più avanti, nell’atto unico

A Macbeth, tra i cambiamenti più consistenti rispetto alla tragedia

shakespeariana vi è il personaggio di Lady Macbeth, la quale fin dal principio appare in compagnia delle tre streghe, proprio come se fosse anche lei una di loro. È infatti la donna a pronunciare le parole così comunemente associate alle streghe: <<I’ll drain him dry as hay / Sleep shall neither night nor day / Hang upon his Penthouse lid>> (Macbeth, I, iii). Durante l’opera, la donna morirà ben due volte, mentre il personaggio di Macbeth si troverà perennemente diviso in tre personalità diverse, intente ad esaminare ogni suo pensiero o gesto: <<in A Macbeth, there are multiple acts of possession, multiple instances of ventriloquism going on at a dizzying pace>>.44 Nonostante Marowitz si presenti come un <<practical director in the theater, not a critic or academic>>45, egli è anche uno studente e insegnante all’avanguardia della pratica di appropriare Shakespeare: <<Marowitz’s abbreviated Macbeth deals thematically with appropriation as a haunting or possession of being by another – the extreme form of prosopopoeia>>.46

La forma di riscrittura costruita da Marowitz, che lui chiama “collage”, è legata anche all’idea che lui ha del recitare; la sua tecnica di riassegnare le battute, per esempio, è collaudata in un esercizio da lui chiamato “Macbeth

Stew”, nel quale gli attori mettono in atto piccole scene e poi le recitano di

nuovo, ma stavolta creando delle discordanze di azioni e ruoli. Il motivo per il quale Marowitz ama “fratturare” una scena shakespeariana è allo scopo di <<fine-tune drama’s most sophisticated machine: the actor>>.47

Ma anche se l’autore si focalizza sulla figura dell’attore, egli è interessato anche agli effetti del collage sugli spettatori i quali, proprio come gli attori, sono da lui visti come macchine sofisticate che purtroppo tendono a funzionare male: <<An audience is often like the implacabile face of a stopped clock that will resist all efforts to be wound to the correct time out of an obsessive desire to maintain the integrity

43

C. Desmet, op. cit., pag. 47.

44 C. Marowitz, Shakespeare Recycled, “Shakespeare Quarterly”, 38.4, Winter 1987. 45

Ibidem.

46

C. Desmet, op. cit., cit. pag. 48.

(12)

12

of its broken mechanism. It should be no wonder that art must occasionally give it a good shake to get it ticking again>>.48

Lo scopo del metodo di Marowitz è quello di disorientare gli spettatori e discostarli dal testo shakespeariano, proprio perché quest’ultimo è ampiamente conosciuto dal pubblico.49 Riguardo al suo collage di Hamlet, Marowitz spiega:

<<The fact is, the collage was played before thousands of people who had never read Hamlet or seen the play of the film, and their impressions (gathered from discussions after the performance) were as valid and often as knowledgeable as those of scholars and veteran theatregoers. As I have always contended, there is a kind of cultural smear of Hamlet in our collective unconscious, and we grow up knowing Hamlet even if we have never read it, never seen the film, or attended any stage performances. The “myth” of the play is older than the play itself, and the play’s survival in the modern imagination draws on the myth on which is based. And as one assembles a collage-version of the play – an anti-narrative gambol through its themes and issues – one reactivates the “myth” in such a way that people are reminded of it again>>.50

In questo “riciclaggio” di Shakespeare possiamo osservare i paradossi della citazione come appropriazione. Marowitz costruisce la sua opera puramente con versi shakespeariani; egli è fedele all’autore fino all’estremo, e utilizza soltanto la mimesi. Ma, dall’altra parte, la tecnica del collage viola la struttura dell’opera nella quale i versi sono contenuti: la fedeltà è anche infedeltà.51 In un ultimo twist, Marowitz dipende dalla conoscenza del pubblico di Shakespeare affinché la sua opera possa avere un significato e raggiungere il suo scopo: <<Infidelity (in plot) depends on fidelity to text (citation of Shakespearean lines), which depends in turn on the audience’s paradoxical capability at once to recognize Shakespeare and to register the shock of Marowitz’s textual and conceptual violations of his source>>.52

In Recycling Shakespeare, Charles Marowitz riflette sulla differenza che c’è tra l’opera originale e le produzioni su essa basate, a volte anche molto remotamente. Ciò che all’autore non piace, in particolar modo riferendosi agli adattamenti cinematografici e televisivi, è l’idea, dato che l’opera originale è

48

C. Marowitz, Shakespeare Recycled.

49 C. Desmet, op. cit., pag. 49. 50

C. Marowitz, Shakespeare Recycled.

51

C. Desmet,op. cit., pag. 50.

(13)

13

così eccellente, che basti “preservare” il classico per renderne giustizia53

: <<It is this high-varnish approach to Shakespeare which is his chiefest foe – the detestable conservative notion that all one ever needs to do with “classics” is preserve them>>.54 Marowitz sostiene che le regole che proteggono i lavori di William Shakespeare sono state stabilite da accademici, critici e insegnanti, quindi persone che hanno un grande interesse nella lingua e di conseguenza nella conservazione del testo originale: è per loro fondamentale che il testo passi di generazione in generazione completamente intatto, nonostante ci siano sempre nuovi punti di vista dal quale studiarlo.55

Marowitz parla di quegli intellettuali che amano concentrarsi così tanto su ogni singolo dettaglio dell’opera originale da non vederne il quadro generale, ma, dice lui: <<For people without such obsessions, whose main concern is reconstituting Shakespeare’s ideas and finding new ways dramatically to extrapolate them, this myopic preoccupation with the canon seems, more than anything else, like the scrutiny of one chimpanzee fastidiously picking the nits off another>>.56 Riferendosi in particolar modo agli adattamenti cinematografici, Marowitz nota una differenza tra i film basati sulle opere di Shakespeare usciti fino agli anni quaranta, e quelli dagli anni quaranta in poi; nei primi si cercava di aderire al testo in maniera più fedele possibile, mentre nei secondi i produttori hanno deciso di abbandonare il testo shakespeariano ed espandere le possibilità cinematiche senza sentirsi costretti dall’aderire perfettamente all’originale, producendo a tutti gli effetti un lavoro migliore.57

Soffermandosi poi sul teatro, Marowitz afferma che in questo ambiente si prende ancora di più un’estrema fedeltà all’originale: <<The disadvantage in the theatre is that there is a kind of premium put on some abstract notion called “fidelity” – which from the standpoint of the purists seems again to mean “make the omelette but don’t break the eggs”>>.58 Secondo l’autore, l’unica fedeltà da

rispettare nel teatro dovrebbe essere quella del regista nei confronti delle

53

C. Marowitz, Recycling Shakespeare, London, Macmillan, 1991 pag. 4.

54

Idem, cit. pag. 4.

55 Idem, pag. 4. 56

Idem, cit. pag. 5.

57

Idem, pp. 5-6.

(14)

14

proprie sensazioni e nei confronti di ciò che la visione dell’opera ha evocato nella sua immaginazione.59

Marowitz si pone anche la domanda di quale contributo porti il regista all’opera originale; se egli mette in scena qualcosa di inaspettato e mai visto prima, allora avrà arricchito un classico, che, secondo la concezione di Marowitz è: <<a work which is able to mean again, and perhaps mean something else>>.60 L’autore cita anche pareri in disaccordo con il suo, come per esempio quello di Maynard Mack, il quale mette in guardia dal rischio che il regista e addirittura l’attore si sentano di poter assumere lo stesso livello di autorità dell’autore; Mack sostiene inoltre che nel teatro di oggi, nel quale il regista è visto come un piccolo dio, la riscrittura diventa facilmente una sostituta del testo originale, e quindi anche una licenza per un eventuale sconvolgimento dell’opera basato su gusti soggettivi.61

Marowitz è un convinto sostenitore delle idee di Antonin Artaud, in particolar modo della sua esclamazione <<No more masterpieces>>; Marowitz spiega che tale espressione vuole significare che è necessario abbandonare la cieca reverenza nei confronti dei classici, i quali non possono essere considerati intoccabili.62 Inoltre, l’autore mostra le differenti posizioni riguardo alle riscritture di Shakespeare, distinguendo tra i Conservatives, i Moderates e i

Radicals. I Conservatives sono coloro che vogliono preservare a tutti i costi

l’integrità dei testi dell’autore inglese, i Moderates sono pronti ad accettare qualche cambiamento a patto che la struttura e lo spirito originale rimangano intatti, mentre i Radicals sono i più entusiasti di fronte all’innovazione di quelle reinterpretazioni che permettono ai testi di Shakespeare di suscitare nuove emozioni.63 Marowitz arriva addirittura a paragonare il lavoro di Shakespeare alla Bibbia, in quanto entrambi sono considerati intoccabili, ma allo stesso tempo possono essere citati e interpretati a seconda delle proprie esigenze: <<As with the Bible, the Shakespearian scripture can be quoted to prove whatever propositions are being put at any given time>>.64

59

C. Marowitz, Recycling Shakespeare, pag. 7.

60

Idem, cit. pag. 7.

61 Idem, pp. 8-9. 62

Idem, pag. 8.

63

Idem, pag. 16.

(15)

15

In un’intervista con Jan Kott, la professoressa chiede all’autore se sia possibile reinterpretare costantemente i lavori di Shakespeare senza arrivare ad un punto di totale saturazione; Marowitz risponde che non crede che ci sia una tradizione riguardante Shakespeare che non possa essere cambiata o sfidata, e che non esiste secondo lui una interpretazione di Shakespeare che sia davvero tradizionale.65

Nella prefazione al suo The Marowitz Shakespeare, inoltre, l’autore afferma che molte delle opere di Shakespeare sono usate come trampolino di lancio per permettere a registi e scrittori moderni di poter fare qualsiasi salto mortale essi vogliano, ma che al di là di qualsiasi cambiamento, l’opera rivisitata porta comunque un debito nei confronti della sua fonte, e dunque lo spirito del testo originale sarà sempre presente.66

Possiamo riassumere il pensiero di Marowitz sulle reinterpretazioni shakespeariane con queste sue parole:

<<The overriding aesthetic question today is: what permutations and what contemporary insights can be fashioned from the body of work bequeathed us over 400 years of Shakespearian history? The answer to that question may involve the smallest fraction of Shakespeare’s original work – perhaps none of his language at all and only some of the ideas contained in his stories and his themes. Or it might involve radical reorganisation of his actual materials – scenes, speeches, characters which are unmistakably Shakespearian but which, taken into other hands, are now transformed and put to other uses. Or it may involve modifications, revisions and adjustments to works with which we are very familiar – perhaps in order to remove some of the familiarity, or to replace it with newly-minted ideas. Shakespeare’s political spectrum is wide. It accommodates the conservatives, the moderates, the radicals, the anarchists; [...] what we most want from Shakespeare today is not the routine repetition of his words and imagery, but the Shakespearian Experience, and, ironically, that can come only from dissolving the works into a new compound – that is, creating the sense of vicissitude, variety and intellectual vigour with which the author himself confronted his own time. We need not be Shakespeare to duplicate the Shakespearian Experience, but we do have to find the artistic resources in ourselves to duplicate his impact; and to do this, we must cut the umbilical cord that ties us to his literary tradition>>.67

65

C. Marowitz, Recycling Shakespeare, pp. 98-99.

66

C. Marowitz, The Marowitz Shakespeare, Marion Boyars, London & New York, 1978, pag. 7.

Riferimenti

Documenti correlati

Giovanni, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo, è il giovane apostolo che segue Gesù nei momenti più importanti della sua vita, è l’autore del quarto Vangelo, di

In effect, this has left the commercially dominated Greek broadcasting landscape without a public channel and its citizens dependent on the private media sector for

To discuss the evolution of the outbreak and possible measures, the Commission convened daily meetings with the national public health and food safety authorities of the

However, on the French side, the Private Equity sector is well developed with many companies backed by capital from foreign investors while on the Italian side companies

Sul piano del sapere psichiatrico, ciò ha comportato l’individuazione di quadri diagnostici progressivamente differenziati in etichette e ancorati a

Interpretare e riscrivere Shakespeare: l’opera dei registi 1.9.. Le edizioni italiane

In quest’ultimo esempio si nota che, secondo la prima penna, Irene aveva addirittura ridicolizzato i ‘fantasmi’ che l’avevano terrorizzata, mentre la cor- rezione di II.A la

Un sistema costituito da 0, 08 moli di gas perfetto biatomico percorre in senso orario un ciclo reversibile composto da due trasformazioni adiabatiche e